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In memoria dei 35 anni dal martirio di padre Ezechiele Ramin, Antonietta Papa, superiora generale delle Figlie di Maria Missionarie racconta le sue giornate con Lele

Ho conosciuto Ezechiele

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Ho conosciuto padre Ezechiele fin dal suo arrivo a Cacoal. In quel periodo io svolgevo le funzioni di parroco in due parrocchie, insieme a suor Joana, una mia consorella brasiliana, e a suor Celestina, ormai anziana, tuttavia insostituibile per la pastorale dell’ascolto in città. La prima parrocchia, Pimenta Bueno, si estende su un area di 6.258,64 km²; per avere un’idea, è più grande della Liguria (5.416,21 km²). L’altra è più piccola e si chiama Espigão d’Oeste, ha una superficie di 4.518 km², quasi quanto il Molise (4.460 km²).

In quell’epoca le due parrocchie erano sprovviste di sacerdoti e quindi erano state affidate a noi suore Figlie di Maria Missionarie. So che può sorprendere una tale affermazione, ma con l’eccezione della celebrazione Eucaristica e delle Confessioni, amministravamo la parrocchia con tutte le sue peculiarità che sono simili a una parrocchia italiana. Vi erano le seguenti attività, svolte da appositi gruppi di responsabili i vari livelli di catechesi: per i piccoli, gli adolescenti, i giovani; - l’animazione liturgica, dove si preparavano anche le riflessioni che sarebbero poi rifluite nell’omelia domenicale. - pastorale sociale, affidata a varie commissioni che si occupavano della gioventù, della terra, dell’infanzia, dei lavoratori, delle lavandaie… - il percorso per la preparazione ai sacramenti del battesimo e del matrimonio.

Conservo gelosamente una lettera di p. Ezechiele che mi chiedeva di preparare un suo parrocchiano al sacramento del battesimo. Ne trascrivo e traduco dal portoghese un brano: «Sono certo che nel decorrere del periodo di catecumenato (che lui concorderà con te e senza fretta) egli scoprirà il Vangelo come annuncio della salvezza in Gesù Cristo che opera nell’impegno assunto con la Chiesa per i fratelli più poveri. Sarà quindi capace di fare nella verità quella “bella confessione di fronte a numerosi testimoni” (1Tim 6,12) con sincerità e cuore ben aperto. Cerca anche di stabilire un processo di avvicinamento all’Eucarestia per dare pieno compimento alla ricchissima eredità “quae ex historia et experientia Populi Dei paulatim creverat”. Bisogna aver cura del germoglio affinché la vita possa donarci i frutti».

Questo brano di lettera (che si conclude con un paragone che è un richiamo ad una canzone di Milton Nascimento) rivela molto della spiritualità di Ezechiele, della sua azione pastorale ferma, sicura e nello stesso tempo flessibile, adeguata a ciascuna persona. Per quel ragazzo di 26 anni non ancora battezzato propone un cammino progressivo e ponderato, senza fretta di giungere a ricevere il sacramento; mi chiede di prepararlo con un annuncio che lo porti ad impegnarsi nella vita perché possa essere cristiano convinto e quindi testimone.

Ezechiele sa che è nell’equilibrio tra antico e nuovo che si muove la storia della salvezza ed anche la nostra storia. Scrive poi parlando di sé: «Ho scoperto con la vita una cosa bella: la fede in Dio ci porta all’azione. Ho lasciato il pensare e l’agire spirituale che mi preoccupava in Italia, mi sento più libero e più maturo». Ed egli trasmetteva questa libertà appena scoperta. A livello diocesano ci incontravamo con p. Ezechiele nelle due commissioni della pastorale vocazionale e della terra. Ne ricavavo ogni volta un impressione singolare.! Aveva sempre pronta una sua riflessione, doveva sempre puntualizzare. Quante feconde discussioni avvennero! Inoltre ci incontravamo almeno una volta al mese. Quando poteva, veniva nella parrocchia di Espigão per la celebrazione e in tono scherzoso mi chiedeva il permesso di predicare, poiché «la parrocchia è tua – diceva – qui comandi tu». Veniva per consacrare le particole che sarebbero poi servite per le funzioni in parrocchia e nelle comunità di base, che allora erano davvero tante e diffuse. Erano lontane fra di loro e si percorrevano a volte più di 150 km per arrivare a destinazione; quando era possibile, ci accompagnavano un sacerdote o un pastore luterano. Il 9 febbraio è il suo compleanno.

È arrivato in Brasile pieno di vita, con mille idee per la testa, tanti obiettivi da raggiungere, programmi da stabilire… Era riflessivo eppure sempre in movimento. Lo aspettavo la sera stessa di quel 24 luglio nella sede diocesana per preparare una riunione. «Non fare tardi» gli avevo detto. All’alba mi ha svegliato lo squillo del telefono. Padre José e padre Joao concitati mi chiedevano di svegliare il vescovo dom Antonio. Ezequiel era rimasto laggiù, nella fazenda Catuva... Ezequiel è rimasto in Brasile, dove continua ad essere querido. È rimasto nel cuore e nei sogni di ogni giovane che davanti a Dio si impegna per la giustizia nella verità e nell’amore. Uno scritto di Ezechiele sempre mi riecheggia e nei momenti difficile lo rileggo e vi trovo forza e sostegno per continuare un altro pezzetto di cammino: «Io seguo la strada del missionario ma questo non perché io abbia scelto Dio ma perché Dio mi cerca e continuamente mi chiede se lo voglio seguire. Me lo chiede quando aiuto la gente che ha dei problemi, quando mi caccio nei guai per loro, quando difendo l’uomo, quando mi sforzo di non considerare mai nessuno come irrecuperabile, quando credo ad una persona anche quando mi inganna. Io credo a Cristo, non mi potrà ingannare! Amare non è un utopia! In un tempo come il nostro, che ha soffocato Cristo tra i grattacieli, l’asfalto, le strade, i treni, le macchine, occorre trovare il volto di Cristo tra i fratelli, anche se vestono male, anche se non li conosciamo».

Grazie Ezequiel.

Antonietta

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