Un viaggio nel cuore dell'Africa: 

Il Kenia

cerca nel sito

Torna alla Home Page

scrivi

 

Le varie sezioni: 

 

Leggi tutte le lettere dei missionari che ci scrivono dal Kenya:

Lettere di p. Alex Zanotelli

Lettere di p. Daniele Moschetti

Lettere di fr. Damiano e sr. Teresa

 

Kenia 

 

 

Popolazione:           31.3 milioni

Superficie:             580.370 kmq

Capitale:                Nairobi

Moneta:                 scellino del Kenya

Lingua:                   inglese e swahili  

  

La bandiera fu adottata nel 1963 al momento del´indipendenza dalla Gran Bretagna . Il colore nero simboleggia L´Africa,il colore rosso il sangue dell'umanità ed il verde la fertilità. Lo scudo masai al centro simboleggia la difesa della libertà

 

 

Stato

 

Nome ufficiale: Jamhuri ya Kenya.

Capitale: Nairobi.

Altre città: Mombasa; Kisumu; Nakuru; Machakos.

Governo: Presidente dal gennaio 2003 è Kibaki alla guida di una colazione eterogenea denominata Arcobaleno; organo legislativo unicamerale: Assemblea Nazionale di 202 membri, eletti ogni 5 anni.

Festa Nazionale: 12 dicembre, Indipendenza (1963).

Forze armate: 24.200 (1996).

 

Società

 

Popolazione: i keniani discendono dai principali ceppi etnici africani: bantu, nilocamitici, sudanesi e cusciti. I gruppi più importanti, dal punto di vista numerico e culturale sono i kikuyu e i luo; altre etnie: luhya, kamba, meru, gysii, embu, turkana, pokot, samburu ecc. vi sono minoranze indiane e arabe.

Religioni: tradizionali 60%, cattolici 21%, protestanti 13%, musulmani 6%.

Lingua: inglese e swahili (ufficiali). Si parla anche kikuyu e kamba.

Partiti politici: Unione Nazionale Africana del Kenya (KANU), fondata nel 1943 da Jomo Kenyatta. Una riforma costituzionale permise la formazione di nuovi partiti dalla fine del 1991. Il Forum per il Ripristino della Democrazia (FORD), principale forza di opposizione, si divise in due gruppi nel 1992 (FORD-Asili e FORD-Kenya). Altri: Partito Democratico (DP), Partito Nazionale dello Sviluppo (NDP), Congresso Sociale del Kenya (KSC), Congresso Nazionale del Kenya (KNC).

Organizzazioni sociali: L’organizzazione Centrale dei Sindacati del Kenya (COTU),  fondata dal governo nel 1965, è l’unica centrale sindacale.

 

Ambiente

 

Situato sulla costa centro-orientale dell’Africa, il paese manca di uniformità etnica e geografica. Da Est a Ovest si possono distinguere quattro regioni principali: la pianura costiera, con piogge regolari e vegetazione tropicale; una fascia interna poco popolata con scarse precipitazioni nel nord-nordovest; una zona montuosa collegata al margine orientale della grande faglia del Rift, con un clima moderato dall’altitudine e suoli vulcanici adatti all’agricoltura, dove si concentra la maggior parte della popolazione e delle attività economiche; infine, l’ovest è un altopiano dal clima arido, in parte mitigato dall’influsso lacustre del Vittoria. Fra i maggiori problemi ambientali si distinguono: degradazione dei terreni, erosione e desertificazione, deforestazione; inquinamento dell’acqua potabile, principalmente intorno alle grandi città, come Nairobi e Mombasa. Kenya, uno dei Paesi con il tasso di incremento demografico fra i più alti del mondo, registra un fabbisogno crescente di legna da ardere e di terra da coltivare. Soltanto il 7% (1995) del territorio è coltivabile, anche se i sistemi agricoli degli altipiani del Kenya sono fra i più produttivi di tutta l'Africa. L'aumento dell'uso di pesticidi e di fertilizzanti ha provocato un notevole inquinamento idrico. Soltanto il 49% (1990-1996) della popolazione rurale ha la disponibilità di acqua potabile e sicura. In alcune zone si stanno accelerando l'erosione del terreno e la desertificazione; la deforestazione è un problema grave, anche se negli ultimi vent'anni, con l'ausilio di gruppi privati e di programmi vivaistici, sono stati piantati circa 10 milioni di alberi. Il 30 % circa (stima del 1993) del territorio è coperto da terreni boscosi, ma soltanto il 3 % circa è occupato da foreste umide naturali.
Il Kenya è forse più conosciuto per i rinomati safari, che attirano i turisti e i cacciatori di tutto il mondo, e costituiscono una risorsa primaria dell'economia nazionale. Alla conservazione della fauna nelle riserve è stata quindi data priorità assoluta. Attualmente, quasi il 12% (1992) del territorio totale è classificato come parchi, riserve di caccia e altre zone tutelate, anche se soltanto il 6% (1996) è protetto in modo rigoroso. Sono in via di estinzione almeno 32 specie endemiche, mentre fra gli habitat minacciati sono le pendici del Mount Kenya e le foreste costiere. Sono attualmente in corso iniziative volte al ripopolamento degli elefanti africani e dei rinoceronti neri sempre più rari ed è stata intrapresa una severa campagna contro i bracconieri. Nel quadro del Programma MAB (Man and the Biosphere, l'uomo e la biosfera) dell'UNESCO sono state riconosciute cinque riserve della biosfera.
Il Kenya ha ratificato accordi internazionali per la tutela dell'ambiente che hanno per oggetto la biodiversità, il cambiamento del clima, le specie in via d'estinzione, lo scarico di rifiuti in mare, la vita marina, la protezione dello strato di ozono, l'inquinamento di origine navale e le zone umide.

 

                                      Kenya                                       

mosaico di vita

Nel Kenya pare abbia avuto origine l’uomo.

Il Kenya dai mille volti, dei tanti paesi dalle mille storie, dalle infinite sfumature e universi. Dal punto di vista da cui cerchiamo di guardarlo ne troviamo uno diverso: televisione, giornali, viaggi, esperienze ci portano una miriade di aspetti. Si và dall’afropessimismo alla gioia, dai bimbi che giocano tra le baracche ai sorrisi e colori a tutti i costi.

