Juticalpa-
Tegucigalpa, 20-27 de julio del 2003
Adesso
che scrivo sono nel bus che mi porterà
a Juticalpa.
Alle
otto, dice il tipo che raccoglie i biglietti.
Vuol
dire che arriviamo alle nove.
Tiro
fuori il computer.
La
gente si e’ sporta a guardare con curiosità tenera, ma io
e Loure invece ci sentiamo solo super fresas , come si suol
dire da queste parti.
Snob
insomma.
Ma
non importa, voglio approfittare di queste lunghe ore di
viaggio per buttar giù un po’ di pensieri che in queste
ultime due settimane e’ stato impossibile anche solo
mettere in ordine dentro di me, per via del trambusto della
marcia, delle riunioni, le firme da raccogliere, i manifesti
da attaccare, i fondi da cercare, i giornalisti da
chiamare…e in tutto questo io e Loure siamo riuscite anche
ad intrufolarci in due riunioni super importanti con il
presidente del Congresso e gentaglia del parlamento, abbiamo
accompagnato padre Andres come sue guardaspaldas, raggiunto
aree fuori da ogni grazia di Dio dove il disastro
ambientale e’ così evidente e indiscriminato e senza pietà
che sono tornata a casa che mi veniva da piangere...
Con
noi c’era un tecnico forestale che
ci spiegava tutto, le violazioni, i corsi d’acqua che non
ci sono più, le specie in estinzione, i risvolti climatici,
la terra franata secca senza vita, contavamo las rastras che
passavano piene di tronchi enormi di pino abusive,
illegittime legittimate, e intanto Padre
Andres ci spiegava la storia del movimento
ambientalista che lotta da tredici anni già e che
finalmente adesso qualcosa comincia a muoversi, per lo meno
i piani alti ascoltano che se poi fingono solo di ascoltare
è un altro conto però almeno vuol dire che c’è
un’intenzione o una paura…
Alla
fine le minacce di morte e i due attentati, hanno fatto
giusto l’effetto contrario, al posto di farlo tacere la
sua forza e il suo impatto sociale si sono elevati
all’ennesima potenza e il governo adesso e’ sulla
difensiva.
Sono
finita anche in televisione, nei giornali, ho parlato
alla radio, la gente mi riconosce e chiaramente non è poi
così difficile e io allora ne approfitto per parlarne e far
si che se ne parli.
Sono
nervosa, nervosissima.
Io
e Loure ci stiamo accollando tutto il lavoro di
sensibilizzazione, nessuno ci sta aiutando, tutti dicono
si’ si’, e nessuno fa niente e il peggio è che dice che
lo fa, almeno dicesse che non c’ha voglia o che non ha
tempo che allora lo faccio io e invece no!, bla bla bla…
Io
e Loure ci siamo sfogate con Nino l’altro giorno, lei
capisce, è un gran donna davvero, e non è giusto che la
gente che lavora al cofadeh perda tempo tutto il giorno, e
se lo scrivo non è per mancanza di rispetto dello stile di
lavoro di qui è perché porcaccia la miseria, chi
ha scelto o è stato scelto per questo posto, le cose deve
viverle per forza di cuore, per forza cavoli, e allora
quello che non capisco è perché non ci aiutano, perché se
ne stanno tutto il giorno a cercare pretesti per rallentare
il processo?!?
La
tipa tedesca di fianco a me si e’ messa a parlare in
inglese, chiede spiegazioni sulla marcia e io non capisco
quasi niente.
Tra
poco mi verrà da vomitare.
Sono
super stanca.
Tra
un’ ora arriviamo e siamo d’accordo già che andiamo a
mangiarci una pizza che in realtà una pizza non è ma in
qualcosa ci assomiglia… per lo meno nella forma.
Arrivate.
Pizza dalla signora del centro, davanti al parco davanti
alla cattedrale e la gente che passa tutta tranquilla a
godersi la serata di un giovedì sera qualunque…
Non
ci sono più abituata a questa pace...
