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Il
volto imprevisto della missione
Lesperienza di padre
Giacomo Palagi in Mozambico
(articolo di Simone e Luisa)
Raccontare il proprio vissuto può essere utile per
chi ascolta e ne trae spunti di riflessione, ma anche
per se stessi, poiché aiuta a riconnettere un
significato a ciascuna esperienza. Così padre Giacomo,
esordiendo nella sua testimonianza, ci suggeriva
implicitamente di rileggere la nostra storia, nel modo
in cui lui stesso si accingeva a fare.
Trentanni passati in Mozambico non sono
pochi, soprattutto se gli eventi costringono ad
abbandonare ricchezze e convinzioni portate da casa, e a
reinventare con la gente il significato della parola
missione:
non più lessere chiamati per fare qualcosa, ma a
stare con qualcuno.
Il popolo del Mozambico diventa per Giacomo Parola
incarnata a cui dare obbedienza, e per
questo, nonostante le difficoltà, egli decide di
mettersi in suo ascolto e condividere con esso ogni
condizione.
Giunto negli anni dellindipendenza dal Portogallo
(1975), si trova subito ostacolato, e in qualche modo
tradito, dal regime marxista al governo che intende la
presenza dei comboniani nel paese come il protrarsi di
un colonialismo religioso e culturale.
Il servizio educativo offerto dai missionari viene, in
un primo momento, ridimensionato e più tardi ostacolato
in vari modi.
E proprio in seguito ad uno screzio tra listituto dove
i comboniani insegnano ed il governo, culminato con un
giudizio pubblico, ad imporre a Giacomo la scelta tra
il salvaguardare il proprio onore e quindi dare le
dimissioni, oppure accettare linvadenza del potere e
mantenere un lavoro fin troppo scomodo.
In quel mentre, nonostante la tentazione di mollare,
Giacomo rinnova la sua obbedienza alla gente e resta
al suo posto, vivendo un cambio di prospettiva che
lo segnerà nel profondo: si lascia prendere per mano da
coloro che in un primo tempo pensava di aiutare.
Uomini e donne del Mozambico si prodigano perché lui
abbia una casa nel villaggio, scenda dalla
collina (dove la scuola simpone con la sua torretta in
stile coloniale), e condivida in tutto e per tutto la
vita del popolo. Lo aiutano a innalzare i muri
delledificio; dividono con lui il cibo; pregano sulla
stessa Parola.
Con questo stile, negli anni successivi, sorgeranno
molte piccole comunità in cui i missionari, ormai
spogliati di ogni privilegio, si troveranno poveri
tra i poveri a condividere lunica cosa che
possiedono: il Vangelo.
Vangelo, che negli anni difficili del regime e della
guerra civile, viene a dire la libertà che Dio ha in
mente per luomo: non in previsione di un futuro
lontano, ma qui ed ora. Infatti, allinterno delle
capanne, insieme agli altri fratelli, ogni persona si
scopre libera di essere e di raccontarsi.
Così, per Giacomo, non esiste più un popolo
evangelizzato, ma singoli nomi e volti concreti con cui
egli ha condiviso: Antonio, Ana, Domingos...
Bisogna rifuggire dal rischio di intendere la
missione come una cosa per eroi: ognuno, nel proprio
piccolo, può muoversi allincontro con laltro. Il punto
di partenza è lascolto per capire ciò di cui laltro ha
bisogno, cogliere i suoi aneliti più profondi ed
autentici.
Ciò che il popolo del Mozambico chiedeva, nei
ventisei lunghi anni di guerra civile, era la pace: e
quindi pace doveva essere la risposta dei missionari.
Una pace che veniva da Dio e su cui le comunità
leggevano, discutevano, pregavano in previsione del
momento in cui le armi avrebbero cessato di sparare.
Questo lavoro sotterraneo ha dato i suoi frutti alla
fine della guerra, quando la gente ha cominciato a
vivere una speranza che andava al di là delle fazioni
politiche e delle ferite sanguinanti.
Di solito, durante i conflitti, ci si dimentica che
cosè la pace, assorbiti come si è dalle vendette; dalle
rappresaglie contro gli avversari; dalla propria
salvaguardia a scapito, magari, degli antichi vicini di
casa. Dio invece insegna come il perdono e la
riconciliazione possano riprogettare un futuro che
sembra già segnato irrimediabilmente.
