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... e innalzò gli umili!

GIM Venegono - novembre 2006

 
Catechesi, I GIM, novembre 2006

 

Lc 1, 46-55: il Magnificat 

Introduzione.
Il Magnificat è uno dei testi più conosciuti dell’intera Bibbia. Lo si canta alla fine del giorno nei vespri; si prega come lode a Dio attraverso la voce di Maria. È conosciuto e utilizzato in molte preghiere. Siamo di fronte anche ad uno dei brani più belli della Bibbia. Questo testo è da leggersi in parallelo con il brano dell’annunciazione (Lc 1, 26-38), nel quale Dio dice a Maria che attraverso il suo si, stabilirà l’alleanza definitiva con il suo popolo: quella in Gesù Cristo (Lc 1,31).
È introdotto dalla prima beatitudine del Vangelo (!): la sperimenta Elisabetta, quando accoglie la cugina gravida della vita che porta in grembo. Si è beati perché si porta la vita e in abbondanza. Si è beati perché si crede fino in fondo che la parola di Dio si realizza (Lc 1,45).
Il dialogo tra Maria ed Elisabetta è confronto tra due donne che per motivi diversi hanno fatto l’esperienza profonda della misericordia di IHWH. Nelle loro vite, nella loro storia, nel quotidiano delle loro gravidanze si è manifestato il sogno di Dio: la vita in abbondanza per tutti, anche per loro, due donne senza diritti e senza dignità. Il sogno di Dio si realizza travolgendo le logiche del mondo! Ciò che Dio promette mantiene. Per questo possiamo lodare e magnificare: perché Dio realizza le nostre aspettative (cfr. Lc 4,21). E lo fa mettendosi al fianco, camminando con il suo popolo, facendo la scelta di condividere con i più deboli, quelli che “non contano”.

Il contesto.
Il tempo in cui il brano è scritto è successivo alla risurrezione di Gesù. Ciò che viene raccontato si è gia visto realizzato nella vita del Cristo. Le prime comunità rileggono l’infanzia di Gesù alla luce di ciò che hanno visto nella sua vita, nella sua presenza nella storia. Ora sanno che le promesse sono realizzate. Per questo capiscono che il Dio che ha chiamato Maria è lo stesso che è Padre di Gesù: il Dio dell’Alleanza, dei profeti, della liberazione dalla schiavitù d’Egitto, della consolazione dopo l’Esilio di Babilonia è lo stesso che si è incarnato nel Cristo. Ora sanno che la storia che vivono, anche sotto l’oppressione militare romana, le angherie della classe dirigente verso gli “anawim” (gli impoveriti), le ingiustizie dei sacerdoti e del re che si approfittano della pratica religiosa al Tempio per sfruttare i più deboli, è sempre nelle mani di Dio e dei suoi figli, perché così è stato per tutto il corso della storia.
Il primo secolo in Palestina è segnato da povertà, esclusione sociale, marginalità, sfruttamento della terra a favore dei grandi latifondisti. A causa dei continui soprusi e tassazioni il popolo soffre continuamente la fame, le ingiustizie, l’esclusione. In questo contesto è da leggersi la novità dell’intervento di Dio, che sceglie di entrare a far parte di questa storia.

Il testo.
Il brano del magnificat è introdotto dalle parole di Elisabetta (Lc 1,45): “Beata te che hai creduto nella realizzazione delle promesse di IHWH”. Questa introduzione è importante perché ci annuncia che quanto ascolteremo non è qualcosa che si deve compiere. Maria canta il suo Dio perché ha già visto la realizzazione del sogno, del progetto di liberazione per il suo popolo. Non si tratta più di vivere l’attesa, ma di gioire della realizzazione di quanto promesso.

