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L'amore di Cristo ci sospinge

( Lettera del Consiglio Episcopale Permanente Alle comunità cristiane per un rinnovato impegno missionario)

LETTERA DEL CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE
ALLE COMUNITÀ CRISTIANE


"L'AMORE DI CRISTO CI SOSPINGE"
 

PER UN RINNOVATO IMPEGNO MISSIONARIO

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Lettera del Consiglio Episcopale Permanente alle comunità cristiane per un rinnovato impegno missionario


L'AMORE DI CRISTO CI SOSPINGE
 

Sorelle e fratelli nel Signore!
É con grande gioia che vi inviamo questa lettera sull'impegno missionario delle nostre comunità. Come potete immaginare, ci sta molto a cuore la responsabilità per l'annuncio del Vangelo fino ai confini della terra e vorremmo alimentare, dentro di voi, lo stesso ardore.
In questi anni la vitalità missionaria delle nostre Chiese ha sempre trovato un notevole contributo da parte di vescovi, sacerdoti e diaconi, religiosi e religiose, laici e laiche.
La Conferenza Episcopale Italiana ha sostenuto e promosso ad ogni livello la maturazione della corresponsabilità missionaria universale.
Ne sono prova i ripetuti interventi magisteriali e anche le stesse strutture messe a servizio dell'impegno missionario.
Molte realtà ecclesiali sono state così condotte a guardare alla "missio ad gentes" come a una dimensione essenziale della vita della Chiesa.
Siamo consapevoli, però, che questa mentalità deve ancor più crescere tra noi e perciò, anche con questa lettera, vorremmo coltivare in voi una grande sensibilità missionaria dando risonanza, in modo particolare, al Convegno Missionario Nazionale che si è svolto, dal 10 al 13settembre 1998, a Bellaria. In maniera breve e semplice intendiamo metterne in evidenza alcuni aspetti di fondo ed alcune scelte pratiche, che potrebbero arricchire lo specifico impegno missionario della nostra vita quotidiana personale e comunitaria.
A quel Convegno infatti, aperto soprattutto ai laici, vennero invitati - insieme con i missionari, le missionarie e i numerosi collaboratori e collaboratrici del mondo missionario - anche molti operatori pastorali e alcuni rappresentanti di associazioni, movimenti e gruppi ecclesiali, Si è così voluto sottolineare che la missionarietà interessa tutti gli ambiti della pastorale e della vita cristiana.
Chi riuscì a parteciparvi, poté vivere tre giorni di preghiera, studio e dibattito sul tema:
"Il fuoco della missione". Senza dubbio questo appuntamento è stato, anche numericamente, uno dei più rilevanti della Chiesa italiana, dopo la grande assise ecclesiale di Palermo.
Il collegamento tra questi due convegni è evidente, soprattutto nei contenuti.
Quello di Palermo affrontò le urgenti questioni dell'inculturazione della fede e dell'evangelizzazione della cultura nel contesto sociale italiano e indicò il progetto culturale e il discernimento comunitario come metodi privilegiati della nuova evangelizzazione: veri e propri cantieri di lavoro missionario.
A distanza di tre anni, Bellaria ha inteso riproporre la stessa questione partendo da uno scenario più vasto rispetto ai confini e ai problemi nazionali. In quest'ultimo convegno la Chiesa italiana ha riflettuto su come accogliere ed annunciare il Vangelo tenendo come punto di riferimento il mondo nella sua globalità, lasciandosi interpellare dai problemi e dalle sfide più urgenti che lo riguardano e confrontandosi con l'esperienza evangelizzatrice che le giovani Chiese stanno realizzando nei diversi continenti.
Nel Convegno del settembre scorso si è guardato anche al grande Giubileo ormai imminente, nella convinzione che accendere il fuoco della missione sia una condizione necessaria perché il Giubileo stesso possa essere un evento di salvezza non solo per i cristiani ma per il mondo intero: "una lieta notizia per i poveri" e "un annodi grazia del Signore" (Lc 4,18-19).
Di quel convegno vorremmo ora riprendere il tema, indicato dal titolo, domandandoci come si accende ed alimenta il fuoco della missione.
A partire dalla metodologia adottata, che invitava ad aprire "il libro delle missioni", vorremmo mostrare, sia pure molto sinteticamente, quanto la dimensione missionaria sia essenziale alle nostre comunità.
Una maggiore apertura universale, infatti, non solo qualifica la loro identità, ma contribuisce a quella conversione pastorale che le aiuta ad affrontare efficacemente il compito della evangelizzazione nel contesto sociale e culturale odierno.

