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p. Alex Zanotelli: CONTESTUALIZZARE LE SCRITTURE

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contestualizzare le Scritture
 

di p. Alex Zanotelli

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Contestualizzare le Scritture

I lunghi anni passati con i baraccati di Korogocho hanno profondamente cambiato la mia lettura delle scritture ebraiche e cristiane. Ho capito una cosa fondamentale: il contesto in cui leggi un brano è altrettanto importante del testo. Leggere il vangelo di Marco in una villa di Roma ha un significato, ma leggerlo in una baracca di Korogocho assume ben altre tonalità! Il contesto è altrettanto importante del testo.

Anche il magistero della Chiesa l’ha finalmente accolto in un importante ma poco conosciuto documento: “L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa” (1993).

“Tutta la tradizione biblica e in modo più considerevole, l’insegnamento di Gesù nei vangeli, indicano come ascoltatori privilegiati della Parola di Dio quelli che il mondo considera gente di umile condizione. Gesù ha riconosciuto che certe cose tenute nascoste ai sapienti e agli intelligenti sono state rivelate ai semplici (Mt 11,25; Lc, 10,21) e che il Regno di Dio appartiene a quelli che sono come bambini… Quelli che nella loro impotenza, nella loro privazione di risorse umane si sentono spinti a porre la loro unica speranza in Dio e nella sua giustizia, hanno una capacità di ascoltare e interpretare la Parola di Dio che deve essere presa in considerazione da tutta la Chiesa e richiede anche una risposta a livello sociale”.

Da Korogocho

Ho potuto toccare con mano quanto questo sia vero, camminando e ascoltando la Parola con i baraccati di Korogocho, una grande baraccopoli di Nairobi, la capitale del Kenya. Nairobi ha oggi una popolazione di quattro milioni di abitanti. Di questi, tre milioni sono costretti a vivere nel 2,5% della terra totale della megalopoli (è la sardinizzazione dei poveri!). Questo 2,5% della terra in cui i baraccati sono costretti a vivere non appartiene a loro, ma al governo, il quale può venire quando e come vuole con le ruspe, spiana le baracche e spinge altrove i poveri. L’80% dei baraccati non possiede neanche la baracca dove vive, ma paga l’affitto. Le baracche appartengono a gente che sta meglio e che fa lauti guadagni con questi affitti. Vi sono circa 200 baraccopoli a Nairobi poste sotto la linea fognaria (sewage line), nel fondo valle: gli inferi. Korogocho è una di queste con 100.000 abitanti costretti a vivere in un km quadrato. Le baracche sono di tre metri per quattro e ci vivono cinque – sei persone in media. Le fogne sono a cielo aperto. Unico servizio del Comune è quello dell’acqua potabile, ma che diventa poi un affare per chi la rivende. C’è un cesso ogni trenta-quaranta famiglie. La violenza è spaventosa, pagata soprattutto dalle donne. Il 50% dei baraccati è già oggi siero-positivo, oltre un migliaio i malati terminali di Aids.

È solo quando si assume fino in fondo questa realtà, quando ci si incarna e si sente sulla propria pelle la sofferenza dell’altro che si può capire qualcosa (è la legge dell’incarnazione). È questo scendere nei sotterranei della vita e della storia che ti forza a leggere la realtà come le vittime del Sistema la leggono. È questo camminare con la gente della discarica, con i ragazzi/e di strada, con le ragazzine prostitute, con le bande dei ladri, con i malati di Aids… È questo ascoltare la Parola con le comunità di base (15-20 adulti cadauna) nei sotterranei della vita e della storia, dai “margini”, come dice l’indiano R. S. Sugirtharajah nel suo libro Voices from the Margin, che porta come sottotitolo “Leggere la Bibbia dal sud del mondo”. È la grazia grande dell’ascolto della Parola con i poveri, gli emarginati. Sono stati la mia scuola della Parola. “Ma Alex – a volte mi dicevano familiarmente – perché ascolti con tanta attenzione quanto diciamo? Tu sai così tante cose! Cosa puoi imparare da noi?” Ed invece sono stati proprio loro i miei maestri. “Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli – Paolo scriveva alla piccola comunità di Corinto – non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili…”. Paolo, sapendo di scrivere ad una comunità in buona parte costituita da schiavi e prostitute, afferma: “Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti… Dio ha scelto quello che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio” (1 Cor 1, 26-29).  quanto fece Paolo quando iniziò il suo lavoro apostolico nel più grande porto dell’Impero Romano. “Anch’io, fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola e sapienza. Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo e questi crocifisso” (1 Cor 2,1-2). Ci voleva un bel coraggio da parte di Paolo, nel cuore di una colonia romana, a proclamare Gesù e questo crocifisso, quando sappiamo che l’Imperium  crocifiggeva schiavi e sobillatori contro Roma per terrorizzare la gente. Paolo conosce solo il Crocifisso di Nazareth e i crocifissi di Corinto. “I crocifissi, gli impoveriti, gli emarginati sono il volto di Cristo. – scrive il teologo francese Bruno Chenu in Tracce del Volto. L’identificazione non è generale ma personalizzata: ogni volto di povero è icona di Cristo. E perciò stesso diventa rivelatore del cattivo ordine del mondo, denunciatore dell’ingiustizia regnante… Nel tempo della storia, la relazione con il Cristo vincitore è mediata dall’altro vinto, indigente, demunito, affamato. La via più breve per andare a Cristo è la via per l’altro. La prossimità a Cristo è la prossimità ai nostri fratelli nell’indigenza. Il Figlio dell’uomo ci dà per sempre l’appuntamento dell’uomo e del popolo calpestati!”.

