PREFAZIONE

 

Quale futuro per il Cristianesimo?

Questa domanda ansiosa ha sostituito per noi quella dei discepoli il giorno dell'Ascensione: «E questo il tempo in cui ricostruirai il Regno?» (At 1, 6).

La risposta di Gesù è un richiamo alla nostra responsabilità: «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni» (At 1, 8).

il futuro, non solo del Cristianesimo ma del mondo intero, è legato alla nostra testimonianza da portare fino agli estremi confini della terra.

L'unico dei dieci lebbrosi guariti, che torna per ringraziare, è rimandato agli altri che ancora non sono li con lui: «E gli altri nove?» gli chiede Gesù (Lc 17, 17).

La missione non è appannaggio di pochi eletti. E’ dovere di ogni credente, che è inviato a chi ancora non ha riconosciuto il Signore, fonte di salvezza per tutti.

 

Il Signore Gesù «fece dodici, che chiamò anche apostoli, per essere con lui e per inviarli ad annunciare e ad aver potere di scacciare i demoni» (Mc 3, 14s.).

La vita apostolica è una chiamata alla comunione fraterna perché comunione con il Figlio. Questa è la nostra salvezza, operata dalla sua parola che, vincendo il divisore, ci fa aderire e ci unisce a lui, nostro Signore.

Compimento perfetto della vita cristiana, la missione ti fa entrare in tutto il mistero di Dio: il Padre ti mette in compagnia del Figlio, facendoti partecipare pienamente alla sua condizione.

Egli infatti, che è una cosa sola con il Padre (Gv 10, 30), conoscendo il suo eccessivo amore per ciascuno dei suoi figli (Ef 2, 4), non si vergogna di farsi loro fratello (Eb 2, 1 1), per annunciare loro il suo nome (Sal 22, 23).  Per questo dice: «Ecco, io vengo, per fare la tua volontà» (Sal 40, 8; Eb 10, 5 ss.). La sua volontà è che si faccia solidale con tutti, per mostrare loro il suo volto di padre.  Nella sua fraternità infatti è visibile la paternità comune. “chi vede me, vede il Padre (GV 19,9).

Il principio della missione è l'essere con lui, il Figlio che conosce l'amore del Padre.

Il fine è che tutti gli uomini entrino in questa comunione.

Il mezzo è farsi fratello, proclamando a tutti il «nome» di Gesù in cui ritroviamo la nostra verità di figli e fratelli.  Perché «in nessun altro c'è salvezza: non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4, 12).  Guai a me se non evangelizzo (1 Cor 9, 16).  Non interessandomi dei fratelli, ignorerei il Padre e sarei separato dal Figlio.

 

«Fece dodici»: la comunità

punto di partenza e d'arrivo della missione

 

   Dopo aver chiamato singolarmente alla fede ciascun discepolo, Gesù «fece dodici».  Sono i dodici patriarchi, le dodici colonne, la radice del nuovo popolo.  Questa comunità è fatta dal Signore stesso, con un atto creatore. t il suo atto definitivo, con cui ci salva, perché ci unisce a sé e ci fa cosi figli del Padre e fratelli tra di noi.

«Quanto è buono e quanto è soave che i fratelli siano insieme» (Sal 133, 1).  Nella fraternità risplende il volto del Figlio, la gloria del Padre, la luce dello Spirito.

La comunità fraterna è l'ambita mercede del vangelo che annunciamo, il frutto maturo, punto d'arrivo di ogni missione.  Ma insieme è anche il suo luogo di partenza, dove chi annuncia vive in prima persona e testimonia con forza la verità di ciò che annuncia.

  Per questo, il Signore ha inviato i suoi a due a due (Mc 6,7).  Due è segno di comunità.  La missione non è un affare privato, un'avventura solitaria. «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20).  Anch'io ho atteso a Corinto l'arrivo tuo e di Timoteo, prima di dedicarmi totalmente alla predicazione (At 18,5).

