Beati gli Operatori di Pace

 

"Di tanto in tanto

sono passati tra noi

Donne e Uomini

che ci sembravano

quasi stranieri

per quanto erano diversi

nel linguaggio e nelle opere

dalla nostra tribù.

Essi prefiguravano il futuro

che è già dentro di noi,

almeno in parte,

ma che è reso invisibile

dall'involucro dell'uomo vecchio."

don Lorenzo Milani don Tonino Bello p. Lele Ramin
don Primo Mazzolari Giuseppe Dossetti Ernesto Balducci
Danilo Dolci Giorgio La Pira fr. Alfredo Fiorini
p. David Maria Turoldo Aldo Capitini
 

Giuseppe Dossetti 

Links:


www.acli.pn.it/ga/memoria/index.htm  (cliccare Dossetti)

www.cronologia.it/storia/biografie/dossett.htm

 

www.diocesi.milano.it/2000/marson/
dossetti00.htm

www.ilmosaico.org/m09/p02.html

http://web.tiscali.it/circolodossetti/dossetti.htm

GIUSEPPE DOSSETTI (1913 – 1996)

 

Politico, padre fondatore della Costituzione italiana, riformatore e monaco

 

Giuseppe Dossetti nasce a Genova il 13 febbraio 1913. Dopo la laurea in giurisprudenza, inizia ad insegnare Diritto Ecclesiastico alla Cattolica di Milano e ad impegnarsi nella vita politica. Nel 1945 diventa vice segretario nazionale della Democrazia Cristiana e l’anno seguente è eletto all’Assemblea Costituente con l’incarico di elaborare il testo della Costituzione e di occuparsi, in particolare, dei “diritti e doveri dei cittadini”. Sono anni d’intensa lotta politica in cui Dossetti cerca di proporre una democrazia “sostanziale”. Egli critica la classe dirigente democristiana nel modo di concepire il partito politico: per lui, infatti, questo non doveva essere solamente un comitato elettorale a servizio del mondo cattolico e del governo, bensì un veicolo per diffondere una cultura politica non sottomessa a quella liberale. Inizia così ad acuirsi il suo contrasto con De Gasperi; resosi conto che non poteva combattere una battaglia culturale all’interno di un partito politico e vista l’impraticabilità della sua proposta politica, nel 1952 lascia la politica attiva. Costituisce a Bologna un Centro di Documentazione, l’attuale Istituto per le Scienze Religiose, nell’intento di favorire il rinnovamento della Chiesa attraverso lo studio nel campo delle scienze religiose. Nel 1954 accetta la candidatura a sindaco di Bologna e rimane nel consiglio comunale cittadino fino al 1958.

Intraprende una nuova strada che lo porta a pronunciare i voti religiosi nel 1956; tre anni dopo riceve l’ordinazione sacerdotale dal cardinale Lercaro, vescovo di Bologna, e sceglie di vivere nella povertà e nella semplicità. Fonda una comunità monastica, La Piccola Famiglia dell’Annunziata, a Monteveglio, alle pendici dei colli bolognesi, teatro di un efferato eccidio nazista in cui vennero crudelmente trucidate più di mille persone. 

Partecipa al Concilio Ecumenico Vaticano II come perito del suo vescovo.

Dal 1968 si ritira a vita monastica, dedicandosi alla guida delle sue comunità, nelle diverse sedi in Italia, Palestina e Giordania.

Nel 1994, dopo la vittoria elettorale del centro-destra, esce dal suo ritiro monastico per denunciare il pericolo di una modifica in senso presidenzialista della Costituzione italiana e il pericolo di un’evoluzione a destra nella vita politica nazionale. Nei suoi ultimi anni di vita, la sua voce si fa sentire più volte in difesa della Costituzione.

Muore il 15 dicembre 1996 in seguito a malattia e viene sepolto, per sua espressa volontà, nel cimitero che accoglie le vittime del nazifascismo nei pressi della comunità di Monteveglio.

