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Joao Libanio: Parlare di Dio dal rovescio della storia, il cammino di p. Gustavo Gutierrez

PARLARE DI DIO

DAL ROVESCIO DELLA STORIA: DALLA PAROLA ALLA PRASSI

di JOÃO B. LIBÂNIO

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Si può leggere un testo di Gustavo Gutierrez:

Amo la chiesa che ama i poveri

 

IL CAMMINO DI GUSTAVO GUTIERREZ

 

0. INTRODUZIONE

Vi sono teologi che segnano la storia per l'abbondanza e il peso di un'opera voluminosa. Ve ne sono altri che lo fanno, non tanto per il coraggio, ma per la forza ispiratrice e per l'originalità intuitiva. Dopo di essi ne verranno molti altri che amplieranno questa sorgente in flussi più consistenti. Cosi si presenta il teologo peruviano Gustavo Gutierrez.

 

Non è uomo di molti libri, sebbene abbia scritto un complesso d'opere considerevole. Tuttavia, il suo maggior valore consistette nell'aver aperto, dall'altro latodell'Oceano, una radura nuova nella teologia che fino allora era stata quasi esclusivamente sotto l'egemonia dell'Europa.

 

1. Radici e origine della Teologia della liberazione

E’ incontestato che Gustavo Gutierrez è l’autore il quale non solo forgiò il termine «Teologia della liberazione», ma ne espresse anche le prime intuizioni, che fino ad oggi sono elaborate da una pleiade di teologi.

 

Andare alle radici del suo pensiero significa risalire fino ai movimenti teologici che agitavano il mondo di lingua francese negli anni Cinquanta, con le idee di Pierre Teilhard de Chardin, di Emmanuel Mounier, di Henri de Lubac e altri. Inoltre, significa tracciare il quadro socio-politico e pastorale della Chiesa latino-americana negli anni Sessanta, con la vigorosa mobilitazione della UNEC (Union Nacional de Estudiantes Catolicos) del Perù e della JUC (Juventude Universitaria Catolica) del Brasile, che godevano allora dei loro momenti d’oro nella vita di fede integrata in una intensa partecipazione politica.

 

E difficile datare un’intuizione. Nondimeno, la conferenza di Gustavo Gutièrrez Verso una Teologia della liberazione nel secondo incontro di sacerdoti a Chimbote, in Perù, nel luglio del 1968, a un mese dall’inizio della Conferenza generale dell'Episcopato latino-americano a Medellìn, può esser considerata la nascita di ciò che più tardi si sancirà come Teologia della liberazione. Là egli diceva:

 

«II processo di liberazione è un segno dei tempi [...]. Tema nuovo di riflessione, perché nuovo pure come nozione globale dei problemi che abbraccia [...]. Una teologia della liberazione dovrà rispondere, in primo luogo, a questo interrogativo: V’è qualche relazione tra costruire il mondo e salvarlo? Si tratta di un processo di liberazione umana, di emancipazione dell'uomo nella prospettiva della fede [...]. Che relazione sussiste tra Regno di Dio ed emancipazione umana?».

 

2. Programma metodologico

II libro programmatico, più strutturato e che divenne punto di riferimento necessario per il futuro, e pubblicato nel 1971 col titolo Teologia della Liberazione. In esso Gutièrrez sviluppa gli elementi fondamentali della sua metodologia. Anzitutto, nonostante sia pensata e prodotta nell'America Latiņa, non pretende di essere una teologia latino-americana nel suo contenuto. Non vuol essere un pensare teologicamente problemi che concernono noi e pertanto sono circoscritti alla nostra regione.

 

La sua pretesa, come quella di ogni teologia, è di essere universale e particolare. Universale, in quanto considera la totalità della fede, vissuta in qualsiasi parte del mondo. Particolare, perché una data situazione, geografica e storica, consente che sia meglio percepito un determinato contenuto della fede cristiana, come tale.

 

Costituirebbe una cattiva interpretazione di tutto il progetto teologico di G. Gutièrrez intenderlo come una teologia latino-americana in opposizione alla teologia europea. Se vi fu una tensione iniziale, dev’essere intesa nel senso di mostrare che la teologia prodotta dai teologi europei partecipa della medesima condizione propria di ogni teologia. Gode della universalità della fede, ma soffre dei limiti dovuti alle circostanze in cui è elaborata. La diversità di luoghi serve ad arricchire il complesso edificio teologico.

 

Gutiérrez formula con chiarezza il suo progetto come un modo nuovo di far teologia e non come un tema in più. Così si apre un nuovo ambito epistemologico nella teologia. Questa proposta teologica di Gutièrrez si fonda sopra un tripode:

  • l'intenzione di valorizzare la teologia come riflessione critica sulla prassi;
  • il ruolo della collettività dei poveri e fedeli come soggetto e destinatario originario nella storia, nella Chiesa e nella teologia;
  • e l'articolazione tra liberazione storica e la salvezza divina.

La Teologia della liberazione è, anzitutto, teologia. Teologia significa parlare di Dio. In modo originale, Gutièrrez affrontò questo problema a partire, per così dire, dalļa parabola biblica di Giobbe. Al centro del libro sta il complesso degli interrogativi di Giobbe, non puramente di fronte alla sua sofferenza personale, ma dinanzi al parlare di Dio da parte dei suoi amici che pretendono di offrire conforto e spiegazione o di argomentare per giustificare e protestare. Egli si propone di parlare di Dio movendo da una situazione di sofferenza.

 

In fondo, qui appare l'ispirazione basilare della Teologia della liberazione: ribellione contro le immagini di Dio di tante teologie. E un’altra modalità di formulare il programma della «liberazione della teologia»: liberandosi di concetti teologici gravati da elementi ideologici alienanti.

 

In questÂ’opera si mostrano, per così dire, le due dimensioni più importanti del discorso teologico della liberazione come luogo di produzione dÂ’essa. A partire dalļa sofferenza del popolo povero, si parla di Dio con il «linguaggio profetico» e con il «linguaggio della contemplazione». Per quanto molti non l'abbiano percepito, la Teologia della liberazione cerca sempre di armonizzarsi con l'esperienza spirituale, col discorso della contemplazione, e con la parola critico-sociale, profetica.

 

II linguaggio profetico manifesta l'apertura verso gli oppressi nella linea della solidarietà e dell’impegno. II linguaggio della contemplazione significa esporsi al mistero, alla gratuità, all’amore di Dio. È ciò che la spiritualità ignaziana chiama in actione contemplativus. Non per nulla Gutièrrez manifesta una sintonia speciale con l'esperienza ignaziana.

 

Sinteticamente, un recensore del libro di Gutièrrez “Bere al proprio pozzo” osserva che il merito dell’opera «non sta solo nell'aver indicato i due linguaggi, dell'azione e della contemplazione, dell’impegno e della gratuità, del dono e del compito (temi oggetto di controversia per gli avversari della Teologia della liberazione), ma nell'aver mostrato l'interrelazione e l'integrazione tra i due linguaggi».

 

3. Teologia come riflessione critica sulla prassi

La teologia fin dalle sue origini visse congiunta con l'esperienza spirituale, come sapienza. Persino dopo che si impose la razionalità, essa continuò ad essere vincolata a questa tradizione nel mondo monastico e in quello dei mistici. II Concilio Vaticano II la rivalorizzò. La Teologia della liberazione continua questa linea sapienziale sotto due aspetti. Trae la sua ispirazione dallÂ’esperienza di Dio nei poveri, come si vedrà più avanti. Inoltre, valorizza la religiosità popolare come fonte teologica. Persino col rischio d'essere tacciato di «populista» da settori della stessa teologia latino-americana più critici, Gutièrrez si preoccupa di ricorrere all'esperienza religiosa popolare. Nei suoi testi abbondano esempi colti dalļa sua esperienza col popolo, dove rifulge una sapienza religiosa ispiratrice per il teologo.

 

Ogni teologia è sapere razionale, secondo una lunga tradizione che risale ai suoi inizi. Fides quaerens intellectum. È la fede a cercare l'intelligenza di sè ricorrendo agli strumenti della razionalità. La Scolastica portò tale funzione della teologia ai suoi livelli più alti. Anche la teologia europea moderna la sviluppò, pur in un altro modo di considerare la razionalità. La Teologia della liberazione si fonda su questa base occidentale. Ricorre alla razionalità nella sua sistemazione, nell'elaborazione di strumenti di lettura della realtà con l'ausilio delle scienze sociali e umane, nell'elaborazione delle sue intuizioni.

 

Nondimeno, la teologia di Gutièrrez mostra la sua originalità nell'avviarsi per gli itinerari della prassi, assumendo i lineamenti assai attuali della centralità della carità nella vita cristiana, di una spiritualità nell'azione, del carattere storico della rivelazione, della vita della Chiesa come luogo teologico, della valorizzazione filosofica ed escatologica della prassi umana storica.

 

Questo programma teologico di riflessione critica apre due percorsi:

 

1) Uno nel quale la teologia assume il compito d'essere critica della prassi umana e storica in quattro sensi.

  • Nel primo senso, la prassi diviene oggetto della riflessione teologica. Questa coglie dalla pratica storica dei cristiani e anche dei non cristiani elementi per la sua elaborazione teologica. È una teologia della prassi.

