dopo ogni
brano: gesto
Belem del Parà (Brasile), è la città dove è stata creata la
Convenzione Interamericana per Prevenire, Sanzionare e
Sradicare la Violenza contro la Donna nel '94; qui le
bambine povere, molte delle quali non hanno frequentato
neanche la prima elementare, sono costrette a
prostituirsi, principalmente da marinai stranieri e dai
loro accoliti locali, che considerano questa città il
"paradiso" del lavoro sessuale infantile, dal
momento che non c'è nessuna restrizione apparente
«Sono contro la guerra che vuol dire distruzione,
violenza, rovina. Nessuno dovrebbe essere per la guerra,
soprattutto quando i grandi poteri mondiali si mettono
contro un paese con una guerra iniqua che distruggerÃ
ogni segno di progresso e riporterà il paese al Medioevo.
Missili e bombe non pensano, colpiscono ed esplodono: non
importa se sei un soldato o un civile, se sei giovane o
vecchio, uomo o donna. Tu muori. Dove vai a nasconderti?»
Firmato: una donna irachena di oltre cinquant'anni.
Rania Masri fondatrice e
coordinatrice di Iraq Action Coalition: «La Guerra contro
il popolo iracheno non è finita nel 1991 con la
dichiarazione del cessate il fuoco di George Bush. La
guerra contro gli uomini, le donne e i bambini iracheni è
continuata con selvaggia intensità . Ha solo cambiato
forma: dalle bombe a un agghiacciante silenzio
dell'embargo (…)».
«(…)Subito
dopo la tragedia dell'11 settembre la potenza militare
americana si è messa in moto per punire quelli che in
precedenza erano stati i suoi sgherri. Un Afghanistan
tenuto prigioniero, sanguinante, devastato, affamato,
pauperizzato, colpito dalla siccità , è stato bombardato
fino a farlo cadere nell'oblio, con i sistemi d'arma più
sofisticati e avanzati che siano mai stati creati nella
storia umana. Sono state così versate vite innocenti,
molte più di quelle perse nell'atrocità dell'11
settembre. Non sono state risparmiate neppure gioiose
feste matrimoniali. Il regime dei talebani e i suoi
alleati di Al Qaida sono stati rovesciati senza che
venissero intaccate in modo significativo la loro capacitÃ
militare. Né la coltivazione di oppio, né il potere
dilagante dei signori della guerra sono stati sradicati in
Afghanistan. In questo tormentato paese non ci sono né
pace né stabilità , e neppure si è portato il minimo
rimedio al flagello della povertà estrema, della
prostituzione, del saccheggio sfrenato. Le donne si
sentono molto più insicure che nel passato (…)».
(da
Rawa)
Marzia ha trascorso otto mesi in prigione perché
ha chiesto il divorzio. Un mese fa è stata rilasciata in
attesa del processo, ma potrebbe essere rispedita da suo
marito se il tribunale le negasse il divorzio. Adesso vive
con un parente, uno zio di 95 anni. È stata sposata due
volte. Il primo marito ha sposato una donna più giovane,
ha divorziato da lei, e le ha preso la figlia di due mesi.
A 18 anni un negoziante che aveva 27 anni più di lei l'ha
presa come seconda moglie, "Mi ha detto di non avermi
sposata per avere bambini. Voleva che lavorassi per la sua
prima moglie". Parecchi anni più tardi, Marzia cercò
di ottenere il divorzio. Ma il marito le negò il suo
consenso e la fece restare in prigione per 18 mesi. Otto
mesi fa Marzia ha nuovamente chiesto il divorzio, dopo che
il marito, che lei dice è spesso arrabbiato e violento,
l'ha incatenata in una stanza buia ed umida. Quando il
marito ha nuovamente rifiutato di concederle il divorzio,
è scappata. Ma lui è andato dalle autorità e l'ha fatta
arrestare una seconda volta. Il marito, è una figura
eminente con buone amicizie. Dopo la prima volta che
Marzia è stata costretta a ritornare a casa, il marito la
picchiava molto spesso, "quasi ogni giorno".
"E non ho mai litigato con lui. Non gli ho mai
risposto malamente. Non ho mai gridato perché avevo
paura. Mi sentivo colpevole. Mi vergognavo. Avevo molta
paura che mi avrebbe ucciso". Tre anni fa il marito
le ha rotto tre costole con una bottiglia di Coca Cola
piena perché aveva messo dello yogurt fresco in una
terrina invece di lasciarlo in una borsa in un luogo
fresco. Un'altra volta l'ha colpita con il manico di una
pala.