Il suo messaggio rimane legato alla passione per il diritto, inteso come strumento di pace e giustizia. In particolare:

 

Il suo messaggio rimane legato alla passione per il diritto, inteso come strumento di pace e giustizia. In particolare:

 

-         La Costituzione come “grande patto per l’avvenire” sostenuto da persone che credono in valori morali e che s’impegnano nella creazione di una classe dirigente competente attraverso lo strumento del “partito politico”.

-         Impegno politico inteso come un’opera di educazione e di formazione politica per la coscienza del popolo. Dossetti ha sempre insistito sulla gratuità: non ha mai voluto fare della politica la sua professione; per questo quando ha capito come andavano veramente le cose se n’è andato con semplicità. L’ostacolo più grande fu una certa cattolicità, contro cui bisognava, per Dossetti, operare più profondamente, in una cultura del tutto nuova e in una vita cristiana coerente.

-         Solo la riforma della Chiesa avrebbe consentito una diversa qualità della politica da parte dei cattolici. Per questo motivo Dossetti istituì l’Istituto per le Scienze Religiose, per costituire un centro scientifico di ricerca e documentazione in spirito di forte rinnovamento.

-         Scelta di vivere nella povertà per essere dalla parte della società dimenticata.

 Confrontati con i giovani che hanno incontrato Dosseti nel
Campo itinerante da Barbiana a Montesole, estate 2006!

 

Ernesto Balducci

Links:

La conoscenza dei misteri di Dio

 

www.fondazionebalducci.it

 

www.centrobalducci.org

 

www.peacelink.it/webgate/news/
msg02226.html

ERNESTO BALDUCCI (1922 – 1992)

 

Sacerdote, insegnante, scrittore, promotore di molte iniziative di pace e solidarietà

 

Nasce il 6 agosto 1922 in un piccolo paese di minatori sul monte Amiata, Santa Fiora, in provincia di Grosseto, luogo fondamentale della sua formazione umana e religiosa. Primo di quattro figli, frequenta il seminario minore presso i padri Scolopi e si distingue per un profondo impegno nello studio. Riceve l’ordinazione sacerdotale nel 1945 ed è destinato a Firenze, dove si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia e si laurea nel 1950 con una tesi su Antonio Fogazzaro. Collabora con Giorgio La Pira nei gruppi giovanili della S.Vincenzo, facendo esperienza diretta con i più poveri. E’ grazie a La Pira che Balducci si interessa alle tematiche sociali e politico-culturali. Nel 1952 fonda il “Cenacolo”, esperienza nuova che cerca di superare la semplice assistenza e che si basa sulla formazione religiosa, teologica e spirituale, con una particolare attenzione ai problemi politico-sociali. Balducci fa emergere la sua capacità educativa e di formazione dei giovani. Nel 1958 fonda la rivista “Testimonianze”, allo scopo di promuovere una fede che si fondasse sul valore della testimonianza, ispirandosi alla spiritualità dei Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld. Balducci esprime l’esigenza di apertura sociale e di dialogo nel mondo cattolico, soprattutto giovanile. La censura romana del Santo Uffizio colpisce le iniziative di La Pira, considerate troppo innovatrici, e allontana i suoi collaboratori: Balducci è mandato prima a Frascati, poi a Roma e per “ironia della Provvidenza” ciò gli permette di seguire da vicino i lavori del Concilio. In questi anni è bersaglio di molte polemiche a causa delle sue prese di posizione: subisce, ad esempio, un processo per la difesa dell’obiezione di coscienza e viene isolato anche dal mondo cattolico. Nel 1965 ritorna alla Badia Fiesolana, diocesi di Fiesole, profondamente deluso per un mancato rinnovamento della Chiesa e non interviene più sui temi della riforma ecclesiale. Dalla metà degli anni ’70, promuove numerose iniziative culturali (tra cui la famosa “Se vuoi la pace, prepara la pace”), scrive libri, saggi, articoli, e partecipa ad incontri in tutta Italia. Nel 1986 fonda la casa editrice “Edizioni Cultura della Pace”, pubblicando lui stesso le biografie di Francesco d’Assisi, Gandhi e La Pira. Muore il 25 aprile 1992 a causa di un incidente stradale, avvenuto al ritorno da alcuni impegni pubblici.