  • Inoltre, essa guarda alla propria prassi ai fine di illuminarla. Si pone come obiettivo d'offrire aiuto alle persone impegnate a vivere lealmente la loro fede. Risponde, in modo diverso, a un interrogativo che Karl Rahner rivolgeva frequentemente: «Come può onestamente credere una persona moderna?». La fede cristiana appariva formulata in modo tale che chi si fosse inserito nella modernità culturale avrebbe dovuto abdicare alla sua fede. Qualcosa di simile accadeva nella pratica politica liberatrice. La fede era presentata in modo tale che chi fosse stato impegnato nella pratica politica liberatrice, avrebbe dovuto rinunciare alla stessa per continuare nella sua lotta di liberazione. La teologia di Gutierrez è uno sforzo di rispondere a tale domanda. È una teologia per la prassi.

  • E chi elabora questa teologia si coinvolge nella prassi. La sua teologia differisce molto da quella svolta a tavolino, nelle istituzioni accademiche, come frutto di lezioni e conferenze dirette a teologi. Gutierrez è una persona che si è immersa nella realtà dei poveri, che ha vissuto come loro l'oppressione e i movimenti liberatori. Perciò può pensare una teologia nella prassi.

  • Ogni teologia deve essere verificata, come ogni verità. La teologia accademica si lascia criticare mediante i criteri propri della scienza teologica. La Teologia della liberazione, nella sua pretesa teologica, non può sfuggire a tale giudizio. Ancor più, vuole accettare un altro criterio critico. Accetta d'essere criticata da quegli stessi ai quali e destinata, vale a dire da quelle persone che sono coinvolte nel processo di liberazione. È  per questo, una teologia dalla prassi.

Questo aspetto della teologia della liberazione è stato il più coltivato, tanto dallo stesso Gutièrrez, quanto dagli altri teologi di questo orientamento. Esso è conosciuto soprattutto per la sua relazione teorica e pratica con la prassi. Così Gutièrrez riassume tale programma:

«La teologia, come riflessione critica sulla prassi storica, è così una teologia liberatrice, teologia della trasformazione liberatrice della storia dell'umanità e, da ultimo, anche della porzione d'essa - riunita in 'ecclesia' - che confessa apertamente la fede in Cristo; una teologia che non si limita a pensare il mondo, ma che cerca di porsi come un momento del processo attraverso il quale il mondo è trasformato: aprendosi, cioè, al dono del regno di Dio, nella protesta di fronte alla dignità umana calpestata, nella lotta contro lo sfruttamento dell’immensa maggioranza degli uomini, nell'amore che libera, nella costruzione della nuova società, giusta e fraterna».

2) Un secondo programma fu pure formulato da Gutièrrez nel senso di liberare la teologia da pastoie concettuali. «La teologia dev’essere un pensiero critico di se stesso, dei suoi stessi fondamenti», scrive il teologo peruviano. Deve essere, perciò, una teologia cosciente di sè, non ingenua, in pieno possesso dei suoi strumenti concettuali, osserva lo stesso autore. Questo programma fu svolto in minor misura dal nostro autore. Divenne fondamentale per Juan Luis Segundo, che gli diede forma nella sua opera pure programmatica.

In certi momenti, alcuni critici assuefatti alla forma europea di teologia, più sistematica e dogmatica, giudicarono di poter ridurre questo programma teologico al ruolo della Dottrina sociale della Chiesa per l'America Latina o, al massimo, a una teologia fondamentale o a una morale sociale. Ma si vedeva con difficoltà che fosse teologia in senso puro e semplice.

La teologia di Gutièrrez tocca temi molto vicini alla Dottrina sociale della Chiesa. Di conseguenza, dedica un'ampia riflessione ai lavoro e ad altri temi sociali, prendendo come base l'enciclica di Giovanni Paolo II Laborem exercens e quella di Leone XIII Rerum novarum.

In verità, v’è stato da entrambe le parti, tanto della Teologia della liberazione quanto della Dottrina sociale, un avvicinamento nell'aspetto tematico e metodologico. Di fatto, come osserva Gutièrrez, l'enciclica Laborem exercens ha uno «stile di riflessione teologica». Nondimeno, la teologia della liberazione mantiene la sua identità teologica e si differenzia dalla Dottrina sociale quanto a struttura del sapere, quanto al soggetto che la produce, quanto alla sua esperienza fondante. E una prova è questo stesso testo che fa teologia basandosi sull'Enciclica, la quale, a sua volta, contiene molti elementi teologici.

È noto che alcuni teologi preferiscono avvicinare maggiormente la Teologia della liberazione alla Dottrina sociale della Chiesa, richiamando l'attenzione sulle convergenze epistemologiche: lo stesso campo della teologia, la relazione tra la realtà storico-sociale e la fede, il ricorso alla luce della rivelazione, alla filosofia, alle scienze umane e sociali, la dimensione storica, teorica e pratica, la finalità pure pratica e sociale.

 

 4.  I poveri soggetto storico

Chi sono i poveri? La risposta a questa domanda non può prescindere dall’esperienza personale dell’autore. Lavorando con universitari, Gutierrez vive a El Rimac, quartiere di classe lavoratrice, dove può immergersi nella vita del suo popolo povero. La durezza di questa esperienza non permette che egli si discosti da una visione realistica.

 

Di conseguenza, i poveri nella prospettiva della teologia di Gutièrrez sono percepiti nella loro condizione materiale di povertà, come collettività e come persone di fede. Idea che appare dall'inizio dei suoi scritti fino ai più recenti.

 

«In primo luogo, - egli scrive - il termine ‘povertà’ designa la povertà  materiale, cioè, la carenza di beni economici necessari per una vita umana degna di questo nome».

 

Pertanto, qualcosa di degradante, che la coscienza moderna può rifiutare. È un vivere a livello subumano. Stato scandaloso, che attenta alla dignità umana ed è contrario alla volontà di Dio e che deve essere combattuto.

 

Gutièrrez si compiace di ripetere una frase di Berdjaev:

 

«Se ho fame, questo è un problema materiale; se un altro ha fame, questo è un problema spirituale». La libertà per il povero è un problema materiale e per noi spirituale. La spiritualizzazione non si attua, pertanto, in rapporto alla povertà del povero, che si manifesta concretamente nella fame, nell'umiliazione, nella segregazione umana e culturale, ma in relazione ai non poveri. Questi sono invitati ad avere un atteggiamento di umiltà davanti a Dio. E, a partire da questa esperienza di Dio e in contatto con i poveri in senso materiale, sono chiamati a un impegno per la causa di costoro.

Perciò, il termine «povertà» ha tre significati, che trovano nella Scrittura il loro fondamento. Povertà materiale dei poveri, - stato scandaloso - povertà spirituale come atteggiamento di umiltà davanti a Dio - infanzia spirituale - e povertà in quanto impegno per la liberazione dei poveri – solidarietà e protesta. Non sono realtà parallele. Per vivere la terza forma di povertà, che s’è consacrata nel linguaggio della Chiesa latino-americana con l'espressione «opzione preferenziale per i poveri», è necessario coltivare l'«infanzia spirituale».

 

I poveri sono moltitudine nel nostro Continente. Si tratta, dunque, di un popolo povero, sfruttato. Diversamente dai poveri dei Paesi ricchi, qui sono la maggioranza schiacciante.

 

Non sono nemmeno come i poveri di altri continenti, che, ancorchè siano moltitudine, non appartengono alla tradizione di fede cristiana, cattolica. È un popolo che crede, sia per mezzo di espressioni religiose, sia nell'insieme della sua vita. Alcune di queste espressioni furono fattore d'alienazione, tuttavia il popolo scopre, sempre di più, la potenzialità liberatrice della sua fede, come dimostrano i suoi comportamenti pratici. Si crea una sintonia con l'esperienza del popolo della Bibbia.

 

La condizione cristiana dei poveri impegna più gravemente il teologo. Essi hanno diritto a un'evangelizzazione corretta e non a una fede deformata. Inoltre, essi manifestano più chiaramente lo scandalo di questa situazione di oppressione, poiché si verifica in un continente cristiano. II documento di Puebla fu sensibile a questo aspetto:

 

«L'uomo latino-americano sopravvive in una situazione sociale che contraddice la sua condizione di abitante di un continente in maggioranza cristiano; sono evidenti le contraddizioni esistenti tra strutture sociali ingiuste e le esigenze del Vangelo».

 

I poveri sono una forza storica, che si manifesta in segni di lotta e di speranza, sfidando il pessimismo. Con questa lettura, Gutièrrez coniuga le dimensioni di analisi, di utopia e di teologia. Di analisi, perchè percepisce una differenza di coscienza nei poveri. Non si può dimenticare che l'America Latiņa negli anni Cinquanta e Sessanta visse tanto un processo di 'coscientizzazione' popolare sulla base della pedagogia di Paulo Freire quanto la presenza di molti movimenti popolari di liberazione. Di utopia, perché assume la profonda aspirazione alla liberazione nella sua qualità sovversiva e mobilitatrice della storia, denunciando l'ordine esistente e annunciando un ordine di cose differente, di nuova società. Di teologia, perché riconosce in tutto questo processo un segno dei tempi, cioè una presenza operante di Dio nella storia umana.

