1°
giorno
Riflessione sulla
parola: CHI SIAMO? (Mt 10, 1-4)
1.
Chiamati a sé i
dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli
spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e
d’infermità .
2.
I nomi dei dodici
apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo
fratello; Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello,
3.
Filippo e
Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo
e Taddeo, 4.
Simone il Cananeo
e Giuda lÂ’Iscariota, che poi lo
tradì. |
-
Dodici persone chiamate
per nome… e qual è il tuo nome? Qual è la storia che ti porta fino
a qui? Chi sei tu agli occhi di Gesù?
-
Dodici, ma chiamati a
coppie: perché Gesù ci invia sempre a due a due? Qual è la mia
comunità ? A cosa serve?
-
Dodici come le dodici
tribù della storia di Israele: le attese di un popolo intero si
posano su di meÂ… Che storia stiamo vivendo? Quali sono le attese
dei popoli di oggi?
TESTIMONIANZA
Il rapimento
di sette monaci Trappisti di Nostra Signora
dell'Atlante
(Algeria)
La notte di
Natale del 1993 fu per la comunità di Nostra Signora
dell'Atlante a Tibhirine un momento decisivo e di grande
intensità spirituale. Consideriamo innanzitutto il contesto.
All'inizio dell'anno 1992 l'interruzione del processo
elettorale aveva portato l'Algeria a una situazione molto
precaria, con la soppressione del FIS come partito politico,
la detenzione dei suoi dirigenti e la successiva creazione
di diversi gruppi armati, in particolare il GIA. Il 14
dicembre 1993 dodici croati cattolici, conoscenti dei monaci
erano stati sgozzati a Tamesguida, a qualche chilometro dal
monastero.
In quel
contesto, qualche giorno dopo, la sera del 24 dicembre 1993,
dopo il pasto serale, un gruppo armato composto da sei
seguaci dell'Islam si presentò al monastero. Il capo del
gruppo l'emiro Sayah Attiya, era noto come un terrorista
terribilmente violento. Era lui il responsabile della morte
dei croati e secondo le forze di sicurezza avrebbe sgozzato
145 persone. Il suo dialogo con Padre Christian, superiore
della comunità di Tibhirine fu eccezionale. Padre Christian,
appellandosi al Corano gli disse che il monastero era un
luogo di preghiera in cui nessuna arma era mai penetrata ed
esigette che la conversazione avesse luogo all'esterno del
monastero. Attiya accettò. Quest'ultimo presento ai monaci,
in quanto "religiosi" come lui e come il suo gruppo
islamista, tre richieste di cooperazione. Christian rispose
ad ognuna di esse dicendo che non era possibile; ogni volta
che Attiya diceva: "non potete scegliere", Padre Christian
rispondeva: "sì, possiamo scegliere". Attiya parti dicendo
che avrebbe inviato i suoi emissari con una parola d'ordine.
Al momento della sua partenza, Christian gli disse: "Lei è
venuto qui armato mentre noi ci preparavamo a celebrare il
Natale, la solennità del Principe della Pace". Attiya
rispose: "scusatemi, non lo sapevo".
Il miracolo fu
che non solo Sayah Attiya ripartì quella sera senza sgozzare
o trattare brutalmente i monaci, ma anche che non tornò né
mandò i suoi emissari. I monaci non comprarono mai la loro
sicurezza con concessioni, né legittimarono alcuna violenza
tuttavia per essi qualunque persona, anche un terrorista,
restava una persona umana degna di comprensione.
Quando più
tardi l'amministrazione algerina volle imporre al monastero
una protezione militare armata, la comunità la rifiutò
decisamente adducendo la stessa motivazione: le armi non
possono entrare in un luogo di preghiera e di pace.
Dopo questa
visita del Natale 1993, la comunità discusse a lungo
sull'atteggiamento da assumere. Si pensò seriamente di
abbandonare il luogo. Infine, dopo aver pregato dialogato ed
essersi concertati, si decise di restare per il momento,
prospettando la possibilità di rifugiarsi rapidamente ad
Algeri o in Marocco se la situazione fosse divenuta più
pericolosa.
Nel corso dei
due anni che seguirono, undici religiosi della Diocesi di
Algeri furono assassinati in cinque attentati diversi. Ogni
volta i monaci di Tibhirine si posero nuovamente la domanda:
bisogna partire o rimanere? Ogni volta decisero di restare.
