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Un saluto dal Karamoja

di Paolo Rizzetto dall'Uganda

Un caldo saluto dal

Karamoja

di Paolo Rizzetto

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TESTIMONI DELLA CARITA'

PROVOCAZIONI DI P.ALEX 

 

Carissimi,

un caldo saluto dall’Uganda ancor più specialmente dal Karamoja! Sono passate ormai  alcune settimane dal mio arrivo nella Madre Africa ed ho pensato di scrivervi qualcosa delle tante e nuove sensazioni che sto vivendo all’inizio di questa esperienza che, come sapete, si protrarrà per circa 6 mesi.

Dopo alcuni giorni passati presso la Procura dei Comboniani a Kampala, la capitale, via terra, ho viaggiato verso Matany dove è attivo il St. Kizito Hospital, credo, il presidio ospedaliero più importante per l’intera regione. Parte del viaggio è stata effettuata su strada asfaltata seguendo il percorso che il Nilo effettua dal lago Vittoria e dal lago Kyoga, verso il Sudan e l’Egitto mentre l’ultimo tratto, lungo le polverose piste che da Soroti raggiungono il Karamoja, questa regione di altipiano il cui paesaggio è unico al mondo. Certo le parole non riescono a descrivere come ti mozza il fiato…

A destra ed a sinistra della strada, il deserto occupa la visuale fino all’orizzonte, cedendo ogni tanto il posto a dei rilievi dalle forme strane, probabilmente ciò che rimane delle cime di antiche montagne corrose dai venti e dal sole. Al  momento in cui sono arrivato, si stava consumando la stagione secca, che inizia a settembre – ottobre, durante la quale non piove mai. La savana sembra un deserto dal cui suolo spuntano  frattanto degli arbusti spinosi e rarissimi alberi:quando iniziano le piogge tutto rinverdisce ed i germogli miracolosamente si sporgono a sfidare il caldo sole tropicale.

Sono stato accompagnato da P. Mauro, dal Dr Stefano, Medical Superintendent dell’ospedale e dal Dr. Pierluigi,anche lui con una grande esperienza di Karamoja:  Mauro ritorna in Karamoja dopo 12 anni di presenza in Italia. Stefano e Pierluigi sono medici del CUAMM. Durante il viaggio sono stati loro ad iniziarmi ad alcuni dei misteri di questo mondo, ancora così nuovo  per me.

La Missione e l’attiguo ospedale si trovano a circa  40 Km in direzione sud-ovest dal capoluogo di distretto, la città di Moroto. Tutte le costruzioni hanno solo il piano terra ed all’interno del compound della Missione il paesaggio è meno arido grazie al grandissimo lavoro di Roberto, laico missionario che ogni anno riesce a piantare 2000 alberi.

Qui la Comunità dei Comboniani è formata da 4 persone: P. Damiano, parroco e superiore, P. Mauro, Roberto e Fr. Angelo a cui ci siamo aggiunti io e Peter un Laico Missionario Comboniano che si fermerà 3 anni aiutando Roberto con il Tecnical Workshop.

Ci sono altri 2 medici italiani, Erik e Carmen, la famiglia di Stefano -la moglie Raffaella e i due figli Benedetta e Michele- oltre alle Suore Missionarie Comboniane con cui condividiamo spesso vita e Preghiera. Tutto contribuisce a creare un ambiente famigliare

La regione, collocata al confine con il Kenya ed a Nord con il Sud Sudan, è poverissima: le condizioni geografiche rendono l’agricoltura estremamente difficile –1 raccolto ogni 2 anni a volte….- e la tradizionale attività portata avanti dai Karimojong rimane tenacemente la pastorizia.

Per secoli le vacche hanno rappresentato il sostentamento e la maledizione dei Karimojong: sostentamento perché la vacca è effettivamente la sorgente della ricchezza di un clan; maledizione perché spesso vengono organizzati dei raids allo scopo di recuperare o sottrarre capi caduti in mano agli altri clan. Ultimamente preoccupa la situazione di tensione ce si è venuta a creare a causa delle razzie tra i gruppi Bokora e Jie.