 

Questi poveri ricevono molti nomi negli scritti di Gutierrez. Sono «i popoli dominati», «le classi sociali sfruttate», «gli assenti dalla storia», «quelli che stanno in basso», «i condannati della terra», «le razze disprezzate», «le culture emarginate», «le donne doppiamente discriminate», «i poveri cristi flagellati delle Indie», ma che stanno facendosi presenti nella storia, nella società, nella Chiesa, provocando timore e ostilità tra gli oppressori e speranze tra i diseredati. II popolo povero vive in una situazione di conflittualità.

 

Senza entrare in uno studio più particolareggiato dell'evoluzione semantica del termine «povero» in Gutierrez, v’è in lui e nel complesso della Teologia della liberazione un'accentuazione crescente degli aspetti etnici, culturali e di genere nella sua qualificazione.

 

Sempre più egli vede la povertà vicina alla morte.

 

«Oggi avvertiamo sempre più chiaramente la posta in gioco di questa situazione: povertà significa morte. Morte provocata dalla fame, dalla malattia o da metodi repressivi che usano coloro che vedono vacillare i loro privilegi davanti a ogni sforzo di liberazione degli oppressi».

 

«Morte anzitempo», morte fisica, «morte culturale perché in una situazione di oppressione viene distrutto tutto ciò che da unità e forza ai diseredati di questo mondo». Distruzione, quindi, delle persone, dei popoli, delle culture, delle tradizioni. È in gioco, pertanto, la difesa della vita in tutte le sue dimensioni.

 

Egli non fa una teologia sulla povertà. Diversamente, quindi, da certa letteratura teologica della vita religiosa. La povertà per lui ha un nome. Sono i poveri concreti.

 

«Essere povero è anche una maniera di sentire, conoscere, ragionare, farsi degli amici, amare, credere, soffrire, far festa, pregare».

 

Essi costituiscono un mondo.

 

In un articolo più recente, alla fine degli anni Novanta, Gutièrrez riprende lo stesso tema. Riconosce i cambiamenti, la novità della situazione attuale, le sfide del presente. L'interrogativo è angustiante:

 

«nel mondo della rivoluzione tecnologica e dell’informatica, della ‘globalizzazione’ dell’economia, del neoliberalismo e della supposta post-modernità, v'e posto per quelli che oggi sono poveri ed emarginati e che cercano di liberarsi da una condizione inumana che opprime la loro qualità di persone e figli di Dio?».

 

Citando H. Iglesias, presidente della Banca Interamericana di Sviluppo (Banco Interamericano de Desarrollo, BID), il quale affermava che il prossimo secolo sarà «affascinante e crudele», Gutièrrez concludeva che sarà crudele per i poveri. Continuano ad essere gli «insignificanti» della storia. Cresce la distanza tra le nazioni ricche e quelle povere e all'interno d'ogni paese tra gli strati ricchi e quelli poveri. La migrazione si aggrava, emerge il razzismo.

 

Trent'anni dopo l'inizio della Teologia della liberazione i poveri continuano ad essere la sfida maggiore per la teologia. Si possono criticare alcuni dei suoi sviluppi ulteriori, l'analisi sociale utilizzata per capire la realtà della povertà e le sue cause, ma il fatto permane ancora più grave nell'ambito mondiale ed entro i Paesi, perfino nelle stesse nazioni ricche.

 

«E’ aumentata, tanto in termini relativi quanto assoluti, la popolazione che si trova in situazione di povertà e di povertà estrema. Il risultato è penoso: si mantiene e perfino si approfondisce la povertà».

 

II primo e l'ultimo Gutièrrez si incontrano nell'angoscia di fronte ai medesimo fatto, allo stesso interrogativo iniziale. In modo incisivo, si può affermare che il povero è il grande criterio ermeneutico di questa teologia. La Teologia della liberazione esiste a causa del povero: qui trova la sua origine e il suo destino, che consiste nella liberazione. Qui arriviamo ai terzo elemento del tripode metodologico.

 

5. Le dimensioni della liberazione

II termine «liberazione» fece storia. Fin dall'inizio, Gutiérrez ebbe cura di distinguere i livelli in cui il termine fu impiegato. La scelta del termine fu cosciente e fondata teoricamente. Nell’orizzonte europeo, avevano libero corso due teologie progressiste. Da un lato, la teologia delle realtà terrestri, che si integrava molto bene nel clima creato dal Concilio Vaticano II di valorizzazione dell'immanenza nel dialogo col mondo moderno. Dall'altro lato, lo «sviluppismo» si impone come ideologia costruita sulla scia dei miracoli economici dei Paesi dominanti, dalla quale si elabora una teologia dello sviluppo.

 

Gutiérrez si preoccupa di distanziarsi da questa corrente. Di conseguenza, nel 1969 fu invitato a partecipare a un incontro internazionale di teologia a Cartignv, in Svizzera, per esporre la teologia dello sviluppo, in quel momento in auge. Chiesero a Gutiérrez di tenere una relazione sopra «II significato dello sviluppo». Non accettò il tema e lo intitolo invece: «Note per una teologia della liberazione». Questo cambiamento di titolo non fu affatto un capriccio, ma indicava già la svolta che si annunciava.

 

In verità esso riflette le critiche che si venivano facendo in America Latiņa all'ideologia «sviluppista» nel senso che «i paesi poveri presero coscienza sempre più chiara del fatto che il loro sottosviluppo non è altro che un sottoprodotto dello sviluppo di altri paesi, dovuto ai tipo di relazione che mantiene attualmente con essi. Quindi, che il proprio sviluppo non si compirà se non lottando per spezzare la dominazione esercitata su di essi dai paesi ricchi». II primo livello dei concetto di liberazione si colloca di fronte alla «dipendenza economica, sociale, politica e culturale di alcuni popoli in rapporto ad altri» - espressione della dominazione di alcune classi sociali su altre.

 

Gutiérrez propone la sua riflessione, ampliando il concetto di liberazione in rapporto a tutto ciò che limita o «impedisce all’uomo la realizzazione di se stesso ed ostacola l'esercizio della propria libertà». Tutta la storia può essere vista come un processo umano di oppressione e di liberazione. L'essere umano crea i propri mondi per realizzarsi. Questi finiscono col catturarlo nelle loro maglie dominatrici. Ed esso deve rompere tali catene per creare nuove realizzazioni della sua umanità. Cosi si può leggere tutta la storia dell’umanità in questa prospettiva. È il secondo livello.

 

La liberazione è pure una categoria teologica. Si entra qui nel cuore della Teologia della liberazione. Qui sta uno degli aspetti della sua originalità, ma pure uno dei punti di più dure critiche. Non si cadrebbe in un grossolano riduzionismo nell'usare una categoria politica e, al massimo, antropologica per esprimere il cuore stesso della Rivelazione? Non sarebbe questo un confondere i processi storici con la salvezza realizzata da Dio? La risposta è data da due considerazioni teologiche: la relazione tra liberazione e salvezza, da un lato, e, dall'altro, l'unità della storia.

 

6. Liberazione e salvezza

Anche questa è una considerazione teologica di Gutiérrez fin dai suoi primi scritti. È una delle affermazioni centrali dei suo pensiero al punto da poter strutturare tutta la sua teologia. Vale qui la duplice affermazione. La salvezza è una liberazione che inizia nella storia e va al di là di essa. La liberazione è una salvezza che termina nell’escatologia finale, ma comincia nelle strutture umane.

 

Si può pensare la salvezza solo all’interno delle condizioni concrete storiche e politiche come una liberazione dalle sue forze oppressive. V’è uno sforzo per riscattare il concetto di salvezza, rinchiuso in una triste prospettiva individualistica, spiritualistica e ultraterrena. In quanto tale il concetto di «liberazione» presta un servizio eccellente. Con esso Gutièrrez cerca di superare la visione più ristretta della posizione tradizionale. Questa circoscriveva la salvezza in azioni rigorosamente religiose, compiute con l'intenzione di agire nella sfera della grazia divina. II termine “liberazione” associa la salvezza ad azioni umane praticate nel cuore della storia, nella lotta liberatrice, che certamente non si verificano senza la grazia di Dio. La visione tradizionale limitava la salvezza a ciò che si faceva esplicitamente entro la Chiesa. II concetto di liberazione la estende a tutto l'ambito umano, dove Dio sta agendo in modo salvifico. Infine, la comprensione tradizionale vincolava eccessivamente la salvezza all’altra vita. La categoria di liberazione pone l'accento sul fatto che le azioni di giustizia, di amore al povero, sono già gravide di eternità. Hanno una forza che va al di là della morte, anticipando così nella storia la realtà definitiva.

 

II termine «liberazione» esprime il realizzarsi della salvezza nella storia, che non si identifica con essa, ma va al di là di essa. La ragione di questo vincolo più profondo che unisce la salvezza con la liberazione è, senza dubbio, il punto di partenza di tutta la teologia di Gutiérrez. Non é una riflessione sulla tradizione della fede in se stessa, non è un semplice sforzo d’intendere il patrimonio di verità della Chiesa intellettualmente, ma la ricerca di una com­prensione di questa fede a partire dalla situazione di oppressione dei poveri e dei loro aneliti alla liberazione. Che cosa ha a che fare questa situazione con la salvezza definitiva, con la vita eterna, col cielo?