Il nemico farà di tutto per rompere la comunità, sapendo cosi di distruggere l'opera di Dio.  Satana, l'accusatore, ti farà vedere il male del fratello, invece di quello, ben più grave, che fai tu quando lo giudichi o condanni, anche «giustamente».  Il diavolo, il divisore, ti separerà da lui, rendendotelo pesante più di qualunque fatica apostolica.

Ricordatelo!  I difetti che trovi più insopportabili in chi ti è vicino, sono semplice specchio dei tuoi.  Invece di irritati con lui, chiedi perdono per te e ringrazia Dio che ti ha messo accanto uno che ti ridimensiona e ti sopporta.

Il Signore permette le miserie tue e altrui non per farti cadere, ma per renderti simile a sé, il Figlio misericordioso come il Padre (Lc 6, 36).

Nei litigi Inevitabili, il perdono sia la parola ultima su tutto.  In esso si rivela la verità stessa di Dio, che è amore gratuito per tutti i peccatori. t necessario che avvengano le divisioni, per manifestare i veri credenti (1 Cor 11, 19).

La comunità perfetta non è quella dove non si sbaglia.  Sarebbe una comunità di farisei! t quella dove ci si accetta nei propri limiti: ci si perdona e grazia a vicenda, come Dio ha graziato noi in Cristo (Ef 4, 32).

Il giudizio dell'uomo è come un setaccio: lascia passare la farina e trattiene la crusca.  Quello di Dio è come un vaglio: lascia passare la crusca e trattiene la farina. Valuta sempre come lui, che tiene il bene e lascia il male.  La croce è il suo unico giudizio: ci stima tanto, da dare la vita per noi, mentre ancora siamo nel peccato (Rm 5, 8).

Sta sotto il suo giudizio, libertà piena per te e per tutti.

L'uomo vive o muore dello sguardo altrui.  Il tuo occhio rimandi a ognuno un'immagine molto buona di lui, come quella di Dio (Gn 1, 3 1), che dal primo giorno si rispecchiò nella sua pupilla.

Coltiva all'interno della comunità l'amore fraterno, quella compagnia e comunione che suppone la comunicazione.  L'amicizia nei Signore giova molto all'apostolo contro le tentazioni di evasione, di fuga e di compensazione affettiva.

Godi del bene del fratello. E’ più difficile, ma anche più perfetto, che piangere del suo male (Rm 12, 1 s.).

Se uno ama più di te, è più zelante di te, ha successo più di te, è più povero di te, ringrazia il Signore, gioisci e loda per lui.  Lo spirito di lode trasforma anche l'inferno in paradiso, come quello d'invidia ha trasformato l'Eden in un deserto.

Per te il fratello e il suo ministero sia sempre più importante del tuo.  Non far nulla per spirito di rivalità o per vanagloria (Fíl 2, 3).  Quanto cosiddetto lavoro apostolico è semplice autoaffermazione, un girare a vuoto di chi è vuoto.  Non essere una trottola roteante su se stessa, che si scosta da tutto ciò che tocca.

Se proprio vuoi gareggiare, gareggia nello stimare sempre di più l'altro (Rm 12, 10), considerandolo in tutto superiore a te (Fil 23 3).

Cosi sperimenterai gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù (Fil 2, 5).  Avrai in te il suo sale: avrai il suo sapore e vivrai in pace con tutti (Mc 9, 50; Rm 12, 18).

   Frena sempre l'ira.  L'ira dell'uomo non compie la giustizia di Dio (Gc 1, 20).  L'ira di Dio, infatti, che compie ogni giustizia tra gli uomini (cf.  Mt 3, 15), è la croce, misericordia e salvezza per tutti.

Molta attività è spesso frutto dell'inquietudine di chi non sa stare con gli altri.  L'uomo, sempre avido di affetto, quando ne è privo, cerca di sostituirlo figliando infinite opere.  Esse pero sono nocive tanto all'autore quanto al destinatario.

