Nairobi, Kenya: una Tragedia Urbana

 Preparato da:Kituo cha Sheria

Si ringrazia Elisabetta Dussin per la tarduzione. 

 

                                                                                                                                                                              

  1. Introduzione

 

A Nairobi, capitale del Kenya, circa due milioni di persone (il 55% della popolazione complessiva della capitale) abitano in più di 100 baraccopoli. Sono, tuttavia, stipate nell’1,5% della superficie totale, che non è di loro proprietà, e   vivono, inoltre, nella costante paura degli sfratti forzosi e delle demolizioni delle loro baracche.

 

La causa di questa crisi è una politica di governo che rifiuta di riconoscere gli insediamenti informali urbani come zone abitate. Il governo considera, infatti, la terra pubblica occupata dai poveri come una terra libera da destinarsi, in qualsiasi momento, alle classi dirigenti politiche o a privati per lo sviluppo del commercio. Nell’ultimo decennio, il Kenya ha assistito alla rapida privatizzazione delle terre pubbliche, cedute, come ricompensa, in cambio della fedeltà politica. Gli occupanti di queste terre sono stati letteralmente cacciati. Di conseguenza, numerosi keniani vivono nel loro paese in condizione di rifugiati, privati della terra, della casa e persino dei più basilari diritti umani e della dignità.

 

  1. La Situazione Storica e Attuale negli Insediamenti Informali

 

Dal punto di vista storico, la comunità abusiva è emersa in Kenya con l’avvento del colonialismo. All’inizio del 1800, il governo coloniale britannico dichiarò che le vaste distese di terra della colonia, comprese le terre occupate dagli Africani nativi, erano terre della Corona, in altre parole proprietà di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra. Il governo britannico creò delle “riserve” in cui gli Africani nativi furono costretti a vivere. In questo modo, i colonizzatori bianchi poterono impadronirsi dei terreni migliori e coltivarli. Nella seconda metà del 1800, i colonizzatori europei continuarono ad espropriare sempre più terra e ad allontanare la maggior parte dei keniani dalle loro case. Quest’ingiustizia fu la causa della rivolta dei Mau Mau e della lotta per l’indipendenza.

 

Il nuovo governo post-coloniale trascurò la questione della terra. Così, milioni di keniani (che erano stati rinchiusi nelle riserve dopo che i colonizzatori si erano impossessati delle loro terre) diventarono degli abusivi senza terra che, a causa della povertà delle zone rurali e dell’enorme crescita della popolazione, migrarono verso la città in cerca d’occupazione. Lo stato, in Kenya, non ha mai fornito alloggi per i poveri. Perciò, nel corso degli anni i poveri hanno costruito le loro abitazioni (baracche di una stanza) sui terreni liberi statali con materiali quali plastica, polietilene, cartone, fango e canne di bambù.

 

Gli insediamenti informali di Nairobi, quanto quelli di altre città keniane come Mombasa e Nakuru, sono seriamente sovraffollati, insicuri e antigienici.In media, cinque o sei persone vivono in una baracca che misura dai tre ai sei metri quadrati. Le baracche sono talmente ammassate tra loro che la densità  degli abitanti è di circa 250 unità per ettaro, contro le 25 unità del ceto medio e le 10 unità dei ceti abbienti. Le strade di questi quartieri sono dei vicoli stretti e sporchi, spesso allagati e impraticabili durante le stagioni delle piogge. Le infrastrutture urbane sono assenti: mancano l’elettricità e l’acqua potabile. L’acqua si deve comprare da dei venditori rincarata 10 volte rispetto al prezzo delle autorità locali. I servizi igienici sono inaccessibili a più del 95% della popolazione che deve pagare per usare uno spazio aperto o una latrina (ce n’è una ogni 50 abitanti). Da qualche tempo non si effettua più la raccolta dei rifiuti che si accumulano, così, in enormi masse antigieniche che ostruiscono anche i canali di scolo. L’assenza dei servizi per lo smaltimento dei rifiuti ha provocato seri rischi per l’ambiente e per la salute, inclusa una maggiore incidenza di malattie come tifo, colera e tubercolosi.

 

La corruzione è dilagante nel settore informale. Quasi tutte le persone che vivono nelle baraccopoli sono costrette a pagare degli affitti esorbitanti ai padroni delle baracche e ai ricchi proprietari terrieri. C’è una sorta di mafia gestita dai capi locali e dai loro aiutanti che costringono i poveri a pagare dei compensi illeciti solo per parlare con loro. Per riparare, invece, un tetto da cui filtra l’acqua, i baraccati devono pagare circa 3.000 scellini keniani (40 dollari).