 

Nel cercare una risposta teologica alla serietà di questa domanda, Gutiérrez non può comprendere la salvezza al di fuori di un processo d'impegno liberatore con i diseredati della storia. Ciò non si compie mediante semplice opzione politica, ma dall'intimo dei cuore della fede cristiana. La salvezza sta avvenendo là dove è in corso anche il processo di liberazione. Dio non è assente col suo dono salvifico, ma sta realizzando qui il suo progetto di salvezza. II fine ultimo di ambedue è la fraternità umana, non semplicemente mediante la comunione in una stessa umanità, ma perchè tutti diventiamo figli di Dio.

 

Non si da mai una identificazione totale tra liberazione storica e salvezza, ma relazione tra primizie e pienezza, tra realizzazione parziale e compimento finale, tra vedere nello specchio e faccia a faccia, tra cammino e riposo.

 

La salvezza è, in ultima analisi, l’autocomunicazione di Dio accettata dall'essere umano. Nella prospettiva della liberazione, tale dono di Dio è inteso in tutte le sue articolazioni necessarie. Non è un talento da custodire, ma da far fruttificare. Non è una proprietà privata, ma un dono da vivere in comunità con i fratelli della Chiesa e del mondo, nella duplice ricerca della liberazione personale da ogni peccato, iniquità, ingiustizia e di quella sociale da quei peccati che colpiscono le strutture della società, della storia.

 

II termine «liberazione» ha due aspetti nel pensiero di Gutiérrez. II più accentuato, fondamentale, insuperabile, di carattere socio-analitico, si orienta verso la trasformazione di ogni realtà umana, prigioniera del peccato e, per questo, oppressiva. Liberazione si oppone frontalmente a dominazione ai tre livelli enunciati anteriormente.

 

Spesso si solleva la questione dei carattere ideologico di questo programma teologico. Evidentemente il termine «ideologia» ha molti sensi. Non è qui il luogo per entrare in questa selva semantica. La teologia di Gutièrrez non è ideologica nel senso antiteologico. Essa non è successiva a opzioni e posizioni politiche già adottate che tenda a giustificare. Ma, al contrario, essa nasce da un'opzione cristiana, evangelica, che cerca di illuminare alla luce della Rivelazione. II suo interesse principale non è quello di legittimare pratiche umane, storiche, politiche decise anteriormente, ma le mette a confronto con la fede per discernere su di esse. Ed è la sua teologia elaborata nel con­fronto con la Rivelazione.

 

A questo punto, entra in gioco uno dei capisaldi più controversi del pensiero teologico di Gutiérrez. Pensare teologicamente il processo di liberazione dei poveri in un mondo di oppressione, di povertà ingiusta, è qualcosa di molto serio. Implica per la teologia ricorrere a una razionalità che la aiuti a capire tanto i meandri dell’oppressione e delle sue cause come le possibilità di liberazione. Ciò si realizza a mezzo di analisi e interpretazioni che si collocano ai livello delle scienze sociali. All'inizio, si useranno di preferenza elementi socio-strutturali, alcuni presi dall’analisi marxista. Evidentemente, come afferma in modo apodittico lo stesso Gutiérrez, non si tratta, in alcun modo, di «una specie di sintesi tra fede e analisi marxista». Già da tempo, per esigenza di approfondire la solidarietà col mondo dei poveri, si viene accentuando, in seguito alla caduta del socialismo, la tendenza a incorporare man mano agli strumenti d'analisi della realtà «fattori razziali, culturali e di genere» tratti dalle scienze umane, quali la psicologia, l'etnologia, l'antropologia.

 

L'altro aspetto della concezione della liberazione e utopico. Ha pure un’intenzionalità che mira a costruire già qui sulla terra una società di fraternità e di comunione tra le persone. È la sua dimensione utopica. In una prospettiva teologica, si percepisce ancor più il dinamismo della liberazione. Esso si orienta, in ultima istanza, nella forza della grazia di Dio, verso l’autentica «comunione degli uomini con Dio e degli uomini tra loro».

 

Questa comunione abbraccia gli sforzi e le realizzazioni di solidarietà umana, storica, e insieme annuncia il traguardo definitivo dell’umanità al di là della morte. Gutiérrez mantiene una straordinaria coerenza teologica dall'inizio fino ai suoi ultimi scritti nell'affermare un'unità tra liberazione storico-umana e salvezza, senza perdere la chiara percezione della loro distinzione. Questa articolazione equivale, analogicamente, ai quattro avverbi che il Concilio di Calcedonia applicò all’unità della persona di Gesù nella distinzione delle nature: in modo inconfuso, non mutato, indiviso e inseparabile. Salvezza e liberazione se, da un lato, non possono essere confuse né mescolate, dall’altro non possono essere divise né separate.

 

Questa relazione ha un presupposto che Gutiérrez, fin dalle prime opere, continua ad affermare: l’unità della storia. È un dato teologico che ottenne un consenso relativamente ampio dopo il Concilio Vaticano II, ma che assume una sfumatura propria nella Teologia della liberazione.

 

7. Unità della storia

«Non vi sono due storie, una profana e l'altra sacra, ‘giustapposte’ o ‘strettamente unite’, bensì un solo divenire umano assunto irreversibilmente da Cristo, Signore della storia». «La storia della salvezza costituisce le viscere stesse della storia umana». «II divenire storico dell’umanità deve essere definitivamente posto nell'orizzonte salvifico». «Esiste una sola storia. Una sto­ria cristofinalizzata».

 

Questo era già un dato della teologia post-conciliare. Tuttavia, Gutiérrez sposta l'accento in due punti. L'unità della storia era affermata per garantire l'unità del disegno salvifico di Dio per tutti gli uomini. Dio ha una volontà unica di salvezza, che comprende tutta l’umanità. È un’unità collocata nell'inizio e nella fine. Gutiérrez si preoccupa piuttosto del presente, delle sfide interne al nostro mondo, alla nostra storia. L’unità della storia provoca la nostra attenzione nei confronti della presenza salvifica di Dio nel suo agire nell’umanità, nella vita delle persone. È criterio di interpretazione della realtà attuale più che consolazione piena di speranza.

 

È questa unità della storia a permettere di discernere nei movimenti sociali di liberazione in corso nella storia il dito salvatore di Dio. Senza cadere in alcun millenarismo che sogni un regno terrestre di Cristo o in qualche utopismo che lotti per costruire col ferro e col fuoco la perfezione del Regno su questa terra, Gutièrrez stimola il cristiano a cogliere i segni della liberazione in atto.

 

Inoltre, la prospettiva del teologo peruviano diverge da altre correnti teologiche nell'insistere sul carattere inseparabile e indiviso della liberazione e della salvezza. Quelle correnti, a loro volta, col timore della confusione e riduzione tra le due, insistono sulla differenza e sulla distinzione. È questione di preferenza e di accento, giacché ambedue i poli sono importanti. Ma tale scelta ha rilevanza, poiché rivela l'opzione di fondo soggiacente, dove sta il cuore [della teoria].

 

Una conseguenza immediata di tale comprensione dell’unità della storia è la teologia dei segni dei tempi, tanto presente nell'autore. Essa svela più chiaramente le implicazioni di tale unità.

 

 8. Teologia dei segni dei tempi

Gutiérrez si avvicina più al genere della teologia biblico-profetica e pastorale che a quello sia della teologia dottrinale e sistematica sia della sapienziale, narrativa e spiritualista. Coltiva in profondità il binomio denuncia e annuncio.

 

La denuncia si riferisce ai segni di morte. Implica una lettura socio-analitica e critica della realtà. Attraversa l’opera di Gutiérrez questa critica forte ai meccanismi di dominazione. Perciò, fin dall'inizio, egli rifiutò la lettura ‘neutra’ dell’ideologia dello sviluppismo che vedeva nell’attuale situazione dei paesi dell’America Latina una semplice tappa previa allo sviluppo. Era questione di tempo e di inserire gli ingredienti della crescita. No, era una situazione di dominazione, d’oppressione, con tutta la connotazione negativa che tali parole comportano.

 

Nell’orizzonte dell’annuncio, si pongono la comunione, la liberazione, la solidarietà. In una parola, equivalgono a proclamare il Regno della vita. In un testo più recente, egli mette in rapporto la liberazione con la libertà nella sua duplice dimensione: «libertà da» e «libertà per». Libertà dal peccato, dall’egoismo, dall’oppressione, dall’ingiustizia, e libertà per l’amore, per la comunione: tappa finale della liberazione. La «libertà per» conferisce significato alla «libertà da».

 

Gutiérrez, nel cercare di discernere i segni dei tempi, si occupa di due altre questioni connesse. Da quale punto fare tale lettura? E qual è il criterio fondamentale del discernimento?

 

Rispondendo alle due domande, egli insiste che la lettura della realtà si fa «dal rovescio della storia» e alla luce del Dio della vita. Due idee centrali che meriterebbero lunghe riflessioni. Considera l'«avvenimento maggiore della comunità cristiana dell'America Latina» l’inserimento nelle lotte popolari per la liberazione come nuovo modo di vivere, trasmettere e celebrare la fede. Si tratta dell'identificazione con gli interessi e le battaglie degli oppressi del continente. Questo rovescio della storia è del tutto concreto. Sono gli assenti dalla storia, quelli che stanno in basso, i «poveri cristi flagellati delle Indie», in una parola i poveri. È il lato oscuro della modernità borghese. Lès Lumieres si accesero nel Primo Mondo, ma gettarono le loro ombre sopra il Terzo Mondo. È in questa e da quest’ombra che si discerne la presenza di Dio nella storia, non in quanto è pura oscurità, ma in quanto da essa emerge la luce delle lotte liberatrici.

