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Ched Myers: Il sabato del villaggio (globale)

tratto da NIGRIZIA

Il sabato del villagio

(globale)

di Ched Myers

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di Ched Myers, biblista statunitense. Questo articolo è il condensato di alcuni interventi apparsi sul bimestrale Soujournes di Washington (www.soujournes.com).

Tratto da http://www.nigrizia.it (ottobre 2000)

 

È compito della teologia occuparsi di economia, ma secondo una visione completamente alternativa: quella della Bibbia. Manna, sabato, giubileo, insegnamenti e vita di Gesù riletti dal cuore dell'attuale sistema economico globale: gli Usa.

Non è il sesso. Non è nemmeno la politica. Il vero tabù della teologia è l'economia.
"Spendiamo i nostri soldi come se non conoscessimo il Vangelo; e leggiamo il Vangelo come se non avessimo soldi". Il gesuita John Haughey ribadisce un sentimento diffuso tra i teologi e nella Chiesa degli Stati Uniti.
Eppure oggi non c'è altro aspetto che incida sulla vita intellettuale e collettiva quanto quello economico, e pochi altri argomenti sono trattati in modo così approfondito nelle scritture quanto quelli economici.
La principale sfida che la famiglia umana oggi deve affrontare è l'iniqua distribuzione di ricchezza e potere. Un modello economico che trasferisce la ricchezza dai sempre più poveri ai sempre più ricchi. (L'autore lo definisce trickle up, letteralmente "gocciolare all'insù", ironico e polemico riferimento al trickle down, modello teorico secondo il quale in un paese in crescita economica la ricchezza dei ceti più benestanti beneficherebbe "naturalmente" anche quelli più poveri, ndr). Le politiche neoliberali di aggiustamento strutturale non solo rendono più dura questa polarizzazione, ma rendono più profonda l'alienazione fisica e sociale.
Quando vediamo che il fruttivendolo deve chiudere, o che le aziende agricole familiari non ce la fanno, anche noi, nel Nord, siamo testimoni di quella distruzione che come un'epidemia ha devastato le culture locali, le istituzioni e la natura nel Sud.
Ogni teologia che si rifiuti di affrontare queste realtà è irrilevante. E crudele. Noi cristiani abbiamo il dovere di discutere di economia, di parlarne attraverso l'economia del Vangelo. "Le chiese sono rimaste forse gli ultimi luoghi nella nostra cultura dove si può parlare apertamente di valori e non di mercato", sostiene Cornel Wesa, docente di studi afroamericani e di filosofia della religione a Harvard. Coloro che cercano di sfidare il capitalismo postmoderno e il suo mercato autoreferenziale già stanno lottando per trovare un linguaggio e una pratica alternativa. In un contesto di apparente discredito del socialismo, questo vuoto ideologico offre alla chiesa un'opportunità unica: riscoprire una visione radicalmente "altra" di una prassi sociale ed economica. Questa visione si fonda sul cuore stesso delle Scritture.
La Bibbia non accetta l'ingiustizia come una condizione permanente. Anzi, al popolo di Dio vengono date le istruzioni per smantellare i principali codici e strutture di una ricchezza e di un potere stratificati, affinché tutti ne abbiano a sufficienza. Questa visione della società e dell'economia viene espressa in diversi registri: dal racconto dell'Esodo (capitolo 16), nelle leggi del Levitico (25), nelle esortazioni del Deuteronomio (15), nelle profezie di Isaia (5), nelle parabole di Gesù (Matteo 25), negli appelli accorati degli apostoli (2 Corinzi 8-9). 

