Bogotà, 29 giugno 2003
Carissime amiche e carissimi amici, come va?
La morsa di calore continua a attanagliare l’Italia?
In questa domenica pomeriggio, di ritorno dall’apostolato in
Nueva España mi sono finalmente deciso a mettermi al computer e
ha mettere per iscritto alcune idee.
Era da molto tempo
che volevo farlo ma poi la pigrizia e alcuni impegni me lo hanno
impedito.
E’ passato molto
tempo dalla ultima lettera e le cose da scrivere sarebbero tante
(la vita di comunità, l’apostolato di fine settimana,
l’università, la situazione sociale che sta vivendo la Colombia)
però mi sono promesso di essere breve e di concentrarmi su di un
piccolo aspetto che ho vissuto in questo periodo: vorrei parlarvi
della esperienza nel carcere “Modelo”.
L'idea è nata non
molto tempo dopo dell’arrivo a Bogotà, di fr. Alberto Degan,
che ha incoraggiato e spinto me e Gian Luigi a frequentare il
carcere “Modelo” e il carcere “Buen Pastor” .
Vediamo di chiarire
alcuni termini: il “Modelo” è la casa circondariale di Bogotà
(dove in teoria si dovrebbero incontrare i detenuti in attesa di
giudizio) e il “Buen Pastor” è il carcere femminile.
Perché questi due carceri e non altri che si trovano a Bogotà?
Semplicemente perché
in queste carceri si trovano alcuni italiani e italiane che sono
stati arrestati e imprigionati per parte dello stato colombiano e
quindi l’idea iniziale era quella di visitare queste persone e
cercare di stare loro vicini.
Quando Alberto ci ha
raccontato della sua esperienza nel carcere e di
quello che avremmo incontrato entrando, Gian Luigi ed io siamo
rimasti “senza parole” e piuttosto “increduli”.
La realtà cambia
quando si entra nel carcere e mi riferisco soprattutto al “Modelo”.
Quando abbiamo
iniziato le visite i detenuti al “Modelo” erano più o meno
cinquemila divisi in cinque patios (cortili).
Il patio 1 e 2 erano
occupati da persone che si potevano definire coinvolte
con la guerriglia e i restanti patios erano occupati da
persone della cosiddetta delinquenza comune e paramilitari.
Questa è una
divisone a grandi linee in realtà si incontrano altre divisioni:
c'è un patio per la
terza età (quelli che superano i 55 anni),
un patio
(Piloto) dove si incontrano le persone che hanno problemi o
difetti fisici, un patio dove si
incontrano persone con problemi psichici, un reparto di
infermeria dove si incontrano ammalati, infermi di SIDA e
omosessuali, un reparto di
alta sicurezza dove si incontrano guerriglieri della FARC e del
ENL e ai piani alti paramilitari dell’AUC e narcotrafficanti.
All’interno dei
patios si incontrano ristoranti, piccole botteghe dove i carcerati
vendono alcuni prodotti alimentari o
di igiene personale; gli ospiti possono muoversi più o meno
liberamente dentro nei patios.
Già questa prima e
sommaria descrizione vi fa capire come sia differente la realtà
del carcere rispetto a quello che conosciamo delle carceri
italiane.
Le cose si fanno un
poco più complicate quando uno viene a conoscenza dei vari
meccanismi che regolano la vita all’interno del carcere:
c’è da fare una
piccola precisazione ed è che da circa 4 mesi tutti gli ospiti
che si incontravano nel patio 1 e nel patio 2 (in poche parole i
guerriglieri) sono stati trasferiti in un'altra carcere di Bogotà
“La Picota” che è una carcere di massima sicurezza.
Detto questo
passiamo ai meccanismi e penso che è importante conoscerli perché
sono (in qualche misura) uno specchio della realtà che vive la
società colombiana.
C’è una legge che
vige dentro il carcere, e la legge è che chi comanda sono i
paramilitari.