C’è il Kenya dei turisti, quelli che scorazzano per le suntuose spiagge di Malindi e Mombasa, quelli che girano con grandi jeep per i safari nel tentativo di catturare l’immagine di qualche animale raro. Spesso si dimenticano della gente, dell’anima del Kenya. Dei tanti gruppi che abitano questa terra a volte difficile da vivere. La terra coltivabile infatti è meno della metà del paese. Terra rossa, feconda per le coltivazioni. Molto di questi appezzamenti però sono destinati alle monoculture  per esportazioni. Come il caffè che in Kenya non consuma quasi nessuno se non i wazungu.

 

Il Kenya è anche quello dei missionari, delle molte congregazioni che affiancano la popolazione. Missionari che sono immersi in una moltitudine di manifestazione religiose (oltre 500). Vivono tra la gente povera, assetata di speranza. Quella che non ha nulla. Quella a cui basta un granello di speranza e la possibilità di arrivare a sera.

Ma non tutti gli istituti, però, soprattutto quelli che hanno anche missioni come hobby tendono a rimanere ‘europei’ nello stile di vita e di costruzioni.

E’ il Kenya degli operai, dei contadini, il Kenya dei poveri, degli slums di Nairobi,

dei grandi appezzamenti di terreno, magari quelli del presidente Moi e della sua famiglia. E’ il Kenya politico, strategico per le logiche dei conflitti e delle mediazioni dell’Africa Orientale. E’ i Kenya del commercio che appartiene con evidenza agli stranieri: indiani arabi.. Nel Kenya ci sono I masai che sono giunti persino a colorare le nostre pubblicità con i loro mantelli rosso fuoco. E’ il Kenya dell’AIDS, delle percentuali catastrofiche che gelano il sangue

 

E’ il Kenya delle persone, che ogni mattina si alzano per vivere, per soffrire, gioire, per rendere grazie a Dio. Dal povero bimbo di strada che aspira la colla, al manager della Nairobi bene. Dalla mamma delle zone rurali che con fatica alleva i suoi figli e coltiva la terra, ai giovani in cerca da vivere nelle città. Persone che con grande fiducia guardano al futuro. Non solo mitici atleti keniani super-veloci e super-tonici, o popolazioni delle zone rurali di esclusivo interesse antropologico.

C’è il Kenya dei ricchi che come molti poveri seguono il luccichio del denaro ed il brillare delle luci di città. Quei ricchi che se ne stanno barricati nelle ville controllate 24 ore su 24 dai guardiani. Il Kenya delle differenze e dei contrasti, degli estremi. Persone, che sono come noi, ragazzi che vanno in Chiesa e cercano d essere felici. Il Kenya dei tanti giovani (il 75% dei keniani ha meno di venticinque anni), che vogliono una vita migliore, basata sulla giustizia, sull’equità e sulla pace. Desiderano un futuro diverso, possibilità, per manifestarsi, per fare esplodere e sentire le loro voci. Giovani che si trovano  e condividono le proprie paure e incertezze, i  propri desideri lavorando insieme per la propria gente.

Ci sono poi i bimbi, che giocano, ridono, sprizzano gioia e fanno felici i volontari. Ma evidente è anche la spazzatura, il degrado, la disperazione, la solitudine.

E’ la terra delle lande deserte, della quotidianità silenziosa, dei piccoli segni, della vita calma, delle giornate che passano in sordina. Come in sordina passano anche i morti per le malattie più semplici, per la criminalità, per i conflitti, per le tensioni che scoppiano. Vi sono i segni evidenti dello sviluppo, ma quello occidentale che è sinonimo di crescita, di incremento delle ricchezze. Non per forza però è sinonimo di ben-essere, di vita migliore per la gente. Molto spesso invece è sinonimo di morte, di impossibilità di eguaglianza, di esclusione.

 

Il Kenya di Nairobi. la megapoli che scoppia per troppa gente in troppo poco spazio, dei contrasti stridenti. Nairobi la bella, la corrotta, l’astuta, la ricca, la tranquilla, la caotica, la piangente. Nairobi significa fonte, dove  nasce l’acqua. Dove nasceva l’acqua ora vi sono le sue figlie che si prostituiscono, per mangiare, per dare di che vivere ai propri figli, dove tutto sembra perduto e perso, nei rigagnoli delle baracche, della gente ammassata su luride catapecchie e il sopruso è la legge.  Si fa di tutto per vivere: si vende ogni cosa, si ruba, si coltiva anche il più piccolo spazio di terra. Ma è dove c’è la puzza di marcio, di lurido, che si alzano al cielo piccole ma forti fiammelle di speranza. E’ nei luoghi più impensabili che la speranza prende forma. Dove la resurrezione si vede e si tocca, la si desidera ardentemente, dove la vita batte la morte anche quando tutto sembra dire di no.

 

     

Moderni grattacieli si stagliano sugli ampi viali di Nairobi, maggiore città del Kenya e centro commerciale, culturale e delle comunicazioni della nazione, nonché nota località turistica e via d'accesso per le riserve di caccia del Kenya. Nairobi si trova immediatamente a sud dell'Equatore, tuttavia, data l'altitudine, gode di una piacevole temperatura. La maggior parte degli abitanti di Nairobi abita in grandi caseggiati popolari. Il Governo e l'industria sono la principale fonte di lavoro della città.

In origine sorgente paludosa lungo la linea ferroviaria, Nairobi si sviluppò successivamente come insediamento coloniale, fino a diventare la moderna e frenetica capitale del Kenya. Conosciuta dal popolo indigeno dei Masai come N'erobi, o "luogo delle acque fredde", alla fine del XIX secolo la città attirò i coloni britannici, desiderosi di coltivare i fertili altipiani circostanti. Molti di essi giunsero a Nairobi su quella che gli scettici britannici soprannominarono "la Ferrovia dei Pazzi".

Man mano che questi coloni si impossessavano della terra più produttiva della regione, cresceva il risentimento tra la popolazione locale dei kikuyu. La loro rivolta, chiamata la Ribellione dei Mau Mau, scoppiò nel 1952. Fu ispirata dagli scritti di Mzee Jomo Kenyatta, che auspicava l'avvento di una riforma territoriale e che, in qualità di padre del nuovo Kenya, divenne il primo presidente della nazione.