Giacomo si lascia guidare dal suo popolo anche
in esilio, quando la guerriglia costringe lintero
villaggio alla fuga in Malawi. Nella marcia di cinquanta
chilometri che conduce al confine, qualcuno prega sui
salmi a ricordare la Pasqua del popolo dIsraele; in
molti sperano in una momentanea terra promessa. Nei
campi profughi Giacomo rappresenta la Chiesa che,
uscendo dalle mura rassicuranti delle cattedrali, si fa
presente tra i problemi del mondo.
E lo stare con significa anche questo:
condividere il disagio, la fame, il sentirsi in balia
del caso e la paura che attanaglia lo stomaco.
Al ritorno in Mozambico per anni la luce accesa
nella casa di Giacomo è un riferimento sicuro per
chi passa la notte nella foresta, cercando di sfuggire
alle razzie dei guerriglieri.
Eppure anche in quella casa la paura entra, insieme agli
uomini armati fino ai denti che scassinano e distruggono
per un po di cibo e qualche medicinale. E la morte che
si presenta, giorno e notte, agli occhi di Giacomo e che
colpisce, tra i civili, anche i missionari.
Per il cristiano, tuttavia, quello della morte non
può essere solo un sacrificio: è anche un grande dono.
E il dono più grande mescolare il proprio sangue a
quello di un altro popolo, in comunione totale: un
atto supremo damore in cui la stessa castità del
missionario trova un senso compiuto.
Questo che a noi sembra assurdo, radicale,
irriducibile a schemi razionali è il semplice
comandamento che Gesù ci ha lasciato: di amarci gli uni
gli altri come lui ci ha amati. Donando la vita, senza
risparmio.
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Lc 10:
il Vangelo missionario, riscritto dai giovani della convivenza
Questi testi sono
stati scritti in due laboratori di gruppo: abbiamo letto il
Vangelo di Lc 10 e l'abbiamo confrontato con il messaggio di p.
Giacomo (cf. sopra). Abbiamo quindi provato a riscrivere il
Vangelo come se Gesù dovesse annunciarcelo oggi, con le sfide e
la realtà del nostro tempo.
Dopo
che padre Giacomo aveva raccontato della sua esperienza in
Mozambico, il Signore designò altri settanta discepoli, e
disse loro: Andate a due a due, perché possiate condividere
questa esperienza, e andate nei luoghi dove io stesso sto per
andare, perché io sono con voi e non vi abbandono. State con
chi vi vive accanto nel quotidiano, nella vostra famiglia, con
i bambini e con gli amici, con gli esclusi; ma anche con i
giovani, gli individualisti e con chi non conosce
condivisione.
E
diceva loro: Andate a mani vuote, siate pronti ad ascoltare e
umili nel ricevere. Fermatevi con chi vi fermerà, non abbiate
fretta nel percorrere il vostro cammino. Ogni contesto in cui
vi troverete, vivetelo radicalmente, con la fedeltà e la
pazienza di chi semina senza preoccuparsi del raccolto.
Donatevi per costruire il Regno di Dio, qui e ora.
Dopo queste cose il
Signore designò altri discepoli e li mandò uniti in fraternità
come portatori di pace e giustizia nella vita di tutti i giorni
ma con lattenzione alle realtà lontane.
Egli diceva loro: Ricordate che non è importante il dove ma il
come. Non ci viene chiesto di fare più di quanto possiamo;
dobbiamo trovare la capacità di saper cogliere nella ricchezza
di ogni incontro.
La messe è grande ma gli operai sono pochi e male organizzati;
pregate quindi il Signore della messe perché spinga degli operai
nella sua messe.
Andate; ecco io vi mando a questo Sistema del Male, il quale è
molto organizzato, bello ed attraente. Sappiatevi condividere
senza limiti: è questa lessenza del martirio.
Imparate a leggere le situazioni senza essere legati alle cose e
ai vostri preconcetti; non portate né borsa, né sacca, né
sandali, né armi.
Perseguite lobiettivo con coerenza e senza distrazioni.
In qualunque casa entriate, dite prima: Pace a questa casa!
Se vi è lì un figlio di pace, la vostra pace riposerà su di lui;
se no, ritornerà a voi.
Rimanete in quella stessa casa, mangiando e bevendo di quello
che hanno, perché loperaio è degno del suo salario. Non passate
di casa in casa.