1. ACCENDERE IL FUOCO DELLA MISSIONE
Sono venuto a portare il fuoco sulla terra (Lc 12, 49)

1. Questo miracolo avviene anzitutto quando, per l'ispirazione dello Spirito Santo, noi diciamo: "Gesù è Signore" (1 Cor 12,3). La coscienza missionaria nasce e si forma nell'incontro con Cristo. Ne deriva che ogni debolezza cristologica indebolisce la radice stessa della missione. Forse sta proprio qui la ragione di cene nostre esitazioni.
Accanto a una forte ricerca teologica, per altro già in atto, lo slancio missionario richiede una forte spiritualità di cui, forse, siamo ancora carenti.
Senza dubbio la vivacità missionaria delle prime comunità cristiane - di cui parla il libro degli Atti degli Apostoli - nasceva dall'esperienza di un personale incontro con Cristo.
L'urgenza della missione nasce dall'interno, e la stessa convinzione che Cristo è atteso da ogni uomo è colta a partire dalla propria esperienza di incontro con lui.
E' questa la risposta al "perché" della missione. La riflessione teologica chiarisce e rende rigorosa questa spinta interiore, ma non basterebbe in nessun modo da sola a suscitarla. Indugiare troppo sul "perché" della missione può essere un segno della debolezza della nostra fede.
Non si abbia paura di questa forte accentuazione della centralità di Cristo.
Essa non mortifica il dialogo con le altre religioni, né impedisce di riconoscere verità che in esse sono presenti. Al contrario, più l'incontro con Cristo è profondo, chiaro, irrinunciabile, più il cristiano sa vedere i segni della sua attesa nel mondo, le tracce della sua presenza e della sua azione, i punti dell'incontro.
Il fuoco della missione si accende quando lo Spirito Santo trasforma i nostri cuori.
É lo Spirito il protagonista della missione. Egli la suscita e la guida. Il fuoco della missione si accende quando lo Spirito ci trascina fuori da Gerusalemme, fino ai confini del mondo (At 1,8). Lo Spirito opera due miracoli assolutamente necessari per la missione: trasforma il discepolo in missionario (l'azione dello Spirito è sempre dal chiuso all'aperto, dal particolare all'universale) e attualizza l'evento storico di Gesù (accaduto in un tempo e in un luogo), rendendolo disponibile per ogni tempo e ogni luogo.
Se l'incontro con il Signore Gesù Cristo è decisivo perché la missionarietà attecchisca nel cuore di ciascuno di noi e nelle nostre comunità, questo è perché in lui si manifestano l'amore e la misericordia come tratto essenziale del volto di Dio, vero e autentico Padre.
E' l'essere rivelatore del Padre che fa di Gesù il luogo più luminoso in cui scorgere la figura evangelica della missione. Egli ha rivelato il Padre facendo missione, mostrando cioè - con la sua incondizionata accoglienza, libera da qualsiasi volontà di discriminazione - che di quell'unico Padre tutti gli uomini sono chiamati a riconoscersi figli.
E' di questo amore universale che ogni comunità cristiana deve farsi testimone.
Gesù si è circondato di discepoli - la sua vera famiglia! -, ai quali ha dato tempo e cure, ma la sua preoccupazione non ha mai cessato di essere sempre per tutti.
Egli ha pensato al gruppo dei discepoli in funzione della missione.
I Vangeli documentano che Gesù portava con sé i discepoli nella sua missione itinerante. Insieme con lui i discepoli erano costantemente davanti alla folla.
Nel Vangelo di Marco si legge che "ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare" (3,14-15). Lo stare e l'essere inviati sono fra loro saldamente congiunti, in un rapporto che si potrebbe dire circolare. E' stando con Gesù che si comprende l'urgenza e la natura dell'andare: perché andare, dove andare, per quale annuncio.
Ma è andando che si sta veramente in compagnia di Gesù: egli infatti è sempre in movimento, itinerante, senza fissa dimora: "Il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo" (Mt 8,20).

