SOMMARIO:
-
Introduzione;
-
La chiesa locale;
-
L'universalità della chiesa locale;
-
La missione;
-
Lo stile della missione;
- Le motivazioni della missione;
- Ad gentes
Introduzione
Il tema
"Chiesa locale e missione ad gentes" è noto e ampiamente
dibattuto.Il nostro scopo non è di formulare ipotesi nuove, ma di
ritornare con forza ai fondamenti. I fondamenti si dimenticano, o si
scolorano, se non vengono continuamente rifondati.
Questa rifondazione è particolarmente necessaria quando si è
fatto un lungo tratto di cammino, e i problemi, le difficoltà e le
divergenze si vedono con maggiore chiarezza. EÂ’ il nostro caso.
Questa
conversazione è un elenco di rapidi appunti, che si accontentano di
esaminare puntigliosamente il titolo.
Quindi tre parti: la Chiesa
locale, missione, l'ad gentes.
Non
si può, però, svolgere il tema senza prima ricordare alcuni problemi
importanti presenti nella nostra Chiesa.
Non sono certo la fotografia completa della nostra comunità ,
tuttavia questi problemi si avvertono.
Il
primo è la frammentazione fra le varie forze missionarie che operano
nella nostra Chiesa locale.
La
varietà è dono dello Spirito, ma la frammentazione no .
Di qui un compito urgente: portare questi molti frammenti a unità .
La missione deve apparire comunione, comunione visibile, non
frammentazione. Anche perché
è facile passare dalla frammentazione alla contrapposizione, che è la
negazione di ogni autentica missionarietà .
Se non c'è comunione nella Chiesa che invia, il rischio è di
esportare altrove, in missione, le nostre tensioni. Sulla comunione
nella Chiesa locale si possono dire molte cose.
Ma qui ce ne basta una, concreta e verificabile. La comunione
si fa reale e visibile quando sa unire due linee: la linea verticale
dell’unità con il vescovo (che si esprime nell'obbedienza alle
sue direttive e nell'accettazione cordiale del piano pastorale
diocesano), e la linea orizzontale della fraternità fra tutte le
componenti della comunità diocesana (che si esprime nella
conoscenza reciproca,nellÂ’accoglienza gli uni degli altri -
parrocchie, movimenti e gruppi - nella costruzione di una rete di
fraterne relazioni).
Tutto questo vale anche, e direi
soprattutto, nel campo specifico dell'attività missionaria. Non basta
la linea verticale a rendere veramente visibile la comunione.
L'obbedienza di tutti al pastore e la reciproca fraternità alla base
sono le due facce di una stessa comunione. Insieme stanno o cadono. Si
potrebbe anche dire forse un po' esagerando che la linea verticale è
funzionale a quella orizzontale. La sincerità dell'obbedienza al
pastore è verificata dalla sua capacità di produrre fraternitÃ
orizzontale.
Il secondo problema è la ricerca di un equilibrio - non
di comodo, ma “ecclesiale”- tra la giusta preoccupazione per le
missioni particolari che la diocesi ha scelto e la disponibilità per la
missione di tutta, Chiesa e per tutti i missionari. Una lunga esperienza
ci convince che anche questo equilibrio non è facile. E d'altra parte
è essenziale. La missionarietà di una Chiesa locale, infatti, non può
ridursi a gestire qualche parrocchia in più, sia pure in terre lontane.
Il
terzo problema
è il
superamento della scollatura più frequente di quanto si immagini, fra l’animazione
missionaria in terra di missione. A dispetto delle buone
intenzioni, la scollatura è facile, perché le due attività sono
generalmente sottoposte a urgenze differenti. Il missionario è spesso
alle prese con urgenze animazione missionaria ha il compito, per sua
natura, di andare al di là delle emergenze e di porre le basi per una
spiritualità missionaria che ha bisogno di lunghi tempi per mettere
radici stabili, diffuse, capaci di
frutti duraturi. Così le divergenze, e anche i contrasti sono facili.