Alcune sottolineature…
L’anima mia: qualcuno traduce anche “la mia vita”; il termine traduce l’ebr. nephèsh, soffio vitale e anche “cuore”. Cioè tutta la mia esistenza loda e ingrandisce il Signore. Si tratta di un atteggiamento di fede e di vita. È importante comprendere questo: la vera lode non avviene con belle parole. È la vita stessa che rivela ciò che il mio cuore vive!
esulta: Spesso “gioia ed esultanza” vanno insieme (cf. 1,14). Nel NT la gioia è legata alla presenza di Gesù. Per Maria Dio è il Signore, il suo Salvatore. Quando Dio è il Signore di una creatura, regna in lei e su di lei, questo è il Regno di Dio. Solo nell’umile e nel povero questo titolo prende il suo vero senso, di una signoria davvero accolta. Il superbo esulta di farcela da solo, gli fa ombra il solo fatto che Dio esista o possa chiedergli qualcosa.
ha guardato: Dio guarda da sempre il piccolo, il povero, l’oppresso. E’ stata la sorpresa del Dio dell’Esodo (Es 3,7). Anche Elisabetta aveva riconosciuto lo sguardo attivo di Dio su di lei: “Ecco che cosa ha fatto per me il Signore il giorno in cui mi ha guardata per togliere la mia vergogna tra gli uomini” (Lc 1,25). E’ lo sguardo di Gesù, che vede la vedova gettare i due spiccioli nel tesoro del tempio (Lc 21,2). È lo sguardo di Gesù che non si sofferma sulle tue fragilità e infedeltà, ma che abbraccia le tue paure per ricolmarle di potenza. Perché, solo nella nostra debolezza si manifesta la sua gloria.

Oggi nella tua vita, ti senti guardato/a
cosi come sei dall’amore di DIO?

l’umiltà: (ebr. ‘anawîm, da ‘anawáh, umiliazione). Maria qualifica così se stessa, come appartenente al popolo dei poveri che contano totalmente su Dio. La sua condizione di donna, di ragazza la rendeva tale. Viveva in una cittadina di provincia, della Galilea delle genti (cf. Gv 1,48). Che cosa contava di meno di una ragazza in quel tempo? Di Elisabetta era stata lodata l’osservanza della legge (Lc 1,6), Maria viene qualificata solo per la sua verginità (1,27ab), che costituisce un aspetto considerevole della povertà di Maria. Verginità è rinuncia al proprio progetto per accogliere la grazia del progetto di Dio; non per sentirmi sminuito ma al contrario, per vedere in me realizzato ciò che considero impossibile agli occhi del mondo.
serva: Maria ripete nel canto il titolo che si era data nella risposta all’angelo (Lc 1,38). Il termine servo (hébed, in ebr.) caratterizzava la condizione del popolo eletto, che apparteneva al suo Dio. In esso era emersa la figura misteriosa del “Servo di JHWH” (Is 42,2-5; 49,1-6; 52,13-53,13). Nel Nuovo Testamento, Gesù si proclamerà servo. L’inno della Lettera ai Filippesi attribuisce a Gesù il temine servo (doulos) (Fil 1,7b) e dice che si è “umiliato / impoverito” usando il verbo tapeinóō (Fil 2,8). La parola servo acquista quindi un significato differente da quello che siamo abituati a percepire. Nel contesto biblico ha più il valore di “figlio/a” cioè colui in cui Dio si compiace, prende a far causa comune. Oggi, siamo noi i servi di Dio, siamo noi i suoi figli.

Ti sei mai chiesto/a che è proprio perché sei piccolo/a
che Dio sceglie di renderti protagonista di questa storia?

Questa prima parte del testo manifesta una novità assoluta. Dio non sceglie chi ha meriti particolari. Il motivo per cui Maria “ha attirato l’attenzione di Dio” è stata esattamente la sua assoluta irrilevanza, il suo essere niente. Umile deriva dal latino “humus”, in pratica terra, quella usata per coltivare. Proprio perché Maria è nulla è capace di accogliere la novità di Dio, che non può farsi spazio nell’orgoglio e nel sentirsi “pieni di sé”. Maria sa benissimo di non “meritarsi” la grazia di Dio. Maria è il primo essere umano che riconosce la propria piccolezza e distanza da lui. Per questo si apre completamente all’iniziativa del suo Signore, che la chiama a qualcosa di estremamente straordinario. Eppure così umano. Perché umano e umile hanno la stessa radice!