2. Ecco allora qualche suggerimento pratico per favorire l'accendersi del fuoco della missione.

a) Le nostre comunità cristiane, fra le tante urgenze, dovranno imparare a riconoscere che la più urgente è ancora e sempre la missione.
Per maturare questa coscienza faranno bene a raccogliere l'invito, emerso a Bellaria, di prendere in mano il documento conciliare sull'attività missionaria Ad gentes, l'esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi e la più recente enciclica missionaria di Giovanni Paolo Il, la Redemptoris missio. Sono tutti testi di formazione pastorale per le nostre Chiese e quasi un "catechismo missionario".
Particolarmente ispiratori di prospettive missionarie possono risultare i capitoli secondo e terzo della Redemptoris missio, dedicati rispettivamente al regno di Dio, all'orizzonte ampio della missione e allo Spirito Santo, protagonista della missione, la cui azione precede e supera l'operato diretto della Chiesa.

b) A noi vescovi, e ai sacerdoti, vogliamo ricordare che per sua natura il nostro ministero, dovunque ci troviamo a svolgerlo, è per tutto il mondo.
Tutti dunque dobbiamo stare in ascolto dello Spirito Santo, così da cogliere ogni sua sollecitazione per dare un'impronta missionaria alle comunità a noi affidate e per essere disponibili a coltivare i germi di vocazione che conducono i nostri fedeli, e anche i sacerdoti diocesani, a varcare i confini del nostro paese per predicare il Vangelo in ogni luogo.

C) Agli istituti missionari italiani - segno, strumento e memoria della missione della Chiesa - è chiesto anche oggi dì saper assolutamente rimanere se stessi, fedeli all'azione missionaria "ad gentes" e "ad vitam".
E' questa la perenne forza attrattiva e di immagine che nessuno potrà togliere alla missione e ai suoi operatori. L'universalità della missione aiuterà noi tutti a mantenere sul mondo lo sguardo giusto. Gli istituti missionari, ben lungi dall'aver esaurito il proprio compito, devono piuttosto avere ancor più ampia incidenza nella vita della Chiesa intera.
Per quanto riguarda l'Italia è auspicabile che essi estendano la loro collaborazione e la loro animazione ad alcune esperienze di prima evangelizzazione, in quelle aree geografiche che maggiormente potrebbero usufruire del carisma ad gentes, ridefinendo - per quanto possibile - la loro collocazione territoriale nelle varie regioni italiane, a vantaggio di quelle zone che oggi ne risultano maggiormente sprovviste.

d) Gli istituti religiosi aventi missioni e gli stessi movimenti ecclesiali - i quali si sono aperti alla problematica missionaria attraverso la singolare via della loro internazionalizzazione -, comunicando la passione missionaria nel rapporto ineludibile con la Chiesa locale, aiuteranno non poco le comunità cristiane a coniugare l'esperienza dello stare insieme con quella dell'essere inviate. Le accentuazioni spirituali e apostoliche che caratterizzano il loro metodo e le loro esperienze mostrano infatti fin troppo chiaramente che al cristiano non serve una vocazione in più per essere missionario: basta la vocazione che ha!

e) Infine è doveroso coltivare un maggior riconoscimento del ruolo dei laici.
Essi sono portatori di competenze che possono provvidenzialmente "provocare" il modello missionario messo in atto dal clero, dai religiosi e dalle religiose.
Essi possono anche aiutare il ripensamento delle forme con cui si esprime il lavoro missionario, favorendo una partecipazione diversificata, capace di coinvolgere i singoli e le famiglie, anche attraverso piccole comunità ecclesiali.

