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In cammino con Elia, uomo e profeta

campo GIM Palermo 2008

Testo di riferimento: 1 Re 19, 1-18

In cammino con Elia, uomo e profeta.

Ma chi è Elia?

Uomo di Dio: del Dio che cammina con la sua gente e se ne prende cura. Come aveva già fatto al tempo della schiavitù in Egitto. La sua fedeltà all’Alleanza stipulata con l’umanità continua:

*      Dio, attraverso Elia, cura l’orfano e si prende cura della vedova.

*      Attacca il potere del re quando diventa sistema di oppressione verso i più poveri.

*      Smaschera gli idoli dei falsi profeti, ridicolizzandoli e distruggendo il loro potere.

*      Consente ad Israele di riprendersi dopo il lungo periodo di siccità.

Elia si mostra obbediente alla parola, attento a chi ha bisogno, disponibile ad aiutare il suo popolo contro i soprusi e le ingiustizie.

Sono anch’io “persona di Dio”? Con chi mi metto realmente in relazione nella mia vita?

Uomo del Popolo: Elia è incarnato nella storia, e vive una fede vera, concreta, reale. Essere profeta, uomo di preghiera, in ricerca del volto di Dio, lo conduce inevitabilmente verso l’altro, il fratello, la vedova, il povero. È la stessa convivenza con la gente, che permette al profeta di fare un’esperienza autentica del Dio dell’Alleanza. È proprio nel volto di questa gente, della “sua” gente, che Elia incontra il volto del suo Dio-Jawè.

Ama la gente, i poveri soprattutto, e Gesù Cristo. (don Tonino Bello)

Mi sento di appartenere alla gente? Soprattutto ai più lontani, esclusi, soli?

Uomo di preghiera: Elia=mio Dio è Jawè.

Una persona che attraverso i fatti concreti della sua vita sa intravedere la presenza del suo Dio. Allora, lo ascolta a partire proprio da quella quotidianità che lo sfida e lo interpella. Prega per la vedova e suo figlio, prega per il popolo ingannato dai falsi profeti; prega perché i potenti si convertano. Elia attraverso una preghiera contestualizzata nella storia che vive insieme al suo popolo, vive una vita trasparente, autentica, realmente di servizio e collaborazione al progetto di vita che Dio offre al suo popolo.

Sto facendo l’esperienza di una preghiera incarnata nella storia che vivo?

Uomo che si schiera: il profeta è un uomo di parte! Sta dalla parte di Dio e quindi della gente, contro la falsa religione, il potere oppressore, un sistema sociale e politico fatto di falsità e ipocrisie.

Nella mia vita, da che parte sto?

Uomo che riscopre Dio: Elia è uomo attivo, attento alla realtà, che prende parte e si mette in gioco. Ma ha la tentazione di pensarsi insostituibile, d’essere l’unico che sa obbedire a Dio (19, 10.14).

Elia, come tutti noi, impara a conoscere il volto autentico di Dio dentro il contesto in cui vive (famiglia, popolo, religione, ecc.), lungo la strada. Vorrebbe fuggire, vorrebbe essere sollevato dalle sue responsabilità. Desidera che tutto finisca, così non sentirebbe il peso della fatica, dell’incomprensione, della solitudine. Forse capita anche a noi di vivere questi momenti, di sconforto e solitudine, in cui perdiamo un po’ il senso delle cose.

A chi e a che cosa presto attenzione in questi momenti? Cosa richiama la mia attenzione?

Nell’esperienza del deserto, del silenzio, della solitudine, il profeta si lascia sorprendere da Dio, che giunge ancora una volta in modo inaspettato. In passato, era riconoscibile nella maestosità e potenza della natura scatenata. Ora, Dio è presente come “brezza leggera” quasi un nulla, un soffio impercettibile. Dio non lascia Elia da solo. Si prende cura di lui, lo sostiene e lo incoraggia, facendogli percepire che in fondo “non è lui che deve salvare il mondo”.

Prestando attenzione ai particolari, ai piccoli segni quotidiani, alle impercettibili presenze del mistero, si scopre la presenza autentica del Dio della vita.

Questo è l’uomo Elia, questo è il profeta, questo è il pellegrino che si mette alla ricerca di Dio, dentro la realtà concreta, dentro la storia della sua gente. È con lui che oggi vogliamo intraprendere il nostro percorso nel deserto, nel silenzio.