Il possesso di mandrie fonda il sistema famigliare e sociale di questo popolo di pastori nomadi che, lungo il corso dell’anno, si spostano alla ricerca di pascoli floridi: tutta la lingua e la cultura, come anche la letteratura e l’arte ruotano attorno al concetto della vacca: sembra che anche i nomi propri delle persone sono ricavate dalle caratteristiche dell’animale che possiedono. Solo il giovane che possiede delle vacche da dare in dote può sposarsi.

 I Karimojong sono un popolo molto fiero, che porta addosso, credo, le cicatrici della durezza della vita nella regione aspra che abitano: un popolo, quindi, naturalmente selezionato dalle condizioni di siccità e scarsità di risorse. Fisicamente prestanti, spesso mostrano i segni delle passate battaglie o di incidenti. Hanno sviluppato una grandissima abilità  a sopravivere in condizioni per noi occidentali proibitive.

Si definiscono guerrieri ma dagli altri sono definiti razziatori, ladri, assassini…

Questa triste fama è la conseguenza dei ripetuti raids che essi portano ai danni delle tribù vicine, o anche tra diversi clan della stessa etnia, sempre allo scopo di possedere mandrie più numerose. E’ molto difficile capire e ancor più entrare in questa cultura: sicuramente molti suoi aspetti richiedono per poter essere colti, molti anni di studio della lingua, delle tradizioni e della storia di questo popolo e mi rendo conto che non ho ancora tutte le basi per poter esprimere un giudizio. In condizioni di tale asperità del territorio la razzia ha costituito un mezzo per sopravvivere e, di fronte al villaggio, l’uomo mostra il suo valore nella sua abilità a sottrarre animali al nemico. Purtroppo questo oggi viene fatto con potenti armi automatiche, che a dispetto di qualsiasi embargo continuano ad arrivare  in questa regione di confine tra Sudan Kenya e Uganda, portando spesso alla degenerazione un conflitto che, forse , all’inizio aveva si, delle conseguenze gravi ma più contenute di oggi. Certo l’ospedale è un luogo sicuro ma spesso la gente non vi arriva in tempo. Ripercorrere la storia di questo popolo è molto indaginoso: sicuramente viene subito facile a me muzungu – uomo bianco-, scagliare il sasso della condanna. Sto qui per troppo poco tempo per permettermi il giudizio. Quello che è certo è che da una storia di violenza è nata inevitabilmente altra violenza. Ciò che è invece è scandaloso è il fatto che il governo ha i mezzi per portare a termine questa situazione di instabilità ma tutto lascia pensare che non abbia alcuna intenzione di farlo.

 Per quanto mi riguarda, nei primi giorni ho cercato prima di tutto di capire dove mi trovassi e di inserirmi nel lavoro dell’ospedale che è molto frenetico oltre che abbastanza diverso da quelli a cui, almeno io, ero “abituato”.

L’ospedale ha 226 posti letto ripartiti in cinque padiglioni –wards- adibiti al ricovero, una sala operatoria, la Maternità, un servizio di Radiografie e Ultrasound,  il laboratorio e l’Out Patient Department, (l’analogo del nostro pronto Soccorso). Esiste anche un’unità che si occupa degli interventi sul territorio.

Il lavoro è tanto, pur potendo contare su 2 medici e 4clinical officers ugandesi. Spesso capitano all’ospedale degli sparati, coinvolti direttamente o indirettamente in una razzia proprio come successo nel pomeriggio del mercoledì santo.

La missione dell’ospedale è quella di fornire prestazioni in modo equo e competente in modo da facilitare l’accesso alle cure a quelle fasce di popolazione più vulnerabili.

