Sulle Orme di Don Milani

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Tutti sentiamo un I CARE dentro di noi ma è ORA di dargli un nome, un volto e decidersi se vale la pena impegnarsi o meno.

Questa l’aspettativa che ci ha portato a Barbiana e a colui, che non ha smesso di essere SCOMODO nemmeno in quel luogo che doveva farlo tacere: Don Lorenzo Milani.

La parola di Don Lorenzo riecheggiava nelle catechesi, nelle testimonianze e nei luoghi.

 ·        Da dove partire?

Dai TALENTI che ognuno di noi possiede o meglio dal TALENTO che ognuno di noi E’.

·        Come fruttificarli/lo?

 Con GRATUITA’ nella RESPONSABILITA’ quotidiana.

·        Perché sporcarsi le mani?

 Per essere “dei giovani che vibrino di dolore e di fede pensando all’ingiustizia sociale. A qualcosa cioè che sia al centro del momento storico che attraversiamo al di fuori dell’angustia dell’io, al di sopra delle stupidaggini che vanno di moda” “(D.L.Milani).

·        Dove andare?

 Sulla strada.

·        Chi troviamo?

“Vecchie” (cibo, acqua, lavoro, sanità, libertà…) e “Nuove” (suicidio, alcolismo, anoressia, solitudine,…) povertà.

·        Cosa fare?

 E’ necessario VEDERE queste realtà, DISCERNERE ed AGIRE dando un NOME ad ognuna di esse; AMANDO facendosi un MEZZO per gli ALTRI.

E la voce di Don Lorenzo ritorna “Far strada ai poveri senza farsi strada”.

·        A che cosa porta questo ESSERCI CON AMORE?

Ad uno SPIAZZAMENTO che comporta un cambiamento di rotta non fermandosi ma continuando come COSTRUTTORI DI PACE, ATTORI NON-VIOLENTI.

·        Come è possibile?

 Se ognuno di noi, oggi, vive l’esperienza del sentirsi amato (Qualcuno ha fiducia in me) a sua volta ama (ha fiducia negli altri) in modo autentico-vero senza falsità ed ipocrisie.

·        E allora …rimarranno solo belle parole?

NO, perché ci impegneremo affinché si concretizzino ed entrino nella storia a partire dalle nostre realtà e relazioni.

 

Le catechesi si sono integrate con le testimonianze degli ex-alunni di San Donato e Barbiana con cui abbiamo conosciuto il Don Lorenzo educatore, di don Pollini che ha raccontato del Don Milani sacerdote e di Michele Gesualdi che… che con difficoltà e “gelo” iniziale ha dato voce a Lorenzo Milani, proprio in quelle stanze in cui lui ha vissuto più come figlio che alunno del Priore.

Queste persone e tra loro anche Nanni il falegname di Barbiana e Rodolfo fondatore del Forteto (cooperativa e onlus presente a Vicchio) sono state raggiunte in diverso modo dalla parola di Don Milani e diversamente ancora oggi la testimoniano.

Da tutti loro viene presentata come un ricordo, un importante arco di tempo del loro passato. Un’esperienza forte, significativa a cui saranno per sempre grati ma che non riescono ad attualizzare.

Lo stesso Michele Gesualdi è combattuto quando deve raccontare del suo passato, sembra volerlo seppellire, dimenticare….MA quando lo lascia parlare, ecco comparire la figura complessa, poliedrica, tormentata, inquietante del Priore che responsabilizza e fa pensare.

Potreste non credere a quello che vi abbiamo detto.

Le nostre “chiacchiere” non vi hanno convinto?

Vi consigliamo allora di recarvi personalmente a Barbiana. Se non incontrerete testimoni a cui chiedere di Don Milani allora interrogate i luoghi e gli edifici ed ascoltate il silenzio che turba e smuove all’assunzione di un impegno che va OLTRE le colline di Barbiana…

…e se ascolterete con attenzione, guardando il paesaggio dal cimitero, mentre il sole sta per scomparire, potrete sentire l’eco, che ancora risuona nella cappella, di chi per

due settimane ha ricordato il vociare dei tanti “pierini”, diffondere: I CARE.