Entrando nel testo.

Ci incamminiamo con Elia verso il monte Horeb. È lo stesso monte sul quale Dio ha dato le “10 parole” a Mosè. Si tratta di un pellegrinaggio verso le radici della sua e della nostra fede. Quasi che la Bibbia ci dica che in realtà nella ricerca di Dio non si inventa nulla, ma si riparte e si continua da ciò che siamo, dalla nostra setta vita, dall’esperienza che ci portiamo dentro.

Il testo è divisibile in 3 quadri, in 3 scene.

  1. (1-8) Elia, dopo i fasti e i trionfi, ora vie una realtà di disagio e sconforto. Il potere (la crudele moglie del re Acab, Gezabele, lo vuole morto) ha paura di lui e delle sue parole e se ne vuole disfare per non essere incomodato. Elia ha paura e fugge.

Ma come? Dov’ il profeta potente e crudele che stermina i falsi profeti affrontando da solo una moltitudine di nemici? Dov’è finita la spavalderia di quest’uomo, del profeta di Dio?

Si inizia con una scena del tutto in contrasto con quanto narrato poco prima.

  1. (9-14) La seconda scena è legata alla vera esperienza del pellegrino, dell’umanità, di noi tutti in ricerca. Ancora una volta, la straordinaria creatività di Dio mette l’umanità di fronte alla sua presenza nel modo del tutto inaspettato. È interessante notare che anche per Gesù sarà così. Il deserto diventa luogo della tentazione ma anche della piena rivelazione di Dio. Forse perché il silenzio e la solitudine del deserto ci mettono di fronte alla verità di noi stessi e quindi disponibili a lasciare che Dio faccia verità nella nostra vita.

  2. (15-18) La terza scena riporta Elia alla concretezza della sua missione, che è e rimane storica, reale. È tempo che la realtà politica e sociale si orienti nuovamente per il bene della gente, del popolo di Dio. È tempo che il potere torni al servizio del popolo. Ora, anche il potere politico e militare si converte all’iniziativa di Dio. Non solo. Elia scopre che non è da solo in questo percorso, che esiste un gruppo “resistente”, un piccolo resto che ha seguito il Signore, e che costituisce il gruppo della rinascita.

Alcune sottolineature del testo…

19, 1-7. Elia è sotto pressione. Dopo i grandi successi e popolarità è il tempo della paura della persecuzione. È costretto a fuggire. Forse Dio l’ha abbandonato? Scoraggiato invoca la morte. Ma nel momento in cui si trova al limite delle sue forze, ecco che interviene il Signore. Forse Dio “riesce” ad intervenire nella nostra vita quando noi abbiamo abbandonato tutte le difese e le resistenze. Abbiamo bisogno a volte di fare esperienza del nostro limite, scoprendo che non siamo “ombelico del mondo” e che “intorno a me non ruota tutto il mondo”…

Sembra proprio, che per rispettare la nostra libertà, Dio arriva quando noi non ce la facciamo più. Paradossalmente, questo atteggiamento mostra il suo totale rispetto della nostra libertà.

Ti ho cercato a lungo, mio Dio. Poi ho scoperto che tu eri molto più vicino a me di quanto non lo fossi io stesso! (S. Agostino)

Questa scena ha dei tratti commoventi e di grande tenerezza. Mostra quel lato tanto premuroso e affettuoso di Dio verso l’umanità. Dio “si prende cura” con l’attenzione e delicatezza di una madre.

Ora, Elia deve accettare che il progetto di Dio lo metta nuovamente in crisi, ma per consentirgli di riprendere il cammino. Il successo può essere ingannevole, può farci credere che l’autore del cambiamento sono io. In qualche modo, il peccato dell’orgoglio è sempre in agguato.

Israele, come Elia, è stato chiamato a fidarsi del suo Dio nel cammino di liberazione dell’Esodo, anche se inizialmente non ne vedeva l’esito positivo. Ci sono momenti della vita che lo spirito ci provoca a fidarci di Dio. Insieme ad Elia, come pellegrini della vita, siamo chiamati a compiere e rinnovare il nostro esodo verso la liberazione dalle nostre schiavitù.

