IL
CAMMINO DI GUSTAVO GUTIERREZ
0. INTRODUZIONE
Vi
sono teologi che segnano la storia per l'abbondanza e il peso di
un'opera voluminosa. Ve ne sono altri che lo fanno,
non tanto per il coraggio, ma per la forza ispiratrice e per
l'originalità intuitiva. Dopo di essi ne verranno molti altri
che amplieranno questa sorgente in flussi più consistenti. Cosi
si presenta il teologo peruviano Gustavo Gutierrez.
Non
è uomo di molti libri, sebbene abbia scritto un complesso
d'opere considerevole. Tuttavia, il suo maggior
valore consistette nell'aver aperto, dall'altro latodell'Oceano,
una radura nuova nella teologia che fino allora
era stata quasi esclusivamente sotto l'egemonia dell'Europa.
1. Radici
e origine della Teologia della liberazione
E’ incontestato che Gustavo Gutierrez è l’autore il quale
non solo forgiò il termine «Teologia della liberazione», ma
ne espresse anche le prime intuizioni, che fino ad oggi sono
elaborate da una pleiade di teologi.
Andare
alle radici del suo pensiero significa risalire fino ai movimenti teologici che agitavano il mondo di lingua
francese negli anni Cinquanta, con le idee di Pierre Teilhard
de Chardin, di Emmanuel Mounier, di Henri de Lubac e altri.
Inoltre, significa tracciare il quadro socio-politico e pastorale della Chiesa latino-americana negli anni
Sessanta, con la vigorosa mobilitazione della UNEC (Union Nacional de Estudiantes Catolicos) del
Perù e della JUC (Juventude Universitaria Catolica) del
Brasile, che godevano allora dei loro momenti dÂ’oro nella vita
di fede integrata
in una intensa partecipazione politica.
E difficile datare unÂ’intuizione. Nondimeno, la
conferenza
di Gustavo Gutièrrez Verso
una Teologia della liberazione
nel
secondo incontro di sacerdoti a Chimbote, in Perù, nel luglio
del 1968, a un mese dallÂ’inizio della Conferenza
generale dell'Episcopato latino-americano a Medellìn, può esser considerata la nascita di ciò
che più tardi si sancirà come Teologia della liberazione. Là egli diceva:
«II
processo di liberazione è un segno dei tempi [...]. Tema nuovo di riflessione, perché nuovo pure come nozione
globale dei problemi che abbraccia [...]. Una teologia della
liberazione dovrÃ
rispondere, in primo luogo, a questo interrogativo: V’è qualche relazione tra costruire il mondo e
salvarlo? Si tratta di un processo di liberazione umana, di emancipazione
dell'uomo nella
prospettiva della fede [...]. Che relazione sussiste tra Regno
di Dio ed emancipazione umana?».
2. Programma
metodologico
II libro
programmatico, più strutturato e che divenne punto
di riferimento necessario per il futuro, e pubblicato nel
1971 col titolo Teologia della Liberazione. In esso Gutièrrez sviluppa gli elementi fondamentali della sua metodologia.
Anzitutto, nonostante sia pensata e prodotta nell'America Latiņa, non pretende di essere una
teologia latino-americana
nel suo contenuto. Non vuol essere un pensare teologicamente problemi che concernono noi e
pertanto sono
circoscritti alla nostra regione.
La sua pretesa, come quella di ogni teologia, è di
essere universale e particolare. Universale, in quanto considera
la totalità della fede, vissuta in qualsiasi parte del mondo. Particolare, perché una data situazione,
geografica e storica,
consente che sia meglio percepito un determinato contenuto della fede cristiana, come tale.
Costituirebbe una cattiva interpretazione di tutto
il progetto teologico di G. Gutièrrez intenderlo come una teologia
latino-americana in opposizione alla teologia europea. Se vi fu
una tensione iniziale, devÂ’essere intesa nel senso di mostrare
che la teologia prodotta dai teologi europei
partecipa della medesima condizione propria di ogni
teologia. Gode della universalità della fede, ma soffre
dei limiti dovuti alle circostanze in cui è elaborata. La diversitÃ
di luoghi serve ad arricchire il complesso edificio teologico.
Gutiérrez formula con chiarezza il suo progetto
come un
modo nuovo di far teologia e non come un tema in più. Così
si apre un nuovo ambito epistemologico nella teologia. Questa proposta teologica di Gutièrrez si fonda
sopra un
tripode:
- l'intenzione di valorizzare la teologia come riflessione
critica sulla prassi;
- il ruolo della collettività dei poveri e fedeli come soggetto e destinatario
originario nella storia, nella Chiesa e nella teologia;
- e l'articolazione tra liberazione storica e la salvezza divina.
La Teologia della liberazione è, anzitutto,
teologia. Teologia
significa parlare di Dio. In modo originale, Gutièrrez affrontò questo problema a partire, per
così dire, dalļa
parabola biblica di Giobbe.
Al centro del libro sta il complesso
degli interrogativi di Giobbe, non puramente di fronte alla sua sofferenza personale, ma
dinanzi al parlare di Dio da parte dei suoi amici che pretendono di offrire
conforto e spiegazione o di argomentare per giustificare e
protestare. Egli si propone di parlare di Dio movendo da una situazione di sofferenza.
In fondo, qui appare l'ispirazione basilare della
Teologia della liberazione: ribellione contro le immagini di Dio
di
tante teologie. E un’altra modalità di formulare il programma della «liberazione della teologia»:
liberandosi di concetti teologici gravati da elementi ideologici
alienanti.
In quest’opera si mostrano, per così dire, le
due dimensioni più importanti del discorso teologico della
liberazione come luogo di produzione dÂ’essa. A partire dalļa
sofferenza del popolo povero, si parla di Dio con il «linguaggio
profetico»
e con il «linguaggio della contemplazione». Per quanto molti non l'abbiano percepito, la
Teologia della
liberazione cerca sempre di armonizzarsi con l'esperienza
spirituale, col discorso della contemplazione, e con la parola critico-sociale, profetica.
II linguaggio profetico manifesta l'apertura verso
gli oppressi nella linea della solidarietà e dell’impegno. II linguaggio
della contemplazione significa esporsi al mistero, alla gratuità , all’amore di Dio. È ciò
che la spiritualitÃ
ignaziana chiama in actione contemplativus. Non per
nulla
Gutièrrez manifesta una sintonia speciale con l'esperienza ignaziana.
Sinteticamente, un recensore del libro di Gutièrrez
“Bere al proprio pozzo” osserva che il merito dell’opera
«non
sta solo nell'aver indicato i due linguaggi, dell'azione e della
contemplazione, dell’impegno e della gratuità , del dono e
del
compito (temi oggetto di controversia per gli avversari della Teologia
della liberazione), ma nell'aver mostrato l'interrelazione
e l'integrazione tra i due linguaggi».
3. Teologia
come riflessione critica sulla prassi
La teologia
fin dalle sue origini visse congiunta con l'esperienza
spirituale, come sapienza. Persino dopo che si impose la razionalità , essa continuò ad
essere vincolata a
questa tradizione nel mondo monastico e in quello dei mistici.
II Concilio Vaticano II
la rivalorizzò. La Teologia della liberazione continua questa linea
sapienziale sotto due aspetti. Trae la sua ispirazione dallÂ’esperienza di Dio nei
poveri, come si vedrà più avanti. Inoltre, valorizza la
religiosità popolare come fonte teologica. Persino col rischio
d'essere tacciato di «populista» da settori della stessa
teologia latino-americana più critici, Gutièrrez si preoccupa
di ricorrere all'esperienza religiosa popolare. Nei suoi testi abbondano esempi colti dalļa sua
esperienza col
popolo, dove rifulge una sapienza religiosa ispiratrice per
il teologo.
Ogni teologia è sapere razionale, secondo una
lunga tradizione
che risale ai suoi inizi. Fides quaerens intellectum.
È
la fede a cercare l'intelligenza di sè ricorrendo agli strumenti della razionalità . La Scolastica portò
tale funzione
della teologia ai suoi livelli più alti. Anche la teologia
europea moderna la sviluppò, pur in un altro modo di considerare la razionalità . La Teologia della liberazione
si fonda
su questa base occidentale. Ricorre alla razionalità nella
sua sistemazione, nell'elaborazione di strumenti di lettura della realtà con l'ausilio delle scienze sociali
e umane,
nell'elaborazione delle sue intuizioni.
Nondimeno, la teologia di Gutièrrez mostra la sua
originalitÃ
nell'avviarsi per gli itinerari della prassi, assumendo
i lineamenti assai attuali della centralità della carità nella vita cristiana, di una spiritualitÃ
nell'azione, del carattere storico della rivelazione, della vita della Chiesa come luogo
teologico, della valorizzazione filosofica ed escatologica della
prassi umana storica.
Questo programma teologico di riflessione critica
apre due
percorsi:
1)
Uno nel quale la teologia assume il compito d'essere
critica
della prassi umana e storica in quattro sensi.
-
Nel primo senso, la prassi diviene oggetto della riflessione
teologica. Questa coglie dalla pratica storica dei cristiani
e
anche dei non cristiani elementi per la sua elaborazione
teologica. È una teologia della prassi.
-
Inoltre, essa guarda alla propria prassi ai fine di illuminarla.
Si pone come obiettivo d'offrire aiuto alle persone
impegnate a vivere lealmente la loro fede. Risponde, in
modo diverso, a un interrogativo che Karl Rahner
rivolgeva
frequentemente: «Come può onestamente credere una
persona
moderna?». La fede cristiana appariva formulata
in modo tale che chi si fosse inserito nella
modernità culturale avrebbe dovuto abdicare alla sua fede.