Il missionario ha fretta, spesso è impaziente. L’animatore
missionario è più lento: preferisce la profondità all'immediato.
LA
CHIESA LOCALE
Sul
significato teologico della Chiesa locale è stato detto ormai tutto,
dal Concilio in poi. La Chiesa locale è il farsi presente -qui e ora,
per noi- della Chiesa di Dio. La Chiesa locale non è una semplice
porzione della Chiesa universale, ma è la Chiesa di Dio che si fa
presente qui da noi.
Va
ricordato, a questo punto, che la Chiesa locale in senso vero è la diocesi. Alle volte diciamo Chiesa locale
la parrocchia, o addirittura il gruppo, ma è un parlare improprio.
La Chiesa locale è la diocesi, perché la Chiesa locale è la
dove sono presenti tutte le strutture essenziali della Chiesa di Dio,
e fra queste il Vescovo. Movimenti, gruppi, parrocchie sono "inseriti" nella
Chiesa locale, ma non sono “la”, Chiesa locale: è perciò essenziale
che siano in comunione con il Vescovo e inseriti nella realtÃ
diocesana. Se si isolano, potranno fare molte cose, ma non sono
“ecclesiali”: gente di buona volontà , ma non Chiesa.
Prima
del Concilio si insisteva quasi unicamente sulla Chiesa universale, non
sulla Chiesa locale. Dicendo “la Chiesa”, si intendeva sempre la
Chiesa universale, e le note della Chiesa venivano applicate solo alla
Chiesa universale: cosi l'unità , la santità , la cattolicità , la
missionarietà . La missione era affidata alla Chiesa universale, e
quindi alla Santa Sede e agli Istituti missionari. Le diocesi fornivano
vocazioni, denaro e preghiere.
Con
il Concilio, e poi nel post-concilio (ma le premesse c'erano già prima)
si è compreso che protagonista della missione è “anche” la Chiesa
locale. Sottolineo “anche”, perché non manca
chi dice "soltanto” la Chiesa locale. Un'opinione che non regge. Lo
spazio missionario che si è aperto per la Chiesa locale non deve
in alcun modo mettere in crisi altri spazi, per esempio quello degli
Istituti missionari, più che mai necessari. Resta vero, però, che le
responsabilità della Chiesa devono concretizzarsi nella Chiesa locale,
e fra queste responsabilità va annoverato il compito della missione
universale.
L'UNIVERSALITAÂ’ DELLA CHIESA LOCALE
La
Chiesa locale, figura della Chiesa di Dio, non può non essere universale,
capace cioè di farsi segno -proprio nella sua località -
della sollecitudine di Cristo che non ha confini. La Chiesa locale,
che la più piccola, non deve essere il segno che Dio ama noi, ma
che Dio ama tutti. L'aggettivo “locale” non significa una
restrizione dell'universalità , ma indica il luogo in cui l'universalitÃ
deve concretamente mostrarsi. Il “locale” non dice l'ambito della
sollecitudine (che per sua natura travalica ogni confine), ma il
soggetto -la comunità , appunto- che la vive. Locale è il promontorio
dal quale si guarda, non l'orizzonte che si osserva.
E
ovviò che questa essenziale dimensione universale della Chiesa locale
deve soprattutto manifestarsi nell'azione
missionaria. I modi possibili
sono certamente più d'uno. La Chiesa che è in Italia ha privilegiato
la via della cooperazione tra le Chiese, e così anche la nostra
diocesi. Una scelta che non si può non condividere. L'importante, però,
è che la scelta di una sollecitudine particolare -le nostre due
missioni- sia veramente segno di concreta universalità . Il termine
“segno” dice nel contempo l'importanza e l'insufficienza.