2. APRIRE IL LIBRO DELLE MISSIONI
Andate e ammaestrate tutte le nazioni (Mt 28,19)

3. La metodologia adottata nello svolgimento del Convegno di Bellaria ha privilegiato moltissimo l'ascolto vicendevole e la meditazione delle esperienze missionarie che si stanno vivendo a tutte le latitudini. In questo senso è stato un invito a riaprire il "libro delle missioni ", con la consapevolezza che, anche in questo modo, può essere alimentato in noi l'ardore apostolico e può fecondamente rinnovarsi il nostro cammino nella missione e dalla missione. Scoprire infatti quanto ovunque nel mondo, per amore del Vangelo e a servizio dell'uomo, molti fratelli e molte sorelle stanno vivendo, permette alle nostre Chiese di ricevere una grande ricchezza: quella di risvegliare la propria passione missionaria che provoca sempre segni vivi, forti e tangibili di rinnovamento pastorale.
Come hanno ampiamente dimostrato anche i recenti Sinodi continentali, il confronto a 360 gradi con le varie realtà che danno volto all'unica Chiesa cattolica, ripropone alle nostre chiese di antica evangelizzazione un richiamo potente per tornare all'essenza della vita cristiana: Parola, Eucaristia, Testimonianza.
Dalle giovani Chiese della missione, quasi come da un "laboratorio ecclesiale", può dunque trarre utile ispirazione la necessità sempre più universalmente avvertita ed invocata di intraprendere nuove strade pastorali.
D'altra pane il consistente numero di sacerdoti 'fidei donum", di religiosi, religiose e laici - ancor oggi più di 15.000 persone che concorrono a mantenere significativamente ricca la tradizione missionaria italiana e sono spesso impegnate su difficili frontiere sociali ed ecclesiali fino al martirio - assicura che la Chiesa italiana è una Chiesa "madre", che genera e alleva figli di Dio. Riuscire a valorizzare maggiormente la presenza dei missionari, anche quando rientrano in Italia per un qualche tempo o per rimanervi definitivamente, sarà sicuramente un' esperienza preziosa per riflettere su ciò che siamo chiamati a fare, qui e nel mondo intero.

4. Ecco alcune scelte, indicate a Bellaria, che potrebbero favorire l'apertura del libro delle missioni.

a) Anzitutto è emerso l'invito a valorizzare alcuni strumenti che le comunità possono facilmente avere tra mano, dalle riviste missionarie agli incontri con i missionari, che sono stati invitati a comunicare ancor di più di quanto già fanno e a rielaborare sempre meglio le loro esperienze in modo da renderle significative per tutti.
E' stato anche suggerito di creare, nelle forme più semplici possibili, apposite strutture "di ascolto" delle altre Chiese.

b) É stato ricordato che alcune iniziative promettenti sono in atto.
Ci sono, ad esempio, istituti di scienze religiose che già introducono nei loro corsi un gruppo di lezioni per studiare le esperienze delle altre Chiese e le motivazioni che ne stanno alla base. Il corso di missiologia sta ricevendo, qua e là, una cena attenzione nei seminari teologici e, sempre nei nostri seminari, è da giudicare molto apprezzabile che lungo l'anno vengano previste giornate di incontro con testimonianze missionarie capaci di interpellare la coscienza dei candidati al sacerdozio e di garantire loro il giusto orizzonte nel quale leggere il ministero futuro.
V'è da aggiungere che vi sono poi diocesi che dedicano annualmente alla riflessione missionaria almeno una delle riunioni mensili del clero.
Altre realizzano "visite allargate" ai missionari, coinvolgendo sacerdoti e laici, nonché seminaristi e spesso anche un numero notevole di giovani, allo scopo di confrontare ideali ed esperienze pastorali.

c) Positivi riflessi avrà certamente sull'animazione missionaria e sul rinnovamento in senso missionario delle nostre comunità, ripensare a livello di Chiesa locale il mandato missionario. Alle attenzioni di sempre, dovremo senz'altro l'aggiungere in maniera organica quella sul ritorno/rientro.
E' questa un'attenzione fino ad oggi quasi sempre disattesa, sorgente di equivoci e disagi sia per i missionari rientrati che per le comunità che li riaccolgono. Il ritorno/rientro invece dovrebbe caratterizzare fin dalla proposta vocazionale l'esperienza missionaria,
qualificandone in seguito l'appartenenza ecclesiale e l'accompagnamento in missione.

d) Tocca, in modo particolare, agli Uffici e ai Centri Missionari Diocesani, in collaborazione con tutte le forze missionarie e a fianco di altri uffici e organismi pastorali più direttamente connessi (catechesi, vocazioni, giovani, migrazioni, caritas...), aiutare le nostre comunità a "tenere aperto il libro delle missioni". E dunque necessario rafforzare i Centri Missionari Diocesani, costituendoli ove ancora non esistessero. Una scelta obbligatoria soprattutto se si vuole collocare la pastorale missionaria nel contesto più proprio di una pastorale ecclesiale d'insieme.