Qualcosa di
simile
accadeva nella pratica politica liberatrice. La fede era
presentata in modo tale che chi fosse stato impegnato nella pratica politica liberatrice, avrebbe dovuto
rinunciare
alla stessa per continuare nella sua lotta di liberazione.
La teologia di Gutierrez è uno sforzo di rispondere a tale
domanda. È una teologia per la prassi.
-
E chi elabora questa teologia si coinvolge nella prassi.
La
sua teologia differisce molto da quella svolta a tavolino, nelle istituzioni accademiche, come
frutto di lezioni e
conferenze dirette a teologi. Gutierrez è una
persona che si è
immersa nella realtà dei poveri, che ha vissuto come loro
l'oppressione e i movimenti liberatori. Perciò può pensare
una
teologia nella prassi.
-
Ogni teologia deve essere verificata, come ogni verità .
La
teologia accademica si lascia criticare mediante i criteri
propri della scienza teologica. La Teologia della
liberazione, nella sua pretesa teologica, non può sfuggire
a tale giudizio. Ancor più, vuole accettare un altro
criterio critico. Accetta d'essere criticata da quegli
stessi ai quali e destinata, vale a dire da quelle persone che sono coinvolte
nel
processo di liberazione. È
per questo, una teologia
dalla prassi.
Questo aspetto della teologia della liberazione è
stato il più coltivato, tanto dallo stesso Gutièrrez, quanto
dagli altri
teologi di questo orientamento. Esso è conosciuto soprattutto per la sua relazione teorica e pratica con la
prassi.
Così Gutièrrez riassume tale programma:
«La
teologia, come riflessione critica sulla prassi storica, è così
una teologia liberatrice, teologia della trasformazione
liberatrice della storia dell'umanità e, da ultimo, anche della porzione d'essa -
riunita in 'ecclesia' - che confessa apertamente la fede
in Cristo; una teologia che
non si limita a pensare il mondo, ma che cerca di porsi
come un momento del processo attraverso il
quale il mondo è trasformato:
aprendosi, cioè, al dono del regno di Dio, nella protesta
di fronte alla dignità umana calpestata,
nella lotta contro lo
sfruttamento dellÂ’immensa maggioranza degli uomini, nell'amore che libera, nella costruzione della
nuova società , giusta e fraterna».
2)
Un secondo programma fu pure formulato da Gutièrrez
nel senso di liberare la teologia da pastoie concettuali. «La teologia dev’essere un pensiero
critico di se stesso,
dei suoi stessi fondamenti», scrive il teologo peruviano.
Deve essere, perciò, una teologia cosciente di sè, non ingenua, in pieno possesso dei suoi strumenti
concettuali,
osserva lo stesso autore. Questo programma fu svolto
in minor misura dal nostro autore. Divenne fondamentale per Juan
Luis Segundo, che gli diede forma nella sua opera pure
programmatica.
In certi
momenti, alcuni critici assuefatti alla forma europea di
teologia, più sistematica e dogmatica, giudicarono di poter
ridurre questo programma teologico al ruolo della Dottrina
sociale della Chiesa per l'America Latina o, al massimo, a una
teologia fondamentale o a una morale sociale. Ma si vedeva con
difficoltà che fosse teologia in senso puro e semplice.
La teologia di Gutièrrez tocca temi molto vicini
alla Dottrina
sociale della Chiesa. Di conseguenza, dedica un'ampia riflessione ai lavoro e ad altri temi
sociali, prendendo
come base l'enciclica di Giovanni Paolo II Laborem
exercens e
quella di Leone XIII Rerum novarum.
In verità , v’è stato da entrambe le parti,
tanto della
Teologia della liberazione quanto della Dottrina sociale, un
avvicinamento nell'aspetto tematico e metodologico. Di fatto, come osserva Gutièrrez, l'enciclica Laborem
exercens
ha
uno «stile di riflessione teologica». Nondimeno, la teologia della liberazione mantiene la sua
identità teologica e si differenzia dalla Dottrina sociale
quanto a struttura
del sapere, quanto al soggetto che la produce, quanto alla sua esperienza fondante. E una prova è questo
stesso testo che fa teologia basandosi sull'Enciclica, la quale, a sua volta, contiene molti elementi
teologici.
È noto che
alcuni teologi preferiscono avvicinare maggiormente
la Teologia della liberazione alla Dottrina sociale della Chiesa, richiamando l'attenzione sulle
convergenze
epistemologiche: lo stesso campo della teologia, la relazione
tra la realtà storico-sociale e la fede, il ricorso alla luce della rivelazione, alla filosofia, alle
scienze umane
e sociali, la dimensione storica, teorica e pratica, la finalitÃ
pure pratica e sociale.
4. I poveri soggetto storico
Chi sono i
poveri? La risposta a questa domanda non può
prescindere dallÂ’esperienza personale dellÂ’autore. Lavorando
con universitari, Gutierrez vive a El Rimac, quartiere di classe
lavoratrice, dove può immergersi nella vita del suo popolo povero. La durezza di questa esperienza non permette
che egli si discosti da una visione realistica.
Di conseguenza, i poveri nella prospettiva della
teologia
di Gutièrrez sono percepiti nella loro condizione materiale di povertà , come collettività e come
persone di fede.
Idea che appare dall'inizio dei suoi scritti fino ai più recenti.
«In
primo luogo, - egli scrive - il termine ‘povertà ’ designa
la povertà materiale,
cioè, la carenza di beni economici necessari per una vita
umana degna di questo nome».
Pertanto, qualcosa di degradante, che la coscienza
moderna
può rifiutare. È un vivere a livello subumano. Stato scandaloso,
che attenta alla dignità umana ed è contrario alla volontà di Dio e che deve essere combattuto.
Gutièrrez si compiace di ripetere una frase di Berdjaev:
«Se
ho fame, questo è un problema materiale; se un altro ha fame,
questo è un problema spirituale». La libertà per il povero è un problema materiale e per noi spirituale.
La spiritualizzazione non si attua, pertanto, in rapporto alla
povertà del povero, che si manifesta concretamente
nella fame, nell'umiliazione, nella segregazione
umana e culturale, ma in relazione ai non poveri. Questi sono
invitati ad avere un atteggiamento di umiltà davanti
a Dio. E, a partire da questa esperienza di Dio e in contatto
con i poveri in senso materiale, sono chiamati a un
impegno per la causa di costoro.
Perciò, il termine «povertà » ha tre
significati, che trovano
nella Scrittura il loro fondamento. Povertà materiale dei
poveri, - stato scandaloso - povertà spirituale come atteggiamento di umiltà davanti a Dio - infanzia
spirituale - e povertà in quanto impegno per la liberazione dei
poveri – solidarietà e protesta. Non sono realtà parallele.
Per vivere la terza forma di povertà , che s’è consacrata nel
linguaggio della Chiesa latino-americana con l'espressione «opzione
preferenziale per i poveri», è necessario coltivare l'«infanzia spirituale».
I
poveri sono moltitudine nel nostro Continente. Si tratta,
dunque, di un popolo povero, sfruttato. Diversamente dai poveri dei Paesi ricchi, qui sono la
maggioranza schiacciante.
Non sono nemmeno come i poveri di altri continenti,
che,
ancorchè siano moltitudine, non appartengono alla tradizione
di fede cristiana, cattolica. È un popolo che crede, sia per mezzo di espressioni religiose, sia
nell'insieme della sua vita. Alcune di queste espressioni furono
fattore d'alienazione,
tuttavia il popolo scopre, sempre di più, la potenzialitÃ
liberatrice della sua fede, come dimostrano i suoi comportamenti
pratici. Si crea una sintonia con l'esperienza
del popolo della Bibbia.
La condizione cristiana dei poveri impegna più
gravemente il teologo. Essi hanno diritto a un'evangelizzazione corretta
e non a una fede deformata. Inoltre, essi manifestano più
chiaramente lo scandalo di questa situazione di oppressione,
poiché si verifica in un continente cristiano. II documento di Puebla
fu sensibile a questo aspetto:
«L'uomo
latino-americano sopravvive in una situazione sociale che
contraddice la sua condizione di abitante di un continente in maggioranza
cristiano; sono evidenti le contraddizioni esistenti tra
strutture sociali ingiuste e le esigenze del Vangelo».
I poveri sono una forza storica, che si manifesta
in segni di lotta e di speranza, sfidando il pessimismo. Con questa
lettura, Gutièrrez coniuga le dimensioni di analisi, di utopia e di teologia. Di analisi, perchè
percepisce una differenza di coscienza nei poveri. Non si può dimenticare che
l'America Latiņa negli anni Cinquanta e Sessanta visse tanto un processo di 'coscientizzazione' popolare sulla base
della pedagogia di Paulo
Freire quanto la presenza di
molti movimenti popolari di liberazione. Di utopia, perché
assume la profonda aspirazione alla liberazione nella sua qualitÃ
sovversiva e mobilitatrice della storia, denunciando
l'ordine esistente e annunciando un ordine di cose differente, di nuova società . Di teologia, perché
riconosce
in tutto questo processo un segno dei tempi, cioè una presenza operante di Dio nella storia
umana.
Questi poveri ricevono molti nomi negli scritti di
Gutierrez.
Sono «i popoli dominati», «le classi sociali sfruttate», «gli
assenti dalla storia», «quelli che stanno in basso», «i condannati della terra», «le razze disprezzate»,
«le culture
emarginate», «le donne doppiamente discriminate», «i poveri
cristi flagellati delle Indie», ma che stanno facendosi presenti nella storia, nella società , nella
Chiesa, provocando
timore e ostilità tra gli oppressori e speranze tra i diseredati. II popolo povero vive in una
situazione di conflittualità .
