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Recensione del documentario “Oltre la cortina verde”, 2020, diretto da Caio Ferraz e Paulo Plà

La giustizia della felicità

eucalipto1

Il grido della Terra e degli impoveriti
Jequitinhonha: dall’utilizzo allo sfruttamento

Siamo in Jequitinhonha, un comune del Brasile nello Stato del Minas Gerais. Geograficamente questa regione è divisa in “chapadas”, pianure più alte, e “grotas”, zone molto ripide a fine valle, ricche di sorgenti e fiumi.
Un territorio ricco: i servizi ecosistemici di cui gode la popolazione locale sono molteplici. Grazie alla diversità vegetale spontanea, è praticato l’allevamento bovino. Alcune essenze vegetali sono usate dalla popolazione per curare la tubercolosi e per l’alimentazione di sussistenza.

A partire dagli anni '70 grazie ad incentivi fiscali, quest’area fu interessata da un progetto di riforestazione da eucalipto, principalmente utilizzato per ricavarne combustibile, ma anche per fondere il carbone ricavato dal legname con altri metalli in industrie siderurgiche (l’acciaio è una lega composta da ferro e carbone). Progetto a firma dell’impresa Acesita.

Arrivavano macchine mai viste prima, che tagliavano tutto con grosse catene. Chi non poteva permettersi di recintare la propria terra, la perdeva. Paradossale: recintare una terra che era fino a quel momento terra di tutti, animali e popolazione.”

La falsa promessa del lavoro fece in modo che molte persone accettassero di lavorare per la piantumazione dell’eucalipto, alberi maestosi originari dell’Oceania e introdotti nel territorio europeo nel XIX secolo, completamente “intrusi” nel territorio amazzonico. Per questo tantissimi lavoratori dovettero accettare di usare agrofarmaci, prima di tutto per domare le formiche, senza alcuna adeguata protezione per la propria salute.Poi furono tutti via via licenziati.

Disoccupazione.

Violenza.

Migrazione forzata verso San Paolo.
Le donne iniziarono a lavorare come domestiche nelle città, gli uomini nelle piantagioni di canna da zucchero.

Inaridimento.
L’eucalipto coltivato in monocultura e soprattutto da pianta alloctona (estranea cioè a quell’habitat) assorbe più di quattro volte l’acqua necessaria in un regime naturale, compromettendo l’equilibrio idrico suolo-piante. Per questo in pochi decenni, le sorgenti, da quelle più grandi a quelle più piccole, si inaridirono: si contavano 468 sorgenti tra gli anni '70 e '80, passate ad appena 46 nel 2018. Inoltre, gli allevamenti bovini spostati dalla valle ai fondivalle, più ripidi, ne alterarono l’equilibrio vegetale e idrico.

Acesita costruì dighe nella parte più alta e, una volta prosciugata l’acqua superficiale, creò un sistema di pompaggio per quella sotterranea, trasportata in idrobotti a valle, per irrigare le giovani piante o per raffreddare i forni industriali. Tutto ciò, in barba alle normative ambientali e alla gestione dei confini delle aree protette, dal momento che le piantagioni arrivano a ridosso o a volte all’interno delle aree protette.

Sistema agricolo invasivo: dopo il secondo taglio, veniva programmata l’uccisione dei vecchi alberi ad opera di un pesticida di alta tossicità e la piantumazione di nuove piante nelle interlinee.

Malattie respiratorie e oncologiche incrementate.

La valle verde e rigogliosa è stata trasformata poco a poco in “vale do fame”, valle della miseria, dicendo meglio in valle impoverita, in nome del progresso e della ricchezza ostentato dall’impresa Acesita, che oggi ha il nome di Aperam Bioenergia. A spese di Madre Terra, a spese delle persone.

Tanti sono gli interrogativi nei confronti di Aperam Bioenergia. 
Le risposte dei cittadini, delle persone, degli impoveriti invocano speranza e nonviolenza:

Io credo che oltre che un’impresa loro siano i nostri vicini di casa, vicini però distanti dalla comunità che viveva qui”;

io non sono una di quelle persone che dice che la colpa è dell’eucalipto: la colpa è delle politiche che non sono pensate per le persone”;

io credo che l’essere umano possa trovare una soluzione, così come chi comanda”;

la nostra lotta è per cercare di cambiare le cose negative di ciò che è stato fatto”.

Abbiamo da imparare la giustizia della felicità: non vale essere felici sull’infelicità di altri.

Oggi questo territorio è sostenuto dall’ONG CAV, Centro de Agricultura Alternativa Vicente Nica.Per saperne di più:

Il documentario è visionabile in lingua originale al link: https://www.youtube.com/watch?v=rEskFxZTbBQ.

 

Alessandra Pepe

giustiziaepace

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