Che cos'é mai questa benedetta globalizzazione?

Riflessione di Jean-Léonard Touadì

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dalla globalizzazione dei profitti alla globalizzazione dei diritti

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E’ importante riflettere sulla globalizzazione e domandarsi: ”Che cos’è mai questa benedetta globalizzazione?” Mondializzazione e internazionalizzazione sono due concetti simili ma diversi: la globalizzazione è un fenomeno che ci ha messo di fronte a una nuova realtà. Il 1492, anno di scoperta dell’America e 1519, anno della prima circumnavigazione della Terra , sono due date importanti parlando di globalizzazione. Esse segnano il primo nucleo importante di mondializzazione dell’economia attraverso il commercio triangolare (madrepatria, colonia, mercato europeo) e il primo allargamento significativo dell’economia mondiale. L’Europa guida questo processo per i propri interessi e i propri scopi.

 Possiamo introdurre a questo punto due termini:

1) polarizzazione: l’Europa diventa un polo centrale che ha bisogno di manodopera, di prodotti minerari e agricoli. Essa li prende in altri paesi e guida questo commercio per i propri interessi;

 2) subalternizzazione: le altre aree del mondo entrano nell’economia mondiale in posizione subalterna, secondaria.  Questo primo nucleo di economia mondiale non è molto cambiato. L’economia che si svolge tra nazioni che commerciano ciascuno secondo i propri interessi, adottando ciascuno una politica di protezionismo, è ancora un’economia che si svolge tra nazioni, detta quindi internazionale, internazionalizzata.

 Con la seconda guerra mondiale, l’avvento di due grandi rivoluzioni di tipo scientifico-tecnologico ci portano alla globalizzazione :

1) rivoluzione dei trasporti che fa diventare la distanza materiale un fatto relativo, permette cioè un superamento dello spazio;

 2) rivoluzione delle telecomunicazioni, delle trasmissioni in contemporanea che polverizzano il concetto di tempo per cui esso diventa un fatto relativo.

Mac Luwa parla a questo proposito di rivoluzione di costume, di villaggio globale: il mondo è diventato un villaggio globale, cioè uno spazio che grazie alla tecnologia diventa piccolo, e facilita così gli scambi commerciali, i contatti, il giro dei capitali finanziari, ecc.

 A questo punto se si vede la globalizzazione come frutto di un processo tecnologico, mentale e culturale come si fa a negare questo processo che è già avvenuto? Come si fa a dire che siamo contro la globalizzazione, contro la tecnologia? La globalizzazione, come processo tecnologico, è un dato di fatto, rifiutarla sarebbe come rifiutare i globuli bianchi del mio corpo.

 Il problema è che la globalizzazione è stata confiscata poi esclusivamente dall’economia, dai mandarini del capitale che hanno visto nella tecnologia la molla, la spinta propulsiva per l’economia e se ne sono appropriati, mettendosi alla guida di questi processi. L’economia si è impadronita della globalizzazione.  Ma dov’erano le altre istanze sociali mentre ciò accadeva? Perché nessuno li ha bloccati? Bauman nel libro “Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone” dà una definizione soddisfacente di globalizzazione che ci fa uscire da questo dibattito pro global e no global: globalizzazione come “compressione dello spazio e del tempo”. I  processi  di globalizzazione non presentano quell’unicità di effetti solitamente loro attribuita: in realtà racchiudono profonde trasformazioni che  investono tutta la nostra vita. Gli usi del tempo e dello spazio inducono essi stessi differenze tra le persone: “la globalizzazione divide tanto quanto unisce” e le cause della divisione sono le stesse che promuovono l’unità del globo! Ci sono i globalizzati e quelli che invece sono condannati alla loro dimensione locale. La stessa libertà  di movimento diventa il principale fattore di mutamento sociale: chi va avanti vince, chi rallenta è perduto e chi arretra muore. I globali fissano le regole del gioco: alcuni danno il passo della danza, altri sono condannati ad essere se non seduti, sdraiati!

Si sono creati così due problemi:

1) un’esasperazione degli estremi della povertà e della ricchezza a livello mondiale. La conferenza di Bandung in Indonesia nel 1955 (29 stati afro-asiatici condannano il colonialismo, la discriminazione razziale e l’armamento atomico- i paesi non allineati devono decidere tra il patto atlantico e il patto di varsavia) porta i paesi del sud del mondo a rendersi conto che la loro povertà è frutto, è una conseguenza di quest’economia. Si presenta così un’istanza di un nuovo ordine mondiale.

Lo stesso Papa Paolo VI. nella sua “Popolorum progresso”  dice :”Chi vuole la pace deve promuovere la giustizia!”

2) I ricchi non solo consumano ma si preoccupano di mandare in onda le immagini del loro banchetto! Considerano inutili le persone che non sono in grado di produrre, né  di consumare, e questi sono 1 miliardo e 500 milioni di persone! 800 milioni di persone non riescono a mangiare quando qui si  muore di liposuzione, 24000 bambini muoiono ogni giorno. Il 20 per cento della popolazione mondiale consuma l’80 per cento delle ricchezze, mentre l’80 per cento si accontenta delle briciole e da un punto di vista economico è considerato inutile.