Fu una decisione presa sempre nella preghiera e nel dialogo:
decisione lucida, coraggiosa, serena e unanime. Nessuno di
essi "desiderava” il martirio. Christian, parlando a un
gruppo di laici, poco prima del suo rapimento, disse che un
tale desiderio sarebbe stato un peccato poiché significava
desiderare che un "fratello terrorista" peccasse contro il
precetto divino "non uccidere". La sua preghiera quotidiana
nel corso degli ultimi mesi fu: "Signore, disarmami e
disarmali".
Perché restare?
Semplicemente per fedeltà alla loro vocazione di essere
un'umile presenza contemplativa cristiana in terra
d'Algeria, avendo la Chiesa il diritto e il dovere di essere
presente sia in circostanze eccezionali sia in situazioni
normali. Fedeltà anche verso tutti gli algerini con i quali
avevano stabilito da oltre sessant'anni vincoli di
solidarietà e di amicizia. Fedeltà soprattutto al popolo che
li circondava e che sembrava protetto da ogni sorta di
angheria, da una parte e dall'altra, dalla totale neutralitÃ
dei monaci.
Io ho avuto
l'occasione di visitarli nel gennaio del 1996, due mesi
prima del rapimento. Ciò che mi ha più colpito è stata la
loro serenità . Essi non giocavano a fare gli eroi e alcuni
non nascondevano una certo timore. Ciò che li aveva sempre
"salvati" in quella circostanza era stato di continuare una
vita monastica normale, con il suo equilibrio fra lavoro
manuale, lettura della Parola di Dio e Officio divino.
Il monastero di
Tibhirine era diventato, nel corso degli anni, un luogo di
dialogo fra cristiani e musulmani. Ciò fu il frutto di
un'evoluzione naturale e non di qualcosa di programmato. e
monastero è un luogo di preghiera, e i monaci sono sempre
stati rispettosi verso la popolazione, la cultura e la
religione locali. Un gruppo di musulmani profondamente
religiosi iniziò pian piano a frequentare il monastero. Si
costituì un gruppo di dialogo fra cristiani e musulmani, il
Ribat (parola araba che significa "legame"), gruppo che si
riuniva regolarmente nel monastero per pregare e scambiare
opinioni (tre degli undici missionari assassinati in questi
ultimi anni erano membri di questo gruppo). La notte di
Natale del 1995 sei musulmani dei dintorni festeggiarono
insieme ai monaci.
Al momento in
cui scrivo questo articolo i sette frati di Nostra Signora
delI'Atlante sono scomparsi da due settimane e noi non
abbiamo ancora ricevuto notizie. Continuiamo a sperare che
torneranno tutti vivi. Non è assolutamente pensabile che,
nelle circostanze attuali essi possano ritornare al loro
monastero.
Se i monaci
avessero deciso di lasciare Tibhirine nel corso degli ultimi
anni ciò sarebbe stato un duro colpo per la popolazione
locale, per la Chiesa di Algeri e per il suo Pastore. Ma
essi si sono rifiutati di farlo, con coraggio e con
lucidità .
2°
giorno
Riflessione sulla
parola: COME CAMMINARE? (Mt 10, 5-15)
5.
Questi dodici
Gesù li inviò dopo averli così istruiti: “Non andate fra i pagani e
non entrate nelle città dei Samaritani; 6.
rivolgetevi
piuttosto alle pecore perdute della casa dÂ’Israele.
7.
E strada
facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino.
8.
Guarite gli
infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate
i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente
date. 9.
Non procuratevi
oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture,
10.
né bisaccia da
viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché
lÂ’operaio ha diritto al suo nutrimento. 11.
In qualunque
città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia
qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra
partenza. 12.
Entrando nella
casa, rivolgetele il saluto. 13.
Se quella casa
ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se
non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi.
14.
Se qualcuno poi
non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole,
uscite da quella casa o da quella città e scuotete la
polvere dai vostri piedi. 15.
In verità vi
dico, nel giorno del giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra
avrà una sorte più sopportabile di quella
città . |
-
Qual è il consiglio che ti colpisce
di più, che senti più rivolto a te? Perché?