Ci
chiedono che ci facciamo qui, allora spieghiamo e nessuno sa
che domani giusto qui chissà quanta gente comincerà a
camminare e tutti i manifesti che abbiamo tirato e fatto
l’impossibile perché arrivassero qualche giorno prima in
tempo perché venissero incollati dappertutto, non li
vediamo, non ci sono, in nessun pezzo di muro, neanche sulla
porta della chiesa!!!
Deluse
e affrante da questa passività a cui cerchiamo
quotidianamente di non arrenderci, che provochiamo alle
volte anche duramente sfinendoci a botte di disillusioni che
la nostra giovane età ancora ci permette di vincere con
l’inesauribile forza dei nostri ideali, ci incamminiamo
verso casa di Josi, la sorella di Ninoska.
Impossibile
trovare un taxi a quest’ora, sono le 9 e mezza di sera,
stanche per queste strade che pur se più tranquille della
capitale, ugualmente sono pericolose.
L’unica
è fare un po’ di autostop e se un’anima pia si ferma
saliamo dietro, nella paila, fuori insomma perché non
accettiamo passaggio da un carro chiuso senza paila.
Un
tizio si ferma che siamo già a più di metà strada, però
sì grazie fino all’uscita di Juticalpa per favore…
Sorrisi,
baci, stanza pronta, ventilatore, doccia fresca, due pagine
di Capitini, notte.
Ore
7 sveglia.
7.30
al parco.
Tanta
gente…però poca.
Ci
sono classi del collegio con i loro insegnanti che ci
accompagneranno un pezzetto e basta e fanno volume ma alla
fine che arriviamo a sera dopo trentadue chilometri di
salita siamo una sessantina credo.
Mi
sono ustionata al mattino, con il sole a picco, senza pietà
e al pomeriggio una nuvola di passaggio in lontananza e io e
Juan a corrergli incontro, già stufi,
per alleviarci un poco la fatica e poi pioggia torrenziale
alle cinque che non ce n’era proprio bisogno adesso che il
sole è sceso e siamo sudati fin dentro le mutande.
Però
che bello!!! Sono orgogliosa di me, nessuno strappo nemmeno
di dieci metri dai carri che ci accompagnavano, tuuuuuuutta
camminando conoscendo tanta gente, ridendo per non pensare,
raccontando la storia di una vita e così io e Juan
ci siamo conosciuti in nove ore di cammino…
Trentotto
anni ma assolutamente molto più giovane, insegnante
all’università agricola, studi in israele, un divorzio
con una gringa che lo voleva convertire in un gringo, due
figli lasciati là, un matrimonio di pochi mesi con una
ragazzina di ventidue anni che ha messo in cinta a cui vuol
bene e di cui non è innamorato.
Bello,
intelligente, intuitivo, allegro e ironico.
Se
non c’era lui nel mio momento più duro, che quasi non
litigavamo, avrei ceduto e mi sarei fatta tirare su un
carro.
Oggi
e’ il secondo giorno di marcia.
Sto
scrivendo sul bus, tornando a Tegu.
Abbiamo
appena superato la marcia, erano pochissimi, non più di una
quarantina, c’era anche Juan, mi dispiace tanto, mi
aspettava, ma la gamba destra e’ infiammata e per
sollevarla devo aiutarmi con le braccia.
E’
la gamba con cui qualche anno fa ho fatto l’incidente.
Mi
sento una lagna, ma se cammino anche oggi domani sarò uno
straccio davvero e allora non ce la farò nei prossimi
giorni e preferisco fermarmi ora, andare dal dottore che mi
dia qualcosa e riprendere la marcia domenica.
Los
madereros stanno organizzando la loro brava marcia
alternativa, partendo da Tegu, così ci incontreremo
scontreremo a metà strada. Loro saranno molti più di noi,
perché è una marcia organizzata dai piani alti e
bloccheranno il lavoro per una settimana così che tutti
parteciperanno con famiglia al seguito e quelli che non
vogliono saranno costretti a farsela lo stesso, invece da
noi c’e’ il problema che la gente deve rinunciare a
giornate di lavoro e se lo fa, lo fa volontariamente, senza
il condizionamento di nessuno se non della propria
coscienza.