 

 

Il suo messaggio è legato essenzialmente a:

-         Cultura della pace e della nonviolenza: ogni relazione (uomo-donna, con gli altri esseri viventi, con tutto il mondo) non deve essere regolata dalla forza, bensì da una razionalità che ricerca il bene comune, il dialogo, la condivisione. Maestri di pace a cui Balducci si è sempre ispirato sono Francesco d’Assisi, Gandhi, Papa Giovanni XXIII e Giorgio La Pira.

La cultura che ancora domina è quella funzionale alla guerra, mentre è già maturo il tempo di una cultura diversa: la cultura della pace. Il primo impedimento alla nascita ed alla diffusione di questa nuova cultura è la rassegnazione al vecchio modo di pensare…”.

 

-         Crisi della modernità: dipende dalla volontà di potenza e dominio a scapito di un’umanità povera ed oppressa. Anche il consumo delle risorse non rinnovabili produce, secondo Balducci, sottosviluppo, guerra, fame e morte.

 

-         “L’uomo planetario” è colui che va incontro alle diversità e realizza, così, un’evoluzione nell’integrità umana e nella pace.

“… apertura dell’uomo all’uomo come condizione del proprio essere, della collaborazione come condizione del proprio sviluppo, della solidarietà dell’intera specie come condizione del suo essere persona”.

 

Non dimentichiamo mai che il vero cantiere della pace e della guerra siamo noi nel piccolo ambito dei nostri rapporti quotidiani. Noi, come membri della specie umana, non siamo in condizione di continuare il nostro percorso storico se non confrontandoci con la presenza dell’Altro come tale”.

 

 

 

 

Danilo Dolci

Links:

http://danilo1970.interfree.it/dolci.html

http://danilo1970.interfree.it/pace.html

 

www.danilodolci.net

www.danilodolci.com/danilo

www.isg.it/pubb/2001/inter/intdolci.htm

www.sonda.it/autori/pagine_autori/
scheda_autori.asp?autore=33

Leggi “Scegliere la Pace” di Danilo Dolci e Johan Galtung:

 

Riferimenti bibliografici sull’educazione alla pace, sulla peace research e nonviolenza: www.danilo1970.interfree.it/scuola.htm

 

DANILO DOLCI (1926 – 1997)

 

Costruttore di pace e nonviolenza

 

Non è il piacere o il dolore che ti detta quello che devi fare, devi vedere quanto è necessario nella società, e poi non importa se tu lasci la vita”.

 

Nasce a Sesana (Ts) il 28 giugno 1926 e cresce in Lombardia. Conclusi gli studi artistici, si iscrive alla facoltà di Architettura a Milano. Nel dopoguerra, entra a far parte della comunità cristiana di accoglienza di Nomadelfia, sorta nel 1946 in Emilia in un ex campo di concentramento, allo scopo di assistere gli orfani della guerra. Nel 1952 si trasferisce a Trappeto, piccolo paese in provincia di Palermo, definito da Dolci “il paese più misero che ho mai visto”. Qui dà l’avvio alla sua attività a fianco dei più poveri, attraverso diverse iniziative di lotta nonviolenta con i contadini e i pescatori. L’obiettivo è di ottenere acqua, fognature, strade, lavoro e scolarizzazione. Il 14 ottobre ’52 inizia il suo primo digiuno di otto giorni in seguito alla morte di un bambino per fame e per freddo. Seguono: digiuni per la costruzione della diga sullo Jato (sarebbe stata costruita sette anni dopo) e per la lotta contro la pesca fuorilegge; lo sciopero “alla rovescia” di Partinico per la riattivazione di una strada intransitabile; le iniziative di riscatto sociale dei disoccupati e dei contadini; la marcia per la pace nel Vietnam; le manifestazioni per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza; le denunce documentate contro la mafia e i legami col mondo politico locale. In più di quarant’anni di attività, Danilo Dolci subisce minacce, denunce, arresti e condanne. E’ inoltre sottoposto al controllo delle forze dell’ordine che lo spiano e redigono rapporti informativi sul suo conto. Allo stesso tempo però riceve importanti riconoscimenti in Italia e all’estero, tra cui diversi premi per l’attività svolta nel settore della pace e della nonviolenza, molte candidature al Premio Nobel per la pace, la laurea honoris causa in Pedagogia. 