Dal punto  di vista della stabilità, della sicurezza globale abbiamo interesse a preoccuparci di questo bubbone di instabilità che sta crescendo nel nostro corpo … non possiamo permetterci il lusso dell’allargarsi di questo divario tra il benessere di alcuni e la miseria dei più.

3) Non possiamo dimenticare gli effetti ambientali di questo modello di sviluppo basato sul consumo infinito: possiamo allargare questo nostro modello di sviluppo e con quali conseguenze? Se lo proponessimo anche  all’India, alla Cina non incorreremo in una sorta di catastrofe ambientale? Pensare che solo gli USA producono il 34% dell’anidride carbonica mondiale! Quanta ne produrrebbero i cinesi? Nel giro di 30 anni rischiamo un collasso ambientale! Per questo dobbiamo rivedere questo modello economico. Il problema dell’acqua, per esempio, che è una risorsa limitata, diventerà un problema serio nel nostro futuro prossimo: gli esperti dicono che le guerre in futuro saranno guerre per l’acqua.

Assurgerà a uno dei nodi geopolitici come il petrolio adesso: già ora ci sono conflitti tra Egitto e Sudan per il controllo delle fonti  del Nilo.

4) Con le sue logiche che privilegiano la massima del profitto, l’allargamento del mercato rischia di avere effetti di ritorno anche sulla nostra società dell’opulenza. Per questo attualmente non si può più parlare di Nord - Sud del mondo perché siamo tutti sulla stessa barca, ma di Centro- Periferia intendendo  con Centro il mondo finanziario - economico (le 500 aziende in grado di influenzare i mercati di cui solo 2 italiane) e Periferia tutti quelli che in questi processi non contano. Si tratta di un processo poco democratico in cui la politica non conta: è importante capire che se la barca è unica, l’acqua entra prima nei piani bassi, ma poi raggiunge anche i piani alti e chi continua a ballare di sopra mentre l’acqua inizia a entrare è solo provvisoriamente felici.

5) Il fenomeno dell’immigrazione: è una spia rossa di quanto il motore della nostra barca non funzioni, di rapporti falsati a livello economico e geo-politico all’interno del nostro mondo. Rappresenta un  monito che qualcosa non va, ma allo stesso tempo una speranza, un’occasione di pro-vocazione, che ci chiama a riflettere sulle contraddizioni di questo processo di globalizzazione. Queste istanze attendono una risposta, oggi, subito! E dobbiamo trarla dalla stessa economia, allargando alle motivazioni etiche, dobbiamo cambiare le cose per costruire un mondo meno disordinato. Insieme possiamo riflettere e camminare. La parola non è solo un flatus voci, un semplice vociare, ma è creativa, serve a farci riflettere!

6) Io sono fiducioso che le cose possano cambiare ma solo nella misura in cui le persone usciranno dal loro letargo! I poveri nella loro disperazione stanno cercando di creare circuiti alternativi di distribuzione, di commercio al di fuori dell’economia ufficiale. Ci hanno insegnato:

a) che non sono passivi, ma diventano e sono attivi nella misura in cui noi li riconosciamo soggetti e non oggetti, semplici destinatari;

b) che l’economia per sua definizione (dal greco oikos e nomos) deve occuparsi delle cose della casa, cioè cibo, acqua,  salute, scuola, ecc. I poveri possono aiutare l’economia a ritrovare questa sua vera essenza!

c) quest’economia dei poveri ha recuperato dei valori persi dall’economia tradizionale: le valenze sociali, antropologiche e culturali per le quali non conta solo il profitto. Il protagonismo dei poveri: se c’è oggi un senso dell’andare nel sud del mondo (e i poveri sono stufi di vederci scorrazzare a destra e manca) è andare a rafforzare questi nuclei di resistenza, per aiutarli a smettere di guardare il cielo degli aiuti umanitari e iniziare a interessarsi  della loro terra e dei suoi frutti!

Allora i volontari internazionali non saranno più fautori dello sviluppo, ma testimoni del parto della speranza che sarà duraturo nella misura in cui i poveri saranno autogestiti. Bisogna iniziare a lavorare CON i poveri e non più PER i poveri.

 

 

Danilo Castagnedi :”Dagli angoli del mondo”

 

Avevo fame e voi avete dato il mio cibo in foraggio al vostro bestiame dall’allevamento.         

Avevo fame e le vostre multinazionali hanno piantato per voi, nelle mie terre, i pomodori invernali.

Avevo fame e voi non avete voluto rinunciare alla vostra bistecca importata dal Sud America.   

Avevo fame ma là dove avrebbe dovuto crescere il mio riso per il mio pasto quotidiano viene coltivato the per voi.

Avevo fame ma dalle nostre canne da zucchero e dalla nostra manioca voi avete distillato carburante per le vostre automobili.

Avevo fame ma con il vostro denaro voi avete potuto comperare il cibo che io non potevo pagare.

Avevo fame ma nella mia terra vengono piantati frutti esotici per i ghiottoni dei paesi ricchi come il vostro…..