Vediamo alcuni
piccoli esempi che ci possono aiutare:
- è
molto difficile incontrare nei patios guardie; ogni
patio ha un responsabile (un capo) e un amministratore (e poi
capirete perché).
- La cosa non si ferma nei patios perché ogni
corridoio ha un suo capo, degli addetti alla pulizia del
corridoio e quelli che raccolgono i soldi.
- I grandi capi, quelli che comandano a tutto questo
giro di affari sono in realtà quelli che si incontrano al
quarto piano della sezione di massima sicurezza, da lì per
mezzo di telefoni cellulari comandano e dirigono le
operazioni.
Veniamo alla
questione economica:
non c’è dubbio
il
carcere “Modelo” è una fonte di guadagno per le
organizzazioni paramilitari
che si incontrano in Colombia. Con i
soldi che settimanalmente escono dal carcere (circa 70 milioni di
pesos) si possono comprare armi e tutto quanto serve per la
logistica dell' organizzazione nella città di Bogotà.
Da dove arrivano
tutti questi soldi?
Semplice facciamo un
po’ di conti:
·
Quando uno è catturato dalla polizia viene mandato in
carcere e dopo aver passato alcuni giorni in quella che si chiama
“celda primaria”, viene mandato in un patio dove deve scontare
la pena o meglio aspettare i tempi del processo.
·
L’ingresso al patio costa in media 400.000 pesos (e questi soldi non si pagano allo stato
semplicemente vengono dati al capo del patio).
·
Se tu poi vuoi dormire in una cella o hai i soldi per
dormire in una cella devi pagare un affitto settimanale; nel patio
5 che è quello della gente “povera” un affitto vale 50.000
pesos la settimana.
·
Se non hai tutti questi soldi e sei costretto a dormire in
un corridoio devi pagare 11.000 pesos la settimana.
·
Se tuttavia sei “povero” e dormi nel refettorio la
quota settimanale è di 5.000 pesos
Queste
sono le “tariffe che si incontrano nei patios 4 e 5; le cose
cambiano quando parliamo del patio 3 che è il patio dei
“ricchi”.
Qui
le persone che vivono sono relativamente poche (non si superano le
150 unità), si incontrano i ristoranti migliori, insomma tutto è
più. Naturalmente tutto questo lusso si paga: qui la cella si può
comprare (è di tua proprietà se lo desideri) però vale
8.000.000 di pesos.
Tutto
questo può aiutarvi a capire da dove arrivano i 70 milioni di
pesos.
Naturalmente
quelli che pagano sono i detenuti e soprattutto i più poveri.
Per
fare una comparazione vi basti sapere che qui lo stipendio minimo
(e già tenere un salario minimo è un successo) è di 325.000
pesos (per aiutarvi nei conti vi dico che oggi la valutazione
dell’Euro è di 3.200 pesos per un Euro).
Dimenticavo,
se uno non può pagare rimane una ultima possibilità: il TUNNEL.
Il
tunnel è un corridoio largo non più di un metro e mezzo e lungo
30 metri dove vengono messe tutte le persone che non possono
pagare.
Non
c’è luce, non ci sono finestre e tantomeno bagni.
Se
uno deve urinare gli passano una bottiglia oppure deve chiedere il
permesso di uscire dal tunnel per andare al bagno e di guardia non
ci sono le “guardie” ma persone che sono messe
lì dai responsabili del patio.
Che
strano, quando vengono le commissioni di diritti umani i tunnel
spariscono.
Già
il carcere “Modelo” sembra essere un mondo fuori dalla realtà,
un film dell’orrore o di fantascienza ma purtroppo è cosi e in
qualche misura è lo specchio della realtà della società
colombiana dove la corruzione sembra andare molto di moda.
Nella
carcere c’è un cappellano: p. Jorge e con lui nella pastorale
penitenziaria collaborano molte persone.