E
quanto e’ facile metterla a tacere!!!
E
anche quando la si lascia parlare allora c’è tutto il
discorso della paura, dei retaggi del passato che
soprattutto qui, ad Olancho, infesta ancora la vita con i
suoi fantasmi che poi tanto fantasmi non sono, al punto
che solo l’ idea di mettere la propria firma sulla
petizione è una scelta dura.
Ho
incontrato delle persone splendide in questi ultimi giorni.
Sono
proprio contenta!!!
E
in ogni caso, la marcia anche se arriviamo in dieci, avrà
un impatto forte.
Senza
alcun dubbio.
E
se non ce l’avrà, sarà solo una questione di tempo perché
è palpabile la sensazione che si stia scrivendo Storia
con questi passi.
In un’ora e mezza di strada ci siamo fermati penso una decina
di volte e sono saliti una signora cieca con il figlioletto
a chiedere qualche lempiras, una signora tutta convinta a
raccontare balle su una medicina naturale vitaminica che un
sacco di gente le ha poi comprato, un paio di bimbi a
vendere carne arrostita su dei paletti, un tipo a vendere
coca cola e sprait e una vecchietta a vendere mais lesso.
In
tutto questo la radio a volume pazzo che annuncia il regno
di Dio attraverso le urla della nostra Vanna Marchi.
Inquietante.
Avevo
voglia di andare là davanti a dire al tipo che strappa i
biglietti che quella che sta facendo è violenza bella e
buona, ma alla fine ho pensato che era meglio attaccare il
cd di Silvestri che felicemente ho scoperto ancora qui
dentro.
Quante
volte mi sono incazzata ieri durante la marcia con chi
buttava senza un briciolo di coscienza le bottiglie di
plastica per strada e allora io li fulminavo con i miei
discorsi sulla coerenza con una marcia per il medio ambiente
che mica solo i madereros devono rispettare e che tenera la
reazione!, sì… in fondo davvero tenera….mi ascoltavano
e poi sì sì tiene razon, gracias no lo habia pensado…pero
sabe es la
cultura….hay que cambiarla….
Mi
ci sto affezionando a questo popolo, alla purezza del suo
cuore, tutto sommato ancora giovane, la curiosità e
l’umiltà della gente semplice che pensa che l’Italia
sia attaccata all’Argentina e mi ascolta seriamente come
se fossi una profetessa e subito dopo aver concordato con me
sui danni cosmici e ordinari della coca cola ne compra una
per sè e me ne offre una anche a me….
Domenica.
Alla
fine mi fermo ancora in città: io e Loure attaccando
furiosamente manifesti per tutta la città che nel giro di
una giornata erano già spariti tutti.
Ti vorrei
parlare di Marco.
Il
nonnino della marcia.
Arriva
il venerdì davanti al parco di Juticalpa con il suo
zainetto con niente dentro e fino alla residenza del
Presidente, a Tegus il giovedì successivo è tutto un
ridere e un ballare in mezzo alla strada.
73
anni, ossuto, occhi grandi opachi, camicia tirata su,
pantaloni lunghi, ma corti, sombrero, fazzoletto al collo.
L’ho
visto stanco solo l’ultimo giorno, in mezzo alla ressa di
gente, quando m’ha chiesto una pastiglia per il mal di
testa e un succo di frutta.
Mi
ci sono affezionata da subito naturalmente.
E
lui a me.
Vorrei
saper riferire le nostre intense conversazioni sul mondo, il
capitalismo, l’economia gringa, Dio, il senso della nostra
lotta. E tutt’intorno ad ascoltare con i nostri piatti con
i soliti fagioli le solite tortillas e il riso seduti sul
prato al ciglio della strada a piedi scalzi riposando un
poco prima di ripartire.
Un
vecchietto, che vive in un buco in fondo al bosco, senza
elettricità, televisione, telefono, con una coscienza
incredibilmente profonda saggia salda e una fede grande, che
non ha niente a che vedere con nessuna forma di religiosismo
artificioso o settario di cui questo popolo e’ invaso.
