Quando diamo
uno sguardo retrospettivo all’America Latina, ci rendiamo conto che non c’è
proporzione tra i milioni e milioni di afroamericani e il numero così ridotto
di vescovi e clero. EÂ’ davvero un piccolo
gregge. Ad esempio il Brasile. Siamo più di 50 milioni di afrobrasiliani.
Cattolici in massima parte. Abbiamo mezza dozzina di vescovi e circa cinquecento
preti di origine africana. In un passato un po’ più lontano, non c’era
nessun vescovo, nessun prete discendente di africani in questa terra della Santa
Croce. Neri e indios non erano considerati adatti al sacerdozio e alla vita
religiosa.
Quando, nel
secolo XVIII, il Marchese di Pombal espulse dal Portogallo e dai suoi domini gli
ordini religiosi (solo i gesuiti cacciati dal Brasile furono più di seicento!),
la chiesa del Brasile-colonia rimase quasi sprovvista di sacerdoti. Ciò che e
permise di sussistere fu il cattolicesimo popolare, con le sue novene e
pellegrinaggi, e il catechismo insegnato da laici e laiche. La visita di un
prete alle comunità era cosa rara in quel tempo. Una volta all’anno, in linea
generale. Quando il sacerdote arrivava, faceva tutto: battezzava, confessava,
predicava, benediceva i matrimoni e celebrava la messa.
Fino ai giorni
nostri patiamo questa carenza di sacerdoti. La più grande nazione cattolica del
mondo no dispone di ministri ordinati in numero sufficiente per le necessitÃ
spirituali dei suoi fedeli.
EÂ’ una
carenza che non verrà risolta in futuro se non si supereranno alcune
barriere.
Una, è il preconcetto che colpisce ili nero e la sua cultura. Nonostante tutte
le dichiarazioni che affermano il contrario, il pregiudizio razziale è ancora
ben vivo e operante nella strutture ecclesiastiche. Finché i responsabili della
pastorale a tutti i livelli non saranno persuasi che il nero ha valore, ha
sapere, ha virtù e cultura, resteremo fermi a questa percentuale assurda di un
vescovo nero per 10 milioni di afrobrasiliani e di un prete nero per 120 mila
fratelli neri.
O il ministero o la famiglia
Il documento di Santo Domingo ( elaborato
dalla IV Conferenza generale dellÂ’episcopato latinoamericano nel 1992) parla
con forza della necessità dell’inculturazione. Ma inculturazione non è
semplicemente introdurre riti afro
nella liturgia. E’ molto di più. E’ riconoscere i valori della cultura nera
e promuoverne lÂ’integrazione con i valori di altre culture, specialmente
quella degli europei che furono i primi a renderci testimonianza del Vangelo e
della chiesa.
Uno dei valori
della cultura africana è l’accoglienza. La liturgia romana è poco
accogliente. EÂ’ molto girata verso
Dio e poco verso le persone e la comunità . Chi viene a messa si preoccupa di
trovare un posto a sedere prima di verificare dove sono le persone con le quali
entrare in contatto. Le celebrazioni afro, sono accoglienti dallÂ’inizio alla
fine.
La cultura
africana valorizza molto la famiglia, non concepisce un individuo al di fuori o
senza di essa. Il matrimonio non è concepito come unione appena tra un uomo e
una donna, ma come unione tra famiglie. Di qui, lÂ’importanza che molti
attribuiscono a unÂ’esperienza prematrimoniale che consenta di valutare se ha
chanche di durata lÂ’unione delle due famiglie.
La chiesa
occidentale ha stabilito un diaframma tra la famiglia e i ministri ordinati:
questi non possono farsi una famiglia né possono vivere in famiglia. Noi neri
comprendiamo e accettiamo che esista il carisma di un amore più grande che
porti uomini e donne a uscire dalla normalità e ad offrire tutto il loro amore
a Dio per porlo a servizio di quanti non sono amati: ammalati, carcerati,
poveri, ragazzi di strada e altri, che sono i preferiti di Dio – oppure per
una vita interamente dedicata alla contemplazione. Nella visione africana però
(così come nel Vangelo), questo non è dato per tutti, neppure è per la
maggioranza: è per quelli cui è concesso (Matteo
19,11).
