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Marcha por la vida

di Ilaria Fattori dall'Honduras

Marcha por la vida

Ilaria (Casco Bianco)  racconta la marcia con il popolo hondureño 

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 Salviamo p. Andres Tamayo
sacerdote honduregno minacciato di morte: 
"per i sicari e' in cima alla lista delle persone da uccidere 
perche' disturbano il saccheggio della regione di Olancho."
  

 

Ilaria, Casco Bianco in Honduras, ci lascia delle impressioni riguardanti il suo cammino a fianco del popolo Hondureño nei 200 chilometri, sette giorni, di marcia organizzata per fare pressione sul governo perché ponga fine al disboscamento indiscriminato nella regione di Olancho, patrimonio naturale di valore inestimabile per il pianeta intero.

Leggi le lettere di Filippo, altro casco bianco in Honduras:

La fame e la sete di giustizia straziano le viscere...

Creare pace e sviluppo "dal basso"

Juticalpa- Tegucigalpa, 20-27  de julio del 2003

 

Adesso che scrivo sono nel bus che mi porterà a Juticalpa.

Alle otto, dice il tipo che raccoglie i biglietti.

Vuol dire che arriviamo alle nove.

Tiro fuori il computer.

La gente si e’ sporta a guardare con curiosità tenera, ma io e Loure invece ci sentiamo solo super fresas , come si suol dire da queste parti.

Snob insomma.

Ma non importa, voglio approfittare di queste lunghe ore di viaggio per buttar giù un po’ di pensieri che in queste ultime due settimane e’ stato impossibile anche solo mettere in ordine dentro di me, per via del trambusto della marcia, delle riunioni, le firme da raccogliere, i manifesti da attaccare, i fondi da cercare, i giornalisti da chiamare…e in tutto questo io e Loure siamo riuscite anche ad intrufolarci in due riunioni super importanti con il presidente del Congresso e gentaglia del parlamento, abbiamo accompagnato padre Andres come sue guardaspaldas, raggiunto aree fuori da ogni grazia di Dio dove il disastro ambientale e’ così evidente e indiscriminato e senza pietà che sono tornata a casa che mi veniva da piangere...

Con noi c’era un tecnico forestale che ci spiegava tutto, le violazioni, i corsi d’acqua che non ci sono più, le specie in estinzione, i risvolti climatici, la terra franata secca senza vita, contavamo las rastras che passavano piene di tronchi enormi di pino abusive, illegittime legittimate, e intanto Padre Andres ci spiegava la storia del movimento ambientalista che lotta da tredici anni già e che finalmente adesso qualcosa comincia a muoversi, per lo meno i piani alti ascoltano che se poi fingono solo di ascoltare è un altro conto però almeno vuol dire che c’è un’intenzione o una paura…

Alla fine le minacce di morte e i due attentati, hanno fatto giusto l’effetto contrario, al posto di farlo tacere la sua forza e il suo impatto sociale si sono elevati all’ennesima potenza e il governo adesso e’ sulla difensiva.

Sono finita anche in televisione, nei giornali, ho parlato alla radio, la gente mi riconosce e chiaramente non è poi così difficile e io allora ne approfitto per parlarne e far si che se ne parli.

Sono nervosa, nervosissima.

Io e Loure ci stiamo accollando tutto il lavoro di sensibilizzazione, nessuno ci sta aiutando, tutti dicono si’ si’, e nessuno fa niente e il peggio è che dice che lo fa, almeno dicesse che non c’ha voglia o che non ha tempo che allora lo faccio io e invece no!, bla bla bla…

Io e Loure ci siamo sfogate con Nino l’altro giorno, lei capisce, è un gran donna davvero, e non è giusto che la gente che lavora al cofadeh perda tempo tutto il giorno, e se lo scrivo non è per mancanza di rispetto dello stile di lavoro di qui è perché porcaccia la miseria, chi ha scelto o è stato scelto per questo posto, le cose deve viverle per forza di cuore, per forza cavoli, e allora quello che non capisco è perché non ci aiutano, perché se ne stanno tutto il giorno a cercare pretesti per rallentare il processo?!?

