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At 15: LA CONVIVIALITA' DELLE DIFFERENZE

GIM Venegono, Aprile 2008

                                                    
                                                    
        La convivialità                    
                                                    
                   delle differenze        
                                                    
                                                    
At 15             

   Contesto  

Siamo ad Antiochia, Asia minore. Il problema centrale è la gestione del conflitto sorto dentro la chiesa primitiva, a riguardo delle differenze culturali e sociali che segnano la convivialità dei credenti. È il confronto aperto tra due gruppi di fedeli: i giudeo cristiani e i cristiani ellenisti.

Sotto il segno dello Spirito, la chiesa primitiva è animata dalla missione, dai segni e prodigi compiuti nel nome del Signore e dall’adesione alla fede di persone provenienti dal mondo pagano (At 14, 27-28).

Il dibattito all’interno della comunità è importante e coinvolge tutti i livelli. Come sempre accade in una realtà variegata e multietnica come quella delle comunità dell’Asia minore del primo secolo, la ricchezza della diversità si scontra con la fatica della realtà umana di “accettare ciò che non è uguale a me”. Culture diverse, modi di intendere la fede diversi, ideologie diverse, si mettono a confronto non trovando sempre piste di unità.

È la tentazione di sempre: far entrare nel nostro gruppo solo quelli che diventano come noi (“Se tu sei il figlio di Dio, perché…”). Questa problematica diventa il punto centrale della riflessione della comunità degli Atti di Luca.

   Sottolineatura  

In questo testo, che per molti aspetti è di un’attualità sconvolgente, riguardo il tema della visione di chiesa e di testimonianza cristiana, si manifesta il dialogo e il confronto aperto tra due tendenze: “da una parte Paolo e Barnaba della comunità di Antiochia e dall’altra, Giacomo con quelli della comunità di Gerusalemme”. In questo dialogo si assume una consapevolezza nuova, che guiderà la linea pastorale ed ecclesiale della comunità. Cioè, non soltanto che cosa fare come chiesa, ma soprattutto come essere chiesa di Cristo.

Per poter essere membro della comunità cristiana è sufficiente la fede in Gesù Cristo e non è necessario praticare la circoncisione e nemmeno osservare le leggi giudaiche della purezza”.

Ancora una volta, la comunità primitiva non esita a confrontarsi con le proprie difficoltà, generate dalla convivenza tra differenti. Sottolineiamo che la diversità tra giudei e gli altri popoli, i “pagani”, risulta abissale. Gli stessi giudei chiamavano i pagani “cani”.

   Ambiente  

Siamo intorno agli anni 50 d.C. quando avvengono questi fatti. L’assemblea di Antiochia è attorno al 48 d.C. E Luca scrive il suo libro attorno agli anni 80 d.C. Segno che la polemica interna alla comunità sulla circoncisione e sulla purezza era molto forte e rischiava di spaccare la chiesa.

Nella realtà dell’Asia minore del I secolo, l’interculturalità, la convivenza delle diversità, il confronto continuo di usi e costumi era all’ordine del giorno. La domanda di fondo è: si può condividere la stessa fede in Gesù Cristo e manifestarla in forme culturali e religiose differenti? In altre parole, è più importante la forma o il contenuto?

Che cosa realmente deve esprimere l’adesione verso il Risorto: la manifestazione religiosa dei riti e dei sacrifici (comunque in parte “necessaria” per storicizzare e concretizzare la fede), o un’adesione esistenziale alla persona di Gesù (che di fatto oltrepassa le barrire culturali e sociali)?

   Entrando nel testo…  

15, 1-3. Viene sollevata la polemica tra i giudei osservanti nei confronti dei cristiani ellenisti che non appartengono alla tradizione dell’Alleanza di Mosè (cfr. At 6,1). La posizione di questo gruppo giudaico è contrastato da Barnaba e Paolo che ricordano come il problema fosse già stato affrontato e la comunità avesse espresso la sua opinione (Cfr. At 10, 34-36). Ancora una volta le difficoltà sono affrontate comunitariamente, in un confronto che tiene conto delle posizioni di ciascuno.
Inoltre, andare a Gerusalemme per confrontarsi con la “chiesa madre” offre l’occasione per incontrare altri fratelli nella fede e condividere con loro il cammino percorso. E queste esperienze di confronto suscitano allegria ed entusiasmo nei credenti.

A volte sembra che ci soffermiamo sulle difficoltà in modo assoluto, pensando che non ci sia niente altro attorno a noi. Ma a volte la crisi può essere un momento di crescita quando si ha il coraggio di guardare oltre il nostro ombelico. Allentare l’attenzione  dai nostri problemi ci aiuta a vedere anche altro bene attorno a noi.