Non tradire il sabato
"Sabato" deriva dall'ebraico shabat, che significa riposarsi, o smettere di lavorare. Appare per la prima volta nella Bibbia al culmine del racconto della creazione (Genesi 2) e costituisce in tutti i libri il fondamento della visione sociale ed economica della Bibbia. Gli uomini sono invitati a imitare Dio nel praticare il sabato: pensiamo al racconto archetipo di fame e di pane dell'Esodo (la manna del capitolo 16), racchiuso tra le storie di sete e di acqua.
Gli antichi israeliti, come i moderni nordamericani, non riuscivano a immaginare un sistema economico diverso da quello dominante, allora l'egiziano: un sistema complesso, militare, industriale, tecnologico, che li aveva resi schiavi. Gli israeliti erano stati liberati dalla schiavitù, ma si trovavano ad affrontare la dura realtà di come sopravvivere al di fuori del sistema imperiale, di dove trovare da mangiare.
La manna non è solo un miracolo che riempie la pancia. È l'alternativa di Dio all'economia dell'Egitto: il pane che piove dal cielo è simbolo della coltivazione e del raccolto come doni di Dio. La prima rivoluzione del popolo liberato riguarda un modi di produzione economico!
Mosé ci lascia tre precise istruzioni per utilizzare questa economia alternativa.
1. Ogni famiglia deve raccogliere quanto basta per i propri bisogni. Nell'economia di Dio non c'è posto per il troppo o il troppo poco: questo contrasta radicalmente con l'infinita tolleranza del capitalismo moderno per la ricchezza e la miseria. Questa teologia del quanto basta è sottolineata da un'altra versione del racconto della manna, probabilmente posteriore (Numeri 11), dove il popolo che continua a lamentarsi perché aveva solo la manna e niente carne, viene punito da "troppa" carne.
2. La manna non può essere accumulata e immagazzinata. In Egitto ricchezza e potere erano definiti da un accumulo di surplus. Non a caso il lavoro forzato per il popolo di Israele consisteva nel costruire città-magazzino per il faraone (Esodo 1), nelle quali si raccoglievano i frutti del saccheggio imperiale e le tasse dei popoli sottomessi: anche questa accumulazione prefigura il capitalismo moderno. La Bibbia capisce che le civiltà dominanti esercitano una forza centripeta e assorbono lavoro, risorse, ricchezze in una sempre più grande concentrazione di potere idolatrico (l'archetipo di questo processo è la storia della torre di Babele, Genesi 11). Così Israele viene invitato a far circolare la ricchezza ridistribuendola, e non a concentrarla accumulandola. 
3. Il comandamento di osservare il sabato è stato dato ancor prima dei dieci comandamenti sul monte Sinai. Se qualcuno non osserverà il sabato, morirà (Esodo 31). Il sabato è l'inizio e la fine della legge.
Noi quindi rendiamo volgare (e perfino profaniamo) il sabato se lo consideriamo semplicemente come un giorno in cui gli ebrei compiono solo lo stretto indispensabile. La prescrizione di un riposo periodico per la terra e per gli uomini che lavorano significa distruggere il tentativo (la tentazione) dell' uomo di controllare la natura e di massimizzare la produzione.
La storia della manna mostra che l'uomo dipende da una divina economia di grazia. Osservare il sabato significa ricordarsi ogni settimana di due principi cardine dell'economia: L'obiettivo del "quanto basta" per ognuno, e la proibizione dell'accumulo di ricchezze. Questa visione contrasta totalmente con l'economia che conosciamo oggi. D'altronde questa nostra incredulità viene anticipata con un certo umorismo dalla stessa Bibbia: il termine manna deriva dall'espressione di incredulità "che cos'è?".
Il codice di giustizia sociale del sabato si allarga a un ciclo di sette anni (Esodo 23) dove potranno liberamente mangiare anche i poveri e gli animali selvatici; il libro del Levitico definisce il giubileo come l'anno del sabato per eccellenza (si celebra dopo il 49° anno, cioè ogni sette cicli di sette anni): suo scopo è smantellare le strutture della disuguaglianza sociale ed economica attraverso la remissione dei debiti ai membri della comunità; la ridistribuzione della terra agli originari proprietari; la liberazione degli schiavi. La ragione profonda di questo unilaterale riequilibrio della comunità è basata sulla consapevolezza di Israele che la terra appartiene a Dio e che il popolo dell'esodo, liberato dalla schiavitù dell'Egitto, non deve mai tornare a un sistema di nuova schiavitù.
L'autore del Deuteronomio (15) dunque si spinge così in là da includere nell'anno del sabato la cancellazione dei debiti. Si trattava di un limite posto all'inevitabile tendenza della società umana a concentrare il potere e la ricchezza nelle mani di pochi, creando una gerarchia di classi. Nelle società agricole come l'Israele biblico (o come parte del Sud di oggi) il ciclo della povertà inizia quando una famiglia cade nella spirale del debito, che si aggrava quando la famiglia arriva a vendere la terra per pagare gli interessi, e si conclude con le persone che vendono l'unica cosa loro rimasta: la propria forza-lavoro. Diventano così schiavi. Nell'antichità non esistevano banche e quindi erano i grandi proprietari terrieri ad avere denaro per concedere prestiti, ed erano loro ad aggiungere gli schiavi nelle loro proprietà.