-
Le caratteristiche del discepolo:
occhi fissi sulla meta – speranza – senso della provvidenza
e della condivisione – uomo in pace e uomo di pace – dipendenza
dagli altri - coraggio della profezia
TESTIMONIANZA
Processo di
Norimberga o rimozione totale? La via dellÂ’ubuntu
(Desmond
Tutu, Sudafrica)
“La
via da noi scelta è profondamente conseguente ad una
visione africana del mondo, quella che noi conosciamo con
il nome di ubuntu nel gruppo linguistico nguni, o
di botho nelle lingue sotho. Che cosa ha spinto
tanta gente a scegliere di perdonare invece di reclamare
il castigo, a essere magnanima e disposta alla
clemenza invece di dar libero sfogo alla vendetta?
Ubuntu
e' molto difficile da rendere in una lingua occidentale.
E' una parola che riguarda l'intima essenza dell'uomo.
Quando vogliamo lodare grandemente qualcuno, diciamo: "Yu,
u nobuntu" - "il tale ha ubuntu". Ciò
significa che la persona in questione e'
generosa,accogliente,benevola,sollecita, compassionevole;
che condivide quello che ha. E' come dire: "La mia
umanità e' inestricabilmente collegata, esiste di pari
passo con la tua". Facciamo parte dello stesso
fascio di vita. Noi diciamo: "Una persona e' tale
attraverso altre persone". Non ci concepiamo nei
termini "penso dunque sono", bensì: "Io sono umano perché
appartengo, partecipo, condivido". Una persona che ha
ubuntu e' aperta e disponibile verso gli altri,
riconosce agli altri il loro valore, non si sente
minacciata dal fatto che gli altri siano buoni e bravi,
perché ha una giusta stima di sé che le deriva dalla
coscienza di appartenere a un insieme più vasto, e quindi
si sente sminuita quando gli altri vengono sminuiti o
umiliati, quando gli altri vengono torturati e oppressi, o
trattati come se fossero inferiori a ciò che sono.
L'armonia, la benevolenza, la solidarietà sono beni
preziosi. E per noi il bene piu' grande e' l'armonia
sociale.”
La testimonianza di una
vittima
La testimonianza di una vittima a cui un poliziotto
sparò in faccia rendendolo cieco: "Sento che il
fatto di essere qui e di aver raccontato la mia storia mi
ha come ridato la vista. Mi sembra che per tutto questo
tempo la cosa che mi ha fatto star male sia stata il fatto
di non aver potuto raccontare ciò che ho vissuto. Ma ora,
avervi raccontato la mia storia è come se mi avesse
guarito."
La
speranza di cambiare
“Molto
spesso, come membri della Commissione, siamo rimasti
sgomenti nel constatare a quali abissi di depravazione può
spingersi lÂ’essere umano; molti di noi ritenevano che chi
può compiere azioni così vigliaccamente mostruose per
forza debba essere un mostro. Ma la teologia dice che le
cose sono diverse. La teologia mi ha spesso ricordato che,
per quanto un atto sia diabolico, non significa che sia un
diavolo chi lo compie. Il nostro lavoro ci poneva di
fronte alla necessità di distinguere tra l’atto e
lÂ’attore, tra il peccato e il peccatore. Pur odiando e
condannando il peccato, dovevamo sviluppare compassione
per il peccatore; se avessimo pensato che gli autori dei
crimini si ponevano al di là di ogni condizione umana in
quanto erano diavoli e mostri, non avremmo fatto altro che
gettare alle ortiche il concetto di responsabilità , perché
sarebbe equivalso ad affermare che non avevano i requisiti
morali per poter essere ritenuti responsabili dei loro
atti. Ma, quel che più conta, avrebbe significato che
rinunciavamo alla speranza di vederli cambiare per il
meglio. La teologia diceva che, nonostante
l’atrocità dei loro atti, essi rimanevano sempre figli di
Dio, capaci di pentirsi e di cambiare. Se non avessimo
creduto in questa premessa avremmo potuto chiudere i
battenti, perché l’efficacia del sistema creato dalla
Commissione si basava proprio sul fatto che le persone
potessero cambiare, potessero riconoscere i loro errori e
provarne pentimento, o perlomeno rimorso, e quindi ad un
certo punto essere spinti a confessare e chiedere perdono
per la propria viltà e prepotenza. In ogni caso se
venivano qualificate come mostri, non erano in grado di
impegnarsi per un processo così profondamente umano come
quello della riconciliazione.”
3°
giorno
Riflessione sulla
parola: CON CHI CAMMINARE? (Mt 10, 16-33)
16.
Ecco: io vi
mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti
come i serpenti e semplici come le colombe. 17.