 

Troviamo qui un’altra volta l’intuizione iniziale e fondante della Teologia della liberazione. La sua matrice ermeneutica nel contrasto con le letture fatte a partire da altri, differenti «luoghi» sociali.

 

II «rovescio della storia» non è il criterio di discernimento, ma semplicemente il luogo donde si può vedere meglio tanto la sfida quanto il modo di parlare da parte di Dio.

 

Gutiérrez inizia il suo libro Il Dio della Vita citando il fatto della visita di Giovanni Paolo II a Lima, quando il Papa fu salutato da popolani di un quartiere povero della città.

 

«Santo Padre, abbiamo fame. Patiamo la miseria, ci manca il lavoro, siamo malati. Con il cuore spezzato dal dolore vediamo le nostre mogli - incinte - con la tubercolosi, i nostri bambini morire, i nostri figli crescere deboli e senza futuro. Malgrado tutto questo, però, crediamo nel Dio della vita».

 

L'apologetica classica, più esattamente la teodicea, affrontò il problema dell'esistenza di Dio di fronte a un deismo razionalista e soprattutto all'ateismo. Gutiérrez relativizza la questione dell'ateismo nel senso che «non avremmo molto vantaggio, in effetti, se discorressimo dell'esistenza di Dio senza prima precisare di quale Dio si parli».

 

In termini più duri, il pericolo che ci assedia è prima l'idolatria che l'ateismo. Tema molto coltivato nel contesto della Teologia della liberazione.

 

Consultando le fonti bibliche, egli traccia l'immagine di Dio come Padre che libera, perché é vita, che fa giustizia, perché è santo, che fa alleanza, perché è fedele. Scegliere l'idolatria è optare per la morte.

 

Approfondendo di più l’idea del Dio della vita, lo vede presente nel Regno che sta in mezzo a noi, nel Regno predicato da Gesù. Dio è il Dio del Regno.

 

«Così lo incontriamo nella misura in cui facciamo nostri i suoi disegni sulla storia e sulla nostra vita». Il Dio della Scrittura non può essere separato dal suo progetto che è il Regno. È solo approfondendo la realtà del Regno che sappiamo come incontrare Dio e vivere alla sua presenza.

 

Vi sono presenze e assenze di Dio. II teologo peruviano richiama l'attenzione sul simbolo del tempo vuoto come l'assenza di Dio quando non si mette in pratica la volontà di vita e di giustizia da parte di Dio. Dio non è nella cupidigia, nè nella subornazione, nè nelle opere d’iniquità che circondavano il tempio.

 

Dio abita il cosmo, impianta la sua tenda tra di noi mediante il mistero dell'Incarnazione del Figlio, la vita, insieme con Dio Padre. Egli annuncia il Regno prossimo, offre segni di questa presenza, privilegia gli ultimi come suoi destinatari. Predica l'etica della giustizia. Nello svilupparla, Gutiérrez articola la dialettica tra la gratuità e la libertà. Accusato spesso ed equivocamente di pelagianesimo, pone fin dall’inizio l’accento sul fatto che la teologia è un atto secondo rispetto all'atto primo della fede, della gratuità e del dono di Dio. In modo paradossale, essa costituisce il parlare di Dio che viene dopo il silenzio di Dio: nella contemplazione e nell’azione. Non si incontra Dio soltanto nel mondo etico, ma pure in quello estetico, nella contemplazione. La vita di fede si compone di due dimensioni fondamentali: gratuità, dono di Dio, contemplazione ed esigenza di giustizia, libertà impegnata, azione.

 

In relazione al Regno di Dio, vi è il duplice atteggiamento di accoglienza e di ricerca. O, se si vuole, è una aspettativa attiva, o un’azione nella speranza. Attraversa tutta l’opera di Gutièrrez questa dialettica della grazia e della natura, del dono e della prassi, della gratuità e dell’impegno. Egli coniuga il binomio sempre in modo estremamente meticoloso.

 

Già fin dalle prime opere insiste nel dire che «l’azione salvifica di Dio coinvolge ogni esistenza umana». Più tardi, riprende di nuovo la stessa idea affermando che «la salvezza in Cristo da all’insieme della storia umana il suo senso portandola al di là di se stessa. Ma proprio per questo è già presente nella storia: l'azione salvifica di Dio la lavora dal di dentro».

 

9. Dimensione cristologica

Parlare di Dio implica necessariamente entrare nella cristologia di Gutiérrez. Anzitutto, egli afferma senza indugi che il «grande principio ermeneutico della fede, e quindi di ogni discorso teologico, è Gesù Cristo», il Figlio di Dio fatto uomo e inserito nella nostra storia.

 

Fin dall’inizio, vede Gesù Cristo nella sua azione liberatrice, inserito nella storia reale degli uomini. Questo suo agire si colloca nel cuore del fluire storico dell’umanità, nel quale la lotta per una società giusta si iscrive pienamente nella storia della salvezza.

 

L’azione liberatrice di Cristo e intesa in tutta la sua ampiezza. Egli ci libera fondamentalmente dal peccato. Ma «il peccato l'abbiamo in strutture oppressive, nello sfruttamento dell'uomo da parte dell’uomo, nel dominio e nella schiavitù di popoli, di gruppi etnici e di classi sociali. II peccato nasce, allora, come alienazione fondamentale, come la radice di una situazione d’ingiustizia e di sfruttamento». Questa riflessione si capisce solo se si prendono in considerazione i tre livelli di liberazione visti sopra. Più tardi ritorna sulla stessa idea.

 

«La liberazione di Cristo non si riduce a liberazione politica, ma si realizza in fatti storici e politici liberatori. Non è possibile saltare queste mediazioni». La storia umana deve essere vista come attraversata dalla liberazione di Cristo. Interpretare quest’ultima in una linea spiritualistica le sottrae tutta la sua carica umana e storica, rendendola accettabile per il sistema politico ed ecclesiastico. Perde tutta la sua forza profetica, che mette in discussione. Questa liberazione radicale è il dono arrecato da Cristo.

 

Nel parlare del Dio della vita, come s’è visto sopra, lo pensa trinitariamente. «La dimora di Dio nella storia raggiunge la pienezza nell'incarnazione». Gesù ci trasmette la vita del Padre, che è la finalità tanto della creazione quanto dell'azione salvifica.

 

L'azione di Cristo è datata e localizzata. E questi due dati non sono privi di importanza. Gesù vive in mezzo a un popolo oppresso dal grande impero dell'epoca. E’ il suo hic et nunc. Si compiono i tempi. II Regno è vicino. E tutta la vita di Gesù ruota attorno alla predicazione del Regno e all’annuncio della sua presenza tra noi nei «segni» che egli compiva. E l’invito alla conversione rivolto ai popolo si traduceva nella ricerca del Regno e della sua giustizia.

 

I segni del Regno avevano due aspetti. È invito, come abbiamo visto, a conoscere la realtà significata, questa è il Regno stesso. È di più. È un invito all’impegno per le esigenze del Regno. Così il gruppo dei seguaci di Gesù diviene pur esso un segno del Regno. Essi mostrano come Dio stia agendo nella storia.

 

II punto più alto della testimonianza dei discepoli e, per conseguenza, del cristiano d'oggi, sta nell’annunciare il Cristo risuscitato. E ciò, nel contesto latino-americano, e qualcosa di molto carico di senso. Credere nella risurrezione è incompatibile con l’accettazione di una società nella quale il povero è condannato a morte. Questo e l'aspetto centrale del nostro essere «testimoni della Pasqua».

 

E quando si considera chi sono coloro che seguono Gesù, allora si capisce il «rovesciamento messianico: “gli ultimi saranno i primi”(Mt 20,16), che contraddice il si­stema di valori di questo mondo, in cui poveri e piccoli non contano».

 

Per approfondire quest’idea, Gutièrrez fa una lunga esegesi delle due versioni delle beatitudini, non accettando un’interpretazione tradizionale secondo cui la versione di Matteo sarebbe una spiritualizzazione di quella di Luca. Luca insiste sulla gratuità dell'amore di Dio che preferisce il povero reale. II Regno di Dio è promesso, in primo luogo, a quelli che vivono in condizioni di debolezza e di oppressione. La preferenza per i più semplici non si deve alle loro disposizioni morali e spirituali, bensì alla loro fragilità umana e al disprezzo di cui sono oggetto. Solo l’amore gratuito di Dio può spiegare la sua preferenza per essi. Gutièrrez lo afferma chiaramente:

 

«L’annuncio del Regno è rivelazione su Dio, è parola sul suo amore libero e gratuito; questo non dipende dalle disposizioni etiche e religiose dei suoi destinatari».

 

Per parte sua, Matteo completa tale prospettiva, indicando quali siano le esigenze etiche per seguire Gesù, come conseguenza di questa iniziativa amorosa di Dio. Matteo insiste «sulla necessità di compiere verso gli altri - specialmente verso i poveri - gesti concreti e ‘materiali’».

 

Non è affatto una spiritualizzazione ma, al contrario, egli mostra l'aspetto di esigenza di ciò che in Luca appare come profonda libertà e gratuità dell’amore di Dio verso il povero.

 

Questo e un altro punto importante della cristologia di Gutiērrez.