In qualunque città entriate, se vi ricevono, mangiate ciò che vi
sarà messo davanti, guarite e i malati che ci saranno e dite
loro: Il Regno di Dio si è avvicinato a voi.
Se non cè la possibilità di trasmettere il messaggio attendete
come sentinelle nella notte con fiducia e pazienza rimanendo
pronti ad annunciare il giorno.
Dio non ci dice di scappare: se anche in qualche luogo non vi
accolgono, stateci dentro e dite: Sappiate che il Regno di Dio
si è avvicinato a voi.
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Incontro con Claudina,
rifugiata politica dal Congo
(articolo di Elisa e Giulia)
Alla convivenza di fine anno del GIM
abbiamo conosciuto Claudina; la sua storia ci ha davvero
colpito molto, quindi desideriamo farla conoscere a chi non lha
incontrata.
Claudina nasce 32 anni fa a Bunja, città del Congo situata nella
zona in cui si estraggono le maggiori quantità di oro in Africa:
lIturi. Là si distinguono 2 etnie: gli Hema e i Lendu.
Gli Hema, la cui bellezza li fa sentire superiori e orgogliosi,
sono prevalentemente pastori e proprietari terrieri; sono quindi
i più ricchi e comandano sui Lendu, alcuni dei quali sono
sfruttati come degli schiavi. I Lendu, quindi, non sono
considerati alla pari e vivono sottomessi agli Hema,
nonostante siano numericamente molti di più.
Cè sempre stata tensione tra le due etnie, ma i loro rapporti
si sono inaspriti tra il 2001-2002, finché nel 2003
si è raggiunto lapice della violenza e i Lendu, stanchi
della continua oppressione, si sono organizzati ed hanno
iniziato la persecuzione ed il massacro degli Hema.
Claudina, di etnia Hema, dice: Per voi è impossibile
distinguere un Hema da un Lendu, ma tra di noi sappiamo
distinguerci; il nostro orgoglio è stata la causa principale che
ha scatenato lodio e il rancore tra noi.
Ancora molto giovane Claudina si sposa con un uomo Lendu,
matrimonio non facile da accettare per le persone delle loro
rispettive etnie.
Dal loro amore nascono 3 bambini, che presto rimangono orfani
per la morte del loro papà in un incidente dauto.
Claudina si trova a portare avanti da sola la sua famiglia,
lavorando come infermiera.
Alla fatica quotidiana si aggiunge la paura di essere presi dai
guerriglieri che vanno a caccia di Hema, che uccidono anche i
bimbi nati da matrimoni misti.
La sera del 5 maggio 2003, dopo una
giornata di lavoro, Claudina entra in casa e viene presa dalle
milizie che laspettavano; viene spogliata e portata in una zona
fuori dalla città. Qui sono state portate altre donne,
violentate e maltrattate, stipate in una capanna, consapevoli
della fine che le attende.
Claudina pensa Eccomi Signore, sono pronta, ci dice, ma
sente una voce che ripetutamente chiama il suo nome. Questa
voce è di un uomo che si ricorda di lei perché aveva curato sua
moglie, e la esorta a scappare con lui. Dopo un primo momento
dincertezza, Claudina scappa, ed arriva a casa di questuomo;
le vengono dati dei vestiti ma non ospitalità, a causa del
rischio che la coppia Lendu avrebbe corso se fosse stata
scoperta a proteggere una donna Hema.
Claudina viene accompagnata fino al confine con lUganda,
dove si unisce agli altri rifugiati e rimane per 4 mesi nella
foresta.
Un giorno viene riconosciuta da un Medico Senza Frontiere che
aveva lavorato nel suo stesso ospedale; convinto a non lasciarla
da sola si mobilita per farle avere tutte le carte per
scappare in Italia, e la mette in contatto coi Padri
Missionari Bianchi.
Il pensiero di Claudina non era tanto rivolto a se stessa e al
proprio futuro quanto ai suoi figli, di cui non aveva alcuna
notizia e che, ovviamente, non voleva abbandonare.
Incoraggiata a ritenersi fortunata per essersi salvata, trova la
forza di partire lo stesso, con la promessa da parte di uno dei
padri di aiutarla a ritrovare i suoi bambini. Rimane per più di
un anno in un centro di accoglienza a Roma, dove viene aiutata a
parlare della sua storia e, in questo modo, a cercare di
voltare pagina.