Solo quando saprai vivere e collaborare con gli altri, potrai anche vivere e lavorare da solo, se fosse necessario.

Perché non sei mai solo, ma solo e sempre collaboratore del Regno.

 

 

«Per essere con lui»: la comunità apostolica ha come fine, mezzo e principio la comunione con lui

 

Il Signore ha fatto i dodici «per essere con lui». Lui stesso è al centro della sua comunità, come nel cuore di ognuno.

Gesù non ha creato gli apostoli perché «facessero» qualcosa di buono, ma perché «fossero» con lui! Ovunque andrai, la tua preoccupazione prima non sia il fare per lui, come Marta, ma l'essere con lui, come Maria.

Essere con lui, il Figlio, è il destino ultimo di ogni creatura. Tutto è fatto per mezzo di lui e in vista di lui, e solo in lui sussiste (Col 1, 16 s.).

L'apostolo desidera stare con Cristo, perché è lui la sua vita (Fil 1, 23. 21), ormai nascosta in Dio (Col 3, 3).

Non è bene che l'uomo sia solo (Gn 2, 18). Infatti è bisogno di compagnia, immagine e somiglianza di colui che è amore.

 

   Non l'altro, bensì la solitudine è l'inferno. Solo con il Figlio l'uomo colma la sua solitudine abissale, e ritrova la realtà di cui è riflesso.

Se non sarai «con lui», il vuoto del tuo cuore ti spingerà a fare tante cose buone, tranne l'unica che sei chiamato a fare.  Darai alla gente tutto, anche l'impossibile, tranne ciò che dovresti dare.  Creerai continue domande che non spetta a te soddisfare, e rimanderai a tempo indefinito l'evangelizzazione, ostacolandola a lungo anche per chi verrà dopo di te.

 L'apostolo non è un impresario di opere più o meno buone; neanche un filantropo più o meno disinteressato. E’ uomo di Dio, uno che sta con il Signore Gesù e insegna a fare altrettanto.

   Nell’intimità liberante e appagante con lui sperimenterai in prima persona ciò che devi annunciare agli altri: «Va' e annuncia ciò che il Signore ti ha fatto» (Mc 5, 19).

   Solo se sei con lui, puoi essere suo testimone fino agli estremi confini della terra, come ci ha comandato (At l, 8).  Allora annuncerai colui che hai conosciuto e veduto, contemplato e toccato, perché anche altri siano in comunione con noi, la cui comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo (1 Gv 1, 1-3).

 

Essere con lui con il cuore: la preghiera

 

Sii con lui innanzitutto con il cuore, stabilmente fisso in lui.  Dove è il tuo tesoro, sia anche il tuo cuore (Lc 12, 34). Questo intendo quando dico che bisogna pregare sempre, senza cessare (1 Ts 5, 17; cf.  Lc 18, 1).

 

   La nostra comunione con lui è la nostra vita.  Staccati da lui, siamo morti, come tralci recisi dalla vite (Gv 15,1-6).

  Il tuo centro di gravità non sia in ciò che fai, ma in lui, che ami sopra ogni cosa e cerchi in ogni cosa.

Dedicandoti al servizio dei fratelli, non cadere nella tentazione di non trovare il tempo per stare con lui.  Sarebbe grave, anzi mortale. Ti taglieresti dalla tua sorgente, e non serviresti più i fratelli.  Te ne serviresti per sentirti vivo, forse utile, addirittura buono.  Dio te ne scampi, per la sua misericordia!

Ordina la tua vita al suo fine, che è «essere con lui».  Allora sarai come un vaso traboccante di acqua viva.

Sii conca e non canale. Tutti potranno attingere da te, e tu rovescerai intorno dalla tua abbondanza!

Se non preghi, corri invano e batti solo l'aria (1 Cor 9, 26 s.).