Quando conquistò l'indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1963 Nairobi era una città di frontiera. Attualmente è una delle più importanti città dell'Africa, e vanta ampi viali su cui si affacciano grattacieli, molti spazi aperti e un affollato aeroporto internazionale; ospita inoltre la sede del Programma ambientale delle Nazioni Unite.

Il turismo è una fonte sempre più importante di valuta estera per il Kenya e Nairobi è anche un famoso punto di partenza per i safari. La riserva di caccia del Nairobi National Park, fondata nel 1948, è situata 24 km circa a sud della città.

 

               

«Korogocho è pane, acqua e medicine, ma anche armi, droga e stupri. È il limite dei buonisti, della ricerca di soluzioni programmate e dall’alto, ma è duro sforzo quotidiano per la vita. Korogocho è festa, sorrisi e strette di mano, cori di “Aia iu” (How are you? – Come stai?) e corse per cadere tra braccia amiche che è bello anche solo avvicinare. Korogocho è quella “malattia là” (AIDS) è come un ospedale all’aperto, ma non è un ospedale perché non ci sono medici, infermieri e corsie. Korogocho è il limite degli scrittori e dell’immaginazione perché non si può descrivere, ma solo vivere. Non ci sono categorie sociologiche efficaci, ma solo e sempre parziali, mancano i vocaboli, “nord” e “sud” non significano niente perché la ricchezza la trovi esattamente dall’altra parte della strada.

Korogocho è terra dalle vene aperte, mani e piedi spaccati dalla fatica. È un campo di raccolta per alcolisti “votati alla morte”, randagi della strada e antropologicamente impoveriti, tribolati, ma non schiacciati. Korogocho è il limite della “speranza razionale” quella centrata sul fare che cerca un appiglio che non c’è perché Korogocho è spinta verso una speranza che può essere solo totale e che esige abbandono».

 

Testo di Fabrizio Floris (sociologo, economista) tratto da AA.VV., Città o baraccopoli?Gli insediamenti informali in Africa: il caso di Nairobi, L’Harmattan Italia, Torino 1998

[Questo libro parla dell’urbanizzazione in Africa, di baracche e grattacieli, di donne e missione. Nella prima parte si analizzano gli aspetti sociali e culturali della “rivoluzione urbana” dalla prospettiva della città di Nairobi. Nella seconda si affrontano le conseguenze della crescita della città con uno studio economico-sociale e di genere della baraccopoli di Korogocho]

 

Le baraccopoli sono una triste realtà. Giovaniemissione ne parla anche su:

 

http://www.giovaniemissione.it/mondo/sud1.htm Il manifesto dei Baraccati di Nairobi

http://www.giovaniemissione.it/testimoni/kiberascontri.htm Oltre Korogocho, cosa succede a Kibera?

http://www.giovaniemissione.it/testimoni/casoterra.htm Il problema della terra.

http://www.giovaniemissione.it/mondo/sud.htm

http://www.giovaniemissione.it/mondo/sud8.htm La speranza a Korogocho

 

Piccoli segni di speranza:   Workshop a Dol Dol

“Ontomonon, Naboisho” significa “Solidarietà per il bene comune” ed è il motto nato da un workshop, la prima forte esperienza per le donne Masai di Dol Dol. Invitate a una seria e profonda riflessione su se stesse, la propria società e i vari problemi che incontrano nello stare insieme come gruppo nei progetti di sviluppo, hanno risposto alla sfida insieme alle missionarie del posto che con loro condividono la propria vita.
Prima di tutto un’analisi in ambito sociale: mancanza di acqua per la propria famiglia e per gli animali, la terra venduta poco alla volta a ricchi affaristi, come pagare le rate della scuola, la mancanza di buoni leaders che le rappresentino in politica per difendere i loro diritti... sono esempi di ciò che si è discusso.
Con l’approfondimento del tema è emersa la difficoltà e la paura di dare un nome ad altri problemi. Poi una donna rompe il muro di silenzio: è una che non conta con l’aiuto del marito né per cercare l’acqua, né per il cibo per i bambini, né per le medicine.
Tra i Masai è la donna che si fa carico della famiglia, ma paradossalmente è considerata dall’uomo: incapace di pensare, di decidere e di assumere responsabilità. Cresciuta in una cultura che sottolinea la sua inferiorità fin dalla nascita, se le viene proposto di prendere una decisione si mostra paralizzata e incapace e attende che sia l’uomo ad agire per lei. Per chi si oppone a questa cultura corre il rischio di essere disapprovata dalle stesse donne e punita dal marito.
Un applauso di liberazione conclude la discussione e il dibattito, ma rimangono problemi e sogni comuni.
“Solidarietà per il bene comune” è il motto. Insieme per sentirsi forti e unite anche nella fede, per vedere la realtà con gli occhi di Dio e vivere la propria storia senza più subirla. Tutte ad un’unica scuola: donne masai e missionarie condividono la loro vita tra sentimenti contrastanti e gioie semplici. Senza mai abituarsi al dolore, vivono e soffrono insieme.

 

 

          

 

APPUNTI DAL KENYA – 12.07.01/08.08.01

 

 

In ordine logico dovrei iniziare col parlare dei PREPARATIVI… I miei sono stati un po’ rocamboleschi! Per motivi di salute, fino all’ultimo la mia partenza è stata molto incerta, così poi ho dovuto recuperare tutto in fretta, e per fare le vaccinazioni questa non è una bella strategia!

Iniziamo dalle vaccinazioni: mi sono appoggiata alla clinica delle malattie tropicali del Civile. Ho trovato una buona organizzazione, ma un’eccessiva precauzione : mi sono affidata alle loro linee guida, ma per quanto riguarda la profilassi malarica , ho dato retta ai missionari, che ci hanno consigliato un farmaco meno pesante, per fortuna! Per il resto : vaccino anti febbre gialla, anti epatite A, anti febbre tifoidea. Non ho fatto l’antimeningo-coccica,consigliata dall’ospedale, perché al momento non sono segnalati focolai di questa brutta malattia.