Questo richiede un lavoro di management molto intenso da parte di Stefano che tuttavia mi sta dedicando molto tempo per aiutarmi ad inserirmi nel lavoro dell’ospedale. Stefano è proprio una benedizione per questa gente che in più occasioni, parlando a noi e agli infermieri ha chiamato “la nostra gente”, anche se qualche volta lo fanno arrabbiare.

La gente è molto amichevole, scherzosa e sempre pronta a salutare ed a scambiare due parole, quando ti incontra. Purtroppo, attualmente la  mia capacità di comunicare limitata a causa della lingua molto difficile da imparare che si parla qui. In ospedale posso parlare in inglese ma la gente spesso parla solo Karimojong: per questo, è stata aperta una scuola infermieri che accoglie per lo più gente del posto: essi sono fondamentali per poter portare un servizio alle persone ammalate; inoltre sei praticamente forzato a cooperare il che non può che fare bene.

Più di tutti ti sprogrammano i bambini: alcuni sanno scherzare anche se sono costretti  su un letto d’ospedale. C’è un gruppetto di loro che ravviva l’ospedale con urla e schiamazzi.

Condivido con voi e affido al vostro ricordo un certo senso di fragilità di fronte al servizio che stiamo portando avanti in ospedale: so di essere appena all’inizio e spesso penso di non riuscire ancora a capire in che lingua mi stia parlando una persona ma a volte mi convinco che questa gente, la nostra gente, meriterebbe di più di quanto posso/possiamo offrire in termini di competenza professionale: a volte le situazioni sono tali che ciò che si può fare è tamponare le conseguenze di una malattia troppo a lungo trascurata o di una ferita troppo grave. Ho la speranza che portando alla luce le situazioni che vengo ad incontrare lo Spirito sappia suscitare nei  nostri cuori nuovo entusiasmo e donarci la creatività dell’amore, quella di cui parlava Annalena Tonelli. Da sempre, Dio dona a tutti i suoi figli la fraternità che ci lega tutti.

 Essendo arrivato alla fine della Quaresima ho potuto partecipare alle celebrazioni di preparazione alla Pasqua. La Domenica delle Palme ci siamo raccolti al di fuori della chiesa parrocchiale e, in processione, abbiamo raggiunto un albero distante circa 3 Km, molto grande, sotto il quale tradizionalmente gli anziani si ritrovavano a pregare per la Pace. Anche noi abbiamo celebrato, con la gente, sotto l’Albero della Pace, la Messa delle Palme ascoltando il Vangelo della Passione.

Abbiamo celebrato la Messa del Giovedì Santo con il Vescovo, a Moroto: Damiano mi aveva trovato un posticino vicino al presbiterio dal quale non ho potuto veder un granché, ma ero di nuovo vicino ai bambini e mi sono divertito un sacco. Credo che in questo tempo di iniziazione, il mio posto sia con loro.

Il Venerdì Santo ci siamo riuniti per la Via Crucis salendo fino alla Matany Hill, a circa 5 Km dalla missione, alla cui sommità c’è la Croce. Credo che visto ciò che è successo durante la settimana tutti abbiamo rinnovato il nostro impegno a pregare per la Pace per questa terra

 Per ora è tutto. Mi sento sempre accompagnato dalla vostra Preghiera che, vi chiedo, di allargare anche a questa terra ed alla sua gente, abbracciandola e presentando davanti a Dio il suo desiderio, a volte soffocato, di Pace e Vita.

Un abbraccio forte a tutti voi e il sincero augurio di Vita in Pienezza per questa Pasqua e per tutto il tempo che ad essa segue: continui ad essere un tempo di Resurrezione.

 

Paolo postulante comboniano fraternamente in cammino nel Karamoja

 

Paolo è postulante comboniano candidato fratello. Dopo essersi laureato in medicina a Padova è partito per l'Uganda (l'1 marzo 2005) per sei mesi di condivisione e servizio nell'ospedale di Matany..

 

 

 

 

 

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Lettera di Padre Maurizio Mulengera

 

 

 

 

 

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Lettera di Padre Mario

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