Senza entrare in uno studio più particolareggiato dell'evoluzione
semantica del termine «povero» in Gutierrez, v’è in lui e nel complesso della
Teologia della liberazione un'accentuazione crescente degli
aspetti etnici, culturali
e di genere nella sua qualificazione.
Sempre più
egli vede la povertà vicina alla morte.
«Oggi
avvertiamo sempre più chiaramente la posta in gioco di questa
situazione: povertà significa morte. Morte provocata dalla
fame, dalla malattia o da metodi repressivi che usano coloro
che vedono vacillare i loro privilegi davanti a ogni sforzo di liberazione
degli oppressi».
«Morte
anzitempo», morte fisica, «morte culturale perché
in una situazione di oppressione viene distrutto tutto ciò che da unità e forza ai diseredati di
questo mondo».
Distruzione, quindi, delle persone, dei popoli, delle culture,
delle tradizioni. È in gioco, pertanto, la difesa della vita in tutte le sue dimensioni.
Egli non fa una teologia sulla povertà .
Diversamente,
quindi, da certa letteratura teologica della vita religiosa. La
povertà per lui ha un nome. Sono i poveri concreti.
«Essere
povero è anche una maniera di sentire, conoscere, ragionare,
farsi degli amici, amare, credere, soffrire, far festa, pregare».
Essi
costituiscono un mondo.
In un articolo più recente, alla fine degli anni
Novanta, Gutièrrez
riprende lo stesso tema. Riconosce i cambiamenti, la novità della situazione attuale, le
sfide del presente.
L'interrogativo è angustiante:
«nel mondo
della rivoluzione tecnologica e dellÂ’informatica, della
‘globalizzazione’ dell’economia, del neoliberalismo e della supposta post-modernità , v'e posto per quelli che oggi sono
poveri ed emarginati e che cercano di liberarsi da una
condizione inumana che opprime la loro qualità di persone e
figli di Dio?».
Citando H. Iglesias, presidente della Banca
Interamericana
di Sviluppo (Banco Interamericano de Desarrollo,
BID),
il quale affermava che il prossimo secolo sarà «affascinante e crudele», Gutièrrez concludeva
che sarÃ
crudele per i poveri. Continuano ad essere gli «insignificanti» della storia. Cresce la distanza tra
le nazioni ricche
e quelle povere e all'interno d'ogni paese tra gli strati
ricchi e quelli poveri. La migrazione
si aggrava, emerge il razzismo.
Trent'anni dopo l'inizio della Teologia della
liberazione
i poveri continuano ad essere la sfida maggiore per la teologia.
Si possono criticare alcuni dei suoi sviluppi ulteriori, l'analisi sociale utilizzata per capire la
realtà della povertÃ
e le sue cause, ma il fatto permane ancora più grave
nell'ambito mondiale ed entro i Paesi, perfino nelle stesse nazioni ricche.
«E’
aumentata, tanto in termini relativi quanto assoluti, la popolazione che si trova in situazione di povertà e di povertà estrema.
Il risultato è penoso: si mantiene e perfino si approfondisce la povertà ».
II primo e l'ultimo Gutièrrez si incontrano
nell'angoscia
di fronte ai medesimo fatto, allo stesso interrogativo iniziale.
In modo incisivo, si può affermare che il povero è il grande criterio ermeneutico di questa teologia.
La Teologia della liberazione esiste a causa del
povero: qui
trova la
sua origine e il suo destino, che consiste nella liberazione. Qui arriviamo ai terzo elemento del tripode
metodologico.
5.
Le dimensioni della liberazione
II termine
«liberazione» fece storia. Fin dall'inizio, Gutiérrez
ebbe cura di distinguere i livelli in cui il termine fu
impiegato. La scelta del termine fu cosciente e fondata teoricamente. NellÂ’orizzonte europeo, avevano libero corso
due teologie progressiste. Da un lato, la teologia delle realtà terrestri, che si integrava molto
bene nel clima creato dal Concilio Vaticano II di valorizzazione dell'immanenza
nel dialogo col mondo moderno. Dall'altro lato, lo «sviluppismo»
si impone come ideologia costruita sulla
scia dei miracoli economici dei Paesi dominanti, dalla quale si
elabora una teologia dello sviluppo.
Gutiérrez si preoccupa di distanziarsi da questa
corrente.
Di conseguenza, nel 1969 fu invitato a partecipare a un
incontro internazionale di teologia a Cartignv, in Svizzera, per esporre la teologia dello sviluppo, in
quel momento
in auge. Chiesero a Gutiérrez di tenere una relazione
sopra «II significato dello sviluppo». Non accettò il tema e lo intitolo invece: «Note per una teologia
della liberazione».
Questo cambiamento di titolo non fu affatto un capriccio, ma indicava già la svolta che si
annunciava.
In verità esso riflette le critiche che si
venivano facendo in America Latiņa all'ideologia «sviluppista» nel
senso che «i paesi poveri presero coscienza sempre più chiara del fatto che il loro sottosviluppo non è
altro che un sottoprodotto
dello sviluppo di altri paesi, dovuto ai tipo di relazione che mantiene attualmente con essi.
Quindi, che
il proprio sviluppo non si compirà se non lottando per spezzare
la dominazione esercitata su di essi dai paesi ricchi». II primo
livello dei concetto di liberazione si colloca di fronte alla «dipendenza economica, sociale, politica e
culturale
di alcuni popoli in rapporto ad altri» - espressione della dominazione di alcune classi sociali
su altre.
Gutiérrez propone la sua riflessione, ampliando il
concetto
di liberazione
in rapporto a tutto ciò che limita o «impedisce
allÂ’uomo la realizzazione di se stesso ed ostacola l'esercizio
della propria libertà ». Tutta la storia può essere vista come un processo umano di oppressione e di liberazione.
L'essere umano crea i propri mondi per realizzarsi. Questi
finiscono col catturarlo nelle loro maglie dominatrici. Ed esso
deve rompere tali catene per creare nuove
realizzazioni della sua umanità . Cosi si può leggere tutta
la storia dell’umanità in questa prospettiva. È il secondo
livello.
La liberazione è pure una categoria teologica. Si
entra qui
nel cuore della Teologia della liberazione. Qui sta uno degli
aspetti della sua originalità , ma pure uno dei punti di più dure critiche. Non si cadrebbe in un
grossolano riduzionismo nell'usare una categoria politica e, al massimo, antropologica
per esprimere il cuore stesso della Rivelazione? Non sarebbe questo un confondere i processi
storici
con la salvezza realizzata da Dio? La risposta è data da due
considerazioni teologiche: la relazione tra liberazione e salvezza, da un lato, e, dall'altro, l'unitÃ
della storia.
6. Liberazione
e salvezza
Anche questa
è una considerazione teologica di Gutiérrez
fin dai suoi primi scritti. È una delle affermazioni centrali
dei suo pensiero al punto da poter strutturare tutta la sua teologia. Vale qui la duplice affermazione. La salvezza
è una liberazione che inizia nella storia e va al di là di essa. La liberazione è una salvezza che
termina nellÂ’escatologia finale, ma comincia nelle strutture
umane.
Si può pensare la salvezza solo all’interno
delle condizioni
concrete storiche e politiche come una liberazione dalle
sue forze oppressive. V’è uno sforzo per riscattare il concetto di salvezza, rinchiuso in una triste
prospettiva individualistica, spiritualistica e ultraterrena. In quanto tale il
concetto di «liberazione» presta un servizio eccellente. Con
esso Gutièrrez cerca di superare la visione più ristretta della posizione tradizionale. Questa
circoscriveva la salvezza in azioni rigorosamente religiose,
compiute con
l'intenzione di agire nella sfera della grazia divina. II
termine “liberazione” associa la salvezza ad azioni umane
praticate nel cuore della storia, nella lotta liberatrice, che certamente non si verificano senza la grazia di Dio. La visione
tradizionale limitava la salvezza a ciò che si faceva esplicitamente entro la Chiesa. II concetto di
liberazione la
estende a tutto l'ambito umano, dove Dio sta agendo in modo
salvifico. Infine, la comprensione tradizionale vincolava eccessivamente la salvezza allÂ’altra vita. La
categoria di liberazione pone l'accento sul fatto che le azioni di
giustizia, di amore al povero, sono già gravide di eternità . Hanno una forza che va al di là della morte,
anticipando
così nella storia la realtà definitiva.
II termine «liberazione» esprime il realizzarsi
della salvezza
nella storia, che non si identifica con essa, ma va al di là di
essa. La ragione di questo vincolo più profondo che unisce la salvezza con la liberazione è, senza
dubbio, il
punto di partenza di tutta la teologia di Gutiérrez. Non é una
riflessione sulla tradizione della fede in se stessa, non è un semplice sforzo d’intendere il patrimonio
di verità della
Chiesa intellettualmente, ma la ricerca di una comÂprensione
di questa fede a partire dalla situazione di oppressione dei poveri e dei loro aneliti
alla liberazione. Che cosa ha a che fare questa situazione con la salvezza definitiva,
con la vita eterna, col cielo?
Nel cercare una risposta teologica alla serietà di
questa domanda,
Gutiérrez non può comprendere la salvezza al di fuori di un
processo d'impegno liberatore con i diseredati della storia. Ciò non si compie mediante semplice opzione
politica, ma dall'intimo dei cuore della fede cristiana. La
salvezza sta avvenendo là dove è in corso anche il processo di liberazione. Dio non è assente col suo dono salvifico,
ma sta realizzando qui il suo progetto di salvezza. II fine ultimo di ambedue è la fraternitÃ
umana, non semplicemente
mediante la comunione in una stessa umanità , ma perchè tutti diventiamo figli di Dio.