Una
fede che guarda in alto e in basso.
Qui
ti insegnano a lodare, a pregare a cantare tutti insieme
dentro una chiesa e va bene, ma se passo propedéutico
all’ impegno sociale politico etico, ossia lo sguardo in
basso…però niente….questo si sa, no? e' giusto
quello che si cerca di eludere….
Non
sono riuscita a salutarlo.
Poi
c’è “il futuro alcalde di Patuca”.
Il
nome non lo so. Anche lui s’e’ fatto tutta la Marcia.
Sempre
con il suo cartellone in mano con cui si faceva
pubblicita’da solo, mezzo matto, baffetti e pizzetto,
faccia particolare dagli occhi piccoli, pochi denti, scuro
scuro, berretto militare, zoppicando sempre un poco.
Un
giorno gli ho fatto una foto.
Porcaccia
la miseria, da quel momento non mi molla un secondo, me lo
trovo sempre dietro, mi parla della sua discendenza araba e
russa e di come stia progettando di farsi un harem e di
quanto desideri avermi lì, che mi ama e non so che....
Lunedì
martedì e mercoledì sono i giorni più critici: poca
gente, pochissima, stanchi, sole cocente, poca pioggia,
pendenza impressionante. Lunedì abbiamo toccato il minimo
di partecipazione: 105 persone.
Per
me sono i giorni indiscutibilmente più belli.
Ci
si conosce tutti, ore e ore di chiacchiere e canti e
appoggiati un po’ a me e chissà che piova e sorrisi
sorrisi sorrisi.
Loure
è a Tegu il lunedì per un matrimonio e poi si ámala
grave, per cui dal principio alla fine l’unica da fuori
sono io.
Chiaramente
questo significa un atteggiamento particolarmente affettuoso
e attento.
Si
cerca volentieri un pezzetto di strada insieme, sempre
qualcuno che offre qualcosa, il sorriso
più facile...lo capisco, è naturale, ma mi
imbarazza, mi fa sentire diversa, niente grazie per favore,
è un problema di tutti questo, anche del mio paese, anche
mio, è un dovere essere presente qui, non dirmi grazie ti
prego, grazie a voi che mi accogliete così...
E
quando la pioggia arrivava......aaaaaaaaaah che
gioia!!!!!!!!
Qualcuno
con il suo ombrello, qualcuno con il suo poncho, i più
senza niente, se non il sombrero, e la voce si alza più
forte passando attraverso i paesini e la gente ferma a
guardarci, che ci sta spettando, con le braccia incrociate,
e i nostri
PUEBLO
UNETE! PUEBLO UNETE!
E
UN
PUEBLO CALLIADO JAMAS SERA’ ESCHUCIADO!
Che
pare arrivare ogni volta al traguardo di una corsa
ciclistica, con qualcuno che ci passa l’acqua,
qualcun’altro che si intrufola in mezzo con le ceste di
biscotti e dolcetti, le macchine e i bus e i camion fermi
aspettando il nostro passaggio con la gente che sbuca dai
finestrini con l’indice e il medio in su, cantando con noi
e qualcuno che scende e si fa un pezzetto di strada e i
venditori ambulanti di patatine e bibite che approfittano
del nostro appetito urlando più forte di noi.
Ci
sono mamma papa’ e bambino. Unica
audace famigliola.
Silenziosi,
quasi non si uniscono ai cori, ma sempre in testa.
C’e’
Carlos.
Proprietario
di una tipografía in tegus. La stessa che pubblicherà il
mio libricino.
Un
uomo eccezionale.
Lascia
lavoro e tutto, pensa stare un paio di giorni, ma c’è
poca gente e serve qualcuno che stia attento ai margini
della marcia. Quando scendo in città per la notte, chiamo
sua madre da cui è tornato a vivere dopo il divorzio, perché
mi prepari qualcosa con cui si possa cambiare e mi lascia la
borsa al suo ufficio. E’ della URP lui, della sinistra,
immerso anima e corpo in qualsiasi frontiera di lotta dal
basso. Parla poco mentre si cammina, quando ci fermiamo si
sdraia, cappello sulla faccia, dorme un poco, e poi è
disponibile, piacevole chiacchierare con lui. Mi piace il
suo sorriso e la sua premura.