Andiamo avanti…
e santo:
La santità è la caratteristica di Dio: Dio è santo cioè totalmente altro dal male, con cui l’essere umano è più o meno connivente. Implica un modo diverso di vedere la storia e l’esistenza, in cui il ragionamento umano non riesce a ritrovarsi: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie – oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Is 55,8-9). La frase “santo è il suo nome” è al centro del Magnificat, fa da spartiacque tra la parte in cui Maria loda Dio per quanto ha fatto in lei e la seguente in cui dichiara quello che egli ha fatto e farà nella storia.
E la sua misericordia: in ebraico: hesed. Un altro termine ebraico usato è rahamim, viscere di misericordia. Entrambi i termini esprimono l’amore di Dio. Rahamìm, viscere, è il plurale di rehém utero. Esprime l’amore nel suo aspetto materno di prendersi cura di ciò che è piccolo per portarlo a compimento; è slancio materno e paterno. Hésed esprime la decisione incrollabile di amare, perciò può essere anche tradotto con fedeltà e va spesso di pari passo con ‘emet, verità. Solo l’amore che si dona fino in fondo è capace di rivelare la verità di ciò che siamo: pensati e generati fin da sempre per essere amati e capaci di amare.

La parte successiva del testo narra ciò che Dio ha già realizzato nella storia. La lode sale ancora più alta. Interessante la sequenza dei verbi.
Disperde: come un esercito sconfitto, i superbi, lett. i sopravvalutati, quelli che si sopravvalutano. Si contrappongono a “quelli che temono Dio” (50).
Rovescia: Dio mette sottosopra il mondo. Sir 10,14 afferma: “Dio ha rovesciato il trono dei potenti e al loro posto vi ha fatto sedere gli umili”. i potenti: sono nella falsità: uno solo è il Potente (49). Il loro trono è inconsistente.

La scelta di Dio per gli esclusi e i poveri ci interpella:
qual è la tua opzione preferenziale?

gli umili: il termine esprime la condizione di non-potere del povero, di cui nell’AT è espressione la vedova, l’orfano e lo straniero. gli affamati: la visione profetica del giorno del Signore lo pensava come un banchetto di cibi succulenti (Is 25,6ss). i ricchi: i profeti avevano denunciato con forza l’accumulo di beni, a scapito degli altri. Così aveva cantato Anna: “I sazi sono andati a giornata per un pane, mentre gli affamati hanno cessato di faticare” (1Sam 2,5). Questo rovesciamento della condizione dei potenti, dei superbi, dei sazi non ha una funzione semplicemente punitiva. Tutto questo agire di Dio è racchiuso tra le due menzioni della “misericordia” (vv. 50.54). E’ misericordia quella che rialza il povero come quella che depone il potente. Scrive Laurentin: “Rovesciando i superbi, Dio li libera dalle loro vane illusioni e li promuove alla dignità dei poveri”.
Soccorre: Maria afferma che quanto Dio ha fatto per lei è in coerenza con tutto il suo agire nella storia. Israele suo servo: qui servo è espresso dal termine pais, servo, familiare, anche “figlio”. ricordandosi della sua misericordia: è la fedeltà di Dio alla sua decisione di sceglierci: “JHWH fa conoscere la sua salvezza..., ricordandosi del suo amore e della sua fedeltà verso la casa d’Israele” (Sal 98,3).