La tipa tedesca di fianco a me si e’ messa a parlare in inglese, chiede spiegazioni sulla marcia e io non capisco quasi niente.

Tra poco mi verrà da vomitare.

Sono super stanca.

Tra un’ ora arriviamo e siamo d’accordo già che andiamo a mangiarci una pizza che in realtà una pizza non è ma in qualcosa ci assomiglia… per lo meno nella forma.

Arrivate. Pizza dalla signora del centro, davanti al parco davanti alla cattedrale e la gente che passa tutta tranquilla a godersi la serata di un giovedì sera qualunque…

 

Non ci sono più abituata a questa pace...

Ci chiedono che ci facciamo qui, allora spieghiamo e nessuno sa che domani giusto qui chissà quanta gente comincerà a camminare e tutti i manifesti che abbiamo tirato e fatto l’impossibile perché arrivassero qualche giorno prima in tempo perché venissero incollati dappertutto, non li vediamo, non ci sono, in nessun pezzo di muro, neanche sulla porta della chiesa!!!

Deluse e affrante da questa passività a cui cerchiamo quotidianamente di non arrenderci, che provochiamo alle volte anche duramente sfinendoci a botte di disillusioni che la nostra giovane età ancora ci permette di vincere con l’inesauribile forza dei nostri ideali, ci incamminiamo verso casa di Josi, la sorella di Ninoska.

Impossibile trovare un taxi a quest’ora, sono le 9 e mezza di sera, stanche per queste strade che pur se più tranquille della capitale, ugualmente sono pericolose.

L’unica è fare un po’ di autostop e se un’anima pia si ferma saliamo dietro, nella paila, fuori insomma perché non accettiamo passaggio da un carro chiuso senza paila.

Un tizio si ferma che siamo già a più di metà strada, però sì grazie fino all’uscita di Juticalpa per favore…

Sorrisi, baci, stanza pronta, ventilatore, doccia fresca, due pagine di Capitini, notte.

 

Ore 7 sveglia.

7.30 al parco.

Tanta gente…però poca.

Ci sono classi del collegio con i loro insegnanti che ci accompagneranno un pezzetto e basta e fanno volume ma alla fine che arriviamo a sera dopo trentadue chilometri di salita siamo una sessantina credo.

Mi sono ustionata al mattino, con il sole a picco, senza pietà e al pomeriggio una nuvola di passaggio in lontananza e io e Juan a corrergli incontro, già stufi, per alleviarci un poco la fatica e poi pioggia torrenziale alle cinque che non ce n’era proprio bisogno adesso che il sole è sceso e siamo sudati fin dentro le mutande.

Però che bello!!! Sono orgogliosa di me, nessuno strappo nemmeno di dieci metri dai carri che ci accompagnavano, tuuuuuuutta camminando conoscendo tanta gente, ridendo per non pensare, raccontando la storia di una vita e così io e Juan ci siamo conosciuti in nove ore di cammino…

Trentotto anni ma assolutamente molto più giovane, insegnante all’università agricola, studi in israele, un divorzio con una gringa che lo voleva convertire in un gringo, due figli lasciati là, un matrimonio di pochi mesi con una ragazzina di ventidue anni che ha messo in cinta a cui vuol bene e di cui non è innamorato.

Bello, intelligente, intuitivo, allegro e ironico.

Se non c’era lui nel mio momento più duro, che quasi non litigavamo, avrei ceduto e mi sarei fatta tirare su un carro.

Oggi e’ il secondo giorno di marcia.

Sto scrivendo sul bus, tornando a Tegu.

Abbiamo appena superato la marcia, erano pochissimi, non più di una quarantina, c’era anche Juan, mi dispiace tanto, mi aspettava, ma la gamba destra e’ infiammata e per sollevarla devo aiutarmi con le braccia.

E’ la gamba con cui qualche anno fa ho fatto l’incidente.

Mi sento una lagna, ma se cammino anche oggi domani sarò uno straccio davvero e allora non ce la farò nei prossimi giorni e preferisco fermarmi ora, andare dal dottore che mi dia qualcosa e riprendere la marcia domenica.

