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Lettera di fratel Alberto Degan dall'Ecuador, con l'augurio che Gesú mantenga sempre viva in noi la capacitá di sognare e lottare per un mondo piú giusto.

Un popolo di visionari

Lettera agli amici

Violenza, un fenomeno complesso
Come dicevo nella mia ultima lettera, in tutti i quartieri di Guayaquil è aumentato il tasso di violenza.
Anche per i poveri la prioritá è diventata adesso la sicurezza. Addirittura hanno cominciato a chiedere la ‘vacuna’ (il ‘pizzo’) anche ai poveri conduttori di moto-taxi, che con il loro lavoro a malapena riescono a garantire ai propri figli il pranzo quotidiano.
In molti quartieri, dopo le otto di sera la gente si chiude in casa. Addirittura, nel barrio “las Lajas”, di 40 famiglie ne sono rimaste solo 5, gli altri sono fuggiti. Perché anche chi è lontano parente di un trafficante o di un membro di una banda armata si sente esposto alla vendetta della banda avversaria, e quindi non si sente sicuro. Tre interi isolati si sono spopolati. E dov’è fuggita la gente?
Non nella regione di Esmeraldas, dove pure vivono tanti loro familiari, perché adesso anche lí c’è tanta violenza. E cosí molti di loro si rifugiano al di lá della frontiera. Sembra assurdo volersi rifugiare in Colombia per sentirsi al sicuro, ma questo è quello che sta succedendo in vari casi.
A tutto ció lo Stato risponde mettendo qualche poliziotto in piú per controllare le strade, ma non è cosí che si risolve il problema. Perché la violenza non è solo l’uso delle armi, ma è un fenomeno ‘globale’, che dovrebbe essere affrontato nella sua complessitá. Purtroppo, il Governo non sembra avere gli strumenti culturali – né la volontá politica - per affrontare questa sfida. Ecco cosa dice padre Antonio Maeso, responsabile della Pastorale Sociale della Chiesa di Esmeraldas: “Molti problemi esistevano giá da prima, ma la pandemia li ha acutizzati. Io credo che tutta questa violenza è anche frutto di due anni senza aule, senza scuola, senza un obiettivo nella mente dei nostri adolescenti. Dobbiamo ritornare in classe. In Ecuador solo il 30% dei bambini ha avuto accesso alle classi virtuali, e solo un 10% di privilegiati hanno avuto accesso permanente a una educazione che li aiuti a crescere. Tutti gli altri sono rimasti esclusi. E non solo esclusi da nozioni e conoscenze. La funzione della scuola non è solo quella di trasmettere nozioni, ma di contribuire a uno sviluppo umano integrale. La scuola serve per costruire persone. Per questo, la mancanza della scuola ha fatto aumentare la violenza, in tutte le sue manifestazioni: violenza intra-familiare, violenza di genere e violenza strutturale dello Stato, che promette molto e realizza poco. In Ecuador è difficile trovare certe medicine, molti non possono permettersi di pagare l’assicurazione sanitaria, non possono pagarsi una visita medica, un’analisi del sangue, etc.. Inoltre, ci sono poche opportunitá di lavoro,
poche opportunitá di accedere all’Universitá. Insomma, la violenza include vari fattori: è un fenomeno olistico, integrale, che sta togliendo la dignitá alle persone. Tutte queste con-cause portano alla disperazione e all’aggressivitá.

E noi cosa possiamo fare? Noi possiamo agire solo dal ‘micro’ al ‘macro’. Io posso cambiare il mondo solo se cambio il mio piccolo spazio, solo se mi impegno perché nella mia famiglia non ci sia violenza, solo se agisco pensando agli interessi di tutta la mia comunitá, solo se siamo solidali nel nostro quartiere, se ci uniamo per esigere che lo Stato garantisca acqua e salute a tutti i cittadini, solo se insieme lottiamo perché tutti possano vivere degnamente”.

Anche il carcere continua ad essere una grande sfida. Il 9 maggio c’è stato un altro massacro nella prigione di Santo Domingo, la terza cittá ecuadoriana, con 50 morti. Quanto a Guayaquil, stavano preparando un attentato dinamitardo al carcere degli adulti. Tre uomini stavano mettendo della dinamite su un drone, che presumibilmente avrebbero poi lanciato sulla prigione, per aprire un varco e far uscire alcuni carcerati. Ma il piano non ha funzionato: la dinamite è scoppiata tra le mani dei tre attentatori, che sono morti 50 metri fuori dal carcere.