 PS: il lavoro di restauro del cimitero e della piscina è opera dell’equipe tecnico-artistica costituita da: Emmanuele, Paola, Silvia, Carlo, Lucia, il Professore, Guilene, Francesca, Genea, Giorgio, Christian, Prisciliano, Katia, Lorenzo, Valentina, Betta, Silvia, Annamaria, Betty, con la supervisione e collaborazione di padre Daniele, padre Mosè, padre Dario e suor Annamaria.

 PS 2: Questo articolo è stato scritto da due mani diverse, che sono state provocate diversamente dalla figura di Michele. La sottoscritta (Katia) obbietta riguardo ad un pensiero espresso: per me più che dimostrare difficoltà e “gelo” iniziali, Michele si è rivelato persona gelosa e custode dei propri affetti familiari, non volendo vederli strumentalizzati e mitizzati.

PS 3: Piccola nota turistica: vi incuriosisce una visita al palazzo Medici-Riccardi della regione dove sono custoditi costosissimi  arazzi e  affreschi sacri di Lippi? Urlate a squarcia gola MIHELEEEEEEEE! (ovviamente Gesualdi)

 

Buon inizio cammino Gim!!!

A presto,

Katia e Betty


“Sulle orme di don Milani… per il mondo”

 “I care”: è la scritta che don Lorenzo ha voluto mettere in grande su una parete della sua scuola, ed è anche l’urlo che abbiamo lanciato a pieni polmoni l’ultimo giorno del campo nel piccolo cimitero di Barbiana.

Abbiamo trascorso dieci giorni intensissimi nei luoghi in cui ha vissuto e operato don Lorenzo Milani. Attraverso il lavoro manuale, la riflessione, le provocazioni (tante!), gli incontri e le testimonianze di chi ha conosciuto di persona don Milani abbiamo cercato di capire il significato più profondo di queste due semplicissime parole e di cogliere il messaggio che questo ‘profeta dei nostri giorni’ ci ha lasciato, quell’insegnamento che possiamo e dobbiamo fare nostro per incarnarlo nella nostra vita e nel contesto storico in cui siamo chiamati a vivere e ad operare.

“I care tutto”, faceva scrivere don Lorenzo ai suoi ragazzi: “Mi interessa, mi importa tutto”. Mi piace tradurre queste parole anche con “IO CI SONO”!! Io ci sono nelle situazioni concrete della mia vita: in famiglia, nel gruppo degli amici, nello studio o nel lavoro; IO CI SONO per le persone e per i volti che incontro ogni giorno e che passano, a volte senza nemmeno che me ne accorga, nella mia vita. Don Lorenzo ci insegna che l’impegno per il prossimo non può essere generico: Gesù ci chiama ad amare persone concrete, con nome e cognome, senza condizioni e con l’intensità con cui don Lorenzo ha amato ognuno dei ragazzi della scuola di Barbiana. E’ troppo facile e troppo comodo affermare genericamente di amare tutti, rischiando così di non saper amare veramente nessuno. Si può incontrare Dio in una vita vissuta con un impegno costante e appassionato a favore di persone e situazioni concrete: “Quando avrai perso la testa –scrive don Lorenzo- come l’ho persa io dietro poche decine di creature, troverai Dio come premio”.

Tutto questo è RESPONSABILITA’: l’ALTRO per ciascuno di noi è un appello, una continua chiamata ad uscire da sé e da quelle che don Lorenzo chiama le “angustie dell’io”. Responsabilità è capacità di aprire gli occhi, di leggere la realtà in cui viviamo per rispondere in maniera concreta a ciò che ci succede attorno. Responsabilità è sentirsi chiamati a rispondere a quell’urlo che ci interpella personalmente, con la certezza che Dio investe su di noi, ci rinnova ogni giorno la sua fiducia e vuole avere bisogno di noi per realizzare il suo sogno. Responsabilità è accettare il rischio di sporcarsi le mani, rinunciando alla logica della gratificazione immediata: non si può amare senza rischiare, senza mettersi in gioco, senza morire un po’ a se stessi. Solo quando mi perdo per qualcuno o per qualcosa di concreto, l’ I CARE diventa vero anche nella mia vita!!