Non si da mai una identificazione totale tra
liberazione storica
e salvezza, ma relazione tra primizie e pienezza, tra
realizzazione parziale e compimento finale, tra vedere nello specchio e faccia a faccia, tra cammino e
riposo.
La salvezza è, in ultima analisi, l’autocomunicazione
di Dio accettata dall'essere umano. Nella prospettiva della
liberazione, tale dono di Dio è inteso in tutte le sue
articolazioni necessarie. Non è un talento da custodire, ma da far fruttificare. Non è una proprietà privata, ma un dono da
vivere in comunità con i fratelli della Chiesa e del mondo, nella duplice ricerca della liberazione
personale da ogni peccato, iniquità , ingiustizia e di quella
sociale da quei
peccati che colpiscono le strutture della società , della
storia.
II termine «liberazione» ha due aspetti nel
pensiero di Gutiérrez.
II più accentuato, fondamentale, insuperabile, di carattere
socio-analitico, si orienta verso la trasformazione di ogni realtà umana, prigioniera del peccato e,
per questo, oppressiva. Liberazione si oppone frontalmente a dominazione
ai tre livelli enunciati anteriormente.
Spesso si solleva la questione dei carattere
ideologico di
questo programma teologico. Evidentemente il termine «ideologia»
ha molti sensi. Non è qui il luogo per entrare in questa selva
semantica. La teologia di Gutièrrez non è ideologica nel senso antiteologico. Essa non è successiva a
opzioni e posizioni politiche già adottate che tenda a
giustificare. Ma, al contrario, essa nasce da un'opzione cristiana,
evangelica, che cerca di illuminare alla luce della Rivelazione. II suo interesse principale non è quello di legittimare
pratiche umane, storiche, politiche decise anteriormente, ma le mette a confronto con la fede per discernere
su di esse. Ed è la sua teologia elaborata nel conÂfronto
con la Rivelazione.
A questo punto, entra in gioco uno dei capisaldi più
controversi
del pensiero teologico di Gutiérrez. Pensare teologicamente il processo di liberazione dei
poveri in un mondo
di oppressione, di povertà ingiusta, è qualcosa di molto
serio. Implica per la teologia ricorrere a una razionalità che la aiuti
a capire tanto i meandri dell’oppressione e delle sue cause come le possibilità di liberazione. Ciò si realizza
a mezzo di analisi e interpretazioni che si collocano ai livello delle scienze sociali. All'inizio,
si useranno di
preferenza elementi socio-strutturali, alcuni presi dallÂ’analisi
marxista. Evidentemente, come afferma in modo apodittico lo stesso Gutiérrez, non si tratta, in
alcun modo,
di «una specie di sintesi tra fede e analisi marxista».
Già da tempo, per esigenza di approfondire la solidarietà col mondo dei poveri, si viene accentuando, in
seguito
alla caduta del socialismo, la tendenza a incorporare man mano
agli strumenti d'analisi della realtà «fattori razziali, culturali e di genere» tratti dalle scienze
umane, quali
la psicologia, l'etnologia, l'antropologia.
L'altro aspetto della concezione della liberazione
e utopico. Ha
pure unÂ’intenzionalità che mira a costruire giÃ
qui sulla terra una società di fraternità e di comunione tra
le persone. È la sua dimensione utopica. In una prospettiva
teologica, si percepisce ancor più il dinamismo
della liberazione. Esso si orienta, in ultima istanza, nella forza
della grazia di Dio, verso l’autentica «comunione degli
uomini con Dio e degli uomini tra loro».
Questa comunione abbraccia gli sforzi e le
realizzazioni
di solidarietà umana, storica, e insieme annuncia il traguardo
definitivo dell’umanità al di là della morte. Gutiérrez
mantiene una straordinaria coerenza teologica dall'inizio fino ai suoi ultimi scritti nell'affermare un'unitÃ
tra liberazione storico-umana e salvezza, senza perdere la chiara percezione della loro distinzione. Questa
articolazione
equivale, analogicamente, ai quattro avverbi che il Concilio di Calcedonia applicò allÂ’unitÃ
della persona di
Gesù nella distinzione delle nature: in modo inconfuso, non
mutato, indiviso e inseparabile. Salvezza e liberazione se, da un lato, non possono essere confuse né mescolate,
dall’altro non possono essere divise né separate.
Questa relazione ha un presupposto che Gutiérrez,
fin dalle prime opere, continua ad affermare: l’unità della
storia.
È un dato teologico che ottenne un consenso relativamente ampio dopo il Concilio Vaticano II, ma che
assume una
sfumatura propria nella Teologia della liberazione.
7.
Unità della storia
«Non vi
sono due storie, una profana e l'altra sacra, ‘giustapposte’ o ‘strettamente unite’, bensì un solo divenire umano assunto
irreversibilmente da Cristo, Signore della storia». «La storia
della salvezza costituisce le viscere stesse della storia umana». «II
divenire storico dell’umanità deve essere definitivamente posto nell'orizzonte salvifico». «Esiste una
sola storia. Una stoÂria cristofinalizzata».
Questo era già un dato della teologia
post-conciliare. Tuttavia, Gutiérrez sposta l'accento in due punti. L'unità della
storia era affermata per garantire l'unità del disegno
salvifico di Dio per tutti gli uomini. Dio ha una volontà unica
di salvezza, che comprende tutta lÂ’umanità . È unÂ’unitÃ
collocata nell'inizio e nella fine. Gutiérrez si preoccupa
piuttosto del presente, delle sfide interne al nostro mondo,
alla nostra storia. L’unità della storia provoca la
nostra attenzione nei confronti della presenza salvifica di
Dio nel suo agire nell’umanità , nella vita delle persone. È
criterio di interpretazione della realtà attuale più che consolazione piena di speranza.
È questa
unità della storia a permettere di discernere nei
movimenti sociali di liberazione in corso nella storia il dito
salvatore di Dio. Senza cadere in alcun millenarismo che sogni
un regno terrestre di Cristo o in qualche utopismo
che lotti per costruire col ferro e col fuoco la perfezione del
Regno su questa terra, Gutièrrez stimola il cristiano a cogliere i segni della liberazione in atto.
Inoltre, la prospettiva del teologo peruviano
diverge da
altre correnti teologiche nell'insistere sul carattere inseparabile
e indiviso della liberazione e della salvezza. Quelle correnti, a loro volta, col timore della
confusione e riduzione
tra le due, insistono sulla differenza e sulla distinzione. È questione di preferenza e di
accento, giacché ambedue i poli sono importanti. Ma tale scelta
ha rilevanza,
poiché rivela l'opzione di fondo soggiacente, dove sta il cuore [della teoria].
Una conseguenza immediata di tale comprensione dellÂ’unitÃ
della storia è la teologia dei segni dei tempi, tanto presente nell'autore. Essa svela più
chiaramente le implicazioni di tale unità .
8. Teologia dei segni dei tempi
Gutiérrez si
avvicina più al genere della teologia biblico-profetica
e pastorale che a quello sia della teologia dottrinale e
sistematica sia della sapienziale, narrativa e spiritualista.
Coltiva in profondità il binomio denuncia e annuncio.
La denuncia si riferisce ai segni di morte.
Implica una lettura
socio-analitica e critica della realtà . Attraversa l’opera
di Gutiérrez questa critica forte ai meccanismi di dominazione. Perciò, fin dall'inizio, egli rifiutò
la lettura ‘neutra’ dell’ideologia dello sviluppismo che vedeva nell’attuale
situazione dei paesi dellÂ’America Latina una semplice tappa previa allo sviluppo. Era questione di tempo
e di inserire gli ingredienti della crescita. No, era una situazione di dominazione, dÂ’oppressione, con
tutta la connotazione
negativa che tali parole comportano.
NellÂ’orizzonte dellÂ’annuncio, si pongono
la comunione,
la liberazione, la solidarietà . In una parola, equivalgono a
proclamare il Regno della vita. In un testo più recente, egli mette in rapporto la liberazione con la
libertà nella sua duplice dimensione: «libertà da» e «libertà per». LibertÃ
dal peccato, dall’egoismo, dall’oppressione, dall’ingiustizia, e libertà per l’amore, per la
comunione: tappa finale della liberazione. La «libertà per» conferisce significato
alla «libertà da».
Gutiérrez, nel cercare di discernere i segni dei
tempi, si occupa
di due altre questioni connesse. Da quale punto fare tale lettura? E qual è il criterio
fondamentale del discernimento?
Rispondendo alle due domande, egli insiste che la
lettura
della realtà si fa «dal rovescio della storia» e alla luce
del Dio della vita. Due idee centrali che meriterebbero lunghe
riflessioni. Considera l'«avvenimento maggiore della
comunità cristiana dell'America Latina» l’inserimento nelle lotte popolari per la liberazione come nuovo modo
di vivere, trasmettere e celebrare la fede. Si tratta dell'identificazione
con gli interessi e le battaglie degli oppressi
del continente. Questo rovescio della storia è del tutto concreto. Sono gli assenti dalla storia, quelli che stanno
in basso, i «poveri cristi flagellati delle Indie», in una
parola i poveri. È il lato oscuro della modernità borghese. Lès
Lumieres si accesero nel Primo Mondo, ma gettarono le loro ombre sopra il Terzo Mondo. È in questa e
da questÂ’ombra che si discerne la presenza di Dio nella storia,
non in quanto è pura oscurità , ma in quanto da essa emerge
la luce delle lotte liberatrici.