Come puoi portare i fratelli a essere con lui, se tu stesso ne sei lontano?  Nessuno da ciò che non ha e nessuno ha qualcosa se non l'ha ricevuto (1 Cor 4, 7).

La tua prima occupazione sia la perseveranza nella preghiera, come fecero gli apostoli sempre, prima e dopo pentecoste (At 1, 14; 6, 4).

La preghiera è il respiro della fede. Coltivala quindi come prima cosa.

Il desiderio di essa rimanga sempre; ma si traduca anche in realtà. Diversamente resterà solo un'esigenza velleitaria e frustrante.

Passerai dal piano del desiderio a quello della realtà quando troverai per essa ogni giorno concretamente un tempo e un luogo propizio - il migliore e il più tranquillo - che diventata un po' alla volta il centro della tua giornata.  Il luogo spirituale sia in fondo al tempio, col pubblicano che invoca perdono (Lc 18, 13).  Qui conosci la realtà tua e di Dio: tu sei peccatore e lui ti è padre.  Adoralo quindi nello spirito di perdono e nella verità del Figlio, in cui sei da lui costituito (cf.  Gv 4, 24).

 

   La tua preghiera potrà anche essere difficile, distratta e desolata.  Ciò sarà a causa dei tuoi peccati e delle tue trascuratezze, che ti han fatto cadere in basso.  Ma va' avanti, e rimonta la china con fiducia e perseveranza. Hai bisogno di allenamento. Il Signore ti è vicino e ti incoraggia.

Quando sarai arido, invece di smettere, dedicale più tempo.  Non incattivirti perché il Signore tarda a rispondere (Lc 18, 1).

Vuol purificarti per accostarti a lui, il Santo. Egli può e vuole darti più di quanto tu possa domandare o pensare (Ef 3, 20).  Invece dei suoi doni, vuol darti se stesso come dono.

Se vorrai gustare la sobria ebbrezza dello Spirito, sii temperante nell’avidità della bocca, degli orecchi e degli occhi, nonché in quella più sottile della mente, con le sue molteplici curiosità, e soprattutto in quella dello spirito, bramoso di doni e disattento al Donatore. La temperanza ti renderà più difficile l'ira e più facile la castità.

Oltre che effettiva, la tua preghiera sia affettiva.  Chiedilo a Dio con umiltà. Se il tuo cuore non gusterà di lui, cercherà insaziabilmente di saziarsi di tutto ciò che non sazia.

Sappi che la preghiera è il principale mezzo apostolico. Per questo lotta sempre con me in essa (Rm 15, 30; Col 4, 12).

Da una notte di lotta col Signore nacque Israele (Gn 32).  Dall'orazione notturna di Gesù nacque il nuovo Israele (Lc 6, 12 ss.). Inoltre un solo uomo con le braccia alzate - Aronne e Cur gliele sostenevano - può vincere un intero esercito di nemici (Es 17, 8 ss.). Ancora lo stesso uomo da solo può rappresentare davanti a Dio l’intera nazione e salvarla dalla morte, come sta scritto: «Dio aveva già deciso di sterminarli, se Mosé, suo eletto, non fosse stato sulla breccia di fronte a lui, per stornare la sua collera dallo sterminio» (Sal 107, 23).

 

Essere con lui con gli orecchi e gli occhi:

lettura e contemplazione della Parola

 

Sii con lui, oltre che col cuore, con gli orecchi e gli occhi, che vanno dove porta il cuore.

L'amore desidera conoscere e vedere.

Noi non abbiamo ascoltato e visto il Signore Gesù, Verbo fatto carne.  Ma sappiamo che la sua carne è tornata Parola, per farsi carne in noi che l'ascoltiamo e contempliamo. Perché l'uomo diventa la parola che ascolta e si trasfigura in colui davanti al quale sta.

