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Le ultime lettere
di Rachel ci raccontano della Palestina così come lei l'ha
conosciuta... |
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Ciao amici e famiglia e tutti gli altri,
sono in Palestina da due settimane e un'ora e non ho ancora parole
per descrivere ciò che vedo. È difficilissimo per me pensare a cosa
sta succedendo qui quando mi siedo per scrivere alle persone care
negli Stati Uniti. È come aprire una porta virtuale verso il lusso.
Non so se molti bambini qui abbiano mai vissuto senza i buchi dei
proiettili dei carri armati sui muri delle case e le torri di un
esercito che occupa la città che li sorveglia costantemente da
vicino. Penso, sebbene non ne sia del tutto sicura, che anche il più
piccolo di questi bambini capisca che la vita non è così in ogni
angolo del mondo. Un bambino di otto anni è stato colpito e ucciso
da un carro armato israeliano due giorni prima che arrivassi qui e
molti bambini mi sussurrano il suo nome - Alì - o indicano i
manifesti che lo ritraggono sui muri. I bambini amano anche farmi
esercitare le poche conoscenze che ho di arabo chiedendomi "Kaif
Sharon?" "Kaif Bush?" e ridono quando dico, "Bush Majnoon", "Sharon
Majnoon" nel poco arabo che conosco. (Come sta Sharon? Come sta Bush?
Bush è pazzo. Sharon è pazzo.). Certo, questo non è esattamente
quello che credo e alcuni degli adulti che sanno l'inglese mi
correggono: "Bush mish Majnoon" ... Bush è un uomo d'affari. Oggi ho
tentato di imparare a dire "Bush è uno strumento" (Bush is a tool),
ma non penso che si traduca facilmente. In ogni caso qui si trovano
dei ragazzi di otto anni molto più consapevoli del funzionamento
della struttura globale del potere di quanto lo fossi io solo pochi
anni fa.
Tuttavia, nessuna lettura, conferenza, documentario o passaparola
avrebbe potuto prepararmi alla realtà della situazione che ho
trovato qui. Non si può immaginare a meno di vederlo, e anche allora
si è sempre più consapevoli che l'esperienza stessa non corrisponde
affatto alla realtà: pensate alle difficoltà che dovrebbe affrontare
l'esercito israeliano se sparasse a un cittadino statunitense
disarmato, o al fatto che io ho il denaro per acquistare l'acqua
mentre l'esercito distrugge i pozzi e naturalmente al fatto che io
posso scegliere di andarmene. Nessuno nella mia famiglia è stato
colpito, mentre andava in macchina, da un missile sparato da una
torre alla fine di una delle strade principali della mia città. Io
ho una casa. Posso andare a vedere l'oceano. Quando vado a scuola o
al lavoro posso essere relativamente certa che non ci sarà un
soldato, pesantemente armato, che aspetta a metà strada tra Mud Bay
e il centro di Olympia a un checkpoint, con il potere di decidere se
posso andarmene per i fatti miei e se posso tornare a casa quando ho
finito.
Dopo tutto questo peregrinare, mi trovo a Rafah: una città di circa
140.000 persone, il 60% di questi sono
profughi, molti di loro due o tre volte profughi. Oggi, mentre
camminavo sulle macerie, dove una volta sorgevano delle case, alcuni
soldati egiziani mi hanno rivolto la parola dall'altro lato del
confine. "Vai! Vai!" mi hanno gridato, perché si avvicinava un carro
armato.
E
poi mi hanno salutata e mi hanno chiesto "come ti chiami?". C'è
qualcosa di preoccupante in questa curiosità amichevole. Mi ha fatto
venire in mente in che misura noi, in qualche modo, siamo tutti
bambini curiosi di altri bambini. Bambini egiziani che urlano a
donne straniere che si avventurano sul percorso dei carri armati.
Bambini palestinesi colpiti dai carri armati quando si sporgono dai
muri per vedere cosa sta accadendo. Bambini di tutte le nazioni che
stanno in piedi davanti ai carri armati con degli striscioni.
Bambini israeliani che stanno in modo anonimo sui carri armati, di
tanto in tanto urlano e a volte salutano con la mano, molti di loro
costretti a stare qui, molti semplicemente aggressivi, sparano sulle
case mentre noi ci allontaniamo.