Ha sempre vissuto e lavorato fra Trappeto e Partinico, svolgendo la sua opera di promozione civile, culturale e educativa. Negli ultimi anni della sua vita ha promosso numerose iniziative di educazione alla pace e alla nonviolenza. Ha fondato il Centro studi e iniziative allo scopo di esplorare i nessi tra educazione, creatività e sviluppo nonviolento. Ha anche svolto, nelle scuole di tutta Italia e del mondo, seminari con bambini, genitori ed insegnanti perfezionando, così, il suo famoso “metodo maieutico”. 

Ha pubblicato moltissimi libri (saggi, raccolte di poesie ed inchieste) che sono stati tradotti in numerose lingue.

E’ morto il 30 dicembre 1997.

 

Per riuscire a costruire un nuovo mondo di pace, occorre il coraggio, lo slancio di mettersi col nuovo, per scomodo e pericoloso che possa essere, o sembrare, il buttarsi in imprese più grandi di noi”.  Il “mondo nuovo” di Danilo si è realizzato nelle battaglie nonviolente contro mafia e disoccupazione, a favore dei diritti, del lavoro e della dignità.

 

Obiezione di coscienza: importante ma non sufficiente. Danilo preferisce parlare di obiezione/azione di coscienza perché ciò che è importante è produrre alternative. “Conta quanto e cosa si fa per il cambiamento”.

 

La Nonviolenza è necessaria quando ci sono dei conflitti: bisogna porsi dal punto di vista dell’esperienza dell’altro e riuscire a collaborare.

 

Metodo maieutico: processo di crescita grazie al quale l’individuo apprende tramite l’incontro con l’altro.

“E’ aiutare a riconoscere, in sé e negli altri, interessi, bisogni, identità, certe volte comuni, certe altre diversi. La crescita è sempre il prodotto di un complesso di condizioni maieutiche attuate”.

Il vero educatore educa tutti a comunicare e di conseguenza ad essere creativi. Il rispetto dei tempi di maturazione, concetto insito nella nonviolenza, è un concetto di rispetto per la vita”.

 

 

Giorgio La Pira

Links:

  La libertà nella fedeltà

www.acli.pn.it/ga/memoria/index.htm   (cliccare su La Pira)

http://web.genie.it/utenti/i/
interface/LaPira.html

www.societaperta.it/testimoni/
lapira/indice.htm

www.queriniana.it/utilita/arch/
La%20Pira.htm

www.pozzallo.net/biografie/
giorgio_la_pira.htm

www.ildialogo.org/testimoni/lapira.htm

GIORGIO LA PIRA (1904 – 1977)

Politica ed opzione per i poveri

Nasce nel 1904 a Pozzallo, Ragusa. Si trasferisce a Messina per studiare; diplomatosi ragioniere si iscrive alla facoltà di giurisprudenza. La Pasqua del 1924 è il tempo della sua conversione; alla fine del ’25 frequenta già le baracche della città, visitando le famiglie povere, portando cibo, medicine, vestiti, intrattenendo i giovani per la strada.

La Pira giunge a Firenze nel 1926 al seguito del professore scelto per la tesi ma la polis (città) assume presto il valore di una vera e propria vocazione. All’approfondimento degli studi di diritto, unisce lo studio si S.Tommaso; dall’impegno spirituale non distacca mai un’intensa attività sociale. Scende nei bassifondi, visita il dormitorio pubblico, dà vita a quell’originale esperienza della messa di S.Procolo, dove ricchi e poveri si riunivano in una sola famiglia, come i primi cristiani. La continua ricerca della verità lo avrebbe portato ad opporsi al fascismo. Il contrasto, già maturato negli anni, esplose con la pubblicazione della rivista Principi, in cui venivano affermati i diritti della persona umana minacciati dal totalitarismo, dalle ideologie, dal razzismo, dalla guerra. La rivista fu ovviamente soppressa e La Pira costretto alla clandestinità.