La parola che ci racconta la storia di Gesù è per noi la sua carne, norma di fede e criterio supremo di discernimento spirituale. Diversamente ci inventiamo un Dio fatto su misura delle nostre fantasie religiose (cf.  Ef 4, 20; 1 Gv 4, 2), e crediamo non in lui, ma nelle nostre idee su di lui.

Di Dio non abbiamo nessuna immagine e non dobbiamo farcene alcuna. Lo conosciamo attraverso la sua rivelazione a Israele e la vicenda di Gesù, in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 22, 9).

Per questo leggi sempre le Scritture, per conoscere la Parola di cui sei servo a salvezza tua e a favore dei fratelli. t la tua professione specifica di apostolo (Lc 13 2; At 6, 4).

Leggile sempre con stupore e rendimento di grazie.  La Parola sarà luce per i tuoi occhi, miele per la tua bocca e gioia per il tuo cuore (Sal 19, 9. 1 l; 119, 103. 111).

Leggi e stupisci; convertiti e gioisci; discerni e scegli, quindi agisci.

Sappi che dove non stupisci, non capisci; dove non ti converti, non gioisci; dove non gioisci, non discerni dove non discerni, non scegli; dove non scegli, agisci inevitabilmente secondo il pensiero dell'uomo e non secondo quello di Dio (Mc 8,33).

La Parola sia per te il centro della tua vita. t Gesù, il Figlio, che ami e desideri conoscere sempre di più per amarlo sempre meglio e in verità.

Ora capisci perché, fin dall'inizio, tra le tante cose da fare, gli apostoli, alla luce dello Spirito, hanno cosi capito e definito la propria vocazione: «essere perseveranti nella preghiera e nel servizio della Parola» (At 63 4).

 

Essere con lui con i piedi:

seguirlo in una vita conforme alla sua

 

Sii con lui con i piedi, che percorrono la sua stessa via.

Il desiderio di camminare come lui ha camminato (1 Gv 2, 6) sia la speranza che muove la tua vita ad essere conforme alla sua.

Preferisci e scegli ciò che lui ha preferito e scelto, per stargli più vicino e somigliargli più perfettamente.

Questa amorosa speranza liberi il tuo cuore da ogni attaccamento al male, e ti spinga ad amare per amor suo la povertà, l'umiliazione e l'umiltà, la sua insignificanza, la sua piccolezza, la sua castità e la sua obbedienza.  Come Mosé, stimerai l'obbrobrio di Cristo ricchezza maggiore di tutti i tesori d'Egitto (Eb 11, 26). Odiando ciò che il mondo ama e amando ciò che il mondo odia, guarirai dal perverso giudizio che ti fa compiere il male come fosse bene e fuggire dal bene come fosse male. Quanto siamo malati di testa e di cuore!

Essere con lui con le mani:

toccarlo e unirsi a lui

    Sii con lui infine con le mani, per toccarlo, ed avere comunione piena con lui.  Ciò si compie nella carità.

Dio non è oggetto della tua intelligenza, che ne riflette solo l'immagine.  IL invece oggetto del tuo amore, che ti unisce direttamente a lui.

Amalo, e la tua vita sarà trasformata nella sua - e potrai dire che non sei più tu che vivi, ma lui che vive in te (Gal 2,20).

Non che io abbia già conquistato il premio o sia ormai giunto alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo (Fil 3, 12).

Sii anche tu conquistato, Innamorato di lui, con un desiderio struggente che fa della tua esistenza un unico grido: «Marana tha: Vieni Signore!» (1 Cor 16,22). E’ l'eco di amorosa attesa alla sua promessa: «Si, verrò presto» (Ap 22, 20).  Allora saremo sempre con lui (1 Ts 4, 17).

Mio caro, la vita apostolica presuppone sia una vita cenobitica, da vivere in comunione coi fratelli, sia una vita eremitica, da vivere in solitudine con lui.

Solo dopo sei abilitato ad essere apostolo, inviato a tutti i fratelli nel suo nome.