Per noi oggi…
Il peccato originale in noi è quello che ci fa pensare in contrapposizione con Dio, che alimenta in noi la nostalgia antica: “Sarete come dei” (Gen 3). Finché crediamo di valere qualcosa da noi, finché pensiamo che Dio, al più, ci aiuta nelle nostre iniziative, non possiamo cantare il canto di Maria. … Finché il successo ci esalta, finché il nostro sguardo è un andirivieni tra Dio e noi stessi, noi non possiamo cantare.
La nostra gioia non si realizza nella vanità delle cose. La qualità della nostra gioia non si svela quando siamo giovani, belli, attraenti, abbiamo successo, sentiamo di poter fare tante cose, anche buone, che ci piacciono. In realtà, la vera gioia è riposarsi e scommettere in quell’amore che non si lascia condizionare da ciò che siamo o facciamo, ci avvolge, ci supera, è più grande del nostro cuore.
Maria canta non una promessa, ma un dato di fatto, i verbi al passato dicono che il rovesciamento è già cosa certa, realizzata. Come ha potuto cantare questo? Al suo tempo, il suo popolo era oppresso dalla grande Roma, come altri popoli, i ricchi avevano anche il potere e alla povera gente restava di alimentare le loro fortune e nutrirsi di bucce. Forse era cambiato qualcosa da quel suo incontro con l’angelo da quando quel Figlio aveva cominciato a vivere nel suo grembo?
Sì, era cambiato. Era successo un fatto straordinario per cui tutta la valutazione della storia andava cambiata. Dio era entrato nella storia, si era dichiarato venendo lui stesso a farne parte. Ha scelto per questo una semplice ragazza di provincia, lui stesso farà parte del popolo degli umili che vive del suo lavoro ed è esposto alle trame dei superbi.
Maria vede la storia dalla parte di Dio e vede queste cose già attuate. Perché lo sono: già per Dio i poveri, gli affamati sono i primi alla sua mensa, sono i signori, perché lui ha scelto in Gesù di condividerne la sorte; già quanti si boriano della loro potenza militare, economica, politica sono attori di un teatro senza corrispondenza reale.

Cantare il Magnificat per la chiesa, per noi oggi, vuol dire essere consapevole e dichiarare al mondo la realtà delle beatitudini, la visione che Dio ha della storia. Ogni volta che proclama il Magnificat, la chiesa racconta il mondo con gli occhi di Dio.

Riflessioni.
“Il cammino della Chiesa, al termine del secondo millennio cristiano, implica un rinnovato impegno per la sua missione. Seguendo Colui che disse di sé: ”Dio mi ha mandato per annunciare ai poveri il lieto messaggio”, la Chiesa ha cercato, di generazione in generazione e cerca anche oggi, di compiere la stessa missione. Il suo amore di preferenza per i poveri è iscritto mirabilmente nel Magnificat di Maria. Attingendo dal cuore di Maria, dalla profondità della sua fede, la Chiesa rinnova sempre meglio in sé la consapevolezza che non si può separare la verità su Dio che salva, dalla manifestazione del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili.”

(Giovanni Paolo II)

“I bisogni del Terzo Mondo interpellano la nostra coscienza. E se vogliamo veramente riequilibrare la situazione noi, che facciamo parte di quel quinto della popolazione mondiale che consuma i quattro quinti delle risorse, dobbiamo saper rinunciare a qualcosa e mutare i nostri programmi di sviluppo e di consumo”.
(Giorgio Salina, dirigente dell’Ansaldo in pensione, in “La Repubblica”, 30.04.2000)

“In Italia, le famiglie miliardarie sono 600 mila. Di cui 100 mila assurte recentemente all’Olimpo del denaro grazie alla Borsa.(…) In tutto il mondo il numero di miliardari aumenterà del 50% entro il 2003. (…) Se ci fossero le classifiche dei super-poveri, si vedrebbe che il loro boom è superiore a quello dei super-ricchi.”
(Riccardo Trizio, in “Corriere Economia”, 4.10.2000)

 

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