Ho avuto difficoltà a trovare informazioni sul resto del mondo qui,
ma sento dire che un'escalation nella guerra contro l'Iraq è
inevitabile. Qui sono molto preoccupati della "rioccupazione di
Gaza". Gaza viene rioccupata ogni giorno in vari modi ma credo che
la paura sia quella che i carri armati entrino in tutte le strade e
rimangano qui invece di entrare in alcune delle strade e ritirarsi
dopo alcune ore o dopo qualche giorno a osservare e sparare dai
confini delle comunità. Se la gente non sta già pensando alle
conseguenze di questa guerra per i popoli dell'intera regione, spero
che almeno lo iniziate a fare voi.
Un saluto a tutti.
Un saluto alla mia mamma. Un saluto a smooch. Un saluto a Fg e a
Barnhair e a Sesamees e alla Lincoln School. Un saluto a Olympia.
Rachel
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20 Febbraio 2003
Mamma, adesso l'esercito israeliano è arrivato al punto di
distruggere con le ruspe la strada per Gaza, ed entrambi i
checkpoint principali sono chiusi. Significa che se un palestinese
vuole andare ad iscriversi all'università per il prossimo
quadrimestre non può farlo. La gente non può andare al lavoro,
mentre chi è rimasto intrappolato dall'altra parte non può tornare a
casa; e gli internazionali, che domani dovrebbero essere ad una
riunione delle loro organizzazioni in Cisgiordania, non potranno
arrivarci in tempo. Probabilmente ce la faremmo a passare se
facessimo davvero pesare il nostro privilegio di internazionali
dalla pelle bianca, ma correremmo comunque un certo rischio di
essere arrestati e deportati, anche se nessuno di noi ha fatto
niente di illegale.
La striscia di Gaza è ora divisa in tre parti. C'è chi parla della
"rioccupazione di Gaza", ma dubito seriamente che stia per succedere
questo, perché credo che in questo momento sarebbe una mossa
geopoliticamente stupida da parte di Israele. Credo che dobbiamo
aspettarci piuttosto un aumento delle piccole incursioni al di sotto
del livello di attenzione dell'opinione
pubblica internazionale, e forse il paventato "trasferimento di
popolazione".
Per il momento non mi muovo da Rafah, non penso di partire per il
nord. Mi sento ancora relativamente al sicuro e nell'eventualità di
un'incursione più massiccia credo che, per quanto mi riguarda, il
rischio più probabile sia l'arresto. Un'azione militare per
rioccupare Gaza scatenerebbe una reazione molto più forte di quanto
non facciano le strategie di Sharon basate sugli omicidi che
interrompono i negoziati di pace e sull'arraffamento delle terre,
strategie che al momento stanno servendo benissimo allo scopo di
fondare colonie dappertutto, eliminando lentamente ma
inesorabilmente ogni vera possibilità di autoderminazione
palestinese. Sappi che un mucchio di palestinesi molto simpatici si
sta prendendo cura di me. Mi sono presa una lieve influenza e per
curarmi mi hanno dato dei beveroni al limone buonissimi. E poi la
signora che ha le chiavi del pozzo dove ancora dormiamo mi chiede
continuamente di te. Non sa una parola d'inglese ma riesce a
chiedermi molto spesso della mia mamma - vuole essere sicura che ti
chiami.
Un abbraccio a te, a papà, a Sara, a Chris e a tutti.
Rachel
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27 Febbraio 2003 (alla
madre)
Vi voglio bene. Mi mancate davvero. Ho degli incubi terribili, sogno
i carri armati e i bulldozer fuori dalla nostra casa, con me e voi
dentro. A volte, l'adrenalina funge da anestetico per settimane di
seguito, poi improvvisamente la sera o la notte la cosa mi colpisce
di nuovo: un po' della realtà della situazione. Ho proprio paura per
la gente qui. Ieri ho visto un padre che portava fuori i suoi
bambini piccoli, tenendoli per mano, alla vista dei carri armati e
di una torre di cecchini e di bulldozer e di jeep, perché pensava
che stessero per fargli saltare in aria la casa. In realtà,
l'esercito israeliano in quel momento faceva detonare un esplosivo
nel terreno vicino, un esplosivo piantato, a quanto pare, dalla
resistenza palestinese.
Questo è nella stessa zona in cui circa 150 uomini furono
rastrellati la scorsa domenica e confinati fuori dall'insediamento
mentre si sparava sopra le loro teste e attorno a loro, e mentre i
carri armati e i bulldozer distruggevano 25 serre, che davano da
vivere a 300 persone. L'esplosivo era proprio davanti alle serre,
proprio nel punto in cui i carri armati sarebbero entrati, se
fossero ritornati.