L'importanza,
perché
segno dice visibilità e concretezza. L'avere scelto come “nostre”
due missioni costringe la diocesi ad uscire da una sollecitudine
generica, che per preoccuparsi di tutti rischierebbe di non preoccuparsi
di nessuno. Le nostre missioni sono il segno di una responsabilitÃ
precisa e diretta.
L’insufficienza, perché
il segno di sua natura rinvia oltre. Le nostre due missioni non sono
l'universalità della nostra Chiesa, ma solo un segno di essa. La veritÃ
del segno è di non esaurirsi in se stesso, di non rinchiudere, ma di
rinviare. Preoccuparsi soltanto di due parrocchie in più non è
universalità . Le due missioni ci costringono ad aprire gli occhi sui
problemi delle altre Chiese, sulla povertà dei popoli del mondo povero,
sull'urgenza dell'annuncio di Gesù Cristo. Ma una volta che gli occhi
si sono aperti, resi attenti, non possono non accorgersi che gli stessi
problemi e le stesse urgenze sono anche altrove.
EÂ’
così che la scelta di una missione particolare non chiude l'universalità ,
ma la dilata. Gli stessi missionari animano veramente la Chiesa locale
solo se trovano il modo di ricordarle che i loro bisogni non sono
soltanto loro. Neppure il missionario ha il diritto di rinchiudersi nel
luogo in cui ha scelto di fare missione. E il segno concreto della sua
universalità è il coraggio di dire: non pensate solo alla mia
missione, ma anche alle altre.
LA
MISSIONE
Ma che cosa intendiamo per missione? Siamo sicuri di
intendere tutti la stessa cosa e non invece cose diverse? EÂ’ bene
partire da una convinzione teologica elementare, la quale, proprio perché
elementare, costituisce un irrinunciabile fondamento: la missione precede i missionari e precede la Chiesa stessa. Non spetta al
missionario, né alla Chiesa, decidere che cosa sia missione, perché il
volto della missione è già stato delineato da Gesù Cristo. A noi
spetta la genialità dell’attualizzazione, non la fantasia
dell'invenzione. Le stesse esigenze dei luoghi di missione -esigenze
culturali, sociali o altro- possono suggerire alcune modalità della
missione, ma non mutarne la natura. Non è guardando anzitutto agli
uomini che si comprende quale missione, ma guardando Gesù Cristo. E’ nella memoria del
suo evento che troviamo con chiarezza il contenuto
della missione, lo stile, e la
motivazione. Non c'è autentica
missione senza memoria e
obbedienza. A nessun missionario può
andare autonomamente, a nome proprio. E nessun missionario ha il diritto di dire parole sue, bensì solo
parole sentite, parole già dette. Il diritto e la forza del missionario
poggiano unicamente sull'autorevolezza della rivelazione di Gesù. Il
missionario 'è autorevole nella misura in cui è obbediente.
Si comprende, a questo punto, che le implicazioni
sono molte, persino ovvie, ma non di poco conto. Contenuto essenziale
della missione -direttamente o indirettamente, alle volte impedito o
differito, ma mai rinunciato- resta
sempre la rivelazione
di Dio che si è manifestata in Gesù Cristo, la sua verità su Dio e
sull'uomo, la sua salvezza. Lo stile della missione è il dialogo, ma il
contenuto essenziale della missione non è dialogabile. Dio si è
incarnato in Gesù di Nazaret e non
altrove, né prima né dopo, in quel modo e non in un altro. Per questo
il cuore della missione -resta in ogni caso l'annuncio.
LO STILE DELLA MISSIONE
Queste
osservazioni possono sembrare drastiche, radicali, probabilmente a
qualcuno anche unilaterali. Tuttavia sono sempre più convinto che si
tratta dei fondamenti. Non si abbia paura: non giustificano alcuna
arroganza, né alcuna imposizione. Al contrario, sono ragioni di
chiarezza e, insieme, di rispetto, di pazienza, di accoglienza e di
libertà .