Già questo primo approccio con l’aspetto sanitario del mio viaggio, mi aveva dato da riflettere. Il mondo in quei giorni si  divideva per me in tre categorie: c’era chi guardava alla mia prossima dipartita come a un viaggio estremamente pericoloso e pernicioso; c’era chi ne era entusiasta, ne voleva sapere più dei missionari, e si sprecava in racconti di lontani “safari” esotici; c’era chi non capiva e mi guardava con un po’ di diffidenza… e rimaneva in un silenzio quasi più fastidioso dei mille consigli che mi piovevano sulla testa!

I mesi precedenti alla partenza erano anche scanditi da incontri di preparazione, tenuti dai Missionari  Comboniani, incontri che avevano il duplice scopo di costruire un buon gruppo e di accostare quest’ultimo al mondo in cui tra poco sarebbe approdato. Eravamo sette ragazzi 

(tra cui, tre ex-arnaldine!!!), provenienti dal nord Italia tra i 29 e i 22 anni. Gli incontri ci hanno preparato un po’ alla storia del Continente Africano, della Chiesa in Africa, del Kenya, delle missioni presenti nel territorio Kenyota… Abbiamo anche rinfrescato il nostro inglese e tentato di imparare un po’ di Ki-swahili, lingua davvero interessante.

 

Ci sarebbero tante altre cose da dire, ma la mia mente già pensa al viaggio. Very comfortable! Abbiamo prenotato con anticipo sulla United Emirates Company che ci ha trattato davvero con i guanti. Il volo partiva da Milano, ha fatto scalo a Doubay, dove abbiamo trascorso la notte in aeroporto, quindi siamo atterrati a Nairobi. Senza la sosta, mi pare un totale di 15 ore. Nell’ultima mezz’ora di volo, i miei occhi hanno avvistato il suolo africano, secco, vorrei dire brullo. Che strano vedere un aereoporto nel mezzo di un paesaggio da safari . E poi, durante l’atterraggio, che effetto vedere in lontananza alcuni animali brucare gli arbusti e muoversi in quell’accenno di savana. E poi, scesi dall’aereo, lo squallore dell’aereoporto di Nairobi: dopo quello fastoso di Doubay, questo buio, maleodorante, triste, faceva un certo effetto. E poi la fila presso uno sportello per pagare una prima tassa ( quando sei un turista bianco, le tasse si moltiplicano in Africa!). E poi aspettare una land-rover  che i missionari usano per muoversi nei posti più impervi di tutto quel territorio. E’ stata un’impresa stipare i nostri corpi e le nostre valigione dentro quella jeep!

 

La casa in cui ci hanno ospitato non era da missionari comboniani, tuttavia si trovava in una zona abbastanza tranquilla ed era adatta alla funzione di promotion centre: era una stupenda casa in stile coloniale, con dependance in zona residenziale senza troppe pretese ( mi riferisco alle residenze di ambasciatori e loro corte a seguire, provare per credere: un lusso davvero impressionante, soprattutto se a confronto, stridentissimo, con tanta miseria). La cosa che subito mi ha impressionato, oltre la guida a sx ( retaggio inglese),  è la violenza che serpeggia in questa grande città: le case “decenti” ( in pratica tutte le case che non fossero baracche), erano meticolosamente recintate e avevano un custode e appena calava la sera la gente che ritornava stanca a piedi da lontani lavori aveva appena il tempo di chiudersi nelle proprie abitazioni, perché poi la strada diventava violenta, pericolosa, criminale.

 

Che bello invece l’impatto con i missionari comboniani. Ci hanno accolto premurosi, curiosi di conoscerci, attenti alle nostre esigenze. Prevenivano i nostri bisogni, ci aiutavano a destreggiarci con questa terra e le se sue usanze. Cercavano di illustrarci i loro “trucchi”, ci raccontavano le loro storie, ci davano consigli maturati da tanti anni di esperienza, ma sempre con la premura di compagni di viaggio che non si sono mai dimenticati della loro prima volta, del loro primo impatto, della loro prima “fragilità”, perché è fragile come un bambino l’uomo che non conosce le usanze, i tabù, le norme della terra in cui si trova a vivere. Gli “advices” erano di varia natura: “Controllate le ciabatte prima di metterci dentro i piedi la mattina”; “Non bevete l’acqua dai rubinetti , prendetela dal purificatore in cucina”; “Per fare la doccia, ditemelo che accendo il boiler… Una volta che l’hanno fatta due persone, bisogna aspettare che si ricarichi”; “Anche se non sudate, bevete sempre. E mangiate, mangiate! E’ l’unico modo per tenersi informa…Qui non bisogna farsi cogliere dalla debolezza, vera causa di tutte le malattie!”Eccetera eccetera… Anche l’approccio col cibo è stato piuttosto divertente! Dico divertente perché la colazione è all’inglese, per cui al mattino era un tripudio di pane tostato con marmellata, con caffèlatte, thè. Il fratello comboniano che ci ospitava era tedesco, quindi approntava sempre uova, carne, fagioli… Il padre comboniano prediligeva invece porridge… Per quanto riguarda invece gli altri pasti , abbiamo assaggiato piatti locali: il riso è la base di ogni pasto. Riso e verdure, riso e carne di vacca stufata; ugali e sukumawiki ( polenta bianca ed erbette), fagioli e mais, tantissime patate… E poi tanta frutta freschissima: papaya (dalle potenti virtù lassative), banane gustosissime, mango, arance, kiwi… L’unica cosa che scarseggiava era l’acqua: meglio bere thè bollito, oppure sempre e solo bibite, dal momento che il pericolo infezioni si annidava sempre nell’acqua.

 

E poi le notti. Le notti freddissime ( Nairobi è a 700m sul livello mare, era appena finita la stagione delle piogge, e l’aria era umida) con pesanti coperte. Le notti illuminate da una luna stupenda, chiara, sempre vigile! Le notti per il resto prive di luci eppure vive di voci in lontananza. Non una persona per strada, eppure rumore di baraccopoli in distanza, di persone ammassate in slums, che si stanno per coricare dopo una giornata di lavoro se va bene, di miseria sempre.