Troviamo qui unÂ’altra volta lÂ’intuizione
iniziale e fondante della Teologia della liberazione. La sua
matrice ermeneutica
nel contrasto con le letture fatte a partire da altri, differenti «luoghi» sociali.
II «rovescio della storia» non è il criterio di
discernimento, ma semplicemente il luogo donde si può vedere meglio
tanto la sfida quanto il modo di parlare da parte di Dio.
Gutiérrez inizia il suo libro Il Dio
della Vita citando il fatto della visita di Giovanni Paolo
II a Lima, quando il Papa
fu salutato da popolani di un quartiere povero della città .
«Santo
Padre, abbiamo fame. Patiamo la miseria, ci manca il lavoro,
siamo malati. Con il cuore spezzato dal dolore vediamo le nostre
mogli - incinte - con la tubercolosi, i nostri bambini morire, i
nostri figli crescere deboli e senza futuro. Malgrado
tutto questo, però, crediamo nel Dio della vita».
L'apologetica classica, più esattamente la
teodicea, affrontò il problema dell'esistenza di Dio di fronte
a un deismo
razionalista e soprattutto all'ateismo. Gutiérrez relativizza la questione dell'ateismo nel senso che «non
avremmo molto vantaggio, in effetti, se discorressimo dell'esistenza di Dio senza prima precisare di
quale Dio si parli».
In termini più
duri, il pericolo che ci assedia è prima l'idolatria che
l'ateismo. Tema molto coltivato nel contesto della Teologia
della liberazione.
Consultando le fonti bibliche, egli traccia
l'immagine di
Dio come Padre che libera, perché é vita, che fa giustizia,
perché è santo, che fa alleanza, perché è fedele. Scegliere l'idolatria è optare per la morte.
Approfondendo di più l’idea del
Dio della vita, lo vede
presente nel Regno che sta in mezzo a noi, nel Regno predicato
da Gesù. Dio è il Dio del Regno.
«Così lo
incontriamo nella misura in cui facciamo nostri i suoi disegni
sulla storia e sulla nostra vita». Il
Dio della Scrittura non può essere separato dal suo progetto che è il Regno. È solo approfondendo la realtÃ
del
Regno che sappiamo come incontrare Dio e vivere alla sua presenza.
Vi sono presenze e assenze di Dio. II teologo
peruviano
richiama l'attenzione sul simbolo del tempo vuoto come
l'assenza di Dio quando non si mette in pratica la volontà di vita e di giustizia da parte di Dio. Dio non è nella
cupidigia, nè nella subornazione, nè nelle opere dÂ’iniquitÃ
che circondavano il tempio.
Dio abita il cosmo, impianta la sua tenda tra di
noi mediante
il mistero dell'Incarnazione
del Figlio, la vita, insieme
con Dio Padre. Egli annuncia il Regno prossimo, offre segni di questa presenza, privilegia gli ultimi come
suoi
destinatari. Predica l'etica della giustizia. Nello svilupparla,
Gutiérrez articola la dialettica tra la gratuità e la libertà . Accusato spesso ed equivocamente di
pelagianesimo, pone fin dallÂ’inizio lÂ’accento sul fatto che
la teologia è un
atto secondo rispetto all'atto primo della fede, della gratuità e del dono di Dio. In modo paradossale, essa
costituisce il
parlare di Dio che viene dopo il silenzio di Dio: nella contemplazione
e nellÂ’azione. Non si incontra Dio soltanto nel mondo etico, ma pure in quello estetico, nella
contemplazione.
La vita di fede si compone di due dimensioni fondamentali:
gratuità , dono di Dio, contemplazione ed esigenza di giustizia, libertà impegnata, azione.
In relazione al Regno di Dio, vi è il duplice
atteggiamento di accoglienza e di ricerca. O, se si vuole, è
una aspettativa
attiva, o un’azione nella speranza. Attraversa tutta l’opera di Gutièrrez questa dialettica
della grazia e della
natura, del dono e della prassi, della gratuità e dell’impegno.
Egli coniuga il binomio sempre in modo estremamente meticoloso.
Già fin dalle prime opere insiste nel dire che «l’azione
salvifica di Dio coinvolge ogni esistenza umana». Più tardi,
riprende di nuovo la stessa idea affermando che «la salvezza in Cristo da all’insieme della
storia umana il suo senso portandola al di là di se stessa. Ma proprio per questo è già presente
nella storia: l'azione salvifica di Dio la lavora dal di dentro».
9. Dimensione
cristologica
Parlare di
Dio implica necessariamente entrare nella cristologia
di Gutiérrez. Anzitutto, egli afferma senza indugi che il «grande principio ermeneutico
della fede, e quindi di ogni discorso teologico, è Gesù Cristo», il Figlio
di Dio fatto uomo e inserito nella nostra storia.
Fin dall’inizio, vede Gesù Cristo nella sua
azione liberatrice,
inserito nella storia reale degli uomini. Questo suo agire
si colloca nel cuore del fluire storico dell’umanità , nel
quale la lotta per una società giusta si iscrive pienamente
nella storia della salvezza.
LÂ’azione liberatrice di Cristo e intesa in tutta
la sua ampiezza.
Egli ci libera fondamentalmente dal peccato. Ma «il peccato l'abbiamo in strutture
oppressive, nello sfruttamento dell'uomo da parte
dell’uomo, nel dominio e nella schiavitù di
popoli, di gruppi etnici e di classi sociali. II peccato nasce,
allora, come alienazione fondamentale, come la
radice di una situazione d’ingiustizia e di sfruttamento». Questa
riflessione si capisce solo se si prendono in considerazione i tre livelli di liberazione visti sopra.
Più tardi ritorna sulla stessa idea.
«La
liberazione di Cristo non si riduce a liberazione politica, ma
si realizza in fatti storici e politici liberatori. Non è
possibile saltare queste mediazioni». La storia umana deve essere vista come attraversata
dalla liberazione di Cristo. Interpretare questÂ’ultima in una
linea spiritualistica le sottrae tutta la sua carica umana e
storica, rendendola accettabile per il sistema politico ed ecclesiastico. Perde tutta la sua forza profetica,
che mette in
discussione. Questa liberazione radicale è il dono arrecato
da Cristo.
Nel parlare del Dio della vita, come s’è visto
sopra, lo pensa
trinitariamente. «La dimora di Dio nella storia raggiunge la pienezza nell'incarnazione».
Gesù
ci trasmette la vita del Padre, che è la finalità tanto della creazione quanto dell'azione salvifica.
L'azione di Cristo è datata e localizzata. E
questi due dati
non sono privi di importanza. Gesù vive in mezzo a un
popolo oppresso dal grande impero dell'epoca. EÂ’ il suo hic
et nunc. Si compiono i tempi. II Regno è vicino. E tutta la
vita di Gesù ruota attorno alla predicazione del Regno e all’annuncio
della sua presenza tra noi nei «segni» che egli compiva. E l’invito alla conversione
rivolto ai popolo si
traduceva nella ricerca del Regno e della sua giustizia.
I segni del Regno avevano due aspetti. È invito,
come abbiamo
visto, a conoscere la realtà significata, questa è il Regno
stesso. È di più. È un invito all’impegno per le esigenze del Regno. Così il gruppo dei seguaci di Gesù diviene
pur esso un segno del Regno. Essi mostrano come Dio stia agendo nella storia.
II punto più alto della testimonianza dei
discepoli e, per
conseguenza, del cristiano d'oggi, sta nellÂ’annunciare il
Cristo risuscitato. E ciò, nel contesto latino-americano, e qualcosa di molto carico di senso. Credere nella
risurrezione
è incompatibile con l’accettazione di una società nella
quale il povero è condannato a morte. Questo e l'aspetto
centrale del nostro essere «testimoni della Pasqua».
E quando si considera chi sono coloro che seguono Gesù,
allora si capisce il «rovesciamento messianico: “gli ultimi saranno i primi”(Mt 20,16), che contraddice il siÂstema
di valori di questo mondo, in cui poveri e piccoli non
contano».
Per approfondire quest’idea, Gutièrrez fa una
lunga esegesi
delle due versioni delle beatitudini,
non accettando unÂ’interpretazione tradizionale secondo cui la
versione di Matteo sarebbe una spiritualizzazione di quella di Luca.
Luca insiste sulla gratuità dell'amore di Dio che preferisce
il povero reale. II Regno di Dio è promesso, in primo
luogo, a quelli che vivono in condizioni di debolezza
e di oppressione. La preferenza per i più semplici non si deve
alle loro disposizioni morali e spirituali, bensì alla loro
fragilità umana e al disprezzo di cui sono oggetto. Solo
l’amore gratuito di Dio può spiegare la sua preferenza
per essi. Gutièrrez lo afferma chiaramente:
«L’annuncio
del Regno è rivelazione su Dio, è parola sul suo amore libero e gratuito; questo non dipende dalle disposizioni etiche
e religiose dei suoi destinatari».
Per parte sua, Matteo completa tale prospettiva,
indicando
quali siano le esigenze etiche per seguire Gesù, come
conseguenza di questa iniziativa amorosa di Dio. Matteo insiste «sulla
necessità di compiere verso gli altri - specialmente verso
i
poveri - gesti concreti e ‘materiali’».
Non è affatto una spiritualizzazione ma, al
contrario, egli
mostra l'aspetto di esigenza di ciò che in Luca appare come
profonda libertà e gratuità dell’amore di Dio verso il povero.
Questo e un
altro punto importante della cristologia di Gutiērrez.
«La
vita cristiana e anzitutto sequela
Christi. II modo (il metodo, la via) di far teologia si
inserisce in questo movimento, è anch’esso via che conduce al
Padre. Gesù dice di essere “la verità ”,
ma si qualifica anche come “la via” e “la vita”. I suoi
gesti e le sue parole, la sua pratica ci rivelano la
direzione da seguiÂre».