 

«La vita cristiana e anzitutto sequela Christi. II modo (il metodo, la via) di far teologia si inserisce in questo movimento, è anch’esso via che conduce al Padre. Gesù dice di essere “la verità”, ma si qualifica anche come “la via” e “la vita”. I suoi gesti e le sue parole, la sua pratica ci rivelano la direzione da segui­re».

 

In questo momento incontriamo anche una delle idee care a Gutièrrez. Non lasciandosi imbrigliare nel concetto greco di verità, tanto valorizzato dall’ortodossia, insiste sull'aspetto del «fare la verità», tipicamente giovanneo.

 

«La verità che il Signore ci rivela “si fa”, “si pratica”, nell’agire del discepolo, che in tal modo accoglie il dono della Parola».

 

Solo in tale contesto si può capire bene la relazione tra ortodossia e ortoprassi, uno dei punti controversi della Teologia della liberazione. Senza affermare, in alcun modo, che la fede si riduca a opere, poiché essa possiede una dimensione contemplativa, insiste, tuttavia, sul fatto che essa deve convertirsi in opere, per non essere morta (Gc 2,26; cfr. Tt 2,14). I criteri ultimi della fede vengono dalla verità rivelata e non da qualche prassi umana.

 

«Per ciò stesso e per evitare schematismi dobbiamo tener presente che il criterio di discernimento deriva da una fede vissuta e condivisa in comunione ecclesiale».

 

Questa riflessione ci conduce a un altro asse fondamentale della teologia di Gutièrrez: alla sua dimensione ecclesiale.

 

10. Chiesa: sacramento della storia

Con questo bel titolo, già nella sua prima opera, Gutièrrez traccia la sua prospettiva ecclesiologica centrale. È noto che la Teologia della liberazione ebbe più problemi a causa della sua riflessione sulle strutture interne della Chiesa che per le sue proposte sociali. Verso i tempi di Puebla, si costituì un gioco d’opposizione tra la Chiesa popolare e la Chiesa istituzionale. Quella sarebbe la proposta della Teologia della liberazione e questa la posizione ufficiale della Chiesa. II Documento di Puebla fa eco a tale polemica, nel distinguere due concetti di Chiesa po­polare. II primo si riferisce a una Chiesa inserita nei ceti popolari, il secondo esprime una Chiesa distinta dalla Chiesa ufficiale o istituzionale. Sebbene non rifiuti il pri­mo concetto, giudica il termine «poco felice». II secondo, evidentemente, implica una negazione inaccettabile della funzione della gerarchia.

 

Gutièrrez, senza dubbio, presenta delle critiche alle strutture della Chiesa, al suo stile di vita di tempi passati a causa di «una certa sfasatura nel confronto con una storia che non cammina più sul suo passo». Solleva coraggiosamente il problema della creazione di «una nuova coscienza ecclesiale e una ridefinizione del compito della chiesa in un mondo nel quale non solo e presente, ma del quale forma parte. Vede la missione della Chiesa nel mondo non a partire da essa, ma dalla volontà salvifica universale di Dio operante nella storia, dell’azione di Cristo e del suo Spirito al di là delle frontiere della Chiesa, dall’unità della storia, dai livelli di liberazione. È quest’ottica a consentirgli di sviluppare la sua comprensione della Chiesa. Al principio, si pone l’unità della salvezza e non la differenza della Chiesa. Bisogna, pertanto, evitare di ridurre l’opera della salvezza alla Chiesa. Qui sta il nerbo della questione.

 

Egli propugna un «decentramento della Chiesa» come luogo esclusivo della salvezza, per vederla in un servizio radicale agli uomini. Si allontana naturalmente da un modello di Chiesa di cristianità, in cui «le realtà terrestri mancano di autonomia propria». E anche di Chiesa di nuova cristianità, in cui, persino riconoscendo l'autonomia della realtà temporale, si pensa di costruire una «cristianità profana», vale a dire una società ispirata ai principi cristiani. Anche un terzo modello in cui si faccia la distinzione di piani, di Chiesa e di mondo, entro l’unità del progetto di Dio, secondo lui, entra in crisi. Egli si dirige a un nuovo modello di «Chiesa impegnata nel processo di liberazione» con una pastorale profetica, che denunci le forme di ingiustizia e annunci un’evangelizzazione coscientizzatrice, la solidarietà effettiva con i poveri. In un altro luogo, egli dice che la «salvezza di Cristo, della quale la Chiesa è un sacramento nella storia, costituisce il fondamento ultimo della Chiesa dei poveri», chiamando questo modello «Chiesa dei poveri».

 

Qui congiunge l’idea di Chiesa sacramento con quella di impegno con i poveri. Di conseguenza, sulla scia del Concilio Vaticano II, egli considera la Chiesa come sacramento. Riconosce, però, che lo stesso Concilio non riuscì a collocarsi interamente su questa linea. Distingue due concetti di sacramento. Un primo, fondamentale, si rapporta ai termine greco mysterion, caro a Paolo e ad alcuni Padri dei primi secoli. Significa 1’amore di Dio Padre che ci donò il suo Figlio per convocare tutti gli uomini, nello Spirito, alla comunione con Lui. Non li chiama come individui separati, ma in quanto comunità, affinchè essi partecipino della comunione trinitaria.

 

In un secondo senso, sacramento esprime la relazione efficace tra segno visibile e grazia. La visibilità del segno rende presente la realtà invisibile della grazia di comunione con Dio. Chiamare la Chiesa sacramento equivale a riferirla fondamentalmente ai disegno salvifico di Dio, il cui compimento nella storia essa rivela e significa. II suo centro sta fuori di essa. È il mistero salvifico di Dio, realizzato da Cristo e dallo Spirito.

 

È la più legittima teologia del Concilio Vaticano II. Il suo tocco d’originalità viene dalla conseguenza che Gutiérrez trasse, quella di vedere la Chiesa come segno del progetto salvifico che è anche liberatore. Appare di nuovo la sua intuizione iniziale della relazione tra salvezza e liberazione.

 

Ora non si può pensare una Chiesa aliena dal processo storico di liberazione, nonostante tutta l’ambiguità delle realtà umane. Donde la necessità di un continuo discernimento dei segni di vita e di morte nel cuore della storia umana.

 

Di più. Un segno deve essere chiaro e comprensibile, altrimenti non è segno. Dunque, le strutture della Chiesa, il suo messaggio, la sua azione nel mondo devono manifestare e realizzare la liberazione. Essa deve «essere il segno visibile della presenza del Signore nell’aspirazione per la liberazione e nella lotta per una società più umana e giusta».

 

Fin dall’inizio, un’altra sua preoccupazione centrale fu quella di trovare la fonte profonda della sua teologia e della concezione della Chiesa in una esperienza spirituale di Dio. D’altra parte, ogni teologia che diede un’impronta alla storia si legò a un’esperienza profonda di Dio. Senza di essa, la teologia non supera il comportamento di moda. Gutièrrez era convinto che la Teologia della liberazione non fosse un fenomeno locale e passeggero, ma attingesse alle fonti stesse della rivelazione.

 

La sua attenzione alla tematica ecclesiologica si mostrò abbondantemente negli scritti sulle tre Conferenze dell'Episcopato latino-americano di Medellin (1969), Puebla (1979) e Santo Domingo (1992). A Medellìn non fu solo presente, ma fu uno dei principali consultori. Nelle altre due Conferenze, non fu invitato ufficialmente a causa di tensioni interne della Chiesa, ma collaborò a titolo personale. Inoltre, scrisse molti articoli su tali Conferenze.

 

Di Medellìn, ritiene come punto fondamentale il mettersi della Chiesa, uscita da poco dal Concilio Vaticano II, a confronto col mondo della povertà, che la obbliga a un ripensamento fondamentale delle sue strutture, della sua evangelizzazione, dell’educazione, della vita religiosa, in una linea liberatrice come Chiesa solidale.

 

Dedicandosi a esaminare Puebla, fa risaltare due aspetti fondamentali per la Chiesa: l'opzione preferenziale per i poveri e il potenziale evangelizzatore dei poveri. Ritorna sempre la tonalità del discorso secondo cui la Chiesa evangelizza soltanto quando prima si lascia evangelizzare dal povero, non unicamente dalle virtù di costui, bensì dalla sua mera esistenza di povero.

 

Riflettendo su Santo Domingo, mette in rilievo che la Conferenza si è mantenuta fedele all’opzione preferenziale per i poveri. Permane, egli osserva, il rischio di limitarsi a pure parole e di non tradurle in linee pastorali, dando anima ai grandi temi trattati: nuova evangelizzazione, promozione umana ed evangelizzazione inculturata.

 

In tutta la sua teologia, Gutièrrez mostra straordinaria sensibilità spirituale. Per questo, non si comprenderebbe la struttura del suo pensiero senza l’architrave della spiritualità. Evidentemente poteva essere solo una spiritualità che si intendesse in questa prospettiva del povero, vissuta nel rovescio della storia.

 

11. Una spiritualità della liberazione

E’ intuizione della prima ora. Pur in termini embrionaali, l’espressione era già presente nella sua prima opera. Non basta l’elaborazione teologica.

 

«E’ necessario un atteggiamento di vita, globale e sintetico, che informi la totalità e i particolari della nostra vita».

 

Che cos’è questo, se non una spiritualità? Ma nel senso profondo del termine, quello di stare sotto il dominio dello Spirito. Qui si completa il ciclo trinitario della sua teo­logia. È  lo Spirito che ci conduce alla verità completa (Gv 16, 3), alla piena libertà da tutto ciò che ci impedisce di amare, di entrare in comunione con Dio e con gli altri.