É quanto ho imparato sui volti dei baraccati di Korogocho, soprattutto negli incontri delle Piccole Comunità di base come nelle eucaristie celebrate nelle baracche con i malati di Aids. Tutte le sere per dodici anni abbiamo celebrato due eucaristie che duravano 2-3 ore ciascuna. Iniziando “alla sera” e continuando nel cuore della notte, ho fatto esperienza del Mistero. In quei momenti ho toccato con mano che Lui c’è, ma Lui non è in paradiso bensì all’inferno. Sono stati i poveri, gli ammalati di Aids, gli emarginati ad annunciarmi il Vangelo. Sono loro i soggetti dell’evangelizzazione! (È questo il cuore dell’intuizione gesuana: i poveri sono i soggetti dell’evangelizzazione, non gli oggetti a cui fare la carità! Francesco d’Assisi è venuto a ricordarcelo in occidente, ma stentiamo ancora ad accettarlo!)

Queste celebrazioni serali confluivano nella celebrazione domenicale quando le  Piccole Comunità Cristiane di Korogocho si ritrovano per celebrare, danzare il Dio della vita che ha dato vita al Martire del Golgotha e vuole che tutti i suoi figli vivano. Una lunga, vibrante celebrazione di vita. È la celebrazione settimanale della vita, celebrata nel “cantone” dei morti. Il Dio che ho sperimentato in queste celebrazioni è il Dio della vita. (È questo il cuore della teologia giovannea: l’Abbà è il Dio della vita che ci ha mandato Gesù perché “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 10). È il Dio che libera (una visione espressa così bene nell’ultimo libro del teologo camerunese Jean-Marc Ela, Repenser la théologie africaine).

Rileggere la Bibbia

Lentamente ho cominciato a capire quanto era borghese, razionalista, illuministica, schizofrenica la mia lettura della Bibbia. Leggendo la Bibbia con i poveri ho capito che Dio è di parte. Dio non è neutrale, ma è anzi profondamente schierato. Dio è il Dio degli schiavi, degli oppressi, degli emarginati. È questa la rivoluzione religiosa che avviene con la nascita di Israele (1250 a.C.). Dio non è il Dio del faraone, dei re… ma è il Dio degli schiavi che li spinge ad impegnarsi per la loro liberazione. Dio non vuole schiavi, oppressi, ma vuole uomini liberi, vuole che il suo popolo diventi comunità alternativa all’Impero. È questo il sogno che Dio ha per il suo popolo. Perché Israele possa realizzare questo sogno deve favorire un’economia di uguaglianza dove i beni di questo mondo siano il più equamente divisi possibile.

Perché questo si realizzi dovrà perseguire una politica di giustizia: una politica attenta agli ultimi, agli emarginati, agli oppressi… “Ho ascoltato il grido del mio popolo”.

Ma solo chi ha una profonda esperienza di Dio come il totalmente “Altro”, il totalmente libero e quindi il Dio delle vittime, si sentirà sospinto a rimettere in discussione un Sistema che schiaccia ed opprime.