e) In vista di quest'ultimo risultato potranno essere ripensate, con opportuni itinerari che accompagnino tutto l'anno pastorale, diverse iniziative gia esistenti, a cominciare dalla Giornata Missionaria Mondiale e da altri eventi, perché non restino relegati a circostanze straordinarie, e purtroppo, secondo la prassi più comune, prevalentemente orientate alla raccolta di fondi piuttosto che alla sensibilizzazione e diffusione di una cultura missionaria.

f) Le stesse Pontificie Opere Missionarie, che intendiamo riproporre perché siano sostenute e promosse in ogni diocesi, realizzeranno più pienamente la loro identità di comunione e solidarietà universale collocate nel contesto di una nuova coscienza missionaria della Chiesa particolare (cf Cooperatio missionalis, 4 e 13).

g) Sarà infine opportuno rileggere l'impegno missionario a partire anche dalle istanze delta giustizia e della pace. É questo un avamposto o una "frontiera" in cui esercitare la dimensione profetica. Non potrà certo essere per questo che il missionario si sentirà a disagio o marginalizzato, mentre si renderà espressione della coscienza critica della Chiesa e nella società, sospinto unicamente dall' "Incarnationis mysterium"(Bolla di indizione del Grande Giubileo dell'anno 2000) e dal bisogno di manifestare "la bontà di Dio, Salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini" (Tt 3,4).

3. DISPORCI AD UNA CONVERSIONE PASTORALE
Rispondere... del/a speranza che è in voi (1 Pt 3, 15)

5. Resta da aggiungere che il fuoco della missione è capace di trasformare profondamente la nostra pastorale, in tutte le sue forme e nelle sue stesse strutture, e di incidere su tutto il nostro lavoro formativo.
Di conversione pastorale aveva già parlato il Convegno ecclesiale di Palermo.
Questi anni hanno insegnato che non dobbiamo sottovalutarne né la portata né la difficoltà né il tempo che essa richiederà. Si tratta infatti di rimescolare le carte delle nostre abitudini e consuetudini pastorali. La "missio ad gentes" può infatti essere intesa non soltanto come il punto più alto e conclusivo del nostro impegno pastorale, ma anche come il suo paradigma più stimolante e illuminante. Guidati da questa convinzione saremo condotti a rivedere tutti i capitoli della pastorale e a rinnovarli.
Si è soliti distinguere fra cura pastorale e missione, una distinzione che può essere utile, ma che non è priva di qualche pericolo.
Non c'è vera cura pastorale che non formi alla missione e alla mondialità.
E non c'è comunità che possa rinchiudersi in se stessa, unicamente preoccupata delle proprie necessità, pur se importanti e numerose. Anche se piccola e povera, antica o nuova, ogni comunità deve farsi segno dell'amore di Dio per tutti. L'universalità è veramente essenziale per un'autentica testimonianza evangelica. Tutto questo richiede una trasformazione mentale, un modo diverso dì pensare e gestire le cose, un superamento delle abitudini pastorali più consolidate.

6. A proposito di questo rinnovamento, possono essere considerate alcune decisive attenzioni.

a) Anzitutto il fuoco della missione dovrà animare l'intera formazione cristiana, in tutte le sue tappe e in tutte le sue manifestazioni. Non può restare un capitolo che si aggiunge a parte. Perché non c'è verità di Dio, non c'è aspetto del Vangelo che non abbia in sé, implicitamente o esplicitamente, una nativa direzione universale. L'itinerario della formazione cristiana deve essere missionario fin dall'inizio, non soltanto nelle sue ultime tappe, quasi a conclusione.

b) A noi vescovi, e ai sacerdoti in particolare è chiesta una rinnovata consapevolezza missionaria per non rimanere ancorati semplicemente a modelli pastorali improntati alla conservazione dell'esistente e per aprirci invece sempre più alla responsabilità di sostenere la vita di fede della nostra gente oggi e in futuro. In ordine a questo obiettivo è essenziale che le nostre comunità, mentre vanno chiamate a vivere intensamente la comunione con l'intera comunità diocesana, siano educate ad aprirsi e ad appassionarsi al cammino della Chiesa universale, disponibili alle esigenze indicate dalle molteplici forme di cooperazione.