Guardatevi
dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e
vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; 18.
e sarete
condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per
dare testimonianza a loro e ai pagani. 19.
E quando vi
consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o
di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel
momento ciò che dovrete dire: 20
.non siete
infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro
che parla in voi.
21.
Il fratello
darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli
insorgeranno contro i genitori e li faranno morire.
22.
E sarete odiati
da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino
alla fine sarà salvato. 23.
Quando vi
perseguiteranno in una città , fuggite in un’altra; in
verità vi dico: non avrete finito di percorrere le cittÃ
di Israele, prima che venga il Figlio dellÂ’uomo.
24.
Un discepolo
non è da più del maestro, né un servo da più del suo
padrone; 25.
è sufficiente
per il discepolo essere come il suo maestro e per il servo
come il suo padrone. Se hanno chiamato Beelzebùl il
padrone di casa, quanto più i suoi familiari!
26.
Non li temete
dunque, poiché non v’è nulla di nascosto che non debba
essere svelato, e di segreto che non debba essere
manifestato. 27.
Quello che vi
dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che
ascoltate allÂ’orecchio predicatelo sui tetti. 28.
E non abbiate
paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere
di uccidere lÂ’anima; temete piuttosto colui che ha il
potere di far perire e lÂ’anima e il corpo nella Geenna.
29.
Due passeri non
si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi
cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia.
30.
Quanto a voi,
perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati;
31.
non abbiate
dunque timore: voi valete più di molti passeri!
32.
Chi dunque mi
riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò
davanti al Padre mio che è nei cieli; 33.
chi invece mi
rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò
davanti al Padre mio che è nei
cieli.
- C’è
qualcosa che attraversa tutto questo branoÂ…
Con una matita fa un cerchio attorno
a tutte le espressioni che richiamano la violenza delle situazioni
che i discepoli attraversano: il Vangelo non è un abbraccio che ti
protegge e ti toglie dalla storia.
Con la stessa matita sottolinea le
espressioni che parlano della presenza di Dio a fianco dei
discepoli: il Papà conosce la nostra debolezza e non ci manda da
soli!
-
Pensa al tuo cammino di questi
anni: da che parte sei andato? Hai sentito sulla
pelle la
fatica di nuotare controcorrente? O ti sei lasciato andare al
corso
dellÂ’acqua
che si disperde in basso?
Con chi
hai camminato? FaÂ’ memoria di alcune occasioni in cui hai sentito
concretamente di non essere da
solo...
Raccogli
con un simbolo tutto questo: lo presenteremo alla celebrazione
di
stasera.
TESTIMONIANZA
Annalena Tonelli e il popolo
somalo
Annalena era una donna straordinaria,
lavorava moltissimo, e quasi non mangiava. Mi ha colpito
la sua umiltà , la sua grande forza, la sua sincerità , la
sua devozione assoluta ai poveri e agli ammalati.
Inizialmente dovevo raggiungere Mogadiscio, ma poi non mi
è stato possibile. Allora sono stata da lei, intenzionata
a chiederle unÂ’intervista. Una delle cose che mi hanno
colpito è stato il mio approccio. Io ero infatti preparata
a fare il mio lavoro, cioè a sedermi con lei per
intervistarla. Non mi è mai stato possibile farlo, non in
questo modo almeno. Per lei era inconcepibile rilasciare
unÂ’intervista. Il suo unico pensiero era per i bisognosi.
Mi ha concesso però di seguirla nel suo lavoro quotidiano.
“Sono nata a
Forlì nel 1943. Lavoro in sanità da più di trent’anni, ma
non sono medico. Sono laureata in giurisprudenza in Italia
e sono abilitata allÂ’insegnamento della lingua inglese
nelle scuole superiori in Kenya. Ho certificati e diplomi
di controllo della tubercolosi in Kenya, di medicina
tropicale e comunitaria in Inghilterra, di leprologia in
Spagna. Ho lasciato lÂ’Italia nel gennaio del 1969. Da
allora vivo al servizio dei somali. Volevo seguire Gesù e
scelsi di essere per i poveri. Per Lui feci una scelta di
povertà radicale, anche se povera come un vero povero io
non potrò mai esserlo. Vivo il mio servizio senza un nome,
senza la sicurezza di un ordine religioso, senza
appartenere a nessuna organizzazione, senza uno stipendio,
senza versamento di contributi per quando sarò vecchia. Ma
ho amici che aiutano me e la mia gente, soprattutto quelli
del Comitato contro la fame nel mondo di Forlì. Partii
decisa a «gridare il Vangelo con la mia vita» sulla scia
di Charles de
Foucauld, che aveva
infiammato la mia esistenza. Trentatré anni dopo, grido il
Vangelo con la mia sola vita e brucio dal desiderio di
continuare a farlo sino alla fine. Questa la mia
motivazione di fondo, insieme a una passione da sempre
invincibile per lÂ’uomo ferito e diminuito senza averlo
meritato, al di là della razza, della cultura e della
fede. Sono praticamente sempre vissuta con i somali, in un
mondo rigidamente musulmano. In Kenya prima e ora qui a
Borama non c’è nessun cristiano con cui possa condividere.