Nella
fedeltà alla memoria di Gesù, infatti, il missionario non soltanto
scorge il contenuto della sua azione missionaria, ma anche -e con
altrettanta forza- lo stile della
vera missionarietà . E’ lo stile dell’incarnazione, che non
assomiglia alla violenza che irrompe dall'esterno e stravolge, ma alla
rispettosa umiltà del seme che germoglia pazientemente dall’interno.
Che le comunità e i missionari si ricordino sempre che il loro compito
è di gettare il seme, non di piantare gli alberi! La virtù del
contadino che semina è la pazienza dei tempi lunghi.
Paradossalmente,
la missione può incepparsi anche per troppa generosità : una generositÃ
impaziente, che nasconde la sottile arroganza di sostituirsi ai tempi di
Dio e della storia. E’ la generosità di chi annega
nelle emergenze senza trovare mai la distanza necessaria per
andare alla radice.
Stile
di incarnazione significa anche rispetto e accoglienza di tutto ciò che
è veramente umano, dovunque si trovi. Mi commuovo sempre quando
incontro dei missionari che sono rispettosi della cultura di un popolo
al punto da custodirla più di quanto faccia il popolo stesso. Anche
questa è una traccia della memoria di Gesù. Il Figlio di Dio ha
rispettato la nostra umanità più di quanto noi facciamo, e l'ha
amorevolmente custodita più di quanto noi la custodiamo.
LA DIREZIONE DELLA MISSIONE
La
memoria di Gesù, oltre al contenuto e allo stile, suggerisce anche una
precisa direzione, la cui nota qualificante è ancora una volta l'universalità . Il missionario può anche fermarsi in un posto
solo, in un posto piccolo, ma sempre per aprirlo al mondo. E se anche
vive tra i poveri, non può dimenticare di dire loro che ci sono altri,
tanti altri, poveri come loro, o più di loro. Anche il povero è
chiamato al dono di sé, come la vedova del vangelo.
Si
è soliti dire che la missione deve passare dall’aiuto allo scambio.
Questo è verissimo. Ma forse è bene accompagnare questa affermazione
con un'altra: dall'aiuto
al dono di, sé.
Lo
scambio sottolinea la reciprocità , e ricorda che la missione non
assomiglia al gesto del ricco che dà al povero. Il dono di sé
sottolinea la gratuità , la totalità e la definitività . La missione
mette in gioco la persona, non le cose. Il dono del superfluo non è
ancora la traccia di Dio, non è la vera memoria di Gesù. Egli ha dato
tutto se stesso. Il superfluo, invece, è semplicemente ciò che avanza, qualcosa che lascia
intatta la vita, che rimane al sicuro. La vedova del vangelo ha dato
tutto quanto possedeva, e ha perciò messo in gioco tutta la sua
esistenza.
Il
dono di sé è vero, se è per
sempre. Il segno della sua verità è la definitività . Uno può
stare in missione anche solo due anni, ma quei due anni devono essere il
segno che la sua vita è diventata missionaria per sempre. Può tornare,
può cambiare luogo, ma il modo di gestire la vita resta il medesimo!
LE MOTIVAZIONI DELLA MISSIONE
Ma
quali sono i veri motivi che spingono ad annunciare Gesù Cristo?
La domanda è cruciale, ma la risposta che so dare è semplice,
persino ovvia. Le ragioni
per annunciare Gesù Cristo sono tutte racchiuse nello spettacolo della
sua vita. E sono la
bellezza, la verità e l'amore. Tre
cose che non stanno ferme. Quando ti imbatti in un cosa bella, tu la
racconti. E quando ti
imbatti in una cosa vera, tu la dici. E se hai capito che la storia di Gesù è come un lampo che ha
illuminato per sempre il cammino del mondo e dell'uomo dandogli un
senso, allora tu lo racconti a tutti.
Non puoi farne a meno. E
se l'incontro con Gesù Cristo ha cambiato la tua esistenza dandole
forza,direzione,gioia di vivere, allora tu inviti gli amici a
condividerla.