Per noi
africani la famiglia è importante. Ci sono delle norme disciplinari che in
Africa e per i discendenti degli africani è difficile vivere. Per esempio che
una religiosa debba staccarsi dalla famiglia. Mantenere le relazioni familiari
è molto importante per noi. Sarebbe necessario rivedere le posizioni
disciplinari della chiesa, anche sull'esigenza per i preti del celibato
obbligatorio. Dovrebbe essere opzionale. EÂ’ un punto che tocca molto la
cultura africana. Moltissimi sentono la chiamata del Signore al servizio
ecclesiale, ma non se la sentono di accettare il celibato.
La cultura dei
nostri antenati valorizza molto la donna. E’ lei che ha l’axé(fecondità ,
energia, pace). In molte comunità del candomblé, i terreiros, è la maede-santo
l’autorità principale. Nella chiesa cattolica, la donna resta ancora in
secondo piano.
Il tempo stringe
Con semplicitÃ
e gioia riconosciamo che i nostri antenati venuti dallÂ’Africa furono capaci, a
dispetto di tutti i limiti cui furono sottoposti, di dar vita a scenari o
paradigmi che possono costituire un riferimento per la società e la chiesa
d’oggi. Una società contrassegnata dal neoliberismo escludente e creatore di
“masse in esubero”, potrebbe trovare nei quilombos
(chiamati nei paesi andini palenques)
un modello di organizzazione sociale del lavoro nella quale non ci sono
salariati né padroni: sono tutti soci e ciascuno deve contribuire a misura
delle sue capacità e usufruire secondo le sue necessità . Nel quilombo era così.
Il terreiro
è l’altro scenario di riferimento. Più che un luogo, il terreiro è una comunità celebrante nella quale tutti si sentono
fratelli e possono vivere unÂ’esperienza
di incontro con il soprannaturale. L’esperienza diventa più importante della
conoscenza. Le nostre comunità liturgiche guadagnerebbero in profondità se
vivessero, come lo si vive nel terreiro,
questo clima di incontro personale con Dio e con i fratelli. EÂ’ quello che
accadeva nella comunità apostoliche quando in esse discendeva lo Spirito del
Signore.
Questa
esperienza collettiva ( per meglio dire, comunitaria) di Dio trasmette una forza
che è ciò che ha permesso ai neri di sopportare i patimenti della schiavitù.
Il nero si sentiva e si sapeva unito nel suo orixà .
Lo Spirito Santo, il Grande Orixà ,
che viene e prende possesso di ogni discepolo di
Cristo, non opererebbe
meraviglie bne più grandi se noi fossimo educati a lasciarlo agire liberamente
in noi e a guidarci, come il nero si sente guidato dal duo orixà ?
Il Rinnovamento
carismatico cattolico cerca di realizzare questo con successo e con frutto per
coloro che vi aderiscono. Soltanto ci spiace che molti dei suoi adepti
condannino i culti africani- candomblé, macumba, vodù…- senza percepire che
c’è un elemento comune tra le due forme di esperienza religiosa:
lÂ’esperienza di Dio. Questo elemento comune (sentirsi posseduti dallo
Spirito), presente nella cultura religiosa africana, nel Rinnovamento
carismatico e nelle chiese pentecostali, deve essere riconosciuto, valorizzato e
sfruttato come via di comunicazione e di comunione con Dio.
La chiesa
cattolica, come sarebbe più fiorente in America latina se si aprisse
maggiormente alla partecipazione del corpo nella liturgia, se moltiplicasse le
espressioni di accoglienza, se affidasse ruoli importanti alla donna. Introdurre
colori variegati, danze e tamburi è già qualcosa. Ma è solo il lato
esteriore, che talora sa, più che altro, di folclore. Il punto cruciale
dell’evangelizzazione è poter offrire a tutte le comunità (i terreiros
di oggi, nel linguaggio afro) ministri ordinati, celibi o sposati, che possano
presiedere lÂ’eucaristia, senza la quale nessuna comunità cristiana potrÃ
sopravvivere.
Speriamo che
questo giorno non sorga troppo tardi.
Da
Nigrizia,
Dicembre 2000, pag. 36-37
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