L’obiettivo
è duplice: evangelizzare ma anche dare e recuperare un po’ di
dignità umana alle persone che si trovano private della libertà.
Noi
ci siamo uniti a questo apostolato (in un primo tempo Gian Luigi
ed io e ora mi accompagna Gardenio, un compañero del Costa Rica).
Adesso
il nostro impegno è quello di accompagnare un gruppo di detenuti
perché possano ricevere i sacramenti (battesimo, prima comunione
e cresima).
La
realtà più evidente nel carcere “Modelo” è quella della
corruzione
e della
violazione dei diritti umani
però
facendo
questo lavoro di catechesi teniamo anche la possibilità di
entrare in un contatto più profondo con le persone e con le
famiglie e la situazione che vivono e si scoprono modi e maniere
di vivere la fede e la speranza che lasciano “ a bocca aperte”
e che
ci fanno leggere e capire il Vangelo “de una manera
distinta”.
Abbiamo
potuto vivere nella carcere la settimana santa e mi sento
tranquillo dicendo che i detenuti mi hanno insegnato a viverla in
una maniera profonda (non posso fare paragoni perché le realtà
che si vivono qui sono diverse dalle realtà italiane) però
sicuramente quella vissuta quest'anno, è una settimana santa che
non dimenticherò mai più.
La
partecipazione della gente è stata fenomenale, si sono impegnati,
hanno preparato le celebrazioni, i canti i momenti più importanti
con cura, con attenzione ai minimi dettagli e li hanno vissuti (e
permettetemi ci hanno aiutato a viverli) in profondità.
Mi
sarà difficile dimenticare il Venerdì santo e la Via Crucis che
abbiamo iniziato alle nove della mattina e che si è conclusa alle
tre del pomeriggio con la celebrazione della passione.
Per
la prima volta abbiamo percorso tutto il carcere e tutti hanno
partecipato.
Quando
la croce entrava in un patio tutte le attività si fermavano, si
faceva silenzio e si pregava insieme e poi da lì tutte le persone proseguivano negli altri patios alle altre
stazioni.
L'immagine
che ho ben impressa
è quella di
2.000
o 3.000 Gesù Cristo
che camminavano portando ognuno la propria
croce (la croce del delitto commesso, la croce di essere accusato
ingiustamente, la croce di essere in un carcere, la croce di
sapere che la propria famiglia sta soffrendo la fame, la povertà)
ognuno portava la propria croce e ognuno poneva la speranza e la
fiducia e la fede nell’uomo Gesù di Nazareth che era in quel
momento un compañero, uno che aveva sofferto le stesse pene loro,
era stato condannato ingiustamente come tanti di loro, era stato
abbandonato dai suoi come tanti di loro e crocifisso come loro.
C’è
un’ultima cosa che tengo guardata nel cuore di questa settimana
santa e sono i volti delle mogli, delle figlie, delle fidanzate
dei detenuti.
La
domenica delle Palme, il giovedì Santo e la domenica di Resurrezione hanno coinciso con giorni di visita delle famiglie.
L'entrata
per la visita inizia ufficialmente alle nove della mattina e
termina alle tre del pomeriggio.
Quando
siamo arrivati la prima domenica erano più o meno le otto della
mattina e ci siamo incontrati con una fila impressionante di donne
che aspettava il turno per entrare.
Abbiamo
parlato con le guardie e ci hanno detto che alcune delle signore,
(quelle che vengono da altre città), passano lì la notte e molte volte fa freddo piove.
Le
altre iniziano ad arrivare alla quattro della mattina e si fanno
cinque ore di coda per entrare.
Il
regolamento del carcere è abbastanza stretto e per poter entrare
le signore devono arrivare alla porta del carcere in minigonna,
senza calze e con le ciabatte e la mattina presto la temperatura a
Bogotà difficilmente supera i 10 gradi e come si dice qui ”le
toca aguantar frío”.