Prigionieri dell'ortodossia del mercato
La chiesa riesce ad ascoltare a stento questa buona novella. La nostra teologia è stata a lungo prigioniera dell'ortodossia del mercato del capitalismo moderno. Così le nostre paure ci hanno convinto che il giubileo biblico è, nelle migliori delle ipotesi, un'utopia - nella peggiore, ideologia comunista. 
Questo ci riporta ancora una volta alla Bibbia: non c'è dubbio che il comandamento di osservare il sabato fosse regolarmente dimenticato da quegli israeliti che volevano consolidare la loro posizione sociale e le loro ricchezze. 
Il tradimento del sabato da parte di Israele diventa un rimprovero costantemente ripetuto dai profeti. Isaia accusa la leadership di aver derubato i poveri (Isaia 3,14-15); Amos accusa i commercianti di considerare il sabato un ostacolo per i loro profitti, e di trattare i poveri come un gruppo da sfruttare invece di salvaguardare il loro diritto di spigolatura (Amos 8,5-6); Osea lamenta come la fedeltà al commercio internazionale abbia preso il posto dell'alleanza con l'economia divina della grazia (Osea 2,7). Ma la tradizione più esplicita è quella che attribuisce la caduta di Gerusalemme all'incapacità del popolo di osservare il sabato (2 Cronache 36,20-21; anche Levitico 26,34-35).

Anche (e soprattutto) Gesù
Ma il richiamo dell'economia del sabato definisce il cuore stesso dell'insegnamento di Gesù: proprio per questo è il centro del conflitto tra Gesù e l'ordine costituito dei giudei, conflitto che gli costerà la morte.
Non a caso tra tutte le possibilità offerte dalla Bibbia, Gesù sceglie, per definire la propria missione (Luca 4), proprio il capitolo 61 di Isaia, il profeta in cui l'economia del sabato viene pienamente riabilitata.
Nella preghiera del "Padre Nostro" (Luca 11) e in tutti i Vangeli il verbo utilizzato per esprimere il perdono è lo stesso utilizzato per condonare i debiti.
A differenza della società in cui viviamo, che si rifiuta di vedere le dimensioni economiche di comportamenti immorali o criminali, i Vangeli non spiritualizzano "il peccato" e non ignorano la realtà del debito, ma invece vedono i due aspetti profondamente correlati.
L'esortazione a perdonare settanta volte sette (forse un riferimento al sistema giubilare del Levitico, oltre che a Genesi 4,24) è seguita e spiegata da un racconto, politico ed economico, sulla responsabilità di condonare i debiti (Matteo 18). Nel secondo capitolo di Marco, Gesù permette ai suoi discepoli di raccogliere le spighe di sabato per sfamarsi senza farsi limitare dalle condizioni sociali. Qui arriva la stoccata: "Il sabato è stato creato per l'uomo e non l'uomo per il sabato". Non si tratta di un'affermazione di possesso né, tanto meno, di un'abrogazione della legge del sabato. Piuttosto il contrario: si ribadisce che il sabato è parte della creazione divina, e che il suo scopo è quello di renderci più umani, in un mondo dove invece una parte così grande del pensiero e della pratica sociale ed economica ci rende disumani.
Ma c'è di più: Gesù cerca di costruire comunità tra gruppi alienati socialmente ed economicamente. Chiama Levi (Matteo) a seguirlo, e Levi abbandona il suo lavoro di esattore delle tasse. Perché questo comportamento suscita proteste così forti da parte delle autorità? La risposta si trova nell' episodio di Zaccheo (Luca 19). Anche questo ricco creditore accoglie Gesù, ma capisce subito (e giustamente) che per ospitarlo deve prima mettere in pratica una profonda riparazione economica: "Do ai poveri la metà dei miei beni e se ho rubato a qualcuno gli restituisco il quadruplo." È questo programma economico "livellatore" che viene rifiutato da chi ufficialmente i debiti li attribuisce. Ieri come oggi.
Levi e Zaccheo accolgono la liberazione proposta da Gesù attraverso la ridistribuzione dei beni. Un altro uomo, ricco, non ce la fa e la rifiuta (Marco 10,21). È interessante notare che nella formula che i Vangeli usano per indicare la scelta di seguire Gesù ("lasciarono tutto e lo seguirono") viene impiegato il verbo aphiemi, lasciare, che è lo stesso utilizzato per rimettere i peccati e cancellare i debiti. Gesù si aspetta che i suoi discepoli adottino la sua economia basata sulla grazia. E promette loro che se lasceranno la casa, famiglia e campi (ovvero, nell'economia agricola a lui contemporanea, i luoghi di: consumo, forza-lavoro, produzione), riceveranno cento volte tanto…
In questa economia, che Gesù chiama Regno, non ci saranno più né poveri né ricchi. Per questo i ricchi non potranno entrarvi. Questa prospettiva è così radicalmente differente dalla nostra visione dell'economia che, allora come oggi, i discepoli stentano a crederla vera (Marco 10,26).

 

 

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