In questo momento incontriamo anche una delle idee
care
a Gutièrrez. Non lasciandosi imbrigliare nel concetto greco
di verità , tanto valorizzato dall’ortodossia, insiste
sull'aspetto del «fare la verità », tipicamente giovanneo.
«La
verità che il Signore ci rivela “si fa”, “si pratica”,
nellÂ’agire del
discepolo, che in tal modo accoglie il dono della Parola».
Solo in tale contesto si può capire bene la
relazione tra ortodossia
e ortoprassi, uno dei punti controversi della
Teologia della liberazione. Senza affermare, in alcun modo,
che la fede si riduca a opere, poiché essa possiede una
dimensione contemplativa, insiste, tuttavia, sul fatto che essa
deve convertirsi in opere, per non essere morta (Gc 2,26; cfr.
Tt 2,14). I criteri ultimi della fede vengono dalla veritÃ
rivelata e non da qualche prassi umana.
«Per
ciò stesso e per evitare schematismi dobbiamo tener presente
che il criterio di discernimento deriva da una fede vissuta e
condivisa in comunione ecclesiale».
Questa riflessione ci conduce a un altro asse
fondamentale
della teologia di Gutièrrez: alla sua dimensione ecclesiale.
10. Chiesa:
sacramento della storia
Con questo
bel titolo, già nella sua prima opera, Gutièrrez
traccia la sua prospettiva ecclesiologica centrale. È noto che
la Teologia della liberazione ebbe più problemi a causa della sua riflessione sulle strutture
interne della Chiesa che per le sue proposte sociali. Verso i tempi di Puebla,
si costituì un gioco d’opposizione tra la Chiesa popolare e la Chiesa istituzionale. Quella sarebbe la proposta
della Teologia della liberazione e questa la posizione ufficiale della Chiesa. II Documento di
Puebla fa eco a tale polemica, nel distinguere due concetti di Chiesa poÂpolare. II
primo si riferisce a una Chiesa inserita nei ceti popolari,
il secondo esprime una Chiesa distinta dalla Chiesa ufficiale o istituzionale. Sebbene non rifiuti il
priÂmo
concetto, giudica il termine «poco felice». II secondo,
evidentemente, implica una negazione inaccettabile della funzione della gerarchia.
Gutièrrez, senza dubbio, presenta delle critiche
alle strutture
della Chiesa, al suo stile di vita di tempi passati a causa
di «una certa sfasatura nel confronto con una storia che non cammina più sul suo passo». Solleva
coraggiosamente il problema della creazione di «una nuova
coscienza ecclesiale e una ridefinizione del compito della
chiesa in un mondo nel quale non solo e presente, ma del quale
forma parte. Vede la missione della Chiesa nel mondo non a
partire da essa, ma dalla volontà salvifica universale di Dio
operante nella storia, dellÂ’azione di Cristo e del suo Spirito
al di là delle frontiere della Chiesa, dall’unità della
storia, dai livelli di liberazione. È quest’ottica a
consentirgli di sviluppare la sua comprensione della Chiesa. Al principio,
si pone l’unità della salvezza e non la differenza della Chiesa. Bisogna, pertanto, evitare di ridurre
lÂ’opera della salvezza alla Chiesa. Qui sta il nerbo della questione.
Egli propugna un «decentramento della Chiesa»
come luogo
esclusivo della salvezza, per vederla in un servizio radicale
agli uomini. Si allontana naturalmente da un modello di Chiesa di cristianità , in cui «le realtÃ
terrestri mancano
di autonomia propria». E anche di Chiesa di nuova cristianità , in cui, persino riconoscendo
l'autonomia
della realtà temporale, si pensa di costruire una «cristianitÃ
profana», vale a dire una società ispirata ai principi cristiani. Anche un terzo modello in cui si faccia
la distinzione
di piani, di Chiesa e di mondo, entro l’unità del progetto
di Dio, secondo lui, entra in crisi. Egli si dirige a un nuovo
modello di «Chiesa impegnata nel processo di liberazione» con una pastorale profetica, che denunci
le forme di ingiustizia e annunci unÂ’evangelizzazione
coscientizzatrice, la solidarietà effettiva con i poveri. In un
altro luogo, egli dice che la «salvezza di Cristo, della quale
la Chiesa è un sacramento nella storia, costituisce il
fondamento ultimo della Chiesa dei poveri», chiamando questo
modello «Chiesa dei poveri».
Qui congiunge lÂ’idea di Chiesa sacramento con
quella di
impegno con
i poveri. Di
conseguenza, sulla scia del Concilio Vaticano II, egli considera
la Chiesa come sacramento. Riconosce, però, che lo stesso Concilio non riuscì a collocarsi
interamente
su questa linea. Distingue due concetti di sacramento. Un primo, fondamentale,
si rapporta ai termine greco mysterion, caro a Paolo e ad alcuni Padri dei primi secoli. Significa
1’amore di Dio Padre che ci donò il suo Figlio per convocare tutti gli uomini,
nello Spirito, alla comunione con Lui. Non li chiama come individui separati, ma in quanto
comunità , affinchè essi partecipino della comunione
trinitaria.
In un secondo senso, sacramento esprime la
relazione efficace
tra segno visibile e grazia. La visibilità del segno rende
presente la realtà invisibile della grazia di comunione con
Dio. Chiamare la Chiesa sacramento equivale a riferirla
fondamentalmente ai disegno salvifico di Dio, il cui compimento nella storia essa rivela e significa. II suo centro sta
fuori di essa. È il mistero salvifico di Dio, realizzato da Cristo e dallo Spirito.
È la più
legittima teologia del Concilio Vaticano II. Il suo
tocco d’originalità viene dalla conseguenza che Gutiérrez
trasse, quella di vedere la Chiesa come segno del progetto salvifico che è anche liberatore. Appare di
nuovo la
sua intuizione iniziale della relazione tra salvezza e
liberazione.
Ora non
si può pensare una Chiesa aliena dal processo storico
di liberazione, nonostante tutta lÂ’ambiguità delle realtÃ
umane. Donde la necessità di un continuo discernimento dei segni di vita e di morte nel cuore della storia umana.
Di più. Un segno deve essere chiaro e
comprensibile, altrimenti non è segno. Dunque, le strutture
della Chiesa, il
suo messaggio, la sua azione nel mondo devono manifestare e realizzare la liberazione. Essa deve «essere
il segno visibile della presenza del Signore nellÂ’aspirazione per la liberazione e nella lotta per una
società più umana e giusta».
Fin dallÂ’inizio, unÂ’altra sua preoccupazione
centrale fu quella
di trovare la fonte profonda della sua teologia e della
concezione della Chiesa in una esperienza spirituale di Dio. DÂ’altra parte, ogni teologia che diede
unÂ’impronta alla
storia si legò a un’esperienza profonda di Dio. Senza di
essa, la teologia non supera il comportamento di moda. Gutièrrez era convinto che la Teologia della liberazione non
fosse un fenomeno locale e passeggero, ma attingesse alle fonti stesse della rivelazione.
La sua attenzione alla tematica ecclesiologica si
mostrò
abbondantemente negli scritti sulle tre Conferenze dell'Episcopato
latino-americano di Medellin (1969), Puebla (1979) e Santo
Domingo (1992). A Medellìn non
fu solo presente, ma fu uno dei principali consultori.
Nelle altre due Conferenze, non fu invitato ufficialmente
a causa di tensioni interne della Chiesa, ma collaborò a
titolo personale. Inoltre, scrisse molti articoli su tali
Conferenze.
Di Medellìn, ritiene come punto fondamentale il
mettersi
della Chiesa, uscita da poco dal Concilio Vaticano II, a
confronto col mondo della povertà , che la obbliga a un
ripensamento fondamentale delle sue strutture, della sua
evangelizzazione, dellÂ’educazione, della vita religiosa, in una
linea liberatrice come Chiesa solidale.
Dedicandosi a esaminare Puebla, fa
risaltare due aspetti
fondamentali per la Chiesa: l'opzione
preferenziale
per i poveri e il potenziale evangelizzatore dei poveri. Ritorna
sempre la tonalità del discorso secondo cui la Chiesa evangelizza soltanto quando prima si lascia evangelizzare
dal povero, non unicamente dalle virtù di costui, bensì
dalla sua mera esistenza di povero.
Riflettendo su Santo Domingo, mette in rilievo che
la Conferenza si è mantenuta fedele all’opzione preferenziale
per i poveri. Permane, egli osserva, il rischio di limitarsi a pure parole e di non tradurle in linee pastorali, dando
anima ai grandi temi trattati: nuova evangelizzazione, promozione
umana ed evangelizzazione inculturata.
In tutta la sua teologia, Gutièrrez mostra
straordinaria sensibilità spirituale. Per questo, non si
comprenderebbe la struttura del suo pensiero senza
l’architrave della spiritualità . Evidentemente poteva essere
solo una spiritualità che si intendesse in questa prospettiva del povero, vissuta nel
rovescio della storia.
11. Una
spiritualità della liberazione
EÂ’
intuizione della prima ora. Pur in termini embrionaali, lÂ’espressione
era già presente nella sua prima opera. Non basta l’elaborazione teologica.
«E’
necessario un atteggiamento di vita, globale e sintetico, che informi la totalità e i particolari della nostra vita».
Che cos’è questo, se non una spiritualità ? Ma
nel senso profondo
del termine, quello di stare sotto il dominio dello Spirito. Qui
si completa il ciclo trinitario della sua teoÂlogia. È lo
Spirito che ci conduce alla verità completa (Gv 16, 3), alla piena libertà da tutto ciò che ci
impedisce di amare, di entrare in comunione con Dio e con gli
altri.