Umile
e forte.
Ci sono Orlando e Bettio. Gente dell’Ocotal.
Sempre anche loro, in tutta la marcia.
Ho
deciso con Bertha e Orlando che il
benedetto giorno che mi trasferirò là, mi sistemo da lui,
non più da Alicia.
Mi
racconta che sta cercando di vendere le sue terre che
coltiva a caffè, che sono in cima al monte, isolate e vuole
andarsene con la famiglia dall’altra parte del paese, ha
paura, le minacce seguono, e’ uno dei leader e non ha
protezione.
Dice
che sì, che se vado a stare da lui, e’ più tranquillo e
che allora per il momento resiste.
Un
gran bell’uomo. Parla lentamente, la bocca larga, la pelle
un poco rovinata, si veste sempre di chiaro, osserva,
cammina al margine della marcia.
Bettio
è altissimo e grosso. Dice d’essere un metro e novantadue
e fa un certo effetto in mezzo a questa folla di
lillipuziani.
Simpatico
da morire.
Dorme
a casa mia due notti, non ce la fa più. Bisogno di soffice
e sapone.
La
vigilia ci raggiunge la sua modesta famiglia: moglie più
otto figli. Tutti a dormire da me, perché il gruppo non si
può moralmente dividere.
Anche
Padre Raimondo una notte si ferma a
casa mia.
Non
ha il carisma di Padre Andres, ma non c’e’ un momento
solo che lo vedo con un’ espressione diversa che un
sorriso. Nemmeno serio.
Gli
chiedi se è stanco e ti dice che sì quasi ridendo. E’
felicíssimo di stare lì, di esserci.
La
sua gente arriva un poco alla volta, si da’ il turno per
via del lavoro, e quando lo raggiungono si capisce proprio
che lo amano. Il mattino che si sveglia a casa mia, alle
cinque prende il primo bus per andar incontro alla marcia
che ogni giorno comincia alle sei e mi lascia sul tavolo un
regalo: la sua camicia guatemalteca che aveva visto che mi
piaceva.
Ogni
volta che mi passa di fianco è tutto un abbraccio e mi
presenta a tutti, mi parla di questo e di quello, sempre
bene, mi invita ad andare a trovare con lui la sua famiglia
il fine settimana prossimo a Patuca, ch’è una meraviglia
di posto in Olancho.
Mi
piacerebbe un casino, ma vediamo qua le cose come vanno.
Faccio
amicizia con un ragazzino. Avrà
quattordici anni. Denti in fuori, ai cori risponde con altri
cori suoi che fanno ridere, e’ a suo agio in mezzo a tutta
questa gente adulta, mi vede fumare e mi sgrida, si arrabbia
sempre un poco di più a mano a mano che si approfondisce la
confidenza, fino a che glielo prometto che smetto. Però
allora anche tu la pianti di mangiare queste porcherie
gringhe.
Ok.
Ok.
Prima
di salire sul bus che lo riporta a casa, ci stringiamo
forte. Quasi mi commuovo.
Dal
finestrino mi fa di nuovo promettere.
Quando
arriviamo a Tegucigalpa, ai margini della strada frotte di
bambini con i maestri e i loro cartelloni ci salutano,
sbracciando, cantano e si intrufolano un poco nella
camminata.
E’
importante e commovente.
Nessuno
ha programmato niente con loro, si sono mossi da soli.
E
questo e’ il valore fondamentale di questo principio di
lotta che molta gente, la maggior parte della gente, non ha
inteso: il significato pedagogico della marcia, il
processo di coscientizzazione che si e’ riusciti ad
innescare. Quando diventò chiaro che il presidente non
avrebbe aperto la porta di casa, nemmeno per un innocuo
formale saluto, le espressioni cambiarono, la gente se ne
andò, smise di cantare, improvvisamente e’ apparsa
stanca, stanchissima.