Alla caduta del regime è eletto all’Assemblea Costituente ed è uno dei maggiori ispiratori dei Principi Fondamentali della Costituzione italiana. Fu politico, nel senso più alto del termine, vivendo con responsabilità e senza alcun interesse personale la propria candidatura.

Nel 1951 è sindaco di Firenze: affronta subito il problema dei senzacasa con requisizioni di appartamenti ed edilizia popolare, distribuisce il latte ai bambini delle elementari, si impegna senza tregua per il diritto al lavoro, riceve chiunque desideri parlargli. Ma il suo ruolo non si ferma ai confini del Comune: La Pira si interroga sulla situazione dell’Italia e del Mediterraneo, del mondo intero. Capisce che in un mondo dominato dalla paura dell’atomica e dalla logica dei blocchi che restringe gli spazi della diplomazia, un ruolo nuovo devono giocarlo le città: assistito dalla preghiera di tanti monasteri di clausura e in contatto con i bambini di molte scuole elementari, intraprende una feconda attività internazionale. Organizza annualmente i convegni per la Pace e la Civiltà cristiana, promuove il Convegno dei sindaci delle città capitali del mondo, parla alla Croce Rossa a Ginevra. La presenza ai convegni dei rappresentanti dei paesi arabi ne fa un punto di incontro di culture diverse, in cui il Mediterraneo diviene fulcro del nuovo sistema di rapporti tra Nord e Sud del mondo. Organizza diverse sessioni della conferenza Est-Ovest per il disarmo. Avrà stretti rapporti diretti o epistolari con i principali leader dei governi mondiali.

Negli anni ’70 la sua attività internazionale va diradandosi per motivi di salute. Muore il 5 novembre 1977. Sulla sua tomba, a Firenze, è scritta la parola “Pace” in arabo ed in ebraico.

Abbiamo una missione trasformante da compiere: dobbiamo mutare -quanto è possibile- le strutture di questo mondo per renderle al massimo adeguate alla vocazione di Dio. … il nostro stato di vita ci fa non solo spettatori, ma necessariamente attori dei più vasti drammi umani. … Il pieno adempimento del nostro dovere avviene solo quando noi avremo collaborato, direttamente o indirettamente, a dare alla società una struttura giuridica, economica e politica adeguata al comandamento principale della carità”.

 

Ho un solo alleato: la Giustizia fraterna quale il Vangelo la presenta: ciò significa: lavoro per chi ne manca, casa per chi ne è privo, assistenza per chi ne necessita, libertà spirituale e politica per tutti…”.

 

Politica intesa come azione per il bene comune e servizio verso il prossimo. “La sola metodologia di vittoria è la rinuncia a se stessi, il distacco radicale dalla propria piccola sfera, l’apertura (come conseguenza di questo distacco e di questo taglio) alla sfera mondiale di Dio: gli strumenti che suggerisce l’ambizione, la colpa, la meschinità, sono strumenti radicalmente privi di efficacia politica”.

 

La Pace deve essere costruita a ogni livello della realtà umana: livello economico, sociale, politico, culturale e religioso”.

 “… una nuova metodologia capace di edificare nell’unità e nella pace una società nuova e proporzionata a quest’epoca: la metodologia del Vangelo, che impone a tutti gli uomini di amarsi  e di integrarsi reciprocamente come membri solidali di un unico corpo”.

 

 

fr. Alfredo Fiorini

Bibliografia:

Nazareno Contran, Il Sogno di Alfredo, Fratello Comboniano in Mozambico, EMI, Bologna, 1993.