E  i risvegli mattutini. Sempre molto fresco. Per fortuna le zanzare non ci hanno quasi mai importunato. E mentre noi ci svegliavamo , migliaia di persone già percorrevano a piedi le strade della città per recarsi al lavoro, a prendere acqua, a scuola: una fiumana di gente che doveva affrontare per due volte al giorno anche due, tre ore di cammino. Passavano anche matatu, camioncini da sette posti che trasportavano fino a venti- venticinque persone, che regolarmente facevano incidenti, che a momenti perdevano le sospensioni per strada, ma che erano la manna di tanti poveri lavoratori.

 

Mi hanno impressionato tantissimo i bambini che andavano a scuola. Tutti con le loro uniformi colorate, sdrucite, praticamente senza cartelle, merende, senza nessun adulto che li accompagnasse per un cammino a volte davvero pericoloso. Eppure così felici e fieri di potere andare a scuola. Classi  anche di 40 / 60 bambini che non fiatavano, ma che imparavano attenti e contenti a leggere, a scrivere, a fare di conto. E’ fortissima la coscienza che l’istruzione è la più recente arma contro la povertà, contro un futuro già scritto che per molti moltissimi è già una condanna. Mi sono vergognata tantissimo di fronte a quegli scolaretti in erba: nonostante tanti anni di studio, nonostante abbia conseguito la maturità classica presso il buon vecchio “Arnaldo”, credo di non avere mai avvertito il valore dell’istruzione forte come quei piccolini, così orgogliosi di sapere scrivere e parlare inglese.

 

Mi hanno impressionato i bambini in generale. A scuola e non.  Anzitutto la loro “mansuetudine”: non ho mai assistito a nessun capriccio, forse perché spossati dalla fame, dalle malattie, dalla stanchezza; la loro solidarietà: fratellini che portano in spalle i loro fratelli minori ( a 4/5 anni!), che li curano, che si prendono per mano, che si aspettano, che si curano gli uni degli altri. Bambini che ridono con poco. Che vivono praticamente di aria, che non si lamentano della “sbobba” che mangiano a scuola, se se la possono permettere ( una pappetta col miglio), che corrono a piedi nudi. Bambini che nonostante  siano bambini non ti attirano: sporchi, spesso con strani bozzi in testa, con una specie di nodi di legno sulla pelle , con la scabbia, col muco verde, con una tosse da fare paura, spesso senza qualche dentino. Bambini che corrono incontro al turista bianco, un po’ divertiti, un po’ impauriti, un po’ incuriositi e che ti cantano in coro : “Wasungu  (=bianchi), how are you?” Bambini che vorresti abbracciare, che ti mettono in crisi perché riescono ad essere bambini anche in quest’immondezzaio che non si meritano, bambini che forse l’anno prossimo non ci saranno più: malaria, aids, diarrea molto forte, oppure un periodo di debolezza, come è impossibile che non si presenti, date le condizioni di vita…

 

E poi le donne. Ogni giorno che passa ringrazio di essere nata donna nel mondo occidentale dell’ultimo novecento. Quando tanti dicono che se l’Africa va avanti è grazie alle sue donne, è proprio vero: sono loro che procurano di che vivere alla propria famiglia, sono loro che si curano dei figli, quando il marito dopo due o tre anni se ne va ( senza bisogni di alcuna giustificazione), che si curano degli anziani, che vanno a lavorare… Sono loro che partoriscono quattro, cinque, sei, sette figli, che patiscono di generazione in generazione l’escissione e l’infibulazione, che contraggono l’aids dai loro uomini, che a 17 anni hanno già due bambini… Io non vedo facili vie d’uscita… Eppure, anche davanti ad uno scenario del genere, così crudo e, ai miei occhi di signorina occidentale, senza senso e dignità, rimango incantata dall’insegnamento di queste donne : il valore della vita, che rimane tale in ogni condizione. Voglio dire, da noi la nascita di un bambino è spesso soppesata, problematizzata, cercata o rifiutata… Quasi sempre mi sembra essere frutto di una razionalizzazione. In Africa, invece, è frutto delle viscere. E’ vita. Senza alcun aggettivo in aggiunta. E’ e basta. Non mi sto pronunciando a favore di un atteggiamento o dell’altro. Sto solo dicendo che mi ha fatto un gran bene vivere con persone che accolgono la vita. Senza condizioni. Forse perché non sono padrone di dettarne alcuna?

 Non sto nemmeno celebrando la vita di un fantomatico paradiso terrestre: alcol, prostituzione, droghe girano anche qui, come palliativo di una vita di miseria… e gli uomini diventano sempre più simili alle bestie…

 

E poi le baraccopoli, che crescono a ridosso delle discariche, da cui possono essere estratti migliaia di rifiuti “riciclabili”: cibo, materiale combustibile, lamiere con cui costruire i tetti delle baracche, qualche copertone con cui fabbricare delle ciabatte… Una manciata di terra in cui vivono decine di migliaia di persone in condizioni igieniche e morali estremamente precarie… Le parole di P.Zanotelli descrivono molto bene quella realtà… Io faccio ancora fatica a parlarne : mi fa ancora male cercare parole per descrivere situazioni per cui di fatto parole ancora non ci sono… La cosa che mi fa andare avanti è la presenza silenziosa eppure prepotente, forte e costante di Cristo in mezzo a questi poveri … E’ qualcosa di sconvolgente e di consolante allo stesso tempo… Per tutto questo rimando ai libri di Padre Alex : dopo tante sofferenze, lui ha trovato le parole.

 

Ma non c’è stata solo la città. C’è stata anche la zona rurale verso il nord-est: sempre più fredda! Spostandoci verso l’Uganda abbiamo incontrato anche i primi blocchi militari, che ci lasciavano passare senza aspettare il convoglio perché eravamo coi missionari . Non abbiamo potuto passare per il deserto dei Turkana proprio a causa dei guerriglieri che come cani sciolti infestano il nord del kenya , rendendo impossibile viaggiare.

Nella zona rurale le condizioni di vita delle persone migliorano: ognuno ha di che sfamarsi, l’acqua è disponibile in maggiore quantità, quindi anche le condizioni igieniche sono lievemente più serene e la vita più decorosa. Tuttavia le condizioni sociali, soprattutto la condizione femminile, sono più arretrate. Inoltre il telefono e l’elettricità mancano, se ci sono delle emergenze mediche ( penso solo ai parti, così frequenti e spesso così a rischio), l’ospedale è lontanissimo. E poi ci sono sempre gli anni di carestia,imprevedibili e dannosissimi.