AllÂ’inizio tutto mi era contro. Ero giovane dunque non
degna né di ascolto né di rispetto. Ero bianca dunque
disprezzata da quella razza che si considera superiore a
tutte. Ero cristiana dunque oltraggiata, rifiutata,
temuta. E poi non ero sposata, un assurdo in quel mondo in
cui il celibato non esiste e non è un valore, anzi è un
disvalore. Solo chi mi conosce bene dice e ripete senza
stancarsi che io sono somala come loro e sono madre
autentica di tutti quelli che ho salvato. Quella dellÂ’Ut
unum sint è stata ed è l’agonia amorosa della mia vita, lo
struggimento del mio essere. È una vita che combatto e mi
struggo, io povera cosa, per essere buona, veritiera, non
violenta nei pensieri, nella parola, nell’azione. Ed è una
vita che combatto perché gli uomini siano una cosa sola.
Ogni giorno al Tb Centre noi ci adoperiamo per la pace,
per la comprensione reciproca, per imparare insieme a
perdonare. Oh, il perdono, com’è difficile il perdono. I
miei musulmani fanno tanta fatica ad apprezzarlo, a
volerlo per la loro vitaÂ…Eppure la vita ha un senso solo
se si ama. Nulla ha senso al di fuori dellÂ’amore. La mia
vita ha conosciuto tanti e poi tanti pericoli, ho
rischiato la morte tante e poi tante volte. Sono stata per
anni nel mezzo della guerra. Ho sperimentato nella carne
dei miei, di quelli che amavo, e dunque nella mia carne,
la cattiveria dell’uomo, la sua perversità , la sua
crudeltà , la sua iniquità . E ne sono uscita con la
convinzione incrollabile che ciò che conta è solo amare.
Ed è allora che la nostra vita diventa degna di essere
vissuta. Io impazzisco, perdo la testa per i brandelli di
umanità ferita; più sono feriti, più sono maltrattati,
disprezzati, senza voce, di nessun conto agli occhi del
mondo, più io li amo. E questo amore è tenerezza,
comprensione, tolleranza, assenza di paura, audacia.
Questo non è un merito. È un’esigenza della mia natura. Ma
è certo che io in loro vedo Lui, l’agnello di Dio che
patisce nella sua carne i peccati del mondo. Ma il dono
più straordinario, il dono per cui ringrazierò Dio e loro
per sempre, è il dono dei miei nomadi del deserto.
Musulmani, loro mi hanno insegnato la fede, lÂ’abbandono
incondizionato, la resa a Dio, una resa che non ha nulla
di fatalistico, una resa rocciosa e arroccata in Dio, una
resa che è fiducia e amore. I miei nomadi del deserto mi
hanno insegnato a tutto fare, tutto incominciare, tutto
operare nel nome di Dio”.
|
4°
giorno
Riflessione sulla
parola: CAMMINARE IN PACE? (Mt 10, 34-39)
34.
Non crediate
che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono
venuto a portare pace, ma una spada. 35.
Sono venuto
infatti a separare il figlio dal padre, la
figlia dalla madre, la nuora dalla suocera:
36.
e i nemici
dellÂ’uomo saranno quelli della sua casa.
37.
Chi ama il
padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il
figlio o la figlia più di me non è degno di me;
38.
chi non prende
la sua croce e non mi segue, non è degno di me.
39.
Chi avrÃ
trovato la sua vita, la perderà : e chi avrà perduto la sua
vita per causa mia, la troverà .
|
-
Ma allora
avremo la pace o no?! (una contraddizione così forte tra i
versetti 13 e 34, in poche righe Gesù dice tutto e il contrario di
tutto?)
