Sole, sabbia e... tanto affetto
lettera di Fr. Simone Bauce dalla Colombia
Bogotá, 4
agosto 2007
Ciao cara amica, caro amico
mi ritrovo ancora una volta a scriverti da Bogotá, dopo l’ultima esperienza
nel nord di questa bellissima terra colombiana.
Con fratel Policarpo (originario del Togo), compagno di più di due anni
nella comunità del CIF (Centro Internazionale per Fratelli), sono stato nella
Guajira (zona al nord est della Colombia). Come sempre ho approfittato delle
vacanze accademiche, giugno e buona parte di luglio per uscire dalla metropoli,
alla ricerca – incontro della gente.
L’idea iniziale era di avvicinarci a una cultura indios, nelle montagne
della Sierra Nevada de Santa Marta. Purtroppo per ragioni indipendenti dalla
nostra volontà, non abbiamo potuto entrare in contatto con loro.
Però abbiamo ricevuto un’altra grazia di Dio: il poter collaborare con la
pastorale sociale della diocesi di Riohacha.
I primi 15 giorni abbiamo cercato di animare la comunità indios Wayuu di
Cangrejito, un quartiere marginale della città. Le situazioni igienico –
sanitarie sono precarie, soprattutto per la mancanza di acqua e l’impossibilità
di coltivare (è una zona quasi completamente desertica). La gente vive della
pesca (sono a un km dall’ Oceano Atlantico), quando riescono a pescare qualcosa
o di piccoli lavoretti che svolgono nel centro città.
Con Policarpo tutti i giorni percorrevamo il tragitto (camminando sempre
lungo la spiaggia) che separava il collegio delle suore terziarie cappuccine
(che ci ospitavano) dalla comunità indios. Vi immaginerete una bella
passeggiata....beh, non sempre era tanto piacevole, per due ragioni: il caldo
che superava i 40 gradi e la sabbia. Il vento a volte era tanto forte che,
sollevando la sabbia, ci obbligava a fermarci per le migliaia di granellini che
ci “pungevano” tutto il corpo.
Lo sforzo, comunque valeva sempre la pena. Il mio compagno si occupava
della formzione di alcuni genitori in preparazione al battesimo di una ventina
di bambini. Certo, aveva spesso bisogno dell’interprete, per tradurre dallo
spagnolo alla loro lingua; io invece non avevo bisogno di sostegno perché mi
mettevo nel linguaggio universale del calcio. Tutte le mattine facevamo un po’
di allenamento con una decina di bambini e poi una partitella (sono tornato a
rispolverare una passione della mia gioventù con molto piacere).
Non tutti i giorni trovavamo la gente riunita per l’incontro; a volte
dovevamo passare di casa in casa avvisando del nostro arrivo (i più fedeli
erano i bambini, che cercavano una possibilità per giocare). Ci avevano
avvertiti che non era una situazione facile, perché la gente non partecipava
molto nelle attività. Forse è proprio per questo che ci stimolò e abbiamo
scelto quest’esperienza: non è che i comboniani siano i “migliori”, ma crediamo
che dobbiamo rispondere a certe situazioni limite, dove altri non vogliono
andare.
Ed è con nostra grande sorpresa che il giorno del battesimo, al nostro
arrivo, era già tutto organizzato: avevano costruito una tettoia più grande per
poter ripararsi dal sole durante la messa, addobbato con palloncini, dipinto i
pali che sostenevano la struttura.....insomma, ci hanno lasciato senza parole.
Quale comunità poco ricettiva!! Se si sta
in un luogo con amore, la gente risponde, sempre. Ringraziamo il Signore per la
possibilità di un tempo, anche se breve, di condivisione e cammino verso il
Regno con gli Wayuu.
Gli ultimi 15 giorni dell’esperienza, un altro grande regalo: la
possibilità dell’ascolto di un popolo che soffre, i “desplazados” (sfollati). È
un fenomeno purtroppo ancora molto attuale in questo paese: decine, centinaia,
migliaia di famiglie costrette ad abbandonare la terra dove vivono a causa
della violenza. Noi li abbiamo visitati, casa per casa, in una delle tante
cittadine situade vicino alle zone di maggiore pressione armata.
Abbiamo potuto renderci conto della semplicità e dolcezza della gente,
nonostante la disgrazia del dolore, dell’abbandono e dell’indifferenza del
resto del paese. Questa realtà ormai da troppo tempo grida giustizia, una
giustizia autentica che nasce dalla ricerca della verità e la possibilità di
una nuova vita, degna di essere vissuta, nella speranza e nella pace. La
maggior parte sono contadini che, privati della terra, non sanno che cosa fare.
La terra per seminare, coltivare e poter dare qualcosa da mangiare ai loro
figli.
È triste, fa male ascoltare Maria, senza marito, perché sequestrato, con 5
figli, uno di loro handicappato, senza lavoro, con l’affitto da pagare e una
paura immensa tutte le volte che è costrette a lasciare i bambini soli in casa,
cercandosi qualche lavoretto. Ascoltare la storia di Anna, donna analfabeta con
3 bimbi, il marito sempre lontano dalla casa cercando un po’ di soldi per la
sua famiglia, rinchiusa nella casa, cucinando per i figli, la madre, il padre e
i nipotini. Ascoltare il dramma di Olga, giovane mamma di 5 bambini, che
recentemente ha dovuto scappare dalla sua casa perchè una sera, rientrando ha
trovato il marito steso per terra, in un bagno di sangue. Che fare?
Abbiamo cercato di ascoltare, con umiltà, nel silenzio della nostra impotenza....eppure
molti, solamente per questo, ci hanno ringraziato di cuore: chi li ascolta? Chi
si interessa di questi poveri figli di nessuno, frutto di una guerra civile
fratricida, dove tutti perdono ?!? Per il governo sono un problema sociale, per
alcune ONG un affare da sfruttare, per molti colombiani della città un
estorbo,...
Abbiamo voluto offrire un sorriso, usare la parola “speranza”, proporre
loro un futuro differente, senza più sangue, né odio o rancore, senza
violenza...senza dubbi li portiamo tutti nel nostro cuore, li confidiamo al
Signore nelle nostre preghiere e cerchiamo di renderli visibili, raccontando le
loro storie, facendoli rivivere nel nostro ricordo.
Per ultimo non possiamo dimenticare tutto l’appoggio, la stima e l’affetto
che ci ha circondati in tutto il periodo vissuto nella Guajira; il grandissimo calore
umano respirato, avvertito in ogni momento, lo portiamo nel cuore; i volti, le
storie, le emozioni condivise si sono impresse indelebilmente nel nostro
vagabondare missionario in terra colombiana.
Un abbraccio a te, sperando di averti lasciato qualche stralcio di questa
umanità che sopravvive, soffre e lotta, fortemente aggrappata alla vita, perché
bisognosa e fiduciosa di una vita in
pienezza per tutti!!
Fratel Simone