Dal punto di vista paesaggistico, mi si allargava il cuore quando vedevo quel bellissimo paesaggio collinare verdissimo ( da foresta amazzonica!), rigoglioso, solcato dalla strada rossa argillosa, che si stendeva sino all’orizzonte… E l’aria pura. E il sole che, essendo all’equatore, quando non c’erano nuvole, batteva fortissimo : bastava un quarto d’ora per scottarsi!

 

Mi rendo conto di non avere parlato di una costante dei nostri viaggi: la strada!!! La strada sì, che ci ha fatto rimpiangere le più sgangherate strade di Brescia. Quelle asfaltate erano spesso disseminate di “bumps”, ovverosia di dossi non segnalati, che ci hanno regalato salti divertentissimi ( un po’ meno per le nostre vertebre ); quelle sterrate danno un effetto idromassaggio/frullato da leggera nausea, a volte riserbano sorprese quali rampicate per cui si fatica a procedere persino con le marce ridotte, oppure, con le piogge, si trasformano in scivoli pericolosissimi ( scivolare in un impasto di fango con la jeep messa di costa è davvero un’esperienza angosciante) ; quando poi ti vedi sbucare all’improvviso delle mucche  o delle capre ostinate che non ne vogliono sapere di spostarsi dalla strada è davvero un bello spettacolo!

 

So anche che dovrei almeno accennare a che cosa significare avere la pelle bianca nel continente nero, che cosa ha comportato relazionarsi a persone dalla vita tanto diversa  dalla nostra, come abbiamo intrecciato discorsi, se ci siamo riusciti… Iniziamo dall’ovvio: abbiamo parlato in inglese, anche se nei paesini rurali, la gente parlava quasi esclusivamente il suo dialetto, nemmeno ki-swahili… Sono sempre stati molto accoglienti: ovunque ci invitavano ad entrare nelle loro umili casupole e ci offrivano immancabilmente del chai ( thè col latte), ci facevano partecipi del loro quotidiano ( la storia della loro famiglia, la loro attuale condizione, i loro problemi), spesso ci lasciavano piccoli ricordini, ancora più spesso volevano il nostro indirizzo e ci pregavano di mandare copia delle fotografie scattate… In tutte le scuole, i centri di sviluppo, gli ospedali, venivamo messi doverosamente al corrente di tutti i progetti, venivamo fatti partecipi del cammino percorso… E’ gente che crede moltissimo al lavoro di promozione, all’attivismo politico ( almeno quella istruita): è qualcosa di veramente commovente. Per certi aspetti, sembrava di tornare indietro nel tempo, alla nostra povera Italia del secondo dopoguerra, quando la gente rivendicava i diritti inalienabili dell’uomo e della vita democratica, quando fare politica ad ogni gradino della società era un dovere e un diritto essenziale, sentito da tutti. Quanto scontato e cinico mi è parso il nostro, il mio modo di vivere la politica, nel suo senso più ampio...

Infine, devo confessare che essere stranieri non è sempre cosa semplice: può mettere alla prova i tuoi nervi sentirti gli occhi addosso perché hai la pelle del colore “sbagliato”,  perché sei bianco e quindi sei sicuramente ricco e quindi i bambini e i venditori ti corrono dietro per strapparti qualche soldo.  Ovunque di sera , se sei bianco, è meglio che non ti fai proprio vedere, perché sei bersaglio facile. E poi voi wasungo, che siete venuti a fare qui? Ad osservarci come animali nello zoo? Ma che volete capire voi, che vivete nel paese di cuccagna? Che esseri strani siete che a 20 anni non siete ancora sposati e, soprattutto, non avete ancora figli ( quando lo venivano a sapere, scoppiavano risate fragorose)…

 

Ci sarebbero tante altre storie ed emozioni da raccontarvi… Mi sento di concludere questa primo breve “resoconto” con il sentimento più forte che mi sono portata via dal Kenya (insieme all’argilla rossa che non viene più via dai pantaloni, e ad una certa confusione che non lascia la mia testa o il mio cuore) : una bella e sana sferzata di vita. Se tutto un popolo di donne uomini e bambini continua ad andare avanti tra sforzi enormi, se un intero popolo lavora giorno dopo giorno con un solo pasto nello stomaco spaccandosi la schiena, se nonostante tutti gli stenti e le miserie tanti bambini continuano a sorridere, allora anch’io ho il dovere di andare avanti, di non arrendermi di non disperare. Mi da una forza enorme sentirmi in comunione con i nostri fratelli del Kenya: sentire la loro forza, il loro coraggio ( perché ci vuole tanto coraggio, e non incoscienza, ad andare avanti senza essere padroni non dico del proprio futuro, ma nemmeno del proprio presente),il loro silenzioso eppure caparbio amore per la vita mi è di perenne monito a non lasciarmi mai andare, a superare tutte le difficoltà, ad impegnarmi, in tutto quello che posso, per un mondo più giusto.

 

 

Infine, mi scuso per la povertà del mio scritto: sto approfittando di una pausa-influenza, e la fretta e la febbre stanno obnubilando persino la grammatica di questi appunti! Così, attendo eventuali commenti e domande, quale occasione per approfondire un discorso toccato a volo d’uccello!

Non posso concludere, però, senza ringraziarla per l’opportunità che mi ha dato: è passato poco più di un anno da questo strano viaggio, che ho raccontato a tante persone… Eppure prima d’ora non mi ero mai fermata a mettere per iscritto quest’esperienza che spesso faccio fatica a ricomporre con tutto il resto della mia vita!

Questo è solo un inizio, ma è già molto importante! Grazie di cuore!

 

Con affetto e gratitudine,

 

                                        Annalisa

 

 

Annalisa una giovane come tante che ha deciso di immergersi con entusiasmo nell'impegno affianco degli ultimi. E tu??? Dai un'occhiata alle nostre proposte... 