c) Certamente l'educazione capillare all'universalità richiede un impegno costante e attento. Non però un obbligo in più, bensì un "respiro nuovo" negli impegni ordinari e comuni: l'assemblea domenicale, la celebrazione dei sacramenti, l'educazione quotidiana in famiglia, la catechesi e la carità. In modo specialissimo, la celebrazione dell'Eucaristia nel giorno del Signore può veramente diventare il luogo per eccellenza della conversione missionaria, senza nulla aggiungere alla celebrazione stessa. Tutto nell'Eucaristia parla di universalità.
Basta viverla e farla vivere correttamente.

7. Occorrerà poi tenere sempre presente che la conversione pastorale, sollecitata dalla "missio ad gentes", è resa urgente, per noi in Italia, da alcune situazioni - per esempio quella di minoranza e di pluralismo religioso - in cui le nostre Chiese vengono oggi a trovarsi.

a) Evangelizzare queste situazioni significa anzitutto due cose: trovare la forza di mantenere viva e chiara la consapevolezza della nostra identità cristiana e ricordare sempre che la potenza di Dio si manifesta nella debolezza
della croce: "Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza" (2 Cor 12,9).

b) Occorre aggiungere che oggi - come già al tempo delle comunità delle origini cristiane - la prima via dell'evangelizzazione è il contatto personale: una via povera, che non abbisogna di troppi strumenti, e tuttavia efficacissima. Una via povera, ma non facile, perché esige di ritrovare la gioia di sentirsi chiamati a rendere conto della speranza che è in noi (cf i Pt 3,15)
in una quotidiana e capillare testimonianza, attraverso relazioni fedeli al Vangelo, significative a livello personale, familiare e comunitario.

c) Siamo così chiamati anche a compiere gesti di vita nuova. Tra questi il Convegno di Bellaria ha richiamato l'urgenza del cambiamento del nostro stile di vita, rapportato alla realtà dei popoli poveri; la scelta dei mezzi poveri per tutto ciò che riguarda la missione della Chiesa, resistendo agli idoli della nostra società; l'impegno per un'effettiva giustizia, a livello locale e internazionale; la vicinanza a chi soffre delle molteplici forme di emarginazione; la solidarietà con i deboli e le vittime e la difesa dei loro diritti; la testimonianza di scelte evangeliche nei conflitti.
Gesti come quelli ora ricordati sono già vissuti da molti cristiani del nostro paese, ma ancora lontani dall'essere comuni nelle nostre comunità.
É in queste espressioni che si manifesta oggi, in modo certamente non trascurabile, la fede nel Signore Gesù e la sequela di lui. In rapporto a tutto questo è da favorire, a livello diocesano, la messa in atto di esperienze che sostengano nuovi stili di vita, alternativi e critici nei confronti di quelli dominanti nella nostra società.
In questi anni il coinvolgimento in alcune iniziative eloquenti circa il modo di pensare la vita umana e la convivenza, ha fatto del mondo missionario un luogo di discussione e rielaborazione spesso capace di interpellare parti significative dello stesso mondo laico.
Anche l'iniziativa ecclesiale in vista della riduzione del debito internazionale dei paesi poveri, legata alla celebrazione del prossimo Giubileo e promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana, potrà essere una ulteriore verifica di questa capacità di sollecitare la società.

d) Da non sottovalutare sono anche certe iniziative innovative di missionarietà presenti diffusamente sul territorio, soprattutto in favore dei più poveri. Esperienze di missionarietà di strada e di attenzione alle povertà emergenti: gli immigrati, le donne coinvolte nella tratta delle prostitute, i ragazzi ridotti in schiavitù nel lavoro nero, le difficili condizioni umane delle periferie urbane. L'universalità di Gesù infatti parte sempre dal basso, cioè dagli ultimi.