Los madereros stanno organizzando la loro brava marcia alternativa, partendo da Tegu, così ci incontreremo scontreremo a metà strada. Loro saranno molti più di noi, perché è una marcia organizzata dai piani alti e bloccheranno il lavoro per una settimana così che tutti parteciperanno con famiglia al seguito e quelli che non vogliono saranno costretti a farsela lo stesso, invece da noi c’e’ il problema che la gente deve rinunciare a giornate di lavoro e se lo fa, lo fa volontariamente, senza il condizionamento di nessuno se non della propria coscienza.

E quanto e’ facile metterla a tacere!!!

E anche quando la si lascia parlare allora c’è tutto il discorso della paura, dei retaggi del passato che soprattutto qui, ad Olancho, infesta ancora la vita con i suoi fantasmi che poi tanto fantasmi non sono, al punto che solo l’ idea di mettere la propria firma sulla petizione è una scelta dura.

Ho incontrato delle persone splendide in questi ultimi giorni.

Sono proprio contenta!!!

E in ogni caso, la marcia anche se arriviamo in dieci, avrà un impatto forte.

Senza alcun dubbio.

E se non ce l’avrà, sarà solo una questione di tempo perché è palpabile la sensazione che si stia scrivendo Storia con questi passi.

In  un’ora e mezza di strada ci siamo fermati penso una decina di volte e sono saliti una signora cieca con il figlioletto a chiedere qualche lempiras, una signora tutta convinta a raccontare balle su una medicina naturale vitaminica che un sacco di gente le ha poi comprato, un paio di bimbi a vendere carne arrostita su dei paletti, un tipo a vendere coca cola e sprait e una vecchietta a vendere mais lesso.

In tutto questo la radio a volume pazzo che annuncia il regno di Dio attraverso le urla della nostra Vanna Marchi.

Inquietante.

Avevo voglia di andare là davanti a dire al tipo che strappa i biglietti che quella che sta facendo è violenza bella e buona, ma alla fine ho pensato che era meglio attaccare il cd di Silvestri che felicemente ho scoperto ancora qui dentro.

Quante volte mi sono incazzata ieri durante la marcia con chi buttava senza un briciolo di coscienza le bottiglie di plastica per strada e allora io li fulminavo con i miei discorsi sulla coerenza con una marcia per il medio ambiente che mica solo i madereros devono rispettare e che tenera la reazione!, sì… in fondo davvero tenera….mi ascoltavano e poi sì sì tiene razon, gracias no lo habia pensado…pero sabe  es la cultura….hay que cambiarla….

Mi ci sto affezionando a questo popolo, alla purezza del suo cuore, tutto sommato ancora giovane, la curiosità e l’umiltà della gente semplice che pensa che l’Italia sia attaccata all’Argentina e mi ascolta seriamente come se fossi una profetessa e subito dopo aver concordato con me sui danni cosmici e ordinari della coca cola ne compra una per sè e me ne offre una anche a me….

 

Domenica.

Alla fine mi fermo ancora in città: io e Loure attaccando furiosamente manifesti per tutta la città che nel giro di una giornata erano già spariti tutti. 

Ti vorrei parlare di Marco.

Il nonnino della marcia.

Arriva il venerdì davanti al parco di Juticalpa con il suo zainetto con niente dentro e fino alla residenza del Presidente, a Tegus il giovedì successivo è tutto un ridere e un ballare in mezzo alla strada.

73 anni, ossuto, occhi grandi opachi, camicia tirata su, pantaloni lunghi, ma corti, sombrero, fazzoletto al collo.

L’ho visto stanco solo l’ultimo giorno, in mezzo alla ressa di gente, quando m’ha chiesto una pastiglia per il mal di testa e un succo di frutta.

Mi ci sono affezionata da subito naturalmente.

E lui a me.