(dal Sun Jurnal - 27 luglio 2002)
Venerdì
25 maggio due individui si sono presentati presso
l'abitazione di Hebe de Bonafini, la Presidentessa della
Associazione Madri di Plaza de Mayo, affermando di essere
lì per sostituire il telefono di casa. In casa, dal
momento che Hebe si trovava in Brasile per l'attività di
denuncia contro i governi argentini di turno, si trovava
solo la figlia MarÃa Alejandra (35 anni). Il fatto stesso
che i due individui sapessero della richiesta presentata
da Alejandra per la sostituzione del telefono, lascia
dedurre che, come al solito, dietro questa ennesima
violenza si nascondano le forze di polizia, gli assassini
ed i torturatori, con i loro potenti complici e
protettori. I due individui armati procedevano quindi ad
immobilizzare Alejandra, legandola e colpendola
ripetutamente con un manganello, prima agli organi
genitali poi allo stomaco. Successivamente procedevano
alla triste e famosa tortura della "borsa",
pratica che consiste nel porre alla testa della vittima un
sacchetto di plastica. Alejandra, quindi, sveniva ed i due
la portavano allora nel bagno per farla riprendere.
Successivamente, non soddisfatti, i due uomini procedevano
a bruciacchiarle le braccia con mozziconi ardenti di
sigarette. Infine i due individui venivano avvisati
tramite una radio portatile (ennesimo elemento che lascia
supporre la partecipazione delle forze di polizia
argentine) e lasciavano l'appartamento. Il fatto che non
abbiano portato via il computer, catenine d'oro, soldi
ecc.. ma che si siano limitati a mettere a soqquadro
l'abitazione non lascia dubbi sulla natura delle
intenzioni: cercare di interrompere l'implacabile attivitÃ
di denuncia delle violazioni dei diritti umani che le
Madri dei 30.000 desaparecidos portano avanti da anni.
(Donne
in Nero, Bologna)
Tre religiose, Carol Gilbert, Jackie
Hudson e Ardeth Platte, questi i nomi delle donne hanno
partecipato ad una manifestazione contro le installazioni
missilistiche di Colorado Springs e sono state arrestate
per lÂ’azione di disobbedienza civile scaturita dalla
protesta già nel settembre del 2000. Anche allora erano
state arrestate e poi prosciolte per unÂ’azione di
disobbedienza civile sempre in Colorado. In questa
occasione invece all’arresto farà seguito il processo.
In un comunicato le religiose hanno sottolineato che le
ricerche militari spaziali del governo degli Stati Uniti
“portano allo spreco di miliardi di dollari, risorse
umane e materiali, causando la distruzione dellÂ’ambiente
e l’inquinamento dello spazio”. Sono diverse le
religiose e i religiosi che finiscono sotto accusa per la
partecipazione ad azioni di protesta e a favore della
pace.
silenzio
canto: richiesta di perdono
Donne creatrici di pace
dopo
ogni brano: gesto
Secondo
la stessa Relatrice Speciale contro la Violenza verso le
Donne, della Commissione dei Diritti Umani dell'ONU,
Radhika Coomaraswamy, la povertà , originata
dall'applicazione delle politiche di riaggiustamento
strutturale, deve essere classificata come una forma di
violenza economica contro le donne. Di conseguenza, non
solo mancano meccanismi per educare e combattere le
aggressioni caso per caso, ma anche una profonda
trasformazione del modello economico, che potenzi la vita
delle donne accordando loro tutte le qualità e i diritti
degli esseri umani. Affermare la pace nel mondo ha a che
vedere con la necessità di ottenere la piena entrata in
vigore dei diritti umani delle donne, cercando strategie
per mettere fine ai problemi strutturali che generano
violenza, quali: i conflitti armati, deportazioni e
migrazioni forzate, femminilizzazione della povertà ,
diseguaglianze sul lavoro e tutte le violenze chiamate
specifiche o di genere.