… allora coraggio! Ciascuno di noi ha il suo URLO, un appello speciale e unico a cui è chiamato a rispondere, la sua tessera nel mosaico di Dio.

Un abbraccio a tutti… e ricordate:

“La primavera incomincia col primo fiore

la notte con la prima stella

il fiume con la prima goccia d’acqua

l’amore col primo sogno”

 

Silvia


EDUCAZIONE: UNA QUESTIONE DI SGUARDO

 Incontro – Scontro di fragilità

 Si fa un gran parlare oggi dei giovani: tutti si affannano a spiegarci chi sono, perché vivono n  branco un’estrema solitudine, come mai un mattino si alzano e decidono di dare una svolta alla propria vita, magari ammazzando un genitore. Si indaga sulla scuola, sulla casa, sul bar, sulla parrocchia, tutti luoghi cui difficilmente si riesce a dare il volto e il nome di persone; i mass media ci hanno abituato a ragionare per categorie, per luoghi, senza interrogarsi su chi li abiti, su quali figure-modello (anzi, sarebbe più opportuno dire figure-stimolo) essi propongano.

La difficoltà, in altre parole, sta nel ricondursi all’essenziale del problema: chi educa chi? Vale a dire: ci sono nella scuola, in casa, in parrocchia, sulla strada individui capaci di educare davvero nel senso etimologico del termine, di aiutare i giovani a riconoscere il meglio di sé e a trarlo fuori?

E’ emblematico che nel mercato editoriale proliferino i saggi sull’universo giovanile e quasi non ce ne siano sulla figura dell’educatore, nulla che dica come dovrebbe essere –attenzione! Come dovrebbe essere e non soltanto cosa dovrebbe saper fare (l’annoso quanto sterile problema della metodologia, parola molto di moda oggi nel campo della formazione).

E’ come se si avesse paura di scoprire che la crisi è generale, investe gli educandi e gli educatori con lo stesso impeto, porta i segni della solitudine che è privatizzazione claustrofobica del proprio vissuto, del senso di impotenza che deriva dalla “perdita di percezione del futuro”[1], dell’annullamento dell’idea di limite per cui il confine tra bene e male diventa un’opinione… Sono due fragilità che collidono e che non riescono a comunicare per timore di essere messe a nudo l’una dall’altra.

 Occorre allora ripartire da quella “vasta dimora dai corridoi sconosciuti”[2] che è la persona umana, “la cui dimensione interiore è abitata e scavata misteriosamente dalla sua intimità”, tenendo presente che “non conosciamo mai completamente una persona, nemmeno l’essere più amato, soprattutto quello più amato. Al contrario, amare significa volere che l’altro sia una sorgente inesauribile di ricchezza e mentre la parte sconosciuta di una persona diventa trasparente, la parte ignota aumenta e approfondisce nuove prospettive di rinnovati stupori. Nel cuore di ogni amore, come di ogni rapporto umano, c’è un mistero. Se ai nostri occhi gli altri perdono il loro mistero è perché abbiamo svanito il nostro. Appiattiti come siamo nei nostri gesti, misuriamo gli altri in base ai loro comportamenti, svuotandoli della loro interiorità, e lo smarrimento nell’infinitamente banale comincia quando cessa il dialogo sull’infinitamente profondo”.[3]

 Educatore, dunque, è principalmente colui che ha una percezione talmente chiara del mistero che lo abita, da riconoscerlo anche nell’educando, ciò che don Milani definiva “un tesoro”[4] murato dentro la mente e il cuore di chi non è in possesso del dono della parola.

 UNA GRANDE RESPONSABILITA’

 Premesso ciò, quali sono nel concreto le implicazioni educative di un tale duplice riconoscimento?

Innanzitutto la necessità di avere educatori che, forti dello strumento della parola, chiave d’apertura di ogni dimensione interiore e terreno di autentico incontro, sappiano svilupparlo anche negli educandi, avendo ben chiaro che sarà “persona” –cosciente della propria dignità- solo colui il quale saprà formulare un giudizio unico e irripetibile, poiché assolutamente personale, sulla realtà.