Vorrei saper riferire le nostre intense conversazioni sul mondo, il capitalismo, l’economia gringa, Dio, il senso della nostra lotta. E tutt’intorno ad ascoltare con i nostri piatti con i soliti fagioli le solite tortillas e il riso seduti sul prato al ciglio della strada a piedi scalzi riposando un poco prima di ripartire.

Un vecchietto, che vive in un buco in fondo al bosco, senza elettricità, televisione, telefono, con una coscienza incredibilmente profonda saggia salda e una fede grande, che non ha niente a che vedere con nessuna forma di religiosismo artificioso o settario di cui questo popolo e’ invaso.

Una fede che guarda in alto e in basso.

Qui ti insegnano a lodare, a pregare a cantare tutti insieme dentro una chiesa e va bene, ma se passo propedéutico all’ impegno sociale politico etico, ossia lo sguardo in basso…però niente….questo si sa, no? e' giusto quello che si cerca di eludere….

Non sono riuscita a salutarlo.

Poi c’è “il futuro alcalde di Patuca”.

Il nome non lo so. Anche lui s’e’ fatto tutta la Marcia.

Sempre con il suo cartellone in mano con cui si faceva pubblicita’da solo, mezzo matto, baffetti e pizzetto, faccia particolare dagli occhi piccoli, pochi denti, scuro scuro, berretto militare, zoppicando sempre un poco.

Un giorno gli ho fatto una foto.

Porcaccia la miseria, da quel momento non mi molla un secondo, me lo trovo sempre dietro, mi parla della sua discendenza araba e russa e di come stia progettando di farsi un harem e di quanto desideri avermi lì, che mi ama e non so che....

 

Lunedì martedì e mercoledì sono i giorni più critici: poca gente, pochissima, stanchi, sole cocente, poca pioggia, pendenza impressionante. Lunedì abbiamo toccato il minimo di partecipazione: 105 persone.

Per me sono i giorni indiscutibilmente più belli.

Ci si conosce tutti, ore e ore di chiacchiere e canti e appoggiati un po’ a me e chissà che piova e sorrisi sorrisi sorrisi.

Loure è a Tegu il lunedì per un matrimonio e poi si ámala grave, per cui dal principio alla fine l’unica da fuori sono io.

Chiaramente questo significa un atteggiamento particolarmente affettuoso e attento.

Si cerca volentieri un pezzetto di strada insieme, sempre qualcuno che offre qualcosa, il sorriso  più facile...lo capisco, è naturale, ma mi imbarazza, mi fa sentire diversa, niente grazie per favore, è un problema di tutti questo, anche del mio paese, anche mio, è un dovere essere presente qui, non dirmi grazie ti prego, grazie a voi che mi accogliete così...

E quando la pioggia arrivava......aaaaaaaaaah che gioia!!!!!!!!

Qualcuno con il suo ombrello, qualcuno con il suo poncho, i più senza niente, se non il sombrero, e la voce si alza più forte passando attraverso i paesini e la gente ferma a guardarci, che ci sta spettando, con le braccia incrociate, e i nostri

PUEBLO UNETE! PUEBLO UNETE!

E

UN PUEBLO CALLIADO JAMAS SERA’ ESCHUCIADO!

Che pare arrivare ogni volta al traguardo di una corsa ciclistica, con qualcuno che ci passa l’acqua, qualcun’altro che si intrufola in mezzo con le ceste di biscotti e dolcetti, le macchine e i bus e i camion fermi aspettando il nostro passaggio con la gente che sbuca dai finestrini con l’indice e il medio in su, cantando con noi e qualcuno che scende e si fa un pezzetto di strada e i venditori ambulanti di patatine e bibite che approfittano del nostro appetito urlando più forte di noi.

Ci sono mamma papa’ e bambino. Unica audace famigliola.

Silenziosi, quasi non si uniscono ai cori, ma sempre in testa.

C’e’ Carlos.

Proprietario di una tipografía in tegus. La stessa che pubblicherà il mio libricino.

Un uomo eccezionale.