Il clan di Mosè, dopo un lungo cammino nel deserto, penetrò pacificamente sulle montagne della Giudea dove facilmente trovò altri clan che si erano rifugiati per difendersi dagli attacchi dei re delle città costiere. È a questi “ribelli” (Hapiru – Ebrei) che il clan di Mosè porta la buona novella che Dio non sta dalla parte dei re, ma dalla parte degli schiavi e vuole la loro liberazione. E Dio diventerà la forza coagulante che unirà i vari clan in un unico popolo. La caratteristica di quella società era l’uguaglianza economica (economia di uguaglianza) ottenuta attraverso una politica di giustizia che proibiva l’accumulo (Esodo 16). La terra fu distribuita il più equamente possibile tra le famiglie. Questo avvenne per scelte politiche tramite il Consiglio degli anziani e l’assemblea popolare partendo dal rifiuto di avere un governo centrale con un re, un esercito, tasse… Per circa 200 anni le “tribù di Jahvè” tentarono, con esiti alterni, di tradurre nella concretezza quotidiana il gran sogno di Dio. Ma poi, sia per ragioni interne (crollo degli ideali) che esterne (l’arrivo dei Filistei con armi superiori), le tribù decidono di imitare i loro vicini e chiedono un re. Chiedere un re significa accettare le logiche imperiali. Israele si adegua all’andazzo comune e passa, ad una economia di opulenza (pochi dalla pancia piena a spese di molti morti di fame), che richiede a sua volta una politica di oppressione, in cui gli apparati statali servono a tenere a bada il popolo perché serva ai pochi dalla pancia piena. La conseguenza di questo è che Dio diventa garante del disordine costituito, prigioniero del Sistema. E in Israele questo avviene con il re Salomone che farà costruire il Tempio proprio davanti al suo palazzo. Quando Salomone usciva dal suo palazzo per entrare nel Tempio per dire: “Jahvè, eccomi!”, Jahvè  non c’era già più! È fuori dal tempio, a fianco dei contadini oppressi, emarginati… Nasce da qui la protesta profetica che ricorderà ad Israele il “Grande Sogno” che Dio le aveva affidato. L’esilio (587 a.C.) è per i profeti il frutto amaro di quel tradimento. Nel dopo-esilio la profezia si esprimerà attraverso il movimento apocalittico che incoraggerà le comunità ebraiche alla Resistenza nel contesto degli Imperi, mantenendo vivo il Sogno. Daniele (il nome di un mitico personaggio dell’esilio) dirà che Israele è stato costretto a sopravvivere sotto Bestie e Bestioni, ma ora sogna che finalmente uno simile ad un uomo (il Figlio dell’uomo) verrà a rimpiazzare la Bestia (gli Imperi). Per Daniele “uno simile ad un figlio di uomo” sono i “santi dell’Altissimo” (Dan 7,25), le piccole comunità ebraiche di resistenza contro il re Antioco IV di Antiochia (circa 174-164 a.C.) che voleva ellenizzare gli ebrei. Siamo stufi di Bestie/Imperi – grida Daniele – abbiamo bisogno di comunità di uomini/di volti. Quasi 200 anni dopo Gesù rilancerà, sulla scia di Daniele, il grande sogno di Dio (Gesù lo chiamerà il “Regno di Dio” riprendendolo dallo stesso Daniele) in un movimento popolare che chiamerà il movimento del Figlio dell’uomo. Lo proclamerà agli impoveriti di quella Galilea strozzata dall’imperialismo romano che utilizzava sia il tempio sia il re Erode Antipa per svenare la povera gente. A questa, Gesù proclama il Gran Sogno di Dio (“Il regno di Dio è vicino!”) e secondo la tradizione lucana rilancia l’anno sabbatico, il giubileo (Lc. 4, 16-21). “Portare un lieto messaggio ai poveri significa cambiare la realtà socio-economica e spirituale dei contadini indebitati, di gente senza terra, di disoccupati o schiavi. È importante notare che l’anno di grazia che Gesù proclamò come l’arrivo del Regno di Dio non era più un anno ogni sette o un anno ogni cinquanta, ma una nuova età di libertà perpetua per tutto il popolo di Dio da ogni tipo di oppressione” - così affermano le due bibliste americane R. e G. Kinsley nel volume The Biblical Jubilee and the Struggle for Life. Gesù rilanciava così in Galilea il Sogno di Dio partendo dal basso attraverso piccole comunità (gruppi di rinnovamento nei villaggi della regione). “L’intuizione di Gesù non era quella di pilotare i suoi seguaci verso comunità disincarnate, ma di cercare comunità alternative incarnate che potessero resistere e sfidare sistemi di potere come lui stesso ha fatto, pagando di persona” – afferma il biblista americano R. Horsley. “Il Regno di Dio che Gesù proclamava era precisamente quell’ordine socio-economico e spirituale inculcato dalla Legge e dai Profeti e condensato nella visione del sabato-giubileo. Gesù rinnovò la memoria sovversiva delle tribù di Jahvè e l’aspettativa del Regno di Dio tra gli abitanti della Galilea.” Piccoli gruppi o comunità alternative dove l’emarginato, l’indebitato, il lebbroso si sentivano accolti, amati, perdonati. Comunità di condivisione dove quel poco che c’era veniva “spezzato”, condiviso. Nessun episodio del Vangelo è stato raccontato così tante volte (6!) come la moltiplicazione dei pani che è il cuore stesso della Buona Novella. Questo spiega il rifiuto radicale da parte di Gesù dell’economia monetaria di accumulo del sistema imperiale romano. Gesù lo chiama Mammona. Non si possono servire due padroni: o Dio o il Sistema. Non è per caso che Gesù venne crocifisso: quella croce è la logica conclusione di una vita che ha rimesso in discussione il Sistema. Gesù muore come schiavo e come sobillatore contro l’Imperium. Ma l’Abbà rimane fedele a quel Crocifisso: “È vivo! È risorto! Vi precede in Galilea!” Nel nome di Gesù, il Cristo, crocifisso, ma Vivo, verrà rilanciato il Sogno di Dio. Chi lo accoglie si ritrova in piccole comunità alternative come quella di Gerusalemme che Luca presenta negli Atti come modello (Atti 1-5). “Nessuno era tra loro bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo… e poi veniva distribuito secondo il bisogno di ciascuno (At 4, 34-36). Piccole comunità domestiche alternative all’Impero come quelle fondate da Paolo in Asia minore, in Macedonia, Grecia… comunità che tentavano la strada di un’economia di uguaglianza che Paolo esprime in quella brillante idea di una colletta a favore della Comunità dei Poveri (Gerusalemme). “Qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezze voi per risollevare gli altri – scriverà Paolo ai Corinti parlando della colletta – ma di fare uguaglianza” (2 Cor 8-9). Anche le comunità giovannee di Efeso e dintorni (comunità chiaramente alternative al Sistema imperiale!) arriveranno ad una lucida analisi del Sistema che sfocerà poi nell’Apocalisse. La paura infatti del profeta che ha scritto l’Apocalisse è che quelle comunità giovannee (sette chiese) si stiano lentamente adattando all’ethos imperiale romano. Se questo fosse avvenuto, non sarebbero servite più a nulla.