Non
c'è forza missionaria semplicemente in un vangelo per sentito dire, né
c'è forza missionaria in un incarico sentito come un ordine che
sopravviene dall'esterno. La
missione nasce unicamente dal di dentro. Sappiamo che la salvezza di Dio è più larga della conoscenza:
di Gesù Cristo. Tuttavia
è missionario solo chi ha capito che il conoscere Gesù e il non
conoscerlo non è la stessa cosa. In
ogni caso, utile o no, non puoi non raccontare a tutti che Dio ha fatto
tutti.
AD GENTES
EÂ’
abituale, oggi, usare la parola missione
per un ventaglio assai ampio di cose: è missione anche l'esercizio
della propria professione, l'educazione dei figli, l'attività in
parrocchia. Quest'uso
molteplice del termine svela un'importante verità , e cioè che dietro
la varietà dei molti impegni c'è un'anima comune, che è la
testimonianza. Ma c'è
anche il rischio di perdere il senso forte della missione.
La
missione per eccellenza quella a partire dalla quale si comprendono le
altre resta la missione “ad gentes”.
Certo non si regge da sola, o staccata, perché ha bisogno di un
tronco che la fa vivere. Ma è la punta più alta, più esposta, che
meglio esprime la vitalità e la giovinezza dell'albero. E’in essa che
si scorgono con più chiarezza le strutture fondamentali di ogni
missionarietà : per esempio l'esodo. l'annuncio e universalità .
Ogni
cristiano è chiamato a staccarsi da sé e dal proprio per andare verso
il nuovo e l'altro. Il
missionario “ad gentes” si stacca dal suo mondo e dalla sua cultura
per avvicinarsi a un mondo diverso.
Naturalmente l'esodo non si misura sulla distanza geografica (che
pure resta un segno), ma culturale e religiosa. E non si misura sul dare
(si può dare, infatti, restando all'esterno, senza uscire da sé), ma
nel capire e nel lasciarsi coinvolgere.
L'annuncio
di Gesù Cristo è sempre nuovo, anche là dove già è conosciuto. La
sua novità ,, infatti non è temporale, ma qualitativa.
Tuttavia è là dove il suo annuncio risuona per la prima volta
che esso mostra con più chiarezza la sua carica rinnovatrice. Un'esperienza, questa, che il missionario -non deve tenere
per sé, ma comunicare alla sua Chiesa, che incorre sempre nel rischio
dellÂ’abitudine.
I
missionari ad gentes hanno due compiti, non uno: annunciare Cristo a
tutti
i popoli e ringiovanire
le comunità da cui sono partiti. Per
questo i missionari devono sempre
andare e ritornare, e devono
sapere che il ritornare è
importante quanto l'andare.
L'universalità è una
dimensione che ogni forma di
vita cristiana, e l'
ho già detto. Ma
è importante riconoscere
che di questa universalitÃ
la missione ad
gentes è il
segno più visibile, quasi
la prova del nove della cattolicità di una Chiesa: la prova,
in altre parole, della verità della sua generosità , della sua convinzione
che Cristo è la salvezza di
ogni uomo, della sua capacità di trasformare ogni cultura senza violentarla.
tratto da ATTUALITA' DELLA MISSIONE a cura di MISSIONE OGGI
(Parte di
questo discorso è ripreso da un mio articolo apparso in Rivista del
Clero Italiano 3, 1989. Suggerisco
la lettura di L. Aionso Schokei, Il
dinamismo della tradizione, Paideia, Brescia 1970,105-176; V.
Mannucci, Bibbia come Parola di
Dio, Queriniana, Brescia 1981, 308-319; 1. De La Potterie, L'interpretazione
della Sacra Scrittura, in R. Latourelle (a cura), Vaticano IL Bilancio e prospettive, voi. 1, Assisi 1987, 204-24?).
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