Durante questo periodo Claudina riceve le visite di un sacerdote
di Verona, che spesso porta con sé Silvio, che col tempo impara
in che modo stare vicino ad una donna così fragile e con un
passato così doloroso.
Conoscendola, Silvio se ne innamora e le chiede di diventare la
sua fidanzata e di vivere insieme a Verona, proposta che lei
accetta dopo qualche momento dincertezza iniziale.
Ora Silvio e Claudina vivono insieme;
insieme hanno dovuto superare pregiudizi da parte di amici,
familiari e concittadini. Questo è stato possibile soprattutto
perché Claudina ha dimostrato la sua volontà di impegnarsi: ha
studiato e si è laureata in infermieristica, lavorando anche 14
ore al giorno per tre mesi.
È stata lei per prima a voler ricostruire la sua vita, con le
sue stesse mani, con una persona al suo fianco che la ama
nonostante il suo passato molto pesante.
Oggi Silvio e Claudina stanno aspettando larrivo in Italia
di Bruno, il più piccolo dei suoi figli, lunico di cui
finora è riuscita ad avere notizie. Si tratta di unattesa
sofferta, che dura da circa un anno: il bambino è bloccato dalle
burocrazie nazionali, che aggiungono queste lentezze alla
sofferenza di una donna già provata da diverse violenze.
E stato sorprendente vedere Claudina raccontare la sua storia,
così dolorosa e apparentemente insormontabile per qualsiasi
essere umano, col sorriso sulle labbra.
Quando glielabbiamo fatto notare ci ha parlato di quanto sia
importante per gli africani vivere con il cuore leggero e con
il sorriso. Infatti ci ha detto Malgrado tutto questo non mi
sono buttata giù, perché ho continuato a vivere.Parlando
del suo attuale rapporto con lAfrica, alla domanda Tu ami
ancora lAfrica? ci ha risposto : Io amo lAfrica nella sua
globalità, ma non voglio più tornare in Congo.
Il suo incontro ci ha trasmesso
innanzitutto tanta forza, che ti viene data dallincontro con
persone che ti amano sinceramente e totalmente, come hanno fatto
Silvio e tutte le persone che si sono prese a cuore la sua
situazione.
Unaltra cosa che ci ha colpito e che emerge dalla sua storia è
la ciclicità del bene: è stato il bene che aveva
fatto in modo gratuito e disinteressato nella sua vita e
attraverso il suo lavoro ad averla salvata!
Claudina ci ha anche detto: Perdonare è la cosa più pesante
che esista. Ho cercato di perdonare le persone che mi hanno
fatto del male, ed è stato molto difficile. Però è questo che mi
ha aiutata a superare il dolore e a continuare a vivere.
E molto difficile racchiudere in un
articolo tutte le emozioni e le domande che lincontro con
Claudina e Silvio ha suscitato in noi; speriamo di essere
riuscite a trasmettervi un po della loro gioia di vivere e
dellimportanza dellamore vero per superare le difficoltà più
grandi.
Speriamo anche di avervi lasciato con qualche nuovo
interrogativo e con la voglia di conoscere e di approfondire
sempre gli incontri che facciamo, che possono farci rendere
conto di quanto, a volte, i problemi per cui ci disperiamo
sono o futili, o superabili aprendosi allincontro con gli altri.
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DALLAFRICA NERA ALLAMERICA NERA
Padre Fideli viene dall'Africa nera.
L'ha rappresentata in mezzo a noi, ascoltandoci, sedendosi in
cerchio con noi di fronte alla cartina del suo continente e ad
un batik rappresentante l'Africa in piedi, attiva e presente
negli occhi della sua gente. Ma quella mattina è la prima volta
che si siede in cerchio da relatore. E, per introdursi, canta
accompagnandosi con il ritmo dello djembé:
Sou de lá d'Africa
se eu não sou de lá
os meus pais são de lá d'Africa ...
(sono di là dall'Africa, se non sono di là i miei genitori sono
di là d'Africa...)
Quella mattina Padre Fideli ci porta però in un altro luogo, al
di là dell'oceano. Un luogo che può essere definito un pezzo
d'Africa in America, dove su una popolazione di 186 milioni
circa di persone, 85 milioni sono di neri. Si tratta dello stato
di Bahia, in Brasile, e, in particolare, della sua capitale,
Salvador. Padre Fideli ci ha passato 10 anni, e ne parla con la
luce negli occhi.