 

È importante mettere in evidenza che nell’opera di Gutièrrez la spiritualità ha una doppia relazione con la teologia. La ispira. Si può parlare su Dio solo se prima si parla a Dio.

 

«Nella prospettiva della teologia della liberazione si afferma che si comincia col contemplare Dio e con l’accogliere la sua volontà».

 

La spiritualità precede la teologia, come atto primo del silenzio di Dio e della prassi. Oltre a questo, la spiritualità prolunga la teologia, conferendole maggior consistenza ed evangelicità.

 

La spiritualità è una forma concreta in cui vivere il Vangelo sotto la potenza dello Spirito in solidarietà con tutti gli uomini, in un impegno nel processo di liberazio­ne. Essa getta le sue radici nel suolo segnato dalļa situazione di oppressione e di liberazione. Trova il suo centro nella «conversione al prossimo, allÂ’uomo oppresso, alla classe sociale sfruttata, alla razza disprezzata, al paese dominato».Oltre alla conversione, un altro tratto di questa spiritualità è la gratuità, nel senso che la comunione col Signore e con gli altri è un dono di Dio. Questo non è un appello alla passività, ma a un atteggiamento vigilante. Tale gratuità si manifesta specialmente nella preghiera, come atto, per cosi dire, «ozioso» e «sperperato», dove appare la verità che Dio è al di là dellÂ’utile e dellÂ’inutile.

 

Questi germi di spiritualità si trovano già all’inizio. Tuttavia, Gutiérrez li approfondisce in opere ulteriori in modo che i contorni della spiritualità risultino più chiari.

 

II titolo della sua opera dedicata specificamente alla spiritualità è già estremamente significativo: Bere al proprio pozzo. Espressione presa da san Bernardo, è applicata qui all’itinerario spirituale del popolo latino-ameri­cano. È in questione un’esperienza di fede, speranza e ca­rità di cristiani impegnati nel processo di liberazione come autentico pozzo in cui ci si può abbeverare. Non si tratta di una spiritualità come lusso personale, privilegio di minoranze, di ispirazioni spiritualistiche, ma come un cammino per coloro che si avventurano collettivamente a seguire Cristo nel processo di liberazione. Si stacca da una spiritualità individualistica, elitaria e «spiritualistica», per cercare invece una spiritualità comunitaria, popolare e impegnata.

 

Il punto di partenza non poteva essere altro che simile a quello espresso dai Salmisti. Come cantare a Dio in terra straniera? [cfr. Sal 137,4]. Così, di fatto, Gutiérrez descrive la situazione di tensione in cui vive il popolo latinoamericano, cioè come straniero e sfruttato nella propria terra. È una situazione di croce e di purificazione della quale sono partecipi coloro che s'impegnano nella causa dei poveri.

 

L'America Latina vive un’ora propizia per generare e praticare una nuova spiritualità. Anzitutto, momento di rottura e di nuove ricerche. L’esperienza spirituale si disarticola dolorosamente con una sensazione di una certa dualità tra azione e contemplazione, insopportabile a lungo termine. L'eliminazione di uno dei poli non è una soluzione. Questa si trova nella sintesi tra la preghiera e l’impegno.

 

La novità di questo momento non consiste nella situazione di oppressione, tanto antica, ma nella coscienza di percepirne le cause, di cercare di liberarsi di esse e soprattutto di scoprire il ruolo della fede in Dio liberatore in questo processo.

 

Oggi nell'America Latina si vive il contesto di ingiustizia sociale come un «tempo di solidarietà», «tempo di preghiera» e «tempo di martirio». V’è un nesso tra questi tempi. All'ingiustizia sociale si risponde con la solidarietà e con l'impegno liberatore. All'interno di quest'impegno, si scopre la preghiera. E da ambedue risulta la persecuzione, il martirio. Da qui germina la nuova spiritualità.

 

Le grandi spiritualità, osserva il teologo peruviano, sono legate ai grandi movimenti storici della loro epoca. Orbene, ciò che caratterizza oggi l'America Latina è «il processo storico di liberazione», inserito nel complesso del popolo latino-americano. È all’interno di esso che si presenta l'esperienza spirituale. Poiché «l'irruzione del povero nella società e nella chiesa latinoamericana è, in ultima analisi, un'irruzione di Dio nella nostra vita».

 

È una spiritualità collettiva, ecclesiale, contrassegnata dalla religiosità del popolo fedele. Perciò, una spiritualità della Chiesa dei poveri, che nella sequela di Gesù vive la dialettica di morte e vita.

 

Per molti cristiani nel nostro Continente la possibilità di seguire Gesù si collega alla loro capacità di unirsi strettamente a quest'esperienza spirituale del popolo. Cambiano di posizione. Prima immaginavano d’essere portatori di una spiritualità per il popolo e ora cercano di far propria l'esperienza di Dio che hanno i poveri. Si verifica ciò che Puebla chiama «potenziale evangelizzatore» dei poveri.

 

Sviluppando il tema della spiritualità, Gutiérrez lavora su tre assi fondamentali. L'inizio della spiritualità è l'in- contro col Signore Gesù. E la nostra «ora decima» di cui parla Giovanni (Gv 1,35-42), il pozzo in cui ci abbeveriamo. Di qui deriva il seguire Gesù e la testimonianza di vita. «Il seguace di Gesù è un testimone della vita».

 

Con tre termini paolini - carne, Spirito e corpo - egli sviluppa il secondo asse della vita secondo lo Spirito. In sintesi, «la vita secondo lo Spirito non è quindi vita secondo l'anima e contro o senza il corpo; ma la vita in armonia con la vita, l'amore, la pace e la giustizia - i grandi valori del Regno di Dio - e contro la morte».

 

Il terzo asse è la ricerca di Dio Padre, comportamento conseguente di chi ha incontrato il Signore e cammina secondo lo Spirito. E il cammino di un popolo e non di individui. L'esperienza dell'esodo fatta dal popolo di Israele e la proposta degli Atti degli Apostoli della vita cristiana come via sono sorgenti ispiratrici per i percorsi di grandi mistici. Ogni spiritualità le traduce in vita a suo modo.

 

Gutiérrez cerca di descrivere le caratteristiche proprie della spiritualità della liberazione. Le raccoglie in un capitolo il cui titolo è «liberi per amare». Con questo, indica la tonalità generale:

 

«Si tratta della libera determinazione di consegnare la propria vita in solidarietà con quelli che si trovano sotto il giogo del potere della morte».

 

È una libertà dal peccato, dall'egoismo, dall'ingiustizia, dalla necessità e una libertà per l'amore, la comunione, per dare vita.

 

Su questo scenario di fondo, egli descrive cinque caratteristiche della spiritualità della liberazione. Il punto di partenza è la conversione che scaturisce dall'esigenza di solidarietà con gli oppressi e ad essa riconduce. Non come un semplice momento, ma come processo permanente con varie dimensioni: rottura con il peccato personale e le ingiustizie sociali, opzione per la vita nella solidarietà, nuova coscienza della relazione materiale e spirituale, nella pratica dell'amore verso il povero, fermezza e convinzioni profonde.

 

L'impegno per la liberazione dei poveri deve essere realistico ed efficace. È esigenza della carità stessa. Ciononostante, «questo desiderio di efficacia - contrariamente a quanto alcuni potrebbero pensare - conferisce un nuovo valore all'esperienza della gratuità».

 

L'efficacia non è solo una forma per esprimere la gratuità dell'amore agli altri, ma anche una percezione più profonda dell'amore gratuito di Dio. Vale qui la bella frase di santa Teresina: «Tutto è grazia», che affiora sulle labbra agonizzanti del Parroco di campagna del romanzo di Georges Bernanos.

 

La spiritualità della liberazione articola il binomio sofferenza e letizia, dolore e festa, morte e vita. È la sua dimensione pasquale. Gli spazi di speranza e letizia non si sperimentano nell'alienazione, ma nella chiara perspicuità della sofferenza che grava sui poveri del Continente. Esperienza frequente negli strati popolari. Non manca il tratto del martirio, oggi molto presente in queste terre.

 

In mezzo a una situazione antievangelica di ingiustizia si scoprono l'umiltà, un impegno senza trionfalismo. Ciò nasce dall'esperienza evangelica dell'«infanzia spirituale». Non consiste in una semplice povertà spirituale di disinteresse ai beni materiali, ma in una apertura, una disponibilità di chi tutto spera dal Signore.

 

Infine, la solidarietà con i diseredati di questo mondo produce per molti un’esperienza di solitudine. Una notte oscura. Soffrono isolamento, diffidenza, ostilità perché si impegnano per i poveri. In questa solitudine, scoprono allora l'importanza della comunità ecclesiale. «L’esperienza vitale della solitudine ha fame di comunione».

 

12. Maria della liberazione

Nonostante la presenza dei temi mariani sia discreta negli scritti di Gutiérrez, v’è un capitolo nel libro Il Dio della vita che colloca assai bene Maria nella prospettiva della liberazione.

 

Un teologo che nella sua riflessione si preoccupa di partire dal popolo povero e fedele non può disconoscere il tratto rilevante della devozione popolare a Maria. Fedele al suo metodo, apprende dal popolo come si possa essere discepoli di Cristo solo ascoltando ciò che Maria ci dice su Dio.