Naturalmente, l’ondata di violenza non cancella gli altri problemi, soprattutto quello della mancanza di risorse necessarie per il sostentamento della propria famiglia. E cosí, la preoccupazione per la situazione economica accompagnata dallo stress dell’insicurezza crea una miscela micidiale che ultimamente ha provocato vittime tra giovani mamme. Le donne sono quelle che piú di tutti sentono il peso di questa ‘miscela’. Ad esempio, Wendy, una giovane mamma di 27 anni, è morta di infarto lo scorso mese: tre settimane prima le avevano ucciso il fratello, la madre era gravemente malata, e lei lottava – quotidianamante – con lavori saltuari, per mantenere i tre figli. Il suo cuore non ha retto.
Una settimana dopo è stata la volta di Pilar, giovane mamma di 24 anni, che vive in uno dei quartieri piú violenti di questa violenta cittá, Sociovivienda. Stressata dalle continue sparatorie del suo barrio, e preoccupata di trovare i soldi per iscrivere i due figli a scuola e comprargli l’uniforme scolastico, non ha retto ed è morta di infarto.
Si calcola che, dall’inizio dell’anno, nella nostra cittá (includendo anche l’area suburbana di Durán) ci sono stati mediamente 6 morti assassinati ogni giorno. Di fronte a questo la gente reagisce chiudendosi in casa e non incontrandosi piú. Che fare, dunque?

Lottare su vari fronti
Il primo passo da fare, credo, è tornare ad incontrarci. E di fatto in quattro quartieri ci stiamo riunendo, soprattutto con gruppi di donne. E poi abbiamo cominciato una serie di incontri a casa nostra, nel Centro Afro, intitolati “Costruttori di pace”: è uno spazio di riflessione e appoggio reciproco, dove condividiamo – con gente di diversi quartieri – come stiamo vivendo questa situazione; poi leggiamo la Parola e, alla luce del Vangelo della pace, cerchiamo alcune possibili piste da percorrere. La cosa piú importante è non restare soli di fronte alla violenza, e creare ponti e reti.
Come dicevamo prima, la violenza è un fenomeno integrale, che si combatte su diversi fronti. E dunque, se questa situazione ti porta a rinchiuderti e a isolarti, la violenza si combatte – innanzi tutto - tornando a riunirci, a parlarci, ricostruendo il tessuto comunitario.
La cosa fondamentale, credo, é capire che la pace non è qualcosa che viene da fuori, e che da un momento all’altro cadrá dal cielo: la pace potrá essere frutto solo del nostro impegno.
Il Regno di Dio é in mezzo a voi” (Lc 17,21), dice Gesú. Il Regno di giustizia e pace è “tra di voi”, dice il testo greco, ma in un senso dinamico: il Regno – la pace – è un dono che ci offre Dio e allo stesso tempo è responsabilitá dell’uomo. Dio ci offre la pace, ma poi tocca a noi accogliere questo dono e trasformarlo in realtá nella nostra vita familiare, comunitaria e politica. Perció potremmo tradurre il versetto che stiamo analizzando in questo modo: “Il Regno di Dio é affidato a voi, è nelle vostre mani”. Come dice Colin Roberts, “Dobbiamo eliminare l’equivoco che ci fa credere che il Regno di Dio sia qualcosa di esterno alle persone, indipendente dalla nostra volontá e dal nostro agire”. E così la violenza non è un fenomeno esterno, una ‘calamitá’ che è arrivata chissá da dove e che noi - chiusi ciascuno nella sua propria casa - dobbiamo semplicemente aspettare che passi e se ne vada. La costruzione della pace richiede lo sforzo e l’impegno di tutti noi, un impegno ispirato da Dio. E dunque domandiamoci: Ci sentiamo responsabili della realizzazione del Regno? Ci stiamo impegnando per accogliere il dono della pace nelle nostre famiglie e nei nostri quartieri? O in noi prevale un atteggiamento di noncuranza e passivitá?