È importante
mettere in evidenza che nell’opera di Gutièrrez
la spiritualità ha una doppia relazione con la teologia. La
ispira. Si può parlare su Dio solo se prima si parla a Dio.
«Nella
prospettiva della teologia della liberazione si afferma che si
comincia col contemplare Dio e con l’accogliere la sua volontà ».
La spiritualità precede la teologia, come atto
primo del silenzio di Dio e della prassi. Oltre a questo, la
spiritualità prolunga
la teologia, conferendole maggior consistenza ed evangelicità .
La spiritualità è una forma concreta in cui
vivere il Vangelo
sotto la potenza dello Spirito in solidarietà con tutti gli
uomini, in un impegno nel processo di liberazioÂne. Essa getta
le sue radici nel suolo segnato dalļa situazione di
oppressione e di liberazione. Trova il suo centro nella «conversione
al
prossimo, allÂ’uomo oppresso, alla classe sociale sfruttata,
alla razza disprezzata, al paese dominato».Oltre alla conversione, un altro tratto di questa spiritualitÃ
è la gratuità , nel senso che la comunione col Signore e
con gli altri è un dono di Dio. Questo non è un appello alla passività , ma a un atteggiamento vigilante. Tale
gratuitÃ
si manifesta specialmente nella preghiera, come atto, per
cosi dire, «ozioso» e «sperperato», dove appare la verità che Dio è al di là dell’utile e dell’inutile.
Questi germi di spiritualità si trovano giÃ
allÂ’inizio. Tuttavia,
Gutiérrez li approfondisce in opere ulteriori in modo che i
contorni della spiritualità risultino più chiari.
II titolo della sua opera dedicata specificamente
alla spiritualitÃ
è già estremamente significativo: Bere al proprio
pozzo. Espressione
presa da san Bernardo, è applicata qui allÂ’itinerario spirituale del popolo latino-ameriÂcano.
È in questione unÂ’esperienza di fede, speranza e caÂrità di cristiani impegnati nel processo di liberazione come
autentico pozzo in cui ci si può abbeverare. Non si tratta
di una spiritualità come lusso personale, privilegio di
minoranze, di ispirazioni spiritualistiche, ma come un cammino
per coloro che si avventurano collettivamente a seguire
Cristo nel processo di liberazione. Si stacca da una
spiritualità individualistica, elitaria e «spiritualistica»,
per cercare invece una spiritualità comunitaria, popolare
e impegnata.
Il punto di partenza non poteva essere altro che
simile a
quello espresso dai Salmisti. Come cantare a Dio in terra straniera?
[cfr. Sal 137,4]. Così, di fatto, Gutiérrez descrive la situazione di tensione in cui vive il popolo
latinoamericano,
cioè come straniero e sfruttato nella propria terra. È una
situazione di croce e di purificazione della quale sono
partecipi coloro che s'impegnano nella causa dei
poveri.
L'America
Latina vive unÂ’ora propizia per generare e praticare una
nuova spiritualità . Anzitutto, momento di rottura e di nuove
ricerche. LÂ’esperienza spirituale si disarticola dolorosamente con una sensazione di una
certa dualitÃ
tra azione e contemplazione, insopportabile a lungo termine. L'eliminazione di uno dei poli non è
una soluzione.
Questa si trova nella sintesi tra la preghiera e lÂ’impegno.
La novità di questo momento non consiste nella
situazione
di oppressione, tanto antica, ma nella coscienza di percepirne
le cause, di cercare di liberarsi di esse e soprattutto di scoprire il ruolo della fede in Dio
liberatore in questo processo.
Oggi nell'America Latina si vive il contesto di
ingiustizia sociale come un «tempo di solidarietà », «tempo
di preghiera» e
«tempo di martirio». V’è un nesso tra questi tempi.
All'ingiustizia sociale si risponde con la solidarietÃ
e con l'impegno liberatore. All'interno di quest'impegno,
si scopre la preghiera. E da ambedue risulta
la persecuzione, il martirio. Da qui germina la nuova
spiritualità .
Le grandi spiritualità , osserva il teologo
peruviano, sono
legate ai grandi movimenti storici della loro epoca. Orbene,
ciò che caratterizza oggi l'America Latina è «il processo
storico di liberazione», inserito nel complesso del popolo
latino-americano. È all’interno di esso che si presenta
l'esperienza spirituale. Poiché «l'irruzione del
povero nella società e nella chiesa latinoamericana è, in ultima analisi, un'irruzione di Dio nella nostra vita».
È una
spiritualità collettiva, ecclesiale, contrassegnata dalla
religiosità del popolo fedele. Perciò, una spiritualità della
Chiesa dei poveri,
che nella sequela di Gesù vive la dialettica di morte e vita.
Per molti cristiani nel nostro Continente la
possibilità di
seguire Gesù si collega alla loro capacità di unirsi
strettamente a quest'esperienza spirituale del popolo. Cambiano di posizione. Prima immaginavano dÂ’essere portatori di
una spiritualità per il popolo e ora cercano di far propria l'esperienza di Dio che hanno i poveri. Si
verifica ciò che Puebla chiama «potenziale evangelizzatore» dei poveri.
Sviluppando il tema della spiritualità , Gutiérrez
lavora su
tre assi fondamentali. L'inizio della spiritualità è l'in-
contro col Signore Gesù. E la nostra «ora decima» di cui parla Giovanni (Gv 1,35-42), il pozzo in cui ci
abbeveriamo.
Di qui deriva il seguire Gesù e la testimonianza di vita.
«Il seguace di Gesù è un testimone della vita».
Con tre termini paolini - carne, Spirito e corpo -
egli sviluppa
il secondo asse della vita secondo lo Spirito. In sintesi, «la
vita secondo lo Spirito non è quindi vita secondo l'anima e contro o senza il corpo; ma la vita in armonia con
la vita, l'amore, la pace e la giustizia - i grandi valori del Regno di Dio - e contro
la morte».
Il terzo asse è la ricerca di Dio Padre,
comportamento conseguente di chi ha incontrato il Signore e cammina secondo lo Spirito.
E il cammino di un popolo e non di individui. L'esperienza dell'esodo fatta dal popolo di
Israele e la
proposta degli Atti degli Apostoli della vita cristiana come
via sono sorgenti ispiratrici per i percorsi di grandi mistici. Ogni spiritualità le traduce in vita a
suo modo.
Gutiérrez cerca di descrivere le caratteristiche
proprie della spiritualità della liberazione. Le raccoglie in
un capitolo
il cui titolo è «liberi per amare». Con questo, indica la tonalità generale:
«Si tratta
della libera determinazione di consegnare la propria vita in solidarietà con quelli che si trovano sotto il giogo del potere
della morte».
È una
libertà dal peccato, dall'egoismo, dall'ingiustizia,
dalla necessità e una libertà per l'amore, la comunione, per
dare vita.
Su questo scenario di fondo, egli descrive cinque
caratteristiche
della spiritualità della liberazione. Il punto di partenza
è la conversione che scaturisce dall'esigenza
di solidarietà con gli
oppressi e ad essa riconduce. Non come
un semplice momento, ma come processo permanente con varie
dimensioni: rottura con il peccato personale e le ingiustizie
sociali, opzione per la vita nella solidarietà ,
nuova coscienza della relazione materiale e spirituale, nella
pratica dell'amore verso il povero, fermezza e convinzioni profonde.
L'impegno per la liberazione dei poveri deve essere
realistico
ed efficace. È esigenza della carità stessa. Ciononostante, «questo
desiderio di efficacia - contrariamente a quanto alcuni
potrebbero pensare - conferisce un nuovo valore all'esperienza della gratuità ».
L'efficacia non è solo una forma per esprimere la
gratuitÃ
dell'amore agli altri, ma anche una percezione più profonda
dell'amore gratuito di Dio. Vale qui la bella frase di santa Teresina: «Tutto è grazia», che
affiora sulle labbra agonizzanti del Parroco di campagna del romanzo di
Georges Bernanos.
La spiritualità della liberazione articola il
binomio sofferenza
e letizia, dolore e festa, morte e vita. È la sua dimensione
pasquale. Gli spazi di speranza e letizia non si sperimentano nell'alienazione, ma nella chiara perspicuitÃ
della sofferenza che grava sui poveri del Continente. Esperienza frequente negli strati popolari. Non manca il
tratto del martirio, oggi molto presente in queste terre.
In mezzo a una situazione antievangelica di
ingiustizia si
scoprono l'umiltà , un impegno senza trionfalismo. Ciò nasce
dall'esperienza evangelica dell'«infanzia spirituale». Non consiste in una semplice povertà spirituale di
disinteresse ai beni materiali, ma in una apertura, una disponibilitÃ
di chi tutto spera dal Signore.
Infine, la solidarietà con i diseredati di questo
mondo produce per molti unÂ’esperienza di solitudine. Una notte
oscura.
Soffrono isolamento, diffidenza, ostilità perché si impegnano per i poveri. In questa solitudine,
scoprono allora
l'importanza della comunità ecclesiale. «L’esperienza
vitale della solitudine ha fame di comunione».
12.
Maria della liberazione
Nonostante
la presenza dei temi mariani sia discreta negli scritti di Gutiérrez,
v’è un capitolo nel libro Il Dio della
vita che
colloca assai bene Maria
nella prospettiva della liberazione.
Un teologo che nella sua riflessione si preoccupa
di partire
dal popolo povero e fedele non può disconoscere il tratto rilevante della devozione popolare
a Maria. Fedele al suo metodo, apprende dal popolo come si possa
essere discepoli di Cristo solo ascoltando ciò che Maria ci
dice su Dio.