Parla con semplicità della sua conversione da ragazzo
quindicenne del Togo e di come aveva capito di voler seguire
Comboni e ricambiare la sua passione per l'Africa, dedicandosi
alla missione in America Latina.
A 28 anni comincia così la sua avventura missionaria a Salvador,
dove si dedica alla Pastorale Afro.
La questione africana a Salvador ha una storia ben nota, lunga
e poco felice. Dal 1540 circa al 1888 (anno dell'abolizione
della schiavitù), migliaia di imbarcazioni hanno trasportato non
meno di un milione (ma alcuni studiosi sostengono che siano
stati molti di più) di schiavi neri verso il Nuovo Mondo e solo
dal 1995 è stato possibile denunciare ufficialmente episodi di
razzismo . Attualmente, poi, sono previste le cosiddette quote
nere, ovvero una discriminazione in positivo per cui alcuni
posti, negli ambiti, per esempio, dell'università e della
politica, devono essere riservati alla popolazione nera.
L'integrazione tra la popolazione nera, india, bianca e
meticcia, non è comunque semplice: qui si aprirebbe un lungo
discorso, che riguarda linstabile equilibrio su cui poggia la
società brasiliana. Poveri poveri e ricchi ricchi convivono a
pochi metri di distanza, sono magari dirimpettai, ma
appartengono a due mondi diversi e, nella quasi totalità, i
bianchi sono anche i ricchi. Il grattacielo sorge davanti la
favela. Il club di tennis del ricco è racchiuso da recinti e
guardie armate tuttintorno. La scuola pubblica esiste, ma alla
fine delle elementari è già tanto se i bambini sanno leggere,
mentre la scuola privata è quella di qualità. Ed ecco che
lesclusione e la divisione sociale continuano
Una storia difficile, quindi, quella dei neri in Brasile, ma che
ha dato luce ad una popolazione di origine africana che si è
costruita nel tempo unidentità propria basata sulle culture di
provenienza rivisitate nel Nuovo Mondo, come la religione del candomblé,
dove compaiono divinità derivanti da diverse aree dell'Africa.
Quale allora il senso di una Pastorale Afro? Padre Fideli ce
la spiega delineando i tre principali obiettivi. Primo:
valorizzare la negritudine ed incoraggiare lautostima negli
afro-brasiliani, questo vuol dire aiutarli ad accettare le
proprie origini africane, e quindi anche il colore della propria
pelle, e a comprendere la propria diversità come dono di Dio.
Molti di loro, come ci è stato spiegato, ripudiano il nero per
emulare il bianco e la mentalità che questo veicola. In
Brasile chi è nero viene stigmatizzato perché esteticamente
brutto (capelli crespi e duri, labbra troppo carnose, etc.) ed
inferiore, laddove il bianco rappresenta, invece, il modello
di bellezza ideale. Per secondo linculturazione, cioè rileggere
il Vangelo alla luce di una cultura altra rispetto a quella
occidentale-dominante. La Pastorale Afro, in questo senso, cerca
di assumere la visione del mondo della cultura africana e su
questa base tenta di riplasmare la religione cattolica, affinché
sia più vicina e quindi più condivisibile dai locali. Infine il
dialogo con le religioni afro presenti in Brasile, che vengono
giudicate diaboliche dalle altre realtà ecclesiali (come i
pentecostali), ma nelle quali è possibile trovare valori e
tratti comuni con il cattolicesimo.
Ancora una volta, attraverso la testimonianza di Padre Fideli,
abbiamo incontrato la realtà di persone socialmente emarginate e
politicamente ignorate, ma anche la speranza di chi insieme ad
esse lotta per la loro integrazione nella società brasiliana.
Una sfida, quella dellintegrazione tra persone dalla diversa
colorazione della cute, che ci richiama e ci riporta al nostro
beato Occidente, dove la questione dellimmigrazione e
dellincontro con laltro culturalmente distante rappresentano
duri nodi politici e sociali da sciogliere. È con la speranza
trasmessaci da Padre Fideli che ci ripromettiamo di aprire gli
occhi per guardare con più attenzione dentro a quel
caleidoscopio di umanità che è il Creato in tutte le sue
sfumature!
... riprende lo djembé e cominciamo a cantare
Deus è mais
Deus nos dê saude e força
legria e muita paiz...
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