Più
di dieci mila persone l’ultimo giorno.
Nella
riunione della commissione, la sera nella stanzetta
dell’ospedale dov’era ricoverato padre Andres per
riposare un po’, tranquillo, a poche ore dal volo per la
Spagna, Leonida, Carlos, Bertha, Marzio, Osmin, Andres e io,
che pure non ero della commissione, abbiamo senza alcuna
ombra di dubbio, festeggiato un successo che ora va
alimentato, va mantenuto vivo, ma che indiscutibilmente ha
segnato una tappa importantissima nella storia del Paese.
Dalle
stragi della repressione fino agli anni ottanta, e’ la
prima volta che si muove qualcosa del genere di queste
dimensioni, con questa energia, con tutti i media che danno
risonanza alla cosa, il sostegno internazionale,
e soprattutto il popolo unito, senza paura oppure con
paura, ma mandata giù.
Non
e’ difficile intendere lo sconforto della gente.
Ma
un pochino più da fuori e’ facile anche riconoscere il
Senso di queste scarpe logore, del sudore, la fame, la
scomodità, il Senso della solidarietà, della coesione,
dell’amicizia, della FEDE in una causa giusta, della FEDE
in Qualcuno che ha permesso che tutto questo avesse un
Senso, la Messa del mercoledì notte da brividi con il padre
nostro cantato tutti per mano sotto la pioggia, la
commozione dei colori degli striscioni sventolati, delle
voci che urlano, dei bambini che cantano, del fiume di gente
che invade le strade e immobilizza il traffico e la gratuità
di piccoli gesti d’aiuto, la semplicità e il desiderio di
incontro e di condivisione...
Non
sto cercando di enfatizzare una poesia che non c’e’
stata.
Io
l’ho vissuta così.
Non
e’ stata solo una marcia.
Alla
fine la loro ridicola marcia alternativa los madereros non
l'hanno fatta.
Però,
a qualche giorno di distanza, con il cuore in gola ascolto
Berta e gli altri della commissione che parlano
sommessamente di minacce e attentati in procinto di
concretizzarsi ai danni di alcuni leaderes.
Sembra
tutto pesantemente cupo e doloroso e violento.
Berta
mi dice giusto qualche minuto fa che non vuole che vada all'Ocotal
che e' troppo pericoloso.
Ma
onestamente adesso non me ne può fregar di meno.
Martedì parto
e basta.
Torno
dopo la metà di luglio quando Thomas viene a trovarmi e poi
c'e' il foro mesoamericano sull'ALCA e arrivano i nuovi cb.
Leonida,
un uomo che mi ha aperto il cuore, con cui avevo stretto una
bella amicizia paterna, spiritoso e forte, della
commissione, solamente ora arrivo a sapere che era un
intrufolato del governo...
Un’altra
bella botta.
E'
che non riesco proprio ad accettarlo che le cose vadano
cosi'.
Non
ce la faccio, se mi arrendo a questa evidenza domani prendo
l'aereo e torno a casa.
E
allora penso alle urla dell'ultimo giorno, i SI' PUDIMOS!!!
SI'
PUDIMOS!!! e allora mi torna su l'energia e la voglia di r-esistere.
Il
mio senso qui ha un valore più definito adesso. Aspetto con
ansia venerdì.
Desidero
ancora di più oggi dare il meglio di me.
Desidero
entrare nel cuore del problema. Nel cuore del popolo.
Desidero
non perdere tempo.
Desidero
darmi la possibilità di credermi capace di lasciare un
qualunque infinitesimale segno.
Desidero
entrare a fondo per capire e amare.
Desidero
proteggere la mia ingenuità che mi permette di aprirmi con
libertà, di concedere fiducia, di guardare alla semplicità
delle cose e che non e’ sprovvedutezza.
Se
non fosse per i miei sogni non sarei qui.
E
nell’assoluta consapevolezza che i miei sogni non
esisterebbero se non ricevessero il costante alimento della
mia Fede, ringrazio ringrazio ringrazio dal più profondo
del mio giovane febbricitante cuore la Vita e Chi me l’ha
data.
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