Mi spaventava pensare che per quest'uomo, era meno rischioso
camminare in piena vista dei carri armati che restare in casa. Avevo
proprio paura che li avrebbero fucilati tutti, e ho cercato di
mettermi in mezzo, tra loro e il carro armato. Questo succede tutti
i giorni, ma proprio questo papà con i suoi due bambini così tristi,
proprio lui ha colto la mia attenzione in quel particolare momento,
forse perché pensavo che si fosse allontanato a causa dei nostri
problemi di traduzione.
Ho pensato tanto a quello mi avete detto per telefono, di come la
violenza dei palestinesi non migliora la situazione. Due anni fa,
sessantamila operai di Rafah lavoravano in Israele. Oggi, appena 600
possono entrare in Israele per motivi di lavoro. Di questi 600,
molti hanno cambiato casa, perché i tre checkpoint che ci sono tra
qui e Ashkelon (la città israeliana più vicina) hanno trasformato
quello che una volta era un viaggio di 40 minuti in macchina in un
viaggio di almeno 12 ore, quando non impossibile. Inoltre, quelle
che nel 1999 erano le potenziali fonti di crescita economica per
Rafah sono oggi completamente distrutte: l'aeroporto internazionale
di Gaza (le piste demolite, tutto chiuso); il confine per il
commercio con l'Egitto (oggi con una gigantesca torre per cecchini
israeliani al centro del punto di attraversamento); accesso al mare
(tagliato completamento durante gli ultimi due anni da un checkpoint
e dalla colonia di Gush Katif).
Dall'inizio di questa intifada, sono state distrutte circa 600 case
a Rafah, in gran parte di persone che non avevano alcun rapporto con
la resistenza, ma vivevano lungo il confine. Credo che Rafah oggi
sia ufficialmente
il posto più
povero del mondo.
Esisteva una classe media qui, una volta. Ci dicono anche che le
spedizioni dei fiori da Gaza verso l'Europa venivano, a volte,
ritardate per due settimane al valico di Erez per ispezioni di
sicurezza. Potete immaginarvi quale fosse il valore di fiori
tagliati due settimane prima sul mercato europeo, quindi il mercato
si è chiuso. E poi sono arrivati i bulldozer, che distruggono gli
orti e i giardini della gente. Cosa rimane per la gente da fare?
Ditemi se riuscite a pensare a qualcosa. Io non ci riesco.
Se la vita e il benessere di qualcuno di noi fossero completamente
soffocati, se vivessimo con i nostri bambini in un posto che ogni
giorno diventa più piccolo, sapendo, grazie alle nostre esperienze
passate, che i soldati e i carri armati e i bulldozer ci possono
attaccare in qualunque momento e distruggere tutte le serre che
abbiamo coltivato da tanto tempo, e tutto questo mentre alcuni di
noi vengono picchiati e tenuti prigionieri assieme a 149 altri per
ore: non pensate che forse cercheremmo di usare dei mezzi un po'
violenti per proteggere i frammenti che ci restano? Ci penso
soprattutto quando vedo distruggere gli orti e le serre e gli alberi
da frutta: anni di cure e di coltivazione. Penso a voi, e a quanto
tempo ci vuole per far crescere le cose e quanta fatica e quanto
amore ci vuole. Penso che in una simile situazione, la maggior parte
della gente cercherebbe di difendersi come può. Penso che lo farebbe
lo zio Craig. Probabilmente la nonna la farebbe. E penso che lo
farei anch'io.
Mi avete chiesto della
resistenza non violenta. Quando l'esplosivo è saltato ieri, ha
rotto tutte le finestre nella casa della famiglia. Mi stavano
servendo del tè, mentre giocavo con i bambini. Adesso è un brutto
momento per me. Mi viene la nausea a essere trattata sempre con
tanta dolcezza da persone che vanno incontro alla catastrofe. So che
visto dagli Stati Uniti, tutto questo sembra iperbole. Sinceramente,
la grande gentilezza della gente qui, assieme ai tremendi segni di
deliberata distruzione delle loro vite, mi fa sembrare tutto così
irreale. Non riesco a credere che qualcosa di questo genere possa
succedere nel mondo senza che ci siano più proteste. Mi colpisce
davvero, di nuovo, come già mi era successo in passato, vedere come
possiamo far diventare così orribile questo mondo. Dopo aver parlato
con voi, mi sembrava che forse non riuscivate a credere
completamente a quello che vi dicevo. Penso che sia meglio così,
perché credo soprattutto all'importanza del pensiero critico e
indipendente. E mi rendo anche conto che, quando parlo con voi,
tendo a controllare le fonti di tutte le mie affermazioni in maniera
molto meno precisa. In gran parte questo è perché so che fate anche
le vostre ricerche. Ma sono preoccupata per il lavoro che svolgo.