 “Sto per vomitarti dalla mia bocca”, dice Gesù alla chiesa compromessa di Laodicea (Ap 3).

Sono questi alcuni tratti fondamentali di una rilettura della Parola maturata nell’ascolto dei poveri. È l’essere vissuto con i baraccati che mi ha permesso la riscoperta di una Parola di vita, la Parola di Dio che vuole che il suo popolo esca dalla schiavitù, viva nella libertà dei figli, abbia vita in abbondanza qui e per sempre. È stata una conversione per me. È il missionario che si è ritrovato convertito.

“Il Dio della predicazione missionaria è un Dio così distante, così straniero nella storia dei popoli colonizzati, oppressi e sfruttati – scrive molto bene Jean-Marc Ela in Le­­­­ cri de l’homme africain.  Gli africani trovano difficile identificare il Dio dei missionari con il Dio dell’Esodo che ben conosce le situazioni di oppressione e di schiavitù in cui versa il suo popolo”. Ma anche così lontano dal Dio di Gesù che, nel vangelo di Giovanni, viene presentato come il Dio della Vita.

Dalla parte dei poveri

L’esperienza religiosa dei bantu può essere definita vitalologia. L’uomo/donna bantu esprimono la loro gioia di vivere con il canto, il corpo, la danza! Ho potuto toccarlo con mano a Korogocho! Raramente come a Korogocho ho visto uomini e donne carichi di speranza, di forza di vivere, capaci di danzare la vita, anche se costretti a vivere nel “cantone dei morti”. In passato (ma ancora oggi anche da parte di missionari) si parlava della religione tradizionale africana come di animismo, paganesimo… I bantu non sono né animisti né pagani. Penso che solo un atto di umiltà, di domanda di perdono ci può permettere di entrare nel mondo bantu. Appena arrivato in Kenya, la prima volta che celebrai l’Eucaristia con una comunità keniana decisi, all’inizio della Messa, di chiedere perdono per la mia “pelle bianca”. “Io sono un prete bianco – dissi alla gente – sono cosciente di quanto male i bianchi abbiano fatto ai popoli neri. Non posso celebrare l’Eucaristia senza chiedere a voi e a tutti gli africani perdono per il male fatto, per il razzismo, per il disprezzo verso la vostra religione tradizionale, per tutti i crimini commessi contro gli africani. Chiedo che esprimiate il vostro perdono venendo e tracciando un segno di croce sul palmo della mia mano e dicendo: «Ti perdono, fratello bianco!»”. Mi misi davanti all’altare ed una lunga processione di volti neri venne a tracciare sul palmo della mia mano la croce del perdono. E ne abbiamo da farci perdonare! Fra l’altro dobbiamo chiedere perdono per come abbiamo manipolato la Bibbia per opprimere, per emarginare, per ingannare. Ricordo che Desmond Tutu, già arcivescovo anglicano di Città del Capo, un giorno mi disse a Nairobi: “Quando i bianchi sono venuti con la Bibbia ad annunciare la Buona Novella, ci hanno detto: «Chiudete gli occhi, preghiamo…» E noi africani abbiamo pregato con gli occhi chiusi. Quando li abbiamo aperti, ci siamo accorti che eravamo rimasti senza terra”. In Sudafrica, i Boeri hanno sentenziato che la Bibbia dice che la razza nera è maledetta per cui i bianchi hanno il diritto di sottomettere i neri. Le Chiese sudafricane hanno difeso il sistema dell’apartheid per 3 secoli! Solo nel ’91, dopo la caduta del regime di apartheid, le Chiese del Sudafrica hanno proclamato l’apartheid “peccato”. Lo stesso è avvenuto in America latina per mano dei conquistadores. E con la Bibbia abbiamo giustificato l’olocausto più incredibile della storia umana: la tratta degli schiavi utilizzando testi biblici come: “Voi schiavi siate docili in tutto ai vostri padroni terreni, non servendo solo quando vi vedono come si fa per piacere agli uomini, ma con cuore semplice e nel timore di Dio”(Col 3, 22-23).