-
Cos’è la pace? Pace di uomini liberi,
che hanno bisogno solo della meta e del cammino. La meta è
Gerusalemme (città della pace), il cammino è con Gesù "…Solo Dios
bastaÂ…"
-
Questa pace costa sofferenza,
distacco, morte… ma è Vita
Piena per Tutti!
(cf. il racconto
di don
Tonino Bello su Samarcanda nei suoi discorsi sulla
pace)
-
Cosa devi lasciare tu? Da quali
cavalli devi saltar giù con coraggio… e dove porta la Pace per te
e per gli altri?
TESTIMONIANZA
P. Ezechiele e il
Brasile
Il 24 Luglio 1985 a Cacoal veniva ucciso p.
Ezechiele (Lele) Ramin, missionario comboniano. Aveva
32 anni. Martire della carità lo ha definito Papa Giovanni
Paolo II, qualche giorno dopo la sua morte. La sua
uccisione è da attribuirsi alla sua azione in difesa degli
Indios Suruì e dei lavoratori della terra nello Stato di
Rondonia (Brasile).
"Qui
molta gente aveva terra, è stata venduta. Aveva casa è
stata distrutta. Aveva figli, sono stati uccisi. Aveva
aperto strade, sono state chiuse. A queste persone io ho
già dato la mia risposta: un abbraccio".
"Ho
la passione di chi segue un sogno. Questa parola ha un
tale accoramento che se la raccolgo nel mio animo, sento
che c'è una liberazione che mi sanguina dentro.. Non mi
vergogno di assumere questa fratellanza. Uomini buoni o
no, generosi o no, fedeli o no, rimangono fedeli. Noi
siamo nel linguaggio del Signore".
"Amo
molto tutti voi e amo la giustizia. Non approviamo la
violenza, malgrado riceviamo violenza. Il padre che vi sta
parlando ha ricevuto minacce di morte. Caro fratello, se
la mia vita ti appartiene, ti apparterrà pure la mia
morte".
"Dopo
che Cristo è morto vittima di ingiustizia, ogni
ingiustizia sfida il cristiano".
"Sto
camminando con una fede che crea, come l'inverno, la
primavera. Attorno a me la gente muore, i latifondisti
aumentano, i poveri sono umiliati, la polizia uccide i
contadini, tutte le riserve degli Indios sono invase. Con
l'inverno vado creando primavera. I miei occhi con fatica
leggono la storia di Dio quaggiù". La croce è la
solidarietà di Dio che assume il cammino e il dolore
umano, non per renderlo eterno, ma per sopprimerlo. La
maniera con cui vuole sopprimerlo non è attraverso la
forza né col dominio, ma per la via dell'amore. Cristo
predicò e visse questa nuova dimensione. La paura della
morte non lo fece desistere dal suo progetto di amore.
L'amore è più forte della morte".
"La
vita è bella e sono contento di donarla.".
|
5°
giorno:
Riflessione sulla
parola: CHI CI DICE SE STIAMO CAMMINANDO? (Mt
25, 31-46)
31.
Quando il Figlio
dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si
siederà sul trono della sua gloria. 32.
E saranno riunite
davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli
altri, come il pastore separa le pecore dai capri,
33.
e porrà le pecore
alla sua destra e i capri alla sinistra. 34.
Allora il re dirÃ
a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del
Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi
fin dalla fondazione del mondo. 35.
Perché io ho
avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi
avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato,
36.
nudo e mi avete
vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete
venuti a trovarmi. 37.
Allora i giusti
gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto
affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti
abbiamo dato da bere? 38.
Quando ti abbiamo
visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo
vestito? 39.
E quando ti
abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a
visitarti? 40.
Rispondendo, il
re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto
queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
lÂ’avete fatto a me. 41.
Poi dirà a quelli
alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco
eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli.
42.
Perché ho avuto
fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi
avete dato da bere; 43.
ero forestiero e
non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e
in carcere e non mi avete visitato. 44.
AnchÂ’essi allora
risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato
o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non
ti abbiamo assistito? 45.
Ma egli
risponderà : In verità vi dico: ogni volta che non avete
fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli,
non lÂ’avete fatto a me. 46.