(Irene
Leon, di ALAI)
RAWA, l'Associazione Rivoluzionaria delle donne
dell'Afghanistan, è nata a Kabul in Afghanistan nel 1977
come organizzazione indipendente delle donne afghane che
lottano per i diritti umani e per la giustizia sociale in
Afghanistan. I fondatori erano un gruppo di donne
intellettuali afghane sotto la guida di Meena che fu
assassinata nel 1987 a Quetta in Pakistan dagli agenti
afghani dell'allora KGB in connivenza con i
fondamentalisti di Gulbuddin Hekmatyar. L'obbiettivo di
RAWA fu di coinvolgere un crescente numero di donne
afghane in attività politiche e sociali che mirassero a
ottenere diritti umani per le donne e contribuire alla
lotta per il ristabilimento del governo basato su valori
democratici e secolari in Afghanistan. Nonostante
l'atmosfera politica soffocante, RAWA fu presto coinvolta
in diffuse attività in vari ambiti sociopolitici compreso
l'educazione, la sanità e l'economia così come l'attivitÃ
politica.
Dal
rovesciamento del regime fantoccio istallato dai sovietici
nel 1992 il centro principale della battaglia politica di
RAWA è stato contro la politica e le atrocità criminali
dei Talibani fondamentalisti e ultra fondamentalisti in
generale e contro il loro orientamento incredibilmente
ultra maschilista in particolare. A parte le sfide
politiche che RAWA deve affrontare, un lavoro sociale
terribile ci aspetta soprattutto con le donne e con i
bambini incredibilmente traumatizzate ma sfortunatamente
non godiamo al momento il sostegno delle ONG
internazionali per cui i nostri programmi sociali sono
attualmente molto ridotti per mancanza di fondi.
RAWA
possiede più di mezzo centinaio di scuole clandestine in
varie province afghane. Allo stesso modo studiano nei loro
centri in Pakistan circa 700 bambini e bambine. Un
migliaio di donne beneficia oggi di 47 corsi di
alfabetizzazione. In Afghanistan tutelano 33 orfanotrofi
con un massimo di 20 posti in ognuno di essi per motivi di
spazio e sicurezza, mentre in Pakistan gli orfanotrofi che
funzionano sono attualmente 4 con circa 200 giovani; circa
40 donne in Pakistan e altre 100 dentro l'Afghanistan
lavorano nei laboratori che RAWA gestisce per generare
risorse economiche, specialmente per le numerose vedove di
guerra.
In un editoriale di Asianwomenonline.com, successivo
all'attacco anglo-americano contro l'Afghanistan, oltre a
criticare la "guerra contro il terrorismo" si
accenna a guerre meno pubblicizzate: "Quando parliamo
di pace, non illudiamoci che sia sinonimo di assenza di
guerra. Non lo è. Né la pace riguarda la sicurezza solo
di alcune nazioni. Né riguarda meramente i diritti delle
grandi società di imporre i "loro diritti" ai
popoli come è stato fatto grazie ad alcuni accordi e alle
pratiche dell'Organizzazione mondiale del commercio.
L'esempio più recente è quello dei brevetti riguardanti
la chimica e la medicina, negati ai paesi in via di
sviluppo in quanto non in grado di pagare alle grandi
aziende le enormi somme di denaro richieste (Â…) La pace
è un alleato per i bambini e per le donne che cercano di
creare un mondo migliore per se stesse e per le loro
famiglie. La pace può essere raggiunta solo quando le
donne non saranno più considerate delle mere statistiche
nella casualità della guerra ma agenti attivi nel
governare i processi dove i loro diritti sono protetti.
Per realizzare questo c'è bisogno di ridisegnare il
potere attuale in modo più radicale rispetto alla timida
e cieca visione di Blair».
In quattrocento si sono sdraiate nella più famosa piazza di Venezia
per protestare contro le guerre e in particolare contro le
minacce di guerra all'Iraq. È successo domenica 6 ottobre
a piazza San Marco: giovani, non più giovani, volti noti
e sconosciuti, di fedi e provenienze diverse. Tutte
sdraiate per formare le parole Pace, Salam, Peace, Shalom.
L'iniziativa, indetta dal Coordinamento di donne
"Facciamo la pace", ha ricevuto l'adesione di 22
realtà tra associazioni e gruppi.
Colette
Kitoga Habanawema medico in CONGO; ha deciso di studiare
Medicina dopo aver visto morire quattro dei suoi fratelli
di morbillo, malaria e altre malattie facilmente curabili.
Ha lavorato per sette anni in un ospedale della sua cittÃ
e, nel '95, ha progettato di aprire il centro "Mater
Misericordiae" per i bambini vittime della guerra tra
Congo e Ruanda.