Maria
parla di Dio nella sua condizione di donna. È tanto più
importante questo fatto in quanto viviamo in un Continente in
cui la donna è doppiamente oppressa ed emarginata. Luca si
preoccupa di riferirsi a Maria come a una donna povera, nel suo
presentare l'oblazione dei poveri.
Maria è pure
la «discepola fedele», che crede. La maternità di Maria in
Luca è legata alla sua fede. Non crede d’un colpo solo.
Percorre un cammino nell'affidarsi al Signore, indicando in
questo modo una via per i discepoli di suo Figlio.
Infine, Maria
è figlia di un popolo e non è un personaggio isolato. Ella lo
esprime in modo mirabile nel Magnificat, cantando la grandezza
di Dio che opera con forza nella liberazione del popolo. È Dio
che guarda alla piccolezza della sua serva, come a quella del
suo popolo e fa grandi meraviglie a suo beneficio. È un atto di
contemplazione del potere liberatore di Dio, che comporta
letizia per quelli che traggono beneficio dalla sua azione. La
gioia di Maria è la letizia di tutto il popolo. Maria esulta
della predilezione di Dio per gli umili. Qui appare chiaramente
che le vie di Dio non sono le vie degli uomini del potere.
13.
Bartolomeo de Las Casas
Vi sono
persone che diventano simboli per molte ragioni
e accompagnano la riflessione teorica dei loro ammiratori. Lasciando da parte l'influenza europea, che
certamente si fece sentire in chi studiò a Lovanio e a Lione,
con un rapido passaggio a Roma, c'è la figura del missionario
domenicano Las Casas, che segnò profondamente la sua persona e
i suoi scritti. Si sentì debitore a questo personaggio
gigantesco di difensore degli Indios. E gli dedicò un ampio e
profondo studio, opera monumentale di più di 600 pagine.
In
quest'opera, l'autore lavora sul pensiero che scaturisce nel
corso della vita agitata e combattiva di Las Casas per la difesa
della persona umana, concretamente degli Indios dell'America,
contestualizzandolo nella cronologia degli avvenimenti.
Il libro ci
consente di accompagnare l'itinerario di una persona che crebbe
facendo parte di un sistema che opprimeva i popoli conquistati,
per divenire un creatore di un sistema per liberarlo. Tale
conversione fu dovuta a compassione umana, che subì l'impulso
della sua esperienza dei popoli indigeni.
Questo libro,
a prima vista, può sembrare un’opera a margine della teologia
di Gutiérrez. Uno dei recensori scrisse apoditticamente:
«Questo non
è un libro sulla Teologia della liberazione. È su Bartolomeo
de Las Casas. A favore di uno che fu profondamente toccato
dall'uomo».
Un altro
recensore, a sua volta, forse più perspicace, vide nel libro «una
comparazione di quanto avvenne nel secolo XVI con ciò che
accade nel secolo XX [...] tutto il libro, ricordando il
passato, ci invita a riflettere sul presente, per non ripetere
gli errori disastrosi dei tempi precedenti».
In questo
senso, è un'opera tipica della Teologia della liberazione e si
inserisce perfettamente nella struttura teologica di Gutiérrez.
Il punto di partenza del pensiero di Las Casas è il duplice
grido etico e cristiano, di chi fa questa scoperta associandosi
al popolo indigeno o, come scrive lo stesso Gutiérrez, è la
convinzione che nell'Indio, in quanto povero
e oppresso, è presente Cristo schiaffeggiato e flagellato.
La Teologia
della liberazione parte essa pure dal grido profetico, in cui si
mescolano compassione e protesta, che muove dal mondo degli
oppressi, illuminato dalla fede nel Dio biblico e nella prassi
di Gesù. Come nell'opera di Las Casas «si verifica una
continua interazione tra riflessione e impegno storico, tra
teoria e pratica», così pure avviene nell'opera del nostro
teologo. In entrambi si tratta di un pensiero «non solo
riferito alla pratica, ma elaborato da qualcuno in essa inserito».
Un'altra idea
che attraversa la pratica di Las Casas ed è centrale nella
teologia di Gutiérrez è che senza libertà e liberazione non
si da possibilità di evangelizzazione. Da un lato, gli Indios
non possono essere evangelizzati perché sono sottomessi a un
sistema di oppressione, di schiavitù, di encomienda, di
svalutazione di se stessi, della loro cultura, della loro
storia. Dall'altro, gli Spagnoli si trovano in una situazione di
condanna, in modo che se non restituiranno agli Indios terra,
sovranità , religione, dignità , cultura, non potranno essere
salvi. È, in modo diverso a causa dei cambiamenti culturali,
una parabola della situazione d'oppressione del nostro
Continente. La lettura di questo libro permette di riconoscere
man mano nel pensiero di Las Casas molte delle intuizioni del
pensiero del teologo peruviano.
Gutiérrez
riassume bene queste intuizioni.
«Il nucleo
di cristallizzazione della prospettiva missionaria e teologica
del nostro frate sta nel vedere nell'Indio, in questo altro
mondo occidentale, il povero di cui ci parla il Vangelo; e, per
conseguenza, nell'essere cosciente che in ogni gesto verso di
lui si incontra Cristo. Questa intuizione evangelica e mistica
è la radice della sua spiritualità . Delinea la sua
intelligenza della fede con contorni originali che le
conferiscono una fisionomia propria in mezzo ad altre
riflessioni teologiche dell'epoca. Diritto a vita e a libertà ,
diritto a essere diverso, prospettiva del povero sono nozioni
che Bartolomeo lega strettamente alla sua fede in Dio».
E,
accentuando la prospettiva d'oggi, Gutiérrez conclude il
paragrafo: «Esse sono pienamente in vigore oggi
nell'America Latina».
CONCLUSIONE
Gutiérrez
svolge, con maestria e coerenza, un programma teologico
annunciato fin dall'inizio. L'intuizione centrale, che guida
tutti i suoi scritti, è parlare di Dio a partire dalla
sofferenza dei poveri. È a partire dal tópos degli oppressi
che nel nostro Continente sono moltitudine e hanno fede, nella
duplice realtà di dominati, ma pure di soggetto storico di
liberazione nella società e nella Chiesa, pensa i grandi temi
della teologia.
Il tema
centrale è la salvezza vista nella prospettiva della
liberazione, superando così un concetto ecclesiocentrico,
individualistico, spiritualistico. E il termine libera-zione ha
il vantaggio di integrare le tre dimensioni, socio-politica,
storico-antropologica e teologica.
Due preoccupazioni accompagnano sempre il suo
pensiero in una tensione feconda e intrigante. Da un lato, la
gratuità «scandalosa» di Dio nel preferire gli ultimi della storia, i piccoli, i disprezzati e, dall'altro, la
necessità di una teologia e di una pratica ecclesiale e
politica che si impegnino
in modo serio ed efficace con questi poveri in vista della loro liberazione.
In un contesto assai differente da quello europeo,
elabora
il binomio che fu motivo di tanta polemica in decenni anteriori
nella teologia europea: grazia e natura. Grazia è il dono di Dio che muove le persone a solidarietà con i
poveri.
Natura è il processo liberatore con le esigenze di azioni
storiche, di liberazioni socio-politiche.
Come ogni teologia bipolare, i cui elementi
rimangono in
continua tensione, nessun testo può essere inteso fuori di questa prospettiva. Nei momenti più contemplativi, non si possono
trascurare l'azione, la lotta, l'impegno.
Nei
momenti più attivi, non si possono disconoscere la grazia,
la gratuità , la libertà infinita di Dio.
Quando si legga tutta la teologia di Gutiérrez in
questa dialettica,
non c’è nessuna ragione per obiettargli il minimo sospetto di riduzionismo, orizzontalismo, o
altre accuse.
Essa si colloca nella più legittima tradizione cristiana che
risale alla prassi stessa di Gesù. Nessuno visse del Padre come Lui. Nessuno come Lui affermò la
necessità dell’opera.
«Non
chiunque mi dice: ‘Signore, Signore’ entrerà nel Regno dei
Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli»
(Mt 7, 21).
Proprio chi dice «Non ne ho voglia», ma poi fa,
è colui che compie la volontà del padre e non quello che dice
«Sì, signore»,
ma non va (Mt 21, 29-30).
In tutto questo arco di trent'anni di produzione
teologica,
impressiona profondamente il lettore la continua presenza dei
poveri. SÂ’abbattono sul mondo in questo tempo molte crisi, molti problemi di varia natura. Di
fronte a tutti questi elementi, la prima domanda di Gutiérrez è: «E i poveri?».
Lui stesso visse momenti difficili all'interno della Chiesa. Tutto ciò scompare dinanzi alla triste
constatazione: «La povertà sussiste, e si approfondisce, abbreviando vite e speranze».
Il destino di questa teologia è visceralmente
coinvolto nel
destino dei poveri. Ogni volta che ci si chiede se la
Teologia della liberazione sia giunta alla fine, sia passata di
moda, la risposta nella prospettiva del pensiero di Gutiérrez
sarebbe una sola:
«Se nel
mondo non vi fosse più il povero in senso materiale, se la
giustizia sociale fosse la moneta corrente, esso potrebbe
cantare come il vecchio Simeone: ‘Ora lascia, o Signore, che
il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi han
visto la tua salvezza’ (Lc 2,29-30)».
Unita a questa ossessione evangelica per i poveri,
v'è una
passione per la vita, tanto intimamente legata ai poveri.
Da un lato, perché è a loro negata. Dall'altro, perché ogni impegno liberatore mira a un Regno di vita.
|