E se ne andranno,
questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna”.
|
-
Dom Pedro Casaldaliga dice che c’è un’unica speranza alla fine
della vita. Ci salveremo se, arrivando alla porta del Paradiso,
loro ci riconosceranno, e noi ricorderemo il loro nome, e loro ci
faranno entrare. I nomi dei poveri sono la chiave per il Paradiso.
Che nomi hai in mente tu?
- Il
giudizio finale: abbiamo sete di Vita piena giorno per giorno, ma
ci accorgiamo che la vita e la verità hanno l’ultima parola con
tempi lunghi. I martiri ce lo insegnano. Che tempi hanno la tua
vita e le tue verità ?
-
Jon Sobrino ci dice che la
salvezza viene dai poveri, perché hanno tre cose da
insegnarci: la verità , la
solidarietà e la sobrietà (…)
Mettiamoci a scuola da
loro!
TESTIMONIANZA
Oscar Romero e il
Salvador
|
El Salvador, 1977.
Sono quotidiani gli omicidi di contadini poveri e
oppositori del regime politico, i massacri compiuti da
organizzazioni paramilitari di destra, protetti e
sostenuti dal sistema politico. EÂ’ il periodo in cui il
generale Carlos H. Romero è proclamato vincitore, grazie a
brogli elettorali, delle elezioni presidenziali. La nomina
del nuovo Vescovo Oscar Romero non desta preoccupazione:
mons.
Romero, si sa, è “un uomo di studi”, non impegnato
socialmente e politicamente; è un conservatore.
Il
potere confida in una pastorale aliena da ogni
compromesso sociale, una pastorale “spirituale” e quindi
asettica, disincarnata. Mons. Romero inizia il suo lavoro
con passione. Passa poco tempo che le notizie della
sua inaspettata attività in favore della giustizia sociale
giungono lontano e presto arrivano i primi riconoscimenti
ufficiali dallÂ’estero. Mons. Romero li accetta tutti in
nome del popolo salvadoregno. Ma che cosa è accaduto
nellÂ’animo del vescovo conservatore?
Di
particolare nulla. Solo una grande Fede di pastore che non
può ignorare i fatti tragici e sanguinosi che interessano
la gente. Disse, infatti, Romero: “Nella ricerca della
salvezza dobbiamo evitare il dualismo che separa i poteri
temporali dalla santificazione”; e ancora: “Essendo nel
mondo e perciò per il mondo (una cosa sola con la storia
del mondo), la Chiesa svela il lato oscuro del mondo, il
suo abisso di male, ciò che fa fallire gli esseri umani,
li degrada, ciò che li disumanizza”.
Forse
un evento scatenante potrebbe essere stato lÂ’assassinio
del gesuita Rutilio Grande da parte dei sicari del regime;
Romero apre unÂ’inchiesta sul delitto e ordina la chiusura
di scuole e collegi per tre giorni consecutivi. Nei suoi
discorsi mette sotto accusa il potere politico e giuridico
di El Salvador. Istituisce una commissione permanente in
difesa dei diritti umani; le sue omelie, ascoltate da
moltissimi parrocchiani e trasmesse dalla radio della
diocesi, vengono pubblicate sul giornale “Orientaciòn”.
Una certa chiesa si impaurisce allontanandosi da
Romero e dipingendolo come un ”incitatore della
lotta di classe e del socialismo”. In realtà Romero non
invitò mai nessuno alla lotta armata, ma, piuttosto, alla
riflessione, alla presa di coscienza dei propri diritti e
allÂ’azione mediata, mai gonfia dÂ’odio. Purtroppo, il
regime sfidato aveva alzato il tiro; dal 1977 al 1980 si
alternano i regimi ma non cessano i massacri: il 24 marzo
1980 Oscar Romero, proprio nel momento in cui sta elevando
il Calice nellÂ’Eucarestia viene assassinato. Le sue ultime
parole sono ancora per la giustizia: “In questo Calice il
vino diventa sangue che è stato il prezzo della salvezza.
Possa questo sacrificio di Cristo darci il coraggio di
offrire il nostro corpo ed il nostro sangue per la
giustizia e la pace del nostro popolo.Questo momento di
preghiera ci trovi saldamente uniti nella fede e nella
speranza”. Da quel giorno la gente lo chiama, lo
prega, lo invoca come San Romero d’America. Sì, la
profezia di Romero, il vescovo fatto popolo si è
realizzata: “Se mi uccideranno – aveva detto – risorgerò
nel popolo salvadoregno”. | |