Lascia lavoro e tutto, pensa stare un paio di giorni, ma c’è poca gente e serve qualcuno che stia attento ai margini della marcia. Quando scendo in città per la notte, chiamo sua madre da cui è tornato a vivere dopo il divorzio, perché mi prepari qualcosa con cui si possa cambiare e mi lascia la borsa al suo ufficio. E’ della URP lui, della sinistra, immerso anima e corpo in qualsiasi frontiera di lotta dal basso. Parla poco mentre si cammina, quando ci fermiamo si sdraia, cappello sulla faccia, dorme un poco, e poi è disponibile, piacevole chiacchierare con lui. Mi piace il suo sorriso e la sua premura.

Umile e forte.

 Ci sono Orlando e Bettio. Gente dell’Ocotal. Sempre anche loro, in tutta la marcia.

Ho deciso con Bertha e Orlando che il benedetto giorno che mi trasferirò là, mi sistemo da lui, non più da Alicia.

Mi racconta che sta cercando di vendere le sue terre che coltiva a caffè, che sono in cima al monte, isolate e vuole andarsene con la famiglia dall’altra parte del paese, ha paura, le minacce seguono, e’ uno dei leader e non ha protezione.

Dice che sì, che se vado a stare da lui, e’ più tranquillo e che allora per il momento resiste.

Un gran bell’uomo. Parla lentamente, la bocca larga, la pelle un poco rovinata, si veste sempre di chiaro, osserva, cammina al margine della marcia.

Bettio è altissimo e grosso. Dice d’essere un metro e novantadue e fa un certo effetto in mezzo a questa folla di lillipuziani.

Simpatico da morire.

Dorme a casa mia due notti, non ce la fa più. Bisogno di soffice e sapone.

La vigilia ci raggiunge la sua modesta famiglia: moglie più otto figli. Tutti a dormire da me, perché il gruppo non si può moralmente dividere.

Anche Padre Raimondo una notte si ferma a casa mia.

Non ha il carisma di Padre Andres, ma non c’e’ un momento solo che lo vedo con un’ espressione diversa che un sorriso. Nemmeno serio.

Gli chiedi se è stanco e ti dice che sì quasi ridendo. E’ felicíssimo di stare lì, di esserci.

La sua gente arriva un poco alla volta, si da’ il turno per via del lavoro, e quando lo raggiungono si capisce proprio che lo amano. Il mattino che si sveglia a casa mia, alle cinque prende il primo bus per andar incontro alla marcia che ogni giorno comincia alle sei e mi lascia sul tavolo un regalo: la sua camicia guatemalteca che aveva visto che mi piaceva.

Ogni volta che mi passa di fianco è tutto un abbraccio e mi presenta a tutti, mi parla di questo e di quello, sempre bene, mi invita ad andare a trovare con lui la sua famiglia il fine settimana prossimo a Patuca, ch’è una meraviglia di posto in Olancho.

Mi piacerebbe un casino, ma vediamo qua le cose come vanno.

Faccio amicizia con un ragazzino. Avrà quattordici anni. Denti in fuori, ai cori risponde con altri cori suoi che fanno ridere, e’ a suo agio in mezzo a tutta questa gente adulta, mi vede fumare e mi sgrida, si arrabbia sempre un poco di più a mano a mano che si approfondisce la confidenza, fino a che glielo prometto che smetto. Però allora anche tu la pianti di mangiare queste porcherie gringhe.

Ok. Ok.

Prima di salire sul bus che lo riporta a casa, ci stringiamo forte. Quasi mi commuovo.

Dal finestrino mi fa di nuovo promettere.

Quando arriviamo a Tegucigalpa, ai margini della strada frotte di bambini con i maestri e i loro cartelloni ci salutano, sbracciando, cantano e si intrufolano un poco nella camminata.

E’ importante e commovente.

Nessuno ha programmato niente con loro, si sono mossi da soli.

E questo e’ il valore fondamentale di questo principio di lotta che molta gente, la maggior parte della gente, non ha inteso: il significato pedagogico della marcia, il processo di coscientizzazione che si e’ riusciti ad innescare. Quando diventò chiaro che il presidente non avrebbe aperto la porta di casa, nemmeno per un innocuo formale saluto, le espressioni cambiarono, la gente se ne andò, smise di cantare, improvvisamente e’ apparsa stanca, stanchissima.