 “L’educazione dell’uomo è un risveglio umano”[5] diceva Maritain, ma non di un uomo astratto, bensì ‘individuato’ da un volto, da una storia, da un nome. Se l’educatore perde l’orizzonte dell’individualità, fallisce in quello che è il compito primo dell’educazione: condurre quel volto, quella storia, quel nome a rispondere creativamente al mondo che lo interpella. In ciò consiste la sua grande responsabilità: far proprio il motto milaniano dell’ ‘I care’, mi interessa, mi sta a cuore; il dire all’altro «tu mi interessi perché in te c’è una luce che non brilla e mai è brillata in nessun essere prima d’ora. Accompagno la tua crescita e accetto di esserCI con amore dentro la tua storia, perché tu possa trovare la strada per una tua piena e personale realizzazione. Voglio che tu sia “un essere che esiste volentieri, che non si vergogna di esistere”[6]».

E alla base di questa grande intuizione di don Lorenzo Milani sta la certezza che conoscere è comprendere: “prendere con sé, come prendo in me quella rosa, i paesaggi, le fisionomie. Conoscere è diventare tutte le cose utilizzandole interiormente. Non essere niente per se stessi per diventare tutto. Non essere semplice esteriorità per riunire tutto dentro di sé”[7] – presupposto indispensabile per operare un’azione trasformatrice sulla realtà.

 UNA QUESTIONE DI SGUARDO

 Certamente definire l’educazione in primo luogo un problema di sguardo è pericoloso, si rischia di venir accusati di sentimentalismo o, peggio, di astrattezza, mentre la società precipita sempre più verso l’utilitarismo e il pragmatismo; invece, è l’assunto più concretamente realizzabile e più fecondo di ulteriori sviluppi che possa venir formulato, dal momento che solo guardando al punto più alto del destino della creatura, l’educatore potrà svolgere la sua funzione liberatrice di coscienze.

Annamaria


[1] Andreoli V., Giovani, Milano, BUR, 1997.

[2] Habachi R., Il momento dell’uomo, Milano, Jaca Book, 1986.

[3] Vedi nota precedente

[4] Meneghetti R., “La aprola che libera”, ciclostile tratto da un articolo di rivista.

[5] Maritain J., Educazione al bivio, Brescia, Ed. La Scuola, 1996.

[6] Vedi nota precedente.

[7] Vedi nota 2.


Canzone di Barbiana

Barbiana mia che stai sulla collina

e tu bischero che gratti la piscina

la gioia, i ragazzi, i combo, sono la tua compagnia

Barbiana mia ti curo e vado via.

 

RIT:

Tornerà, tornerà, tornerà

MIHELE forse un giorno ci aprirà

sappiam far tutto o forse niente da domani si vedrà

Barbiana mia sarà quel che sarà

 

 Gli amici miei son tutti al cimitero

chi gratta poi diventa tutto nero

se la maglietta è sporca credi non è colpa mia...

Dario ha sbagliato muro e vado via!

 

RIT:

Porterà, porterà, porterà

Mosè la croce trendy porterà

e don Lorenzo nella tomba si rivolterà

ed in Perù lo perseguiterà.

 

Er motto de Lrenzo era "I CARE"

e le romane te dicono "me stà a core"

E se er cancello proprio hai da oltrepassà

er pennello caro mio tu devi usà

 

RIT:

Scatterà, scatterà, scatterà

l'ultima foto qui si scatterà

e far 2000 anni chi ci ritornerà

dirà:"So stati bravi sti rigà!"

 

"Sorella mia ti bacio sulla bocca"

dice Rodolfo chiamandoci al Forteto

e intanto Prisci e Carlo stan fuggendo nel frutteto

"Fratello mio io scappo e vado via."

 

RIT:

Partirà, partirà, partirà

padre Daniele a ottobre partirà

e in Kenia a tanti bimbi lui sorriderà

ma di Barbiana non si scorderà.