15, 4-12. Giunti a Gerusalemme, Paolo e Barnaba, accompagnati da Sila e Giuda, affrontano l’assemblea degli anziani e degli apostoli. È il primo Concilio della storia della chiesa. Nonostante le tante differenze e le posizioni lontane, la chiesa primitiva non rifiuta il dialogo e confronto per giungere ad una soluzione del problema. Di fatto, la discussione non è semplice, poiché l’ala “radicale” dei farisei si appella all’osservanza della legge in modo rigido. Solo la circoncisione da diritto di partecipare della vita della chiesa.

È il problema dell’appartenenza: per i giudei “appartenere” significa adesione totale alla legge anche a scapito del buon senso (basti pensare alla polemica di Gesù con i farisei del suo tempo sull’osservanza del sabato). Per Pietro e altri, l’adesione alla chiesa è un problema di fede e di accettazione del progetto del regno di Dio di Gesù. Il discorso di Pietro va esattamente in questa prospettiva: il regno di Dio è per tutti senza distinzione. I vv 8-9 sono fortissimi nel loro contenuto. A partire dalla persona di Gesù la partecipazione alla comunità è un problema di fede nel risorto e di testimonianza di vita. Perché è lo stesso Dio che convoca e apre la porta a tutti coloro che accettano la fede in Gesù.
Ora, la salvezza è realmente offerta a tutti. La vita nuova, la proposta delle beatitudini, lo stile evangelico dell’amore fraterno, è a portata di tutti.

È interessante notare che in un primo momento, l’assemblea degli apostoli e degli anziani rimanga sconcertata di fronte alla testimonianza di Paolo e Barnaba. Infatti, l’assemblea rimane ammutolita. Evidentemente la portata di quanto stanno proponendo gli apostoli supera la capacità di comprensione del gruppo giudeo. Come si vede, anche per la comunità primitiva, alcuni passaggi non sono scontati e ci vuole del tempo per poter fare un serio discernimento sulle decisioni da prendere. Le differenze sono tante, i punti di vista sono a confronto con realtà complesse; tradizioni secolari sono messe in discussione.

Ma come si affronta una realtà complessa come quella descritta dagli Atti? Come affrontare diversità e contrasti nella comunità, anche oggi?

15, 13-21. Giacomo tenta un approccio di mediazione: cerca di venire incontro alle esigenze di tutti, invitando la comunità a tenere gli occhi fissi sull’obbiettivo: l’adesione al Signore, anche se ciascuno con la propria tradizione. Si tratta di intraprendere un cammino verso la soluzione, che ancora non si delinea chiaramente. Questa è la speranza: iniziare il pellegrinaggio senza sapere se si arriverà alla meta; ma il percorso compiuto è già una parte fondamentale del cammino.

Comunque, obiettivo di Giacomo è di consentire a tutti di incontrare il Signore. Questo nel rispetto della tradizione biblica, dove la salvezza da sempre è offerta a tutti i popoli (cfr. vv 17-18). Nonostante sia un modo di salvare “capra e cavoli”, Giacomo cerca di assecondare le esigenze dei giudeo-cristiani e degli ellenisti, chiedendo un passo di avvicinamento da parte di tutti, mettendo al centro il bene comune di tutta la comunità. Su questo cerca una convergenza. Più che di un “compromesso politico” è lo sforzo autentico di ascoltare tutte le parti. Metodo che non sempre si riesce a mettere in pratica! Anche dentro la comunità cristiana. Potremmo dire che siamo di fronte ad un discernimento comunitario, che cerca di superare le visioni individuali per raggiungere un bene maggiore. Il bene per tutti è più importante del mio interesse personale!

15, 22-29. L’assemblea giunge ad una conclusione, che in realtà si tratta di una esortazione. Ancora una volta, la preoccupazione principale è rivolta a ciò che è essenziale nella fede, e anche a ciò che non suscita scandalo nei fratelli e sorelle. Per ora, l’accordo è quello di adottare misure che soddisfanno le esigenze dei giudei come anche degli ellenisti. Il bene della comunità supera le singole posizioni, seppur legittime. In questo senso, il segnale fortissimo che da la chiesa primitiva è che Gesù è veramente il Signore della storia, perché la comunità ne fa criterio di scelta proprio nelle questioni concrete della vita insieme.

   Per riflettere…  

Come mi pongo di fronte ai conflitti oggi, nella mia vita? Ne ho paura o ne faccio occasione di crescita attraverso il confronto e il dialogo?

Il conflitto fa parte della vita, e se ben condotto, arricchisce la vita, la fa crescere e le dà nuovi impulsi. Siamo capaci di sostenere la nostra identità (personale, di fede) nel dialogo con la diversità?

Se siamo veramente convinti che l’altro mi rivela me stesso (il volto di Dio non mi rivela il mio stesso volto di figlio?), siamo capaci di fare della convivialità delle diversità lo stile del Regno qui ed ora?


Se tu sei mio amico, entra in casa mia
senza bussare alla mia porta.
Se tu ignori chi sono, devi sapere che
contavo i giorni che mancavano al tuo arrivo.
Tu, fratello mio d’elezione,
vulnerabile straniero.

(Jabès)   
  


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