Tutta la situazione che ho descritto, assieme a tante altre cose,
costituisce un'eliminazione, a volte graduale, spesso mascherata, ma
comunque massiccia, e una distruzione, delle possibilità di
sopravvivenza di un particolare gruppo di persone.
Ecco quello che vedo qui. Gli assassini, gli attacchi con i razzi e
le fucilazioni dei bambini sono atrocità, ma ho tanta paura che se
mi concentro su questi, finirò per perdere il contesto. La grande
maggioranza della gente qui, anche se avesse i mezzi per fuggire
altrove, anche se veramente volesse smetterla di resistere sulla
loro terra e andarsene semplicemente (e questo sembra essere uno
degli obiettivi meno nefandi di Sharon), non può andarsene.
Perché non possono entrare in Israele per chiedere un visto e perché
i paesi di destinazione non li farebbero entrare: parlo sia del
nostro paese che di quelli arabi. Quindi penso che quando la gente
viene rinchiusa in un ovile - Gaza - da cui non può uscire, e viene
privata di tutti i mezzi di sussistenza, ecco, questo credo che si
possa qualificare come genocidio.
Anche se potessero uscire, credo che si potrebbe sempre qualificare
come genocidio. Forse potreste cercare una definizione di genocidio
secondo il diritto internazionale. Non me la ricordo in questo
momento. Spero di riuscire con il tempo a esprimere meglio questi
concetti. Non mi piace usare questi termini così carichi. Credo che
mi conoscete sotto questo punto di vista: io do veramente molto
valore alle parole. Cerco davvero di illustrare le situazioni e di
permettere alle persone di tirare le proprie conclusioni. Comunque,
mi sto perdendo in chiacchiere.
Voglio solo scrivere alla mamma per dirle che sono
testimone di questo genocidio cronico e insidioso, e che ho
davvero paura, comincio a mettere in discussione la mia fede
fondamentale nella bontà della natura umana. Bisogna che finisca.
Credo che sia una buona idea per tutti noi, mollare tutto e dedicare
le nostre vite affinché ciò finisca. Non penso più che sia una cosa
da estremisti. Voglio davvero andare a ballare al suono di Pat
Benatar e avere dei ragazzi e disegnare fumetti per quelli che
lavorano con me. Ma voglio anche che questo finisca. Quello che
provo è incredulità mista a orrore. Delusione. Sono delusa, mi rendo
conto che questa è la realtà di base del nostro mondo e che noi ne
siamo in realtà partecipi. Non era questo che avevo chiesto quando
sono entrata in questo mondo. Non era questo che la gente qui
chiedeva quando è entrata nel mondo. Non è questo il mondo in cui tu
e papà avete voluto che io entrassi, quando avete deciso di farmi
nascere. Non era questo che intendevo, quando guardavo il lago
Capital e dicevo, "questo è il vasto mondo e sto arrivando!" Non
intendevo dire che stavo arrivando in un mondo in cui potevo vivere
una vita comoda, senza alcuno sforzo, vivendo nella completa
incoscienza della mia partecipazione a un genocidio.
Sento altre forti esplosioni fuori, lontane, da qualche parte.
Quando tornerò dalla Palestina, probabilmente soffrirò di incubi e
mi sentirò in colpa per il fatto di non essere qui, ma posso
incanalare tutto questo in altro lavoro. Venire qui è stata una
delle cose migliori che io abbia mai fatto. E quindi, se sembro
impazzita, o se l'esercito israeliano dovesse porre fine alla loro
tradizione razzista di non far male ai bianchi, attribuite il motivo
semplicemente al fatto che io mi trovo in mezzo a un genocidio che
io anch'io sostengo in maniera indiretta, e del quale il mio governo
è in larga misura responsabile. Voglio bene a te e a papà.