Guardati dal pericolo di eliminare le prime due tappe. Se non sai stare coi fratelli e non sai stare con lui, non puoi essere suo apostolo.

 

«E per inviarli»: unione con lui

sorgente della missione

 

   Nella misura in cui lo tocchi e sei unito a lui, sei inviato.  Infatti la tua missione è proprio quella di portare gli altri a essere «con lui».

   E apparente la contraddizione tra essere con lui ed essere inviati da lui.  Il cuore, quando si stringe, espande la linfa vitale in tutto il corpo.  Cosi tu, stretto a lui, porterai la sua vita fino agli estremi confini della terra.  Se aderisci a lui, sei spinto dalla sua stessa conoscenza e amore del Padre verso tutti i fratelli.

Il tempo che dedicherai a lui non sarà sottratto agli altri.  Il frutto del tuo apostolato dipendenza dalla tua unione con lui.

La tua missione infatti è la stessa del Figlio.  Sei suo collaboratore (1 Cor 3, 9).  Ciò significa che è lui l'operaio che fa il lavoro; tu ti associ a lui, facendo il suo stesso lavoro, e a modo suo.  Diversamente distruggi ciò che lui f a.

Stai anche attento a non sostituirti a lui, e a compiere un lavoro tuo o a modo tuo.  Non saresti più suo collaboratore.

Lui è una cosa sola col Padre, e fa ciò che fa il Padre (Gv 10, 30; 5, 19).  Cosi tu sei una cosa sola con loro (Gv 17, 22) e compi la stessa opera.  Come Gesù compie ciò che vede fare dal Padre (Gv 5, 19), cosi anche tu compi ciò che vedi in Gesù.

Azione e contemplazione non si oppongono.  Azione valida è solo quella che sgorga dalla contemplazione.

La differenza tra Marta e Maria non sta nel fatto che la prima agisce e la seconda no.  Sta invece nella diversa fonte del loro agire.  Per la prima ciò che conta è il proprio io religioso e le sue preoccupazioni per piacere al Signore e dimostrargli il proprio amore.  Alla seconda invece piace il Signore, e gusta del suo amore.  Mentre Marta resta nella schiavitù della legge e nel peccato di autogiustificazíone, Maria approda alla gioia del vangelo e alla libertà dei figli.

La tua unione con il Signore e quindi la molla e la forza della tua azione apostolica.

 

Ricordati che l'intercessione di uno solo ha risparmiato tutti (Es 32, 11-14), e che, nella fede di uno solo, saranno benedette tutte le stirpi della terra (Gn 12, 3).

Come il peccato di uno solo fu morte per tutti, cosi un solo giusto sarà la vita per tutti (Rm 5, 12-19).

Se non sei giunto alla contemplazione di Maria, il tuo ministero sia solo per breve tempo e per esperimento.  Diversamente risulterà non solo inutile, ma anzi dannoso, sia a te che agli altri, dirà un uomo di Dio (Lallemant).  Sarà come il muoversi di «un mare agitato che non può calmarsi, e le cui acque portano su melma e fango» (Is 57, 20).

  Sappi che nel volgerti al Signore e nella calma sta la tua salvezza; nell'abbandono confidente in lui la tua forza (Is 30, 15).

 

Dirà giustamente un grande maestro dell'agape: «t più prezioso e più utile per la Chiesa un atto puro d'amor di Dio, che tutte le altre opere prese insieme, anche se sembra che l'anima faccia niente» (S.  Giovanni della Croce).

 

«Ad annunciare»: l'annuncio mezzo specifico della missione

 

Ti dico un grande segreto, che molti nel futuro ignoreranno: l’evangelizzazione si fa con l'annuncio dell'evangelo.

    Infatti è piaciuto a Dio salvare l'uomo con la stoltezza della predicazione (1 Cor 1, 2 1).