È incredibile l’abuso che noi occidentali abbiamo fatto della Bibbia per dominare il mondo. L’esempio più folgorante è quello del presidente americano Bush che con la Bibbia in mano si dice autorizzato a governare il mondo esportando ovunque la democrazia, i diritti umani e la civiltà occidentale. Ci rendiamo conto oggi di quanto sia pericolosa la Bibbia, se nelle mani sbagliate! Questi libri, scritti spesso da comunità perseguitate, emarginate, povere… che dovevano servire ad animarle alla resistenza, diventano pericolosi strumenti di oppressione una volta nelle mani dei potenti. “Imploriamo Dio onnipotente di custodire la nostra nazione, di concederci la pazienza e la capacità di controllare ciò che accadrà – ha detto G. Bush in un suo discorso – Né angeli, nè principati, né potestà possono separarci dall’amore di Dio”.

Il libro dell’Apocalisse, scritto per incoraggiare le comunità perseguitate dall’Impero Romano, diventa il libro del terrore se posto nelle mani di Bush.

Iniziamo ora a capire che dobbiamo “decolonizzare la Bibbia”. Ha ragione il biblista ispano-americano  Fernando Segovia nel suo splendido Decolonising Biblical Studies, che ha come sottotitolo: “un punto di vista dai margini”, quando afferma: “Questo controllo eurocentrico sulla Bibbia e la sua interpretazione riflette il più vasto controllo occidentale esercitato sui sistemi economico-politico-sociali mondiali. È questa stessa cultura occidentale che ha prodotto anche le norme dell’interpretazione biblica.” Incominciamo così a intuire che anche la nostra critica storico-letteraria del testi biblici è viziata ideologicamente. E incominciamo a capire la “grazia” di leggere questi testi dall’altra parte del mondo, nei sotterranei della vita e della storia.

“Iniziai a comprendere – continua Segovia – che il fenomeno della realtà imperiale, dell’imperialismo, del colonialismo erano nel cuore stesso dell’esegesi a tutti i livelli dell’analisi. Nel mondo dei testi: il mondo dell’antichità, il mondo dell’imperialismo romano. Nel mondo della modernità: il mondo dell’imperialismo occidentale. Nel mondo della critica biblica moderna: il mondo post-moderno che va dal crollo del colonialismo al neo-colonialismo, al neoliberismo di oggi. Dovetti rendermi conto che era giusto, anzi necessario, esaminare non solo quello che i testi avevano da dire sulla realtà imperiale entro cui furono scritti, ma anche come erano stati interpretati nelle tradizioni moderne e contemporanee occidentali. Le conseguenze  sono pesanti per l’interpretazione delle Scritture: “Ma insistere sul carattere politico di tutta la critica biblica, moderna e contemporanea, – afferma sempre Segovia - collocando l’interpretazione e gli interpreti dentro il contesto geopolitico dell’imperialismo e del colonialismo è ancora visto oggi come qualcosa di temerario e di audace.”

L’esemplificazione più chiara di questo è il libro dell’Apocalisse che non ha nulla a che fare con la fine del mondo, ma ha a che fare con la fine di un mondo: l’Impero Romano. Infatti l’Apocalisse è stata scritta da un profeta di nome Giovanni che tenta di invitare le piccole comunità della tradizione giovannea collocate nell’Asia Minore a leggere il mondo in cui vivevano, quello dei Cesari. Lo fa utilizzando il codice (ecco perché l’Apocalisse è così difficile, almeno per chi non conosce il codice!). Il codice è usato perché, se, per caso, il testo fosse caduto nelle mani dei  servizi segreti romani, non avrebbero capito nulla. Guai se Roma avesse capito quello che i primi cristiani pensavano dell’Imperium! Altro che ad leones! Si tratta di letteratura sovversiva! Basterebbe leggere il capitolo 13, la Bestia che sale dal mare, per capire quanto sia sovversiva l’Apocalisse. Nel capitolo 13 (centrale nel libro), il profeta aiuta le piccole comunità di resistenza a capire che l’Impero è una Bestia orribile che schiaccia e uccide. Questa Bestia (il potere politico romano) riceve la sua autorità dal Drago, il che vuol dire che il potere romano è diabolico. E si serve poi della seconda Bestia (sacerdoti, templi, oracoli…) per ammaliare tutti perché adorino Cesare. Il grande peccato di Roma è pensare di essere dio (la hubris del potere). “Chi è simile alla Bestia? Chi può combattere con essa?” (Ap 13, 4)

Questa lettura di Roma ha un prezzo: il martirio. “Colui che deve andare in prigione andrà in prigione, colui che deve essere ucciso di spada, di spada sarà ucciso” (Ap. 13,10).

Le comunità cristiane sono chiamate alla resistenza. Ma il profeta non ha paura della persecuzione (fa bene alla chiesa!), ma ha paura che, poco a poco, le comunità cristiane, chiamate ad essere alternative all’Impero, si stiano lentamente adattando, livellando, all’ethos imperiale romano. Non servirebbero più a nulla!

Il profeta sogna che Babilonia (Roma) sparirà quando crescerà, la nuova Gerusalemme, quel mondo nuovo, quel Sogno di Dio per l’umanità. Infatti la nuova Gerusalemme non è composta solo dalle Piccole Comunità, ma anche da tutte quelle realtà che tentano di essere alternative al Sistema. Ma come ha fatto questo profeta nel momento d’oro dell’Impero (mai si era visto un Impero talmente vasto e vittorioso al mondo!) a leggere Roma in termini così pesanti? Tutto dipende da dove leggi la realtà. Se la leggi come Virgilio, all’ombra dei Fori Imperiali, pagato e spesato da Augusto, inneggerai alla Pax Romana. Ma se la leggi dalla parte delle vittime, dalla parte dei crocifissi, del Crocifisso del Golgotha… allora leggerai Roma in ben altra maniera. Il luogo da dove leggi la realtà diventa fondamentale.