GIM e CAMPI ESTIVI

LE ULTIME ELEZIONI VINTE DA KIBAKI


PRESIDENZIALI: AL VIA CAMPAGNA ELETTORALE, PARTITO DI GOVERNO E OPPOSIZIONE UFFICIALIZZANO CANDIDATI 


Ha ufficialmente preso il via oggi in Kenya la campagna elettorale in vista delle presidenziali del prossimo 27 dicembre. Con la
presentazione delle candidature, da parte del partito di governo Kanu (Kenyan African National Union) e della Coalizione nazionale dell’Arcobaleno (National Rainbow coalition, Nca), la nuova formazione che raccoglie ben 13 schieramenti

dell'opposizione, si è aperta la corsa alla più alta carica dello Stato. I favoriti sono, Uhuru Kenyatta (figlio del padre fondatore della patria e primo presidente Yomo Kenyatta) per il Kanu e Mwai Kibaki (ex vicepresidente di Moi) per la Nca. Entrambi hanno organizzato oggi due grandi ed affollate manifestazioni che si sono svolte in diverse zone della capitale keniana, Nairobi. Di fatto la campagna elettorale nel Paese africano era iniziata già nelle scorse settimane, con la nascita della grande coalizione d'opposizione, a cui hanno aderito numerosi fuoriusciti del Kanu. Il presidente Danie arap Moi, in carica dal 1978, non può concorrere per un ennesimo mandato ed è stato accusato da molti suoi ex compagni di partito di aver imposto la candidatura di Kenyatta. Una scelta che ha causato una profondissima spaccatura interna al Kanu, dando vita ad un cartello che, per la prima volta, potrebbe avere i numeri per scalzare il Kanu, alla guida del Paese dal 1963, anno dell’indipendenza. 

 

 

 

Kenya: "Non sparate all'arcobaleno"

di Fabio Pipinato 

09/01/2003

Dal Kenya, Fabio Pipinato, già direttore di Unimondo, commenta le recenti elezioni nel Paese che oggi sembra vivere un momento di grande speranza

 

 

KENYA - Nuovo anno, nuovo governo, nuove speranze. La campagna elettorale iniziata un anno fa, non senza disordini, ha visto contrapposto il “figlio di papà” Kenyatta, delfino di Moi, contro Kibaki, politico di lunga esperienza e leader dell'opposizione. Kibaki ha stravinto, nonostante la campagna KANU possedesse risorse pubbliche e capacità d'acquisto voto di gran lunga superiori ai mezzi della coalizione Arcobaleno. Il 27 dicembre alcun osservatore ha avuto nulla da ridire: le elezioni si sono svolte in modo ineccepibile a differenza delle trascorse edizioni del '92 o '97 ove ha regnato prima il broglio e poi la pulizia etnica.

A molti va il merito di questa vittoria, inattesa nelle proporzioni. Innanzitutto all'educazione civica, acerrima nemica di Moi, che l'ha ostacolata in tutti modi. “Le organizzazioni non governative ONG si devono occupare di tutto tranne che di politica”, sentenziò all'inizio della campagna elettorale. S'infuriò quando vide arrivare dalle Indie i “formatori alla nonviolenza” perché sa benissimo che le dittature, come la sua, possono cadere con la nonviolenza. E così, infatti, è stato. La campagna elettorale sia iniziata con duri scontri etnici dentro le baraccopoli di Nairobi ove hanno perso la vita decine di persone. Ma la gente ha risposto civilmente, senza aumentare la tensione. Gli aggressori provenivano da altrove, trasportati dalla polizia, andata e ritorno.

Poi il merito va alle diverse Chiese. Radicate nel territorio, come nessun'altra Istituzione, hanno raggiunto il più sperduto pastore Samburu. Il presente è un periodo particolarmente felice per esse in quanto sono guidate da Pastori illuminati: ciò vale sia per la Chiesa Cattolica che per quella Protestante. Hanno promosso, con vero spirito ecumenico, campagne di educazione alla nonviolenza pre-elettorale in rete con la società civile. Il Nunzio Apostolico e il Presidente della Conferenza Episcopale hanno detto basta ad ogni violazione dei diritti umani, ammonendo, con un coraggio che è proprio dei Padri della nonviolenza, l'ex governo per i scontri etnici trascorsi. Gli stessi hanno inoltre chiesto verità per i molti martiri della giustizia tra i quali Father Kaiser, assassinato e non suicidato come vorrebbe il rapporto della FBI in un inciucio scandaloso con l'ex governo. Insomma, nonostante le minacce e le ritorsioni, i Vescovi hanno indicato la strada del voto democratico, della non corruzione e della non violenza.

Qualche funzionario onesto. Come coloro che hanno compilato il rapporto Akiwumi per le stragi compiute dal '91 al '98, tutte targate politicamente. Anche a loro va il merito della vittoria. Sono mosche bianche in mezzo al sudiciume di una mala - amministrazione corrotta ed inefficiente fino all'osso. Questi pochi hanno reso pubblici nomi eccellenti, tra i quali Ministri, come mandanti delle diverse pulizie etniche e lo hanno fatto a metà campagna elettorale in modo da condannare il vecchio e prevenire nuovo disordine. Ciò ha sfiduciato in pieno, prima dalla gente e poi dal parlamento, il governo di Moi.

I media. Un disegno di legge, contro il quale è insorta la Comunità Internazionale, li voleva spazzar via tutti, tranne i media di Stato, naturalmente, fedeli al regime. Ma così non è stato. Buone radio e giornali indipendenti hanno fatto il loro dovere, fino in fondo, raccontando semplicemente la verità come vuole il giornalismo di matrice inglese.

La gente tutta. Arcistufa di un sistema che opprime, che taglieggia, ha affrontato con la fantasia il potere. Alla vigilia di Natale, per esempio, in moltissimi hanno celebrato ammazzando un galletto, simbolo del KANU. Ed è stato lì, impiccato all'albero fuori della capanna, fino al giorno dopo sfidando la polizia ad asserire che fosse un'offesa al governo in carica. A Natale non si può mangiare un galletto?

Mentre nelle strade padroneggiava, come nelle tipiche campagne occidentali, il faccione del candidato Hururu con cartelloni enormi che ricoprivano il paese e che facevano ricordare a noi italiani altre campagne, il tam tam africano del passaparola, del volantino presente in tutti i chioschi tra cipolle ed arance, della fotocopia appiccicata sugli alberi da un lato ed il volere dei vecchi che si stendeva fino alle chiacchiere di mercato dall'altro non lasciava dubbi: stavolta si cambia.