e) Ancora: il confronto con le missioni può concretamente aiutarci a considerare prioritaria nei nostri progetti missionari l'attenzione ai più lontani. Come si fa opera di giustizia se si dà priorità alle esigenze dei più poveri, così è per l'annuncio: sono quelli che non l' hanno mai sentito che vanno raggiunti per primi. Hanno il diritto di poter conoscere Cristo!
E' in vista di loro che siamo stati chiamati a essere cristiani. Tutta la comunità cristiana, la sua vita interna e la stessa azione missionaria nel proprio territorio, è finalizzata ad annunciare "la benedizione di Dio" a tutti i popoli. La Scrittura dice che in Abramo saranno benedette tutte le genti (cf. Gen 12,3). Chiediamo ai missionari "ad gentes" di continuare ad essere pungolo efficace nelle nostre comunità cristiane in vista di una risposta sempre più adeguata alla nostra vocazione.

f) La benedizione di Dio per tutti i Popoli ci deve sospingere ad affrontare anche un capitolo sostanzialmente inedito del compito missionario: quello di un'attenzione evangelizzatrice nei confronti di coloro che sono condotti fra noi dalle migrazioni in atto soprattutto in questi ultimi anni e che ci hanno portato, in certo modo, l' "ad gentes" in casa. In favore dì tutti questi fratelli è giusto vivere il "Vangelo della carità"; ci dobbiamo sentire non meno chiamati a offrire loro, nei modi e nei tempi più opportuni, anche la "carità del Vangelo".

g) Quanto appena accennato suggerisce di aggiungere che le missioni ci chiedono allenamento al dialogo con le culture diverse, nella certezza che Dio non soltanto accompagna e sostiene la sua Chiesa, ma la anticipa.
Si tratta, nella vita di ogni giorno, di diventare una Chiesa che si mette nei panni degli altri e che non teme (e anzi ricerca) l'incontro con i non credenti, dentro i quali abbiamo fiducia possa sempre risvegliarsi il credente, a partire dai comuni problemi e impegni per l'uomo.
Novità significative si registrano in questo campo della interculturalità, a partire dall'impegno per l'emergenza (oltre agli immigrati pensiamo qui anche alla condizione di studenti e lavoratori esteri e ai profughi), ma in una logica di intervento a più ampio respiro.
Senza dimenticare il coinvolgimento in questi processi di diversi attori istituzionali, quali le amministrazioni pubbliche e la scuola.

h) L'esperienza missionaria delle Chiese sparse nel mondo può aprire la nostra Chiesa a una nuova lettura della vita cristiana: quella che dà il primato ai martiri, riconoscendo in loro la vera misura del cristiano. Essi ci offrono infatti un'indicazione di straordinario spessore; in particolare la volontà di seguire il Signore fino a dare, come lui, la vita per i fratelli: nella difesa dei diritti dei più poveri, nell'affermazione della dignità di ogni persona anche se debole, nella condivisione e solidarietà con chi è vittima della ingiusta violenza, nella professione della fede che non è stata ridotta al silenzio dalle minacce. I martiri invitano la nostra Chiesa a contare non sulla forza e sul prestigio umani, ma sulla forza che Dio assicura a chi si affida a lui ed è fedele al suo Vangelo.

4. ESSERE GRATI A DIO E LASCIARCI ACCOMPAGNARE DA MARIA
Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme... con Maria (Atti, 14).

8. Terminiamo questa nostra lettera ringraziando il Signore per il dono dei molti missionari che, partiti dalle nostre comunità, spendono la loro vita in ogni parte del mondo per la causa di Gesù. Sono uomini e donne, laici, sacerdoti, diaconi e religiosi che hanno saputo accendere nei loro cuori il fuoco della missione. La loro passione missionaria semplice e coraggiosa - tanto forte da non ritrarsi neppure al rischio della vita, come oggi tanti esempi ci mostrano - è per noi motivo di gioia profonda e di grande fierezza.
Pregando intensamente perché sorgano nuove e numerose vocazioni missionarie, accompagniamo quanti sono già sul campo di lavoro missionario, desiderosi di conoscere e condividere sempre di più le loro fatiche, pronti ad accoglierli con gratitudine al loro ritorno.
La Madre del Signore - che ha affiancato il gruppo dei discepoli nell'attesa dello Spirito che il avrebbe trasformati in coraggiosi missionari - continui a vegliare sulle nostre comunità perché sappiano, oggi come allora, aprirsi alla venuta dello Spirito che accende il fuoco della missione.
 


Roma, 4 aprile 1999
Domenica di Pasqua, Risurrezione del Signore

Il Consiglio Episcopale Permanente

 

 

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