Se leggo l’Impero del Denaro da New York, da un grattacielo di Manhattan (come fa la Fallaci), sviolinerò all’Impero. Ma se lo leggo da Korogocho e dalle Korogocho del mondo è chiaro che lo leggerò come la Bestia più orribile che sia mai apparsa nella storia umana (basti pensare che ogni vacca europea, americana o giapponese hanno a testa 3/5/7 dollari al giorno mentre 3 miliardi di uomini sono costretti a vivere con meno di due dollari al giorno!). Questo Impero del denaro ammazza dai 40 ai 60 milioni di donne e bambini all’anno per fame. Se io leggo l’Impero partendo da questi crocifissi… lo vedrò come un mostro. Come cristiano non posso fare altro che partire dalle vittime, perché conosco solo “Gesù e questi crocifisso”, direbbe Paolo.

Lettura femminista

Se teniamo presente che molti libri biblici sono stati scritti da comunità povere, perseguitate, emarginate…saranno proprio le comunità emarginate, oppresse, schiacciate che sapranno comprendere meglio questi testi. È interessante in questo senso ricordare la critica mossa dal biblista americano R. Horsley al massimo biblista cattolico di quel paese, Raymond Brown, sul suo commento ai vangeli dell’infanzia di Gesù (La nascita del Messia): “Sei così sicuro, Raymond – gli chiedeva Horsley – che tu da una scrivania di Washington puoi capire quei racconti dell’infanzia di Gesù meglio dei contadini oppressi e perseguitati del Nicaragua o del Salvador, quando ci riflettono nelle loro comunità di base?”. Sono domande gravi che ci devono far pensare. Gesù in quella Galilea martoriata, l’aveva capito molto bene quando aveva esclamato: “Abbà, ti lodo, ti benedico… perché hai tenuto nascosto queste cose ai grandi, ai sapienti e le hai rivelate ai poveri, ai piccoli…” (Mt 11, 25)

Ma non c’è solo da dove leggi la Bibbia, ma anche il chi la legge e non è questione solo di classe, ma anche di genere: se è un uomo o una donna. Sono in tanti ormai ad ammettere che Gesù ha rotto le regole della società ebraica del suo tempo per quanto riguarda la donna. Basta leggere i vangeli per capire quanto Gesù abbia violato i vari tabù di una società, la sua, profondamente maschilista e patriarcale. Sembra sicuro che Gesù avesse tra i suoi discepoli sia uomini che donne. Questa era una grave violazione del codice sociale. La biblista americana Shüssler Fiorenza parla di “discepolato di uguali”. Era un’autentica rivoluzione per il mondo ebraico! Una rivoluzione che continuò almeno nelle comunità giovannee, dove sembra che anche alla guida delle comunità ci fosse una parità di ruoli (sono le conclusioni a cui arriva R. Brown, il più noto biblista cattolico sul vangelo di Giovanni).

È incredibile notare come anche all’interno dello stesso Nuovo Testamento, questa “rottura” di Gesù sia stata tradita. Basterebbe leggere la Lettera di Timoteo (non è certo di Paolo!): “La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare né di dettare legge all’uomo… Essa potrà essere salvata partorendo figli…” (1Tm 2,11-15). Allora comprenderemo quanto sia importante la lettura della Bibbia fatta dalle donne di oggi, dalla teologia al femminile. Non solo è importante il dove, ma anche il chi legge… “È arrivato il momento di riconoscere che certi testi biblici che riflettono una cultura patriarcale e proclamano l’inferiorità delle donne e la loro sottomissione agli uomini non sono normativi – scrive la teologa della liberazione Elsa Tamez nel volume Voices from the Margin  né lo sono quei testi che legittimano la schiavitù. Il ragionamento che sta dietro a questa affermazione è essenzialmente quello offertoci dalla Scrittura: la proclamazione del vangelo di Gesù ci chiama alla Vita e annuncia l’arrivo del Regno di giustizia”. E aggiunge: “Le donne per le loro esperienze di oppressione possono porre nuovi «dubbi ideologici» non solo alla cultura in cui un testo è letto, ma anche al cuore dello stesso testo a ragione del suo essere il prodotto di una cultura patriarcale.”

È importante notare come il magistero abbia assunto questa lettura femminista nel documento citato all'inizio: “L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa” (1993).