Ora il Paese esulta: sta per iniziare una nuova era. Ciò che è incredibile è che sembra si stia facendo sul serio. Un esempio: Kibaki ha promesso scuola gratuita a tutti e ciò sta accadendo ridando speranza a milioni di ragazzi fuoriusciti dalle classi perché i genitori non sono stati in grado di pagare la retta. E lo fa nonostante le casse dello Stato siano state letteralmente svuotate dal suo precedente in un arricchimento così cospicuo che ha precedenti solo con Mobutu.

Tolleranza zero per la corruzione: il Presidente sembra determinato su questo e la gente è con lui e s'arrabbia di fronte alla polizia che continua con arresti arbitrari ed a chiedere il pizzo ad ogni autista di mezzo privato o pubblico. In molti tribunali, ove la giustizia è letteralmente in vendita al miglior offerente come all'asta, s'alza la voce della protesta degli oppressi nonostante la tortura diffusamente praticata e la violazione dei diritti fondamentali. Dalle piazze s'alza il grido Rainbow – Rainbow.

Ma la piramide della corruzione, dalla quale si nutre dal poliziotto fino al Direttore ministeriale, rimane intatta; non ancora scalfita dal volere popolare. E non basterà un solo anno per buttar giù un tale colosso e nemmeno il lustro che presiederà Kibaki. Purtroppo. Servirà almeno una generazione, che è pari al periodo con cui il vizio si è alimentato, per ridurre semplicemente il danno. Ma il vizio, e la tentazione sottostante, rimarranno e non sarà facile per il nuovo governo rinunciare a questo introito, nonostante i proclami. Ne sappiamo qualcosa noi del Bel Paese ove la corruzione e la concussione hanno afflitto la nostra democrazia e che, nonostante Tangentopoli, ha dato carta bianca come Primo Cittadino un pluri-condannato e confinato i giudici di Mani Pulite. Il nostro Paese è costretto a “convivere”, come ha affermato recentemente un Ministro della Repubblica Italiana, anziché tentar di sradicare la mafia. Non potrebbe essere altrimenti visto che l'attuale maggioranza è tale grazie ai voti siciliani.

Se accade ciò nei Paesi a democrazia matura, figuriamoci nelle democrazie in transizione come la Nigeria o il Kenya, per non parlare di coloro che da quarant'anni non vedono il seggio elettorale come la Repubblica Democratica del Congo. C'è un gap colossale tra le due democrazie. Durante tangentopoli si scoprirono buchi del 5% sui lavori pubblici che andavano ad alimentare le casse di partito o dei singoli burocrati; quaggiù si stanno scoprendo voragini dell'80% su tutti i lavori pubblici.

Sarà quindi difficile demolire questo arricchimento facile anche perché c'è chi vive e si alimenta quotidianamente solo di esso come i sicari, per esempio, che gestiscono il fiorente traffico dei matatu. Dopo le elezioni hanno sgozzato, a Nakuru, trenta cittadini rei di aver votato per la speranza e di essersi opposti al sistema delle tangenti.

Non resta che continuare, anziché cessare come è ormai stile delle ONG che sopravvivono più di fondi che di idee, la campagna che ha portato alla vittoria di fine anno rafforzando il network sovradescritto, unico modo per esistere e resistere.

La notte tra il 26 ed il 27 dicembre ha piovuto ed il mattino seguente, in cielo, era visibile l'arcobaleno. "Anche Dio vota con noi" dicevano in molti. Non si può sparare all'arcobaleno e non si può comprarlo. E' come la speranza e la voglia di lottare per un mondo nuovo.

 

Vuoi essere sempre e costantemente aggiornato sulle ultime notizie provenienti dal Kenia e da tutta l'Africa? 

www.nigrizia.it: la rivista dell'Africa dei missionari comboniani.

www.misna.org: l'agenzia stampa missionaria. 

   www.kenyanews.com: il sito kenyano sui diritti umani, politica e media dell’Africa

 

 

Il Kenya sui libri

 

Ecco una bibliografia che può rendere la molteplicità di immagini e di aspetti caratteristici del Kenya.

 

Ngugi wa Thiong’o, Spostare il centro del mondo, Meltemi, Roma 2000

 

                        Saggistica: L’Occidente si considera il centro del mondo; controlla il potere culturale, così come controlla quello politico ed economico. Spostare quel centro è indispensabile per liberare le culture del mondo dai recinti del nazionalismo, della classe, del sesso, della razza.

   

Margaret A. Ogola, Il fiume e la sorgente, San Paolo, Milano 1997

 

                     Romanzo: narrazione dell’avvincente sgranarsi di quattro generazioni di donne appartenenti a una stessa famiglia keniana. Margaret riepiloga il cammino di civiltà che il Kenya ha percorso nell’arco di un secolo, dai tempi della vita tribale sugli altipiani e della colonizzazione britannica fino all’indipendenza nazionale e al radicamento nella nuova realtà della metropoli moderna.

 

Achille Da Ros, Noi, i Turkana, EMI, Bologna 1995

 

                        Missione/Saggio: Contributo etnologico di un missionario che da anni svolge il suo lavoro nel Kenya settentrionale fra la popolazione nomade turkana.

 

Giovanni Mastrangelo, African Soap, Marsilio, Venezia 2001

 

                         Romanzo: Storia di un africano bianco, che da artista vive le contraddizioni di una città come Nairobi. E’ un romanzo che da spazio alle tante voci dell’Africa che si sta trasformando, e mette in risalto problemi sociali e politici di tale vastità da apparire ormai irrisolvibili. Una visione del Kenya fuori dagli schemi.

 

Corinne Hofmann, La masai bianca. Storia vera di una passione africana, BUR, Milano 2001

 

                Romanzo: Storia d’amore e incontro tra due culture che è difficile immaginare più diverse, tra due modi lontani di vedere il mondo, la vita quotidiana, il rapporto tra uomo e donna.

 

Giuseppe Maggioni, Starò sempre con voi. Tra i Tharaka del Kenya, EMI, Bologna 2000

 

                        Missione: Memorie di una gioiosa e fedele testimonianza di impegno e fervore missionario. Quando l’amore e la volontà di dedicarsi agli altri sono più forti delle difficoltà incontrate nel dar vita alla nuova missione.

Torna al principio

Torna alla Home Page