Naturalmente, la nostra attivitá apostolica è solo una goccia ma… guai se non ci fosse questa goccia!
Come Comunitá di Apostolato Sociale, abbiamo deciso di riprendere, dopo piú di tre anni, la Pastorale penitenziaria, iniziando – per il momento - dal carcere minorile. Abbiamo anche iniziato una collaborazione con un Centro di recupero per tossicodipendenti gestito da una Chiesa evangelica. E’ bella questa collaborazione con gli Evangelici. Di fatto, una delle cose che mi rattrista di piú è vedere che a tutti i problemi che stiamo vivendo si aggiunge quello della ‘rivalitá’ tra le diverse denominazioni religiose, che causa tanta divisione in mezzo alla nostra gente, proprio in un momento in cui ci sarebbe bisogno di maggior unitá e fraternitá. Con Edison, Richard, José, Moisés e altri giovani che stanno lottando per lasciare il ‘vizio’ della droga, cerchiamo il cammino che ci porti a un cambiamento fondamentale nella nostra vita, un cambiamento che è impossibile portare avanti con le sole nostre forze, ma che diventa possibile se ci mettiamo nelle mani di Dio: “Egli perdona tutte le tue colpe,/ guarisce tutte le tue malattie;/   salva dalla fossa la tua vita,/ti corona di grazia e di misericordia;/… e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza” (Salmo 103). Per me è un vero dono leggere la Parola con loro, perché in questo modo Dio mi sta aiutando a credere che anche per me è possibile rinnovarmi come aquila.
La droga è un problema che ha assunto proporzioni devastanti qui in Ecuador. Tra l’altro, il traffico di droga e il controllo di questo traffico à la principale causa della violenza tra bande contrapposte.
Come abbiamo giá detto, la violenza si combatte su vari fronti…

Pentecoste
Abbiamo da poco festeggiato la solennitá di Pentecoste, invocando lo Spirito che si effonde su ogni persona. Come dice Pietro, citando il profeta Gioele: “Io effonderò il mio Spirito sopra ogni persona; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno dei sogni” (Atti 2,17). Pietro ci dice che nella comunità cristiana lo Spirito si effonde su tutti. Non è che c’è una categoria di persone di serie A depositarie della volontà dello Spirito, e una categoria di persone di serie B su cui lo Spirito non agisce mai. Ogni persona porta dentro di sé l’alito dello Spirito, un soffio divino capace di sognare e immaginare il mondo come nessuno l’ha mai fatto prima.
Lo Spirito soffia proprio su tutti: sui figli e le figlie, cioè su uomini e donne, sui giovani e sugli anziani. Mentre il sistema dominante ci considera persone da ‘addormentare’ e da indottrinare al dogma del ‘Pensiero Unico’ e alla logica della guerra, il Padre pensa che ognuno di noi è un profeta, un visionario, capace cioè di immaginare, sognare e realizzare cose mai viste prima.
In particolare, la società considera i giovani come persone da inquadrare in schemi e cammini già prestabiliti: spesso non si aspetta nessun contributo, nessuna novità da loro. Dio invece sa che nel cuore dei giovani c’è una visione, il desiderio di un mondo di bellezza e giustizia, e vuole valorizzarla.
Quanto agli anziani, la società pensa che ormai non servano più a niente, mentre Dio li valorizza come persone che, grazie anche alla loro esperienza e sapienza, sono in grado di sognare sogni belli che possono arricchire tutta l’umanità.
Insomma, di fronte a un sistema che vorrebbe che accettassimo come ‘normale’ l’ingiustizia e la violenza, il Signore non può limitarsi a suscitare un profeta, ma ci chiama tutti ad essere sognatori e visionari. In altre parole, Dio non vuole che stiamo lì ad aspettare a braccia conserte un guru che ci indichi la via da seguire, ma ci propone di essere tutti profeti. Il nostro sistema educativo – famiglia, scuola, parrocchia, comunità, etc. - dovrebbe investire molte energie su questo: educare ed educarci a diventare profeti e visionari. Mai come oggi sognare un mondo diverso è un imperativo morale e spirituale.

Naturalmente, questo potere visionario ha anche una valenza politica: il profeta è colui che, abitato dallo Spirito, intravvede un mondo in cui i rapporti tra i popoli non saranno più determinati dalla violenza e dalla prepotenza, un mondo in cui sarà scomparsa la guerra: “Farò sparire il carro da guerra da Efraim... l’arco da guerra sarà spezzato” (Zc 9,91-0).
Delle loro lance faranno falci... non impareranno più l’arte della guerra” (Is 2,4).
Come afferma Luciano Manicardi, “La visione e l’immaginazione profetica fa avvenire ‘altro’ nel mondo e destina il mondo stesso a essere altro da ciò che è. Suo compito è dare voce ed espressione a desideri e speranze troppo a lungo represse”.
Che lo Spirito di Gesú continui a suscitare in noi sogni, e ci aiuti ad essere instancabili visionari e instancabili operatori di pace, in Ecuador, in Italia, e nel mondo intero!

Un abbraccio fraterno!,
fratel Alberto

 

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