Scusatemi il lungo papiro. OK, uno sconosciuto vicino a me mi ha
appena dato dei piselli, devo mangiarli e ringraziarli.
Rachel
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28 Febbraio 2003 (alla
madre)
Grazie, mamma, per la tua risposta alla mia e-mail. Mi aiuta davvero
ricevere le tue parole, e quelle di altri che mi vogliono bene.
Dopo averti scritto ho perso i contatti con il mio gruppo per circa
dieci ore: le ho passate in compagnia di una famiglia che vive in
prima linea a Hi Salam. Mi hanno offerto la cena, e hanno pure la
televisione via cavo. Nella loro casa le due stanze che danno sulla
facciata sono inutilizzabili perché i muri sono crivellati da colpi
di arma da fuoco, perciò tutta la famiglia - padre, madre e tre
bambini-dorme nella stanza dei genitori. Io ho dormito sul
pavimento, accanto a Iman, la bimba più piccola, e tutti eravamo
sotto le stesse coperte.
Ho aiutato un po' il figlio maschio con i compiti d'inglese e
abbiamo guardato tutti insieme Pet Semetery, che è un film davvero
terrificante. Penso che per loro sia stato un gran divertimento
vedere come quasi non riuscivo a guardarlo. Da queste parti il
giorno festivo è venerdì, e quando mi sono svegliata stavano
guardando i Gummy Bears doppiati in arabo. Così ho fatto colazione
con loro, e sono rimasta un po' lì seduta così, a godermi la
sensazione di stare in mezzo a quel groviglio di coperte, insieme
alla famiglia che guardava quello che a me faceva l'effetto dei
cartoni della domenica mattina. Poi ho fatto un pezzo di strada a
piedi fino a B'razil, che è dove vivono Nidal, Mansur, la Nonna,
Rafat e tutto il resto della grande famiglia che mi ha letteralmente
adottata a cuore aperto. (A proposito, l'altro giorno, la Nonna mi
ha fatto una predica mimata in arabo: era tutto un gran soffiare e
additare lo scialle nero. Sono riuscita a farle dire da Nidal che
mia madre sarebbe stata contentissima di sapere che qui c'è qualcuno
che mi fa le prediche sul fumo che annerisce i polmoni).
Ho conosciuto una loro cognata, che è venuta a trovarli dal campo
profughi di Nusserat, e ho giocato con il suo bebè. L'inglese di
Nidal migliora di giorno in giorno. È lui a chiamarmi "sorella". Ha
anche cominciato ad insegnare alla Nonna a dire "Hello.
How are you?" in inglese. Si sente
costantemente il rumore dei carri armati e dei bulldozer che
passano, eppure tutte queste persone riescono a mantenere un sincero
buon umore, sia tra loro che nei rapporti con me.
Quando sono in compagnia di amici palestinesi mi sento un po' meno
orripilata di quando cerco di impersonare il ruolo di osservatrice
sui diritti umani o di raccoglitrice di testimonianze, o di quando
partecipo ad azioni di resistenza diretta. Danno un ottimo esempio
del modo giusto di vivere in mezzo a tutto questo nel lungo periodo.
So che la situazione in realtà li colpisce - e potrebbe alla fine
schiacciarli - in un'infinità di modi, e tuttavia mi lascia
stupefatta la forza che dimostrano riuscendo a difendere in così
grande misura la loro umanità - le risate, la generosità, il tempo
per la famiglia - contro l'incredibile orrore che irrompe nelle loro
vite e contro la presenza costante della morte.
Dopo stamattina mi sono sentita molto meglio. In passato ho scritto
tanto sulla delusione di scoprire, in qualche misura direttamente,
di quanta malignità siamo ancora capaci. Ma è giusto aggiungere,
almeno di sfuggita, che sto anche scoprendo una forza straordinaria
e una straordinaria capacità elementare dell'essere umano di
mantenersi umano anche nelle circostanze più terribili - anche di
questo non avevo mai fatto esperienza in modo così forte. Credo che
la parola giusta sia dignità. Come vorrei che tu potessi incontrare
questa gente. Chissà, forse un giorno succederà, speriamo.
Rachel
Note: Traduzioni
di Miguel Martinez, Lucia De Rocco, Silvia Lanfranchini, Nora Tigges
Mazzone, Andrea Spila (Translators for Peace )
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Rachel era arrivata in Palestina dopo aver
conosciuto l'Internatiol Solidarity Movement.
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