Non arrossire della debolezza dell'evangelo: è la potenza di Dio che salva chiunque l'accoglie (Rm 1, 16).  Perché la Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio (Eb 4, 12).  Dice il Signore:  «La parola uscita dalla mia bocca non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero, senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata» (Is 55, 1 1).

La Parola infatti agisce in chiunque l'accoglie non quale parola di uomini, ma, come \e veramente, quale Parola di Dio che opera in chi l'ascolta con fede (1 Ts 2, 13).

Alla parola esterna, corrisponde l'attrazione interna del Signore, che apre il cuore ad aderirvi (At 16, 14).  Infatti lui, oltre che Parola annunciata, è il Maestro interiore che agisce con efficacia, liberando dalle resistenze contrarie e convincendo della verità.

La fede è risposta personale alla proposta di Gesù, il Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me (Gal 2, 20), perché possa riamarlo con lo stesso amore.

   Ma come si può amarlo, se non lo si conosce; e come lo si può conoscere, se l'inviato non lo annuncia (cf.  Rm 105 14)?

 

Sappi che con l'annuncio tu realmente salvi il fratello. Non perché tu sia il salvatore; ma perché il Padre nel Figlio ha già salvato tutti per grazia, e tu, con l'annuncio, ne fai conoscere l'amore, perché tutti lo accolgano e ne vivano.

Non credere di dover «costruire» il Regno.  Il Regno di Dio è Dio stesso che regna, e c'è già.  Il Regno del Padre, che invochiamo nella preghiera del Signore, è lo stesso Figlio unigenito - benedetto nei secoli - che è venuto, viene e verrà, allo stesso modo in cui l'abbiamo visto camminare e andarsene al cielo (At i) il).

 

Tu semplicemente lo annunci, perché chiunque lo desidera possa conoscerlo, invocarlo, accoglierlo ed esserne accolto.

 

L'umanità è come la donna che Gesù ha guarito di sabato nella sinagoga.  Sta ancora tutta incurvata sulle cose della terra e accartocciata su se stessa, in attesa che le sia notificato il dono che già le è stato fatto: «Sei già stata slegata dal tuo male», e puoi star dritta davanti a lui (Lc 13, 12).

Non aver paura se il nostro ministero dispone solo della debolezza della Parola.  Essa è potenza di Dio (1 Cor 2, 4), che solo può far invocare il nome che dà salvezza (At 4, 12).  Nessuno infatti può dire: «Signore è Gesù», se non nello Spirito Santo (1 Cor 12, 3).  Il vangelo, di cui sei costituito araldo, apostolo e maestro, è il mezzo potente con cui Cristo vince la morte e fa risplendere la vita (2 Tm 1, 10 s.).

 

   1.   Debolezza dell'annuncio e tentazioni dell'apostolo - La salvezza viene dalla debolezza della Parola, e non da altre azioni potenti che sarai tentato di compiere per piegare gli altri alla fede.

L'efficacia del tuo annuncio sarà inversamente proporzionale all'efficienza dei mezzi che userai.

Non preoccuparti dell' insignificanza e irrilevanza del Regno.  Esso è come un chicco di senape, il più piccolo tra i semi della terra (Mc 4, 30 s.).

Non angustiarti se il bene sembra perdente: il chicco che non muore non porta frutto (Gv 12, 24).

Tu cerca solo di testimoniare Gesù Signore, luce del mondo.  E sii certo che una candela fa più luce di mille notti, ed è capace di provocare un incendio che le illumina tutte.

Non vergognarti della tua debolezza.  E la tua forza (2 Cor 12, 10)!  Infatti ti associa alla parola annunciata, ti espone al rifiuto e alla croce.  Ma proprio questa è la forza di Dio, amore più grande di ogni rifiuto e della

stessa morte.

Dio ha scelto, per proporsi all'uomo, la modestia e l’umiltà della parola.  Infatti l'amore non può imporsi con la forza, perché ama essere riamato in libertà.