Lettura non-violenta

Non è solo questione del dove si leggono le Scritture, del chi le legge, ma anche del come si legge un testo. Tutti oggi ammettono che la novità evangelica, il cuore del messaggio di Gesù, è la legge dell’amore, il rifiuto della violenza. Ormai anche i biblisti incominciano a riconoscere che è stato Gesù ad inventare la non-violenza attiva. Gandhi ce l’aveva già detto: lui aveva imparato i metodi non violenti dal Vangelo, da Gesù. (Notiamo che è stato un indù a venire a ricordare a noi cristiani un aspetto fondamentale che avevamo dimenticato). Oggi gli esperti ci dicono con chiarezza che Gesù ha inventato la non-violenza attiva. Gesù poteva constatare quanto era pesante il giogo che spingeva la sua gente alla ribellione violenta contro Roma. Gesù aveva capito che questo non sarebbe servito a nulla: solo a nuove morti, a nuove tragedie. È questa la grande crisi che Gesù vede arrivare: la fine di un mondo, del suo popolo.

Per questo Gesù inventa una via per rimettere in piedi persone che lottano per i loro diritti, ma che rifiutano la via della violenza (si veda l’analisi molto bella di tutto questo nel libro Rigenerare i Poteri di W. Wink). Una cosa è chiara: Gesù ha rifiutato la via della violenza ed ha inventato la non-violenza attiva (che è ben altro dalla rassegnazione), a cui si ispireranno poi Gandhi, Martin Luther King, etc… Gesù l’ha praticata. L’ha vissuta fino alla fine, pagandola di persona.

Le prime comunità cristiane, in ossequio a questo insegnamento, dicevano ad ogni uomo che chiedeva il battesimo: “Fratello, scegli: o l’esercito o il battesimo”! Cosa ne abbiamo fatto di questa scelta di Gesù? È incredibile il tradimento da parte dei cristiani. Ma anche di quanto poco la non-violenza attiva sia usata come fondamento nella lettura delle Scritture. Come cristiani non abbiamo ancora tirato le conclusioni teologiche di questo discorso del rifiuto della violenza. Se in Gesù abbiamo il no alla logica della violenza e il sì chiaro alla non-violenza attiva, allora dobbiamo riconoscere che anche Dio è non-violento. Quindi non possiamo chiedere a Lui, non possiamo aspettarci che sarà Lui alla fine a fare giustizia. L’Abbà di Gesù è non-violento! E quindi non possiamo aspettarci uno che farà giustizia in modo violento perché altrimenti ricadiamo nella logica della “violenza sacra”, come dice giustamente René Girard.

Tutto questo non è facile né da dire né da vivere.

Troviamo che anche gli stessi vangeli sono caduti nella trappola. Un esempio di questo è come Matteo “rilegge” la parabola del banchetto nuziale (Mt 22,1-14 e Lc 14,15-24). Nella parabola originale in Luca abbiamo un uomo che fa una grande cena e manda a chiamare una serie di invitati. Tutti hanno le loro buone scuse per non andare alla cena. Davanti a questi rifiuti, quell’uomo manda i servi ad invitare i poveri, gli storpi… Sembra essere questa la parabola di Gesù. Matteo la trasforma in una parabola dove un re fa un banchetto di nozze per suo figlio. Manda i servi a chiamare gli invitati… Quando questi si rifiutano, il re indignato manda le sue truppe e dà “alle fiamme la loro città”. Matteo vede questi invitati come i capi del popolo ebraico che rifiutano Gesù e per questo Gerusalemme sarà poi distrutta da Roma. È incredibile come Matteo sia caduto proprio nella trappola che Gesù aveva rifiutato: la “violenza sacra”! Come afferma Nelson-Pall Meyer nel suo volume Jesus against Christianity, Matteo ritiene infatti che Dio punisce il suo popolo Israele con la distruzione di Gerusalemme perché ha rifiutato Gesù e lo ha crocifisso. E la domanda si fa pesante: come leggiamo le Scritture? Come leggiamo le scritture ebraiche con il loro forte carico di violenza? Come leggiamo le Scritture cristiane che pure contengono tratti di “violenza sacra”? Mai come oggi, in un mondo così violento, c’è bisogno di una più approfondita lettura delle Scritture alla luce dell’Abbà/Ima che Gesù ci ha rivelato.

Parola Viva

Forse ha ragione Meister Eckart, il grande mistico fiammingo, che ci ammonisce che non possiamo fare della Bibbia un idolo. Noi diciamo che la Bibbia è Parola di Dio. Ma un libro può essere Parola? Solo una Persona viva può parlare. Noi crediamo in un Dio che è vivo, che ha parlato ieri al suo popolo, ai popoli, ma parla anche oggi. E parla in tante maniere. Attraverso il libro della Natura (è così che ha parlato Dio per migliaia di anni in Africa), attraverso gli eventi della storia, attraverso i volti dei miei fratelli e sorelle… Dio non si stanca, ma continua a parlare… Noi non siamo il popolo del Libro, ma il popolo di Gesù Cristo, il Vivente!