 

Maria parla di Dio nella sua condizione di donna. È tanto più importante questo fatto in quanto viviamo in un Continente in cui la donna è doppiamente oppressa ed emarginata. Luca si preoccupa di riferirsi a Maria come a una donna povera, nel suo presentare l'oblazione dei poveri.

 

Maria è pure la «discepola fedele», che crede. La maternità di Maria in Luca è legata alla sua fede. Non crede d’un colpo solo. Percorre un cammino nell'affidarsi al Signore, indicando in questo modo una via per i discepoli di suo Figlio.

 

Infine, Maria è figlia di un popolo e non è un personaggio isolato. Ella lo esprime in modo mirabile nel Magnificat, cantando la grandezza di Dio che opera con forza nella liberazione del popolo. È Dio che guarda alla piccolezza della sua serva, come a quella del suo popolo e fa grandi meraviglie a suo beneficio. È un atto di contemplazione del potere liberatore di Dio, che comporta letizia per quelli che traggono beneficio dalla sua azione. La gioia di Maria è la letizia di tutto il popolo. Maria esulta della predilezione di Dio per gli umili. Qui appare chiaramente che le vie di Dio non sono le vie degli uomini del potere.

 

13. Bartolomeo de Las Casas

Vi sono persone che diventano simboli per molte ragioni e accompagnano la riflessione teorica dei loro ammiratori. Lasciando da parte l'influenza europea, che certamente si fece sentire in chi studiò a Lovanio e a Lione, con un rapido passaggio a Roma, c'è la figura del missionario domenicano Las Casas, che segnò profondamente la sua persona e i suoi scritti. Si sentì debitore a questo personaggio gigantesco di difensore degli Indios. E gli dedicò un ampio e profondo studio, opera monumentale di più di 600 pagine.

 

In quest'opera, l'autore lavora sul pensiero che scaturisce nel corso della vita agitata e combattiva di Las Casas per la difesa della persona umana, concretamente degli Indios dell'America, contestualizzandolo nella cronologia degli avvenimenti.

 

Il libro ci consente di accompagnare l'itinerario di una persona che crebbe facendo parte di un sistema che opprimeva i popoli conquistati, per divenire un creatore di un sistema per liberarlo. Tale conversione fu dovuta a compassione umana, che subì l'impulso della sua esperienza dei popoli indigeni.

 

Questo libro, a prima vista, può sembrare un’opera a margine della teologia di Gutiérrez. Uno dei recensori scrisse apoditticamente:

 

«Questo non è un libro sulla Teologia della liberazione. È su Bartolomeo de Las Casas. A favore di uno che fu profondamente toccato dall'uomo».

 

Un altro recensore, a sua volta, forse più perspicace, vide nel libro «una comparazione di quanto avvenne nel secolo XVI con ciò che accade nel secolo XX [...] tutto il libro, ricordando il passato, ci invita a riflettere sul presente, per non ripetere gli errori disastrosi dei tempi precedenti».

 

In questo senso, è un'opera tipica della Teologia della liberazione e si inserisce perfettamente nella struttura teologica di Gutiérrez. Il punto di partenza del pensiero di Las Casas è il duplice grido etico e cristiano, di chi fa questa scoperta associandosi al popolo indigeno o, come scrive lo stesso Gutiérrez, è la convinzione che nell'Indio, in quanto povero e oppresso, è presente Cristo schiaffeggiato e flagellato.

 

La Teologia della liberazione parte essa pure dal grido profetico, in cui si mescolano compassione e protesta, che muove dal mondo degli oppressi, illuminato dalla fede nel Dio biblico e nella prassi di Gesù. Come nell'opera di Las Casas «si verifica una continua interazione tra riflessione e impegno storico, tra teoria e pratica», così pure avviene nell'opera del nostro teologo. In entrambi si tratta di un pensiero «non solo riferito alla pratica, ma elaborato da qualcuno in essa inserito».

 

Un'altra idea che attraversa la pratica di Las Casas ed è centrale nella teologia di Gutiérrez è che senza libertà e liberazione non si da possibilità di evangelizzazione. Da un lato, gli Indios non possono essere evangelizzati perché sono sottomessi a un sistema di oppressione, di schiavitù, di encomienda, di svalutazione di se stessi, della loro cultura, della loro storia. Dall'altro, gli Spagnoli si trovano in una situazione di condanna, in modo che se non restituiranno agli Indios terra, sovranità, religione, dignità, cultura, non potranno essere salvi. È, in modo diverso a causa dei cambiamenti culturali, una parabola della situazione d'oppressione del nostro Continente. La lettura di questo libro permette di riconoscere man mano nel pensiero di Las Casas molte delle intuizioni del pensiero del teologo peruviano.

 

Gutiérrez riassume bene queste intuizioni.

 

«Il nucleo di cristallizzazione della prospettiva missionaria e teologica del nostro frate sta nel vedere nell'Indio, in questo altro mondo occidentale, il povero di cui ci parla il Vangelo; e, per conseguenza, nell'essere cosciente che in ogni gesto verso di lui si incontra Cristo. Questa intuizione evangelica e mistica è la radice della sua spiritualità. Delinea la sua intelligenza della fede con contorni originali che le conferiscono una fisionomia propria in mezzo ad altre riflessioni teologiche dell'epoca. Diritto a vita e a libertà, diritto a essere diverso, prospettiva del povero sono nozioni che Bartolomeo lega strettamente alla sua fede in Dio».

 

E, accentuando la prospettiva d'oggi, Gutiérrez conclude il paragrafo: «Esse sono pienamente in vigore oggi nell'America Latina».

 

CONCLUSIONE

Gutiérrez svolge, con maestria e coerenza, un programma teologico annunciato fin dall'inizio. L'intuizione centrale, che guida tutti i suoi scritti, è parlare di Dio a partire dalla sofferenza dei poveri. È a partire dal tópos degli oppressi che nel nostro Continente sono moltitudine e hanno fede, nella duplice realtà di dominati, ma pure di soggetto storico di liberazione nella società e nella Chiesa, pensa i grandi temi della teologia.

 

Il tema centrale è la salvezza vista nella prospettiva della liberazione, superando così un concetto ecclesiocentrico, individualistico, spiritualistico. E il termine libera-zione ha il vantaggio di integrare le tre dimensioni, socio-politica, storico-antropologica e teologica.

 

Due preoccupazioni accompagnano sempre il suo pensiero in una tensione feconda e intrigante. Da un lato, la gratuità «scandalosa» di Dio nel preferire gli ultimi della storia, i piccoli, i disprezzati e, dall'altro, la necessità di una teologia e di una pratica ecclesiale e politica che si impegnino in modo serio ed efficace con questi poveri in vista della loro liberazione.

 

In un contesto assai differente da quello europeo, elabora il binomio che fu motivo di tanta polemica in decenni anteriori nella teologia europea: grazia e natura. Grazia è il dono di Dio che muove le persone a solidarietà con i poveri. Natura è il processo liberatore con le esigenze di azioni storiche, di liberazioni socio-politiche.

 

Come ogni teologia bipolare, i cui elementi rimangono in continua tensione, nessun testo può essere inteso fuori di questa prospettiva. Nei momenti più contemplativi, non si possono trascurare l'azione, la lotta, l'impegno. Nei momenti più attivi, non si possono disconoscere la grazia, la gratuità, la libertà infinita di Dio.

 

Quando si legga tutta la teologia di Gutiérrez in questa dialettica, non c’è nessuna ragione per obiettargli il minimo sospetto di riduzionismo, orizzontalismo, o altre accuse. Essa si colloca nella più legittima tradizione cristiana che risale alla prassi stessa di Gesù. Nessuno visse del Padre come Lui. Nessuno come Lui affermò la necessità dell’opera.

 

«Non chiunque mi dice: ‘Signore, Signore’ entrerà nel Regno dei Cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7, 21).

 

Proprio chi dice «Non ne ho voglia», ma poi fa, è colui che compie la volontà del padre e non quello che dice «Sì, signore», ma non va (Mt 21, 29-30).

 

In tutto questo arco di trent'anni di produzione teologica, impressiona profondamente il lettore la continua presenza dei poveri. S’abbattono sul mondo in questo tempo molte crisi, molti problemi di varia natura. Di fronte a tutti questi elementi, la prima domanda di Gutiérrez è: «E i poveri?». Lui stesso visse momenti difficili all'interno della Chiesa. Tutto ciò scompare dinanzi alla triste constatazione: «La povertà sussiste, e si approfondisce, abbreviando vite e speranze».

 

Il destino di questa teologia è visceralmente coinvolto nel destino dei poveri. Ogni volta che ci si chiede se la Teologia della liberazione sia giunta alla fine, sia passata di moda, la risposta nella prospettiva del pensiero di Gutiérrez sarebbe una sola:

 

«Se nel mondo non vi fosse più il povero in senso materiale, se la giustizia sociale fosse la moneta corrente, esso potrebbe cantare come il vecchio Simeone: ‘Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi han visto la tua salvezza’ (Lc 2,29-30)».

 

Unita a questa ossessione evangelica per i poveri, v'è una passione per la vita, tanto intimamente legata ai poveri. Da un lato, perché è a loro negata. Dall'altro, perché ogni impegno liberatore mira a un Regno di vita.

 

 

 

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