19, 8-14. La fiducia non si impara una volta per sempre, in modo definitivo. Ha bisogno di rinnovarsi costantemente, provocandoci a sentirci sempre in cammino.

Elia comincia il suo cammino. Salire all’Horeb è salire alla fonte stessa della fede del suo popolo; ma in qualche modo consente di ritornare all’esperienza fondante della nostra fede, della nostra vita.

Qual è stato il momento fondante della mia esperienza di Dio?

Ora, però, non si tratta di rivivere momenti straordinari di spiritualità o di mistero. Non siamo più davanti ai “grandi segni”: le vittorie politiche, le guarigioni, le manifestazioni della natura. Questi appunto sono e restano segni. Ma il “segno” più importante resta la mia/tua esperienza del mistero, della sua presenza, che è difficile descrivere ma che è estremamente vera e personale.

Ora, Dio si manifesta in modo del tutto inaspettato: nel silenzio leggero di una brezza del vento lieve. Una percezione, un’intuizione, un nulla…

Ma ancora una volta, si tratta di un’esperienza di fiducia, di abbandono, di consegna. Si tratta in fondo di un’adesione nell’amore, di un ritorno all’antica passione che si è manifestata nell’Alleanza di dio con il popolo.

Ora nessuno può sostituirsi ad Elia; nessuno può fare il cammino al suo posto; nessuno può sostituirsi alla sua solitudine. È il tempo della “permanenza” dello starci dentro così come siamo, senza costruirsi pesanti fardelli.

Elia non è diverso da prima. Ha paura, si sente minacciato, abbandonato da tutti e solo! Però, forse, è proprio questa  condizione di sentirsi totalmente impotente che gli permette di lasciare spazio all’iniziativa di Dio. Svuotandosi di se stesso e delle sue fragili certezze, ascolta la voce di colui che è realmente il Dio autentico e non legato alle nostre visioni personaliste.

Dobbiamo riconoscere che in queste condizioni, come quelle vissute da Elia, perdiamo la capacità di un reale discernimento e ascolto della realtà. Ed ecco, lo straordinario, proprio in questo momento Dio si rivela.

19, 15-18. A questo punto la situazione si ribalta. Dalla fuga ad una nuova missione. Addirittura Elia viene chiamato ad una nuova missione politica: restaurare il potere civile e quello della profezia. Elia diventa nuovamente strumento dell’azione di Dio: nominerà re e profeti e la sua missione continuerà attraverso la mano di altri. Perché Dio agisce attraverso la storia fidandosi di volta in volta di protagonisti diversi.

Io muoio, ma la mia opera non morirà! (san Daniele Comboni)

Dio rivela a Elia che non è mai stato solo. Ben 7000 persone avevano continuato la missione di Jawè all’insaputa del profeta. Dio agisce proprio così. Nonostante ai nostri occhi il nostro fallimento appare come il fallimento di tutti, beh, in realtà non è così. Quasi  a provocarci: non possiamo vivere come se tutto dipendesse da noi. La realtà non è solo quella che noi vediamo o pensiamo di controllare.

Il progetto di giustizia, pace e di vita pensato da Dio è molto più vasto e efficace di quanto possiamo comprendere. Per fortuna.

Nei momenti di difficoltà non dobbiamo pensare che la grazia di Dio non agisce. Essa continua in modo misterioso e a volte anche attraverso le nostre debolezze.

Ecco cos’è l’esperienza del deserto: scoprirsi deboli, fragili, incapaci, impauriti, senza apparente possibilità di salvezza. Ed ecco, d’improvviso, che una leggera brezza riporta la nostra vita al senso pieno. Lo sguardo vede l’orizzonte con maggior fiducia e speranza.

A noi ora il compito di seguire i passi di Elia, fidandoci di Dio a partire da quello che siamo, aperti allo stupore e meraviglia della presenza rispettosa ed efficace del Dio della vita.

Domande per la preghiera:

*      In quale condizione sto entrando nel deserto? Da dove parto e dove mi trovo in questo momento?

*      Quale esperienza reale, storica di Dio, del mistero, mi porto dentro, a partire dal’esperienza di questo campo?

*      Quale “tesoro” mi porterò via dopo questi giorni di servizio, condivisione, fraternità?

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Per ulteriori informazioni sul campo di Palermo: resoconto dei campi GIM 2008

 

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