I musulmani si definiscono “la gente del Libro”. I cristiani non sono la gente del Libro, ma il popolo di Dio, di un Dio che ha parlato ieri, ma parla anche oggi. La Scrittura diventa Parola quando/dove, due o tre si ritrovano nel suo nome per ascoltare la Sua parola. È Gesù (è Lui la Parola!) che parla oggi, utilizzando quegli antichi testi… “E Dio mette sulla bocca di tuo fratello – dice Bonhoeffer – la parola di salvezza per te!” Ma è Lui che ci parla, ci interpella oggi! E questo avviene quando ognuno, dopo aver ascoltato le Scritture, diventa Parola per suo fratello/sorella attraverso la sua esperienza condivisa. Con un metro ben preciso: Dio è il Dio della vita che vuole che viviamo. Tutto quello che aiuta la vita a crescere è buono, viene da Dio, ma tutto quello che diminuisce la vita è cattivo, non può venire da Lui! Solo così potremo evitare i fondamentalismi che minano oggi tutte le religioni. “Tra i fondamentalismi è molto diffusa l’idea che le profezie bibliche indichino le tappe che portano alla fine dei tempi – scrive M. Rubboli nel suo volume Dio sta marciando. – Secondo l’ottica del dispensazionalismo premillenarista, l’approssimarsi della fine sarà indicata da una serie di segni come guerre, disastri naturali, aumento dell’immoralità, la formazione di un sistema economico e politico mondiale e il ritorno degli ebrei nella terra promessa.”… E continua: “Nello scenario internazionale, il mondo islamico è un nemico di Dio, destinato ad essere distrutto o viene identificato con l’Anti-Cristo (G. Dury).” È questo filone biblico che sta ispirando il presidente americano Bush e che serve da supporto alla guerra contro l’Iraq. Ecco le nuove letture fondamentaliste della Bibbia fatte dai ricchi e potenti della terra per giustificare le loro politiche.  “Il problema non è se Bush sia sincero o meno – afferma uno dei penetranti pensatori cristiani USA, Martin Marty – ma la sua evidente convinzione che stia facendo la volontà di Dio”.

… alla Sanità

Ecco perché diventa sempre più importante che noi come missionari diventiamo, formiamo delle piccole comunità, fraternità/sororità, che si ritrovano per l’ascolto della Parola letta nel contesto storico, economico – finanziario – militarizzato di oggi. Prima di tutto siamo chiamati noi comboniani/e a diventare delle vere fraterntà/sororità: luoghi umani, dove sbocciano delle relazioni vere, dove si fa esperienza della “convivialità delle differenze”. Solo in tali comunità può sbocciare un ascolto serio della Parola. Piccole comunità vicine ai poveri, ai emarginati, agli immigrati (stiamo tentando con p. Fernando Madaschi un’esperienza di comunità inserita in uno dei quartieri storici di Napoli: la Sanità). Comunità con uno stile di vita sobrio, alternative al Sistema, impegnate per la trasformazione sociale. Sono queste le comunità dove può sbocciare l’ascolto della Parola, la lettura della realtà. Luoghi dove insieme si ascolta la Parola, ci si ascolta, si riflette, ci si impegna. È questa la strada della formazione permanente: è solo così che si cresce.

Ma questo deve poi portarci a far fiorire attorno a noi comunità di base, piccole comunità cristiane, comunità di ascolto… E questo non solo nel sud del mondo, ma anche nel cuore stesso dell’Europa. Ne abbiamo un’esperienza molto bella qui nel quartiere Sanità dov’è nata una piccola comunità cristiana che si incontra una volta alla settimana per l’ascolto della Parola (leggiamo il vangelo di Marco). Che meraviglia ascoltare la povera gente del quartiere riattualizzare quel vangelo in parole proprie per la loro vita quotidiana! (Questo mi ricorda Korogocho!) Altre nasceranno…

I poveri non si stancano di annunciarci il Vangelo: sono loro gli annunciatori della Parola, sono loro che ci rivelano i segreti del Regno. Solo con loro è possibile ascoltare la Parola, solo con loro è possibile scoprire il volto dell’Abbà/Ima, il volto del Dio di Gesù che ha parlato e che continua oggi a parlarci, a farci sognare che un “altro” mondo è possibile.

 

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P. Alex Zanotelli 

è un missionario Comboniano che ha vissuto per 12 anni nella baraccopoli di Korogocho in Kenya, dove sopravvivono i più poveri fra i poveri, i più esclusi fra gli esclusi. Attualmente è rientrato in Italia, ha scelto di vivere inserito in un quartiere popolare di Napoli e si impegna nell'animazione di gruppi, comunità e associazioni 

in tutta Italia.

Precedentemente era stato missionario in Sudan e per molti anni direttore della rivista Nigrizia. Ancora adesso collabora per questa rivista e lo scorso anno ha curato le riflessioni di  Ormegiovani

 

Leggi le provocazioni di Alex

 

Spesso chi i missionari ci scrivono e ci interrogano con le loro lettere...

Il rapporto con la parola va curato, visita la sezione del sito dedicata agli interventi dei teologi dal sud del mondo!

  Per comprendere meglio la situazione delle baraccopoli africane, 

leggi il nostro Speciale Kenya.

 

P. Alex ha partecipato al

Giubileo degli Oppressi 2000, alla Giubileo degli Oppressi 2002, alla Carovana della Pace 2003 ed alla Carovana della Pace 2004. Unisciti a questo cammino di

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