Le
ultime poi entrano intorno a mezzogiorno e devono salire alle due
e mezza del pomeriggio.
Tutto
questo per stare due ore con la persona che si ama, con il marito,
con il fidanzato, con il papà, agguantando il freddo e
sopportando l'umiliazione di una perquisizione che in alcuni casi
è fatta fino ai minimi dettagli.
La
visita delle mogli e delle fidanzate è il momento più atteso
anche perché è il momento nel quale portano i soldi che
serviranno per pagare l’affitto settimanale.
Molte
di queste persone vivono nel sud di Bogotà che è la parte più
povera della città e le signore lavorano tutta la settimana per
poter portare al marito, al papà, al fidanzato i soldi che gli
permetteranno di vivere un’altra settimana senza correre il
rischio e l'umiliazione del tunnel.
Vi
ricordate, prima vi dicevo che il salario minimo qui è di 325.000
pesos e che tenere un salario minimo è una fortuna.
Bene,
adesso provate a mettervi nei panni di una signora che tiene il
marito in carcere.
Tutte
le settimane deve portargli 50.000 pesos come minimo e quindi
significa che deve vivere lei e tutta la famiglia con 125.000
pesos.
Deve
comprare il cibo, deve dare i soldi del collegio ai figli, la
luce, il gas, il telefono e questa è una signora che ha la
fortuna di guadagnare un salario minimo!
Qui
le donne nella maggior parte dei casi “Trabajan por día”
significa che lavorano a giornata, quando chiamano perché c’è
lavoro e quindi lascio a voi fare un poco i conti. Li avete fatti?
Si?
Bene e allora ditemi da dove tira fuori i soldi (50.000 pesos) da
portare tutte le settimane al marito che si trova in carcere
(magari accusato ingiustamente o, come mi è capitato di
incontrare, perché non ha pagato un quarto di pollo asado che
vale come 5.000 pesos a dir tanto).
Può
vendere il frigorifero della casa, può vendere la televisione, può
ipotecare la casa, può chiedere aiuto alla vicina di casa o ai
familiari però quando tutto questo finisce non le resta che
abbassarsi all’umiliazione più grande: vendersi.
Ringrazio
il Dios del Vida
che mi ha dato e continua a darmi la possibilità
di vivere quest'esperienza.
Ringrazio
i detenuti del carcere “Modelo”
che mi stanno
“evangelizzando” e
ringrazio queste signore, mogli, fidanzate,
figlie che con facilità etichettiamo come prostitute o peggio
ancora come “puttane”
perché con la loro vita, la loro forza
mi stanno insegnando che cosa significa “amare” lo sposo, il
papà, il fidanzato, mi stanno insegnando il significato della
parola amore.
Sono
stato lungo, non voglio stancarvi di più, semplicemente vi chiedo
di ricordarvi nelle vostre preghiere degli amici del carcere
“Modelo” di Bogotà e di tutte le loro famiglie.
Un grosso abbraccio ed un sorriso a tutte y a tutti,
hno.
Soffientini Antonio mccj
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Se
volete scrivere a fr.Antonio: Kr. 48 n.75 A-13,
Barrio Simon Bolivar, Bogota, D.C. Colombia.
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amici e conoscenti il decalogo
della Commissione Giustizia e Pace dei Missionari
Comboniani per aiutare gli immigrati nel nostro
Paese. Non possiamo più rimanere indifferenti e silenti
di fronte a questi situazioni che calpestano ogni
diritto umano.
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"Sveglia
giovane! Tocca a te!", è il messaggio che
p.Alex rivolge ai giovani perchè anche noi oggi come il
Comboni
possiamo donare la vita per qualcosa che vale.
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passi della Via
Crucis Pordenone Aviano e troverai segni di
speranza e capirai che la resurrezione è già
presente in germe in ogni passione
dell'umanità.
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la Vita che anche quest'anno riparte con la Carovana
della pace dal 4 al 15 settembre 2003.
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