Ho fatto di
tutto: ginecologa, pediatra, chirurgo. Mi colpì il fatto
che le donne non venivano seguite affatto durante la
gravidanza, quindi la mortalità infantile e materna era
molto alta, specialmente nelle zone rurali. E, dopo la
morte della madre, molti neonati non riuscivano a
sopravvivere: il latte in polvere costa troppo. Allora ho
cominciato a farli allattare dalle altre puerpere. Ma
l'amministrazione dell'ospedale mi disse che i bambini
orfani non potevano restare, perché occupavano i letti e
non pagavano. Nacque così il primo centro "Mater
Misericordiae"
Poi scoppio
la guerra, l'anno successivo, e i piccoli vennero tutti a
casa mia; poi il numero crebbe: erano in 20, tra i 4 e 16
anni, insieme alle mie nipoti. Per l'aumento dei ragazzi,
decisi di optare per un'altra strada: affidai uno o due
bambini a una famiglia disponibile. L'accoglienza, per
loro, è un gesto quasi eroico, dato che in media una
famiglia a Bukavu ha tra i 5 e i 6 figli. In cambio
assicuravo a tutti le cure mediche necessarie.
Seguiamo
oltre 400 ragazzi, di cui la metà orfani e circa 70
fuggiti dal fronte: testimoni oculari delle stragi e dei
massacri, quindi sempre in pericolo. Hanno visto tutti gli
orrori di questo mondo: si sono drogati, sono stati
picchiati e violentati. Lentamente si normalizzano e ci
aiutano con i nuovi arrivati. All'inizio neppure la loro
famiglia di origine li vuole: alcuni speravano di trovare
una vita migliore entrando nelle fila dell'esercito, altri
sono stati rapiti a forza. Quelli che hanno subito
mutilazioni difficilmente vengono accolti di nuovo; anche
le loro famiglie sono traumatizzate. Ci vuole molta
pazienza con loro: hanno attacchi violenti e rompono tutto
ciò che li circonda. Cerchiamo di avviarli ai corsi
professionali in meccanica o agricoltura; ora stiamo
seguendo anche un progetto per la pesca nel lago Tanganika.
Ma non costringiamo nessuno a studiare: lasciamo che siano
loro stessi a scegliere cosa fare.
Altri sono
testimoni dei massacri: persone sepolte vive o bruciate
vive su cataste di legna, legate mani e piedi e cosparse
di benzina. Nell'ambulatorio seguiamo con la psicoterapia
le ragazze e le donne stuprate dai soldati: una di loro,
18enne, ha deciso di non abortire e ha dato alla luce
Giosuè pochi mesi fa; ora se ne prende cura la mia
famiglia. Molti malati, che ho condotto fino alla morte,
mi hanno aiutato con la loro fede vissuta nella semplicità ,
accettando la loro malattia.
Sogno la
pace. Che gli occhi tristi e pieni di vendetta dei ragazzi
cambino e torni in loro la speranza. La fede mi aiuta: al
centro lavoriamo insieme, cattolici e protestanti, e
iniziamo ogni attività con la preghiera. Lo scorso anno
sono venuti a condividere la nostra esperienza 3 giovani
italiani per due mesi; vorrei che venissero anche gli
studenti in Medicina, per vedere con i loro occhi ciò che
non riesco a raccontare. Sì, abbiamo bisogno di fondi, ma
anche di chi venga ad ascoltarci: talvolta ci sentiamo
abbandonati.
Belgrado
14 Dicembre 1999
Si
è concluso in Serbia il processo contro la prigioniera
politica Flora Brovina, poetessa e medico albanese. La
dottoressa kosovara è stata condannata a 12 anni di
reclusione con l'accusa di terrorismo per aver fornito,
secondo l'unico testimone a suo carico, cibo, vestiti e
medicinali all'UCK.
In
qualità di pediatra Flora Brovina ha fornito servizi
medici ai bambini e alle donne rimaste a Pristina durante
i bombardamenti, fino a che è "scomparsa" il 22
aprile scorso, quando poliziotti in borghese serbi l'hanno
prelevata dalla sua abitazione. "Ho dedicato tutta la
mia vita ai bambini e i bambini non scelgono la loro
etnia, i bambini non sanno a quale gruppo etnico
appartengono se i loro genitori non glielo dicono. Con i
miei pazienti, io non ho mai fatto distinzioni in base
alla loro etnia, alla loro religione o alle scelte
ideologiche dei loro genitori.