 

I capi vietano ai baraccati di incontrarsi e aggregarsi, imponendo il loro controllo e la loro intimidazione tramite arresti e violenze fisiche. I baraccati, di conseguenza, non riescono ad organizzarsi per opporsi a questa repressione e per sviluppare dei programmi di miglioramento degli alloggi e delle condizioni di vita. Questo sistema di estorsione genera un altissimo livello di insicurezza e di violenza e indebolisce le strutture sociali e comunitarie.

 

3. L’Accaparramento delle Terre e gli Sfratti Forzosi dello Stato sono Fenomeni molto Diffusi

 

Negli ultimi dieci anni, le terre pubbliche sono diventate una merce molto pregiata, distribuita dai partiti politici in cambio della fedeltà politica. Il governo, abusando del suo immenso potere, ha dato ai suoi sostenitori vaste porzioni delle terre pubbliche, occupate da generazioni dai poveri che sono stati sfrattati, contro la loro volontà, per fare spazio allo “sviluppo”. La maggior parte degli insediamenti informali si trova proprio su queste terre statali vicine al centro della città. Sono, quindi, terre molto costose e potenzialmente molto redditizie.

 

Soweto è un esempio di un sobborgo di Nairobi che è stato decimato. A Soweto vivevano più di 7.000 persone, alcune delle quali trasferitesi lì negli anni ’60. Nell’ottobre 1996, un potente uomo d’affari di Nairobi, Stanley Munga Githunguri, ha demolito e sfrattato tutto il quartiere con l’appoggio della polizia. Una notte, un gruppo di 200 uomini armati di randelli ha assalito il quartiere e,  sotto la vigilanza della polizia, ha preso a sassate i residenti, saccheggiato i negozi, incendiato le case e spianato ogni struttura. Tre residenti hanno perso la vita nel tentativo di salvare le loro case.

 

Nell’ambito delle dispute riguardanti l’alloggio e la terra, la politica ha  purtroppo un ruolo molto più importante della legge. Il processo giudiziario dovrebbe difendere i diritti dei cittadini. In Kenya, invece, il sistema legale è totalmente corrotto. Le corti, infatti, chiudono un occhio di fronte agli sfratti forzosi e illegali degli abitanti dei quartieri abusivi ed autorizzano anche il rapido accaparramento dei terreni (un fatto caratteristico del Kenya odierno). In sostanza, le corti archiviano tutte le cause riguardanti gli sfratti o la requisizione dei terreni eseguiti da parte del governo a scapito dei poveri.

 

Dall’inizio degli anni ’90, gli abitanti delle baraccopoli di Nairobi e Mombasa hanno fondato due associazioni: Muungano wa Wanavijiji e Ilishe Trust. Il loro obiettivo è di informare e unire tutti gli abitanti dei quartieri poveri, affinché essi stessi possano opporsi agli sfratti forzosi e alla requisizione delle terre. Queste due associazioni lottano, pertanto, per la riforma della legge sulla terra, divulgando tutte le informazioni possibili sul diritto all’alloggio e alla terra. Hanno anche organizzato dei programmi di risparmio per unire più saldamente i propri membri  e rafforzare la loro posizione di comando.

 

Nell’anno del Giubileo, i capi religiosi del mondo hanno sollecitato la restituzione di tutte le terre sottratte ingiustamente. Il 1° luglio 2000, l’associazione Muungano ha lanciato una sua campagna a favore dei diritti sulle terre cittadine, per far conoscere la situazione dei baraccati che non hanno un posto dove vivere dignitosamente. Il Kenya è un paese che vanta una delle maggiori disparità delle ricchezze nel mondo. L’associazione Muungano protesta proprio contro l’immoralità della situazione a Nairobi, in altre parole contro il fatto che il 55% della popolazione vive nell’1,5% della terra e che nemmeno quell’1,5% le appartiene. Nel loro manifesto, le due associazioni sopraccitate chiedono anche:

 

1-      Una moratoria relativa alle demolizioni e agli sfratti effettuati con il pieno appoggio della legge.

2-      Il riconoscimento ufficiale del diritto alle terre dove vivono i poveri della città.

3-      Il diritto ad un alloggio sicuro e permanente per gli abitanti degli insediamenti informali.

 

Oltre agli abitanti dei quartieri poveri, l’associazione Muungano vuole unire anche tutti i settori della società per sostenere la riforma della legge sulla terra. L’associazione Muungano ha ricevuto l’appoggio pubblico dei capi dei maggiori movimenti religiosi, delle associazioni professionali e della società civile keniana. Muungano ha un ruolo molto importante nell’attuale periodo storico del Kenya perché il governo, sollecitato dai cittadini, ha accettato di riesaminare la legge. Muungano ritiene che il dialogo con lo stato sia l’unico mezzo che possa permettere a tutti i keniani di beneficiare della terra  del loro paese.

Preparato da:

Kituo cha Sheria

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