Più di dieci mila persone l’ultimo giorno.

Nella riunione della commissione, la sera nella stanzetta dell’ospedale dov’era ricoverato padre Andres per riposare un po’, tranquillo, a poche ore dal volo per la Spagna, Leonida, Carlos, Bertha, Marzio, Osmin, Andres e io, che pure non ero della commissione, abbiamo senza alcuna ombra di dubbio, festeggiato un successo che ora va alimentato, va mantenuto vivo, ma che indiscutibilmente ha segnato una tappa importantissima nella storia del Paese.

Dalle stragi della repressione fino agli anni ottanta, e’ la prima volta che si muove qualcosa del genere di queste dimensioni, con questa energia, con tutti i media che danno risonanza alla cosa, il sostegno internazionale,  e soprattutto il popolo unito, senza paura oppure con paura, ma mandata giù.

Non e’ difficile intendere lo sconforto della gente.

Ma un pochino più da fuori e’ facile anche riconoscere il Senso di queste scarpe logore, del sudore, la fame, la scomodità, il Senso della solidarietà, della coesione, dell’amicizia, della FEDE in una causa giusta, della FEDE in Qualcuno che ha permesso che tutto questo avesse un Senso, la Messa del mercoledì notte da brividi con il padre nostro cantato tutti per mano sotto la pioggia, la commozione dei colori degli striscioni sventolati, delle voci che urlano, dei bambini che cantano, del fiume di gente che invade le strade e immobilizza il traffico e la gratuità di piccoli gesti d’aiuto, la semplicità e il desiderio di incontro e di condivisione...

Non sto cercando di enfatizzare una poesia che non c’e’ stata.

Io l’ho vissuta così.

Non e’ stata solo una marcia.

Alla fine la loro ridicola marcia alternativa los madereros non l'hanno fatta.

Però, a qualche giorno di distanza, con il cuore in gola ascolto Berta e gli altri della commissione che parlano sommessamente di minacce e attentati in procinto di concretizzarsi ai danni di alcuni leaderes.

Sembra tutto pesantemente cupo e doloroso e violento.

Berta mi dice giusto qualche minuto fa che non vuole che vada all'Ocotal che e' troppo pericoloso.

Ma onestamente adesso non me ne può fregar di meno.

Martedì parto e basta.

Torno dopo la metà di luglio quando Thomas viene a trovarmi e poi c'e' il foro mesoamericano sull'ALCA e arrivano i nuovi cb.

Leonida, un uomo che mi ha aperto il cuore, con cui avevo stretto una bella amicizia paterna, spiritoso e forte, della commissione, solamente ora arrivo a sapere che era un intrufolato del governo...

Un’altra bella botta.

E' che non riesco proprio ad accettarlo che le cose vadano cosi'.

Non ce la faccio, se mi arrendo a questa evidenza domani prendo l'aereo e torno a casa.

E allora penso alle urla dell'ultimo giorno, i SI' PUDIMOS!!!

SI' PUDIMOS!!! e allora mi torna su l'energia e la voglia di r-esistere. 

Il mio senso qui ha un valore più definito adesso. Aspetto con ansia venerdì.

Desidero ancora di più oggi dare il meglio di me.

Desidero entrare nel cuore del problema. Nel cuore del popolo.

Desidero non perdere tempo.

Desidero darmi la possibilità di credermi capace di lasciare un qualunque infinitesimale segno.

Desidero entrare a fondo per capire e amare.

Desidero proteggere la mia ingenuità che mi permette di aprirmi con libertà, di concedere fiducia, di guardare alla semplicità delle cose e che non e’ sprovvedutezza.

Se non fosse per i miei sogni non sarei qui.

E nell’assoluta consapevolezza che i miei sogni non esisterebbero se non ricevessero il costante alimento della mia Fede, ringrazio ringrazio ringrazio dal più profondo del mio giovane febbricitante cuore la Vita e Chi me l’ha data.

 


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