Il
mio dovere è stato consacrare me stessa anche come donna,
come medico, come poeta all'emancipazione della donna
albanese, alla sua coscientizzazione, ai diritti umani
delle donne per aiutarle a lottare per la loro libertà , a
capire che senza indipendenza economica non si può
riuscire nella vita né essere libere. Attraverso la Lega
delle Donne Albanesi, ho creato ponti di amicizia nel
paese e nel mondo intero. Noi abbiamo collaborato al
massimo con le donne serbe. Le donne serbe mi hanno dato
il massimo appoggio, forse loro conoscevano meglio i
nostri problemi, e loro stesse hanno presentato i nostri
problemi meglio. Le donne albanesi del Kosovo non
dimenticheranno mai questo.
Lotterò
sempre per i diritti delle donne. Dal momento che la corte
mi ha accusato di avere lottato per la secessione del
Kosovo e l'annessione all'Albania, io ripeto: il mio paese
è dove sono i miei amici e dove le mie poesie sono lette.
(Stasa
Zajovic, donne in nero, Belgrado)
Gerusalemme, 28 dicembre 2001
Oltre 3000 pacifisti - israeliani, europei e nordamericani - hanno
accolto l'invito della Coalition of Women for a Just Peace
a manifestare silenziosamente per le strade di Gerusalemme
nell'ultimo venerdì dell'anno.
l'idea delle Donne in Nero è nata a Gerusalemme,
durante la prima Intifada (1988), come dimostrazione di
lutto per le morti inutili da entrambe le parti e riprende
l'esempio delle Madri di Maggio, in Argentina. I
fondamentali sono: due stati per due popoli; mettere fine
all'occupazione e ristabilire i confini del '67; assumersi
la responsabilità dei problemi creati ai palestinesi con
la formazione dello stato di Israele (problema dei
rifugiati); mettere fine alla politica dei militari e
della violenza e dare spazio alla politica delle donne,
che devono avere un ruolo attivo nei negoziati di pace.
Windows è un'organizzazione israelo-palestinese che ha
come obiettivo la promozione della conoscenza reciproca
come base per la costruzione del dialogo. I campi di
attività sono essenzialmente tre: 1) una rivista
bimensile per ragazzi (10-14 anni) dove vengono trattati
tutti i temi sollecitati dai giovani lettori, dallo sport
all'identità nazionale. La collaborazione tra le due
parti è assai difficile dopo l'Intifada, ma continua. Il
gruppo redazionale sta lavorando ora alla messa a punto di
strumenti educativi che possano aiutare genitori e
insegnanti ad affrontare con i ragazzi i problemi attuali.
2) Un centro dell'amicizia a Tel Aviv, con programmi
culturali di vario tipo, che si prefigge di far conoscere
agli israeliani il punto di vista dei palestinesi. Esiste
un progetto per la creazione di centri analoghi in campo
palestinese, attualmente bloccato per la situazione di
conflitto. 3) Attività di aiuto umanitario ai rifugiati
(cibo, giochi) e di sostegno ai bambini di famiglie
disagiate nella città di Giaffa.
condivisione
(canto...)
Magnificat
Per
te, Dio e Signore, io canto,
io
mio canto trabocca di gioia;
proprio
me sei venuto a cercare
fra
le tante donne del popolo.
Mi
diranno beata gli uomini
del
mio popolo e di ogni nazione
perché
in me germoglia il seme
della
tua grande potenza, Signore.
Tu
segui con trepida cura
ogni
essere che palpita di vita,
ogni
uomo che nasce in terra
è
tuo figlio amato e voluto.
La
tua forza d'amore, Signore,
rovina
i progetti dei superbi,
depone
dai troni i potenti
e
innalza i puri di cuore.
Ai
poveri doni ogni bene
spogliando
i ricchi orgogliosi;
soccorri
chi invoca il tuo nome
perché
ami ogni uomo che soffre.
Sei
fedele ad ogni promessa
fatta
ai tuoi servi, i profeti,
esaudisci
tutte le attese
perché
il canto non abbia mai fine.
A
te Dio e Signore la gloria,
a
te Figlio di Dio la lode,
a
te Spirito sorgente di vita
l'amore
nei secoli, amen!