Leggi la poesia
 “Noi Camminiamo alla Sua Presenza

Terracina ricorda Alfredo a dieci anni dalla sua morte: vai alla pagina della tappa della Carovana

Fr. ALFREDO FIORINI (1954 – 1992)

 

Fratello Missionario Comboniano martire in Mozambico, medico e poeta

 

Nasce il 5 settembre 1954 a Terracina. Sin da bambino si distingue per una certa disponibilità verso gli altri, l’impegno nello studio e, soprattutto, una grande umiltà. Nell’estate del 1972 partecipa ad un campo di lavoro organizzato da Mani Tese a Firenze; un’esperienza che influisce molto sul suo orientamento vocazionale. Nell’autunno del 1973 si iscrive alla facoltà di medicina dell’università di Siena, con il chiaro obiettivo di diventare medico per i fratelli del Sud del mondo; conosce P.Giuseppe Russo, missionario comboniano e la realtà del CUAMM (centro universitario aspiranti medici missionari) di Padova. Dopo la laurea, inizia a lavorare in una clinica di Terracina e nel 1981 comincia il servizio militare presso l’Accademia di Livorno; riserva alcuni giorni di licenza per partecipare agli incontri del GIM –Giovani Impegno Missionario- delle comunità comboniane di Bari e Lecce. Decide di diventare sacerdote: nel 1982 entra nel Postulato dei Missionari Comboniani di Firenze, nel 1984 entra nel Noviziato di Venegono (Va) e nel 1986 si consacra a Dio con i voti di Povertà, Castità e Obbedienza. Va in Inghilterra per approfondire lo studio della lingua inglese, e poter così completare gli studi teologici in Uganda e Kenya, ma, arrivato quasi alla fine degli studi, decide di non diventare più Padre (cioè sacerdote) bensì Fratello, per potersi dedicare totalmente alla professione medica. Nell’estate del 1989 Alfredo torna in Inghilterra, a Liverpool, dove nel gennaio 1990 ottiene il diploma in medicina tropicale e igiene. Due mesi dopo conclude gli studi di Teologia a Nairobi con una tesina su “Ripercussioni dell’Aids sulla società africana” e viene destinato al Mozambico ex-portoghese, dove giunge nel febbraio ’91, dopo alcuni mesi a Kalongo (Uganda) e a Lisbona.

Alfredo trova un paese devastato da undici anni di guerra civile, tra Frelimo (Fronte di Liberazione del Mozambico) e Renamo (Resistenza Nazionale Mozambicana); un paese segnato da continui assalti, saccheggi, uccisioni, violenze e vendette. La gente fugge da un posto all’altro per salvarsi e “sembra accettare tutto con grande rassegnazione, le dislocazioni forzate e i campi di concentramento, e tutti i soprusi di chi ha il potere”. Trascorre alcune settimane presso la missione di Anchilo per conoscere le basi della lingua Makua, dopodiché inizia a lavorare come medico-chirurgo all’ospedale di Namapa con l’incarico delle emergenze chirurgiche (giorno e notte); inoltre l’ospedale è semidistrutto e Alfredo si improvvisa muratore. Viene nominato direttore clinico dell’ospedale, ma, di fatto, l’amministrazione gli impedisce di svolgere il suo lavoro, sabotando il suo operato e le sue decisioni; per questo e anche per la mancanza di mezzi (elettricità, medicinali, tetto, porte, finestre, letti, materassi, lenzuola, pronto soccorso, …) lascia provvisoriamente Namapa e va all’ospedale di Alua, a venti km di distanza; continua, quindi, a servire la stessa popolazione, ma in un altro contesto. E’ l’unico medico in duemila kmq di territorio, con il solo aiuto di una suora, una levatrice e quattro portantini. Il suo lavoro non si limita a curare i malati sempre più numerosi; cerca di sensibilizzare sulla necessità della prevenzione e dell’educazione sanitaria. Il 13 aprile 1992 rinnova la Professione religiosa e poco dopo chiede al superiore generale di consacrarsi definitivamente a Dio come Fratello, con i Voti Perpetui. Nonostante la precarietà della situazione riesce sempre ad essere ottimista e, soprattutto, a rimanere fedele al popolo Makua. Dopo un breve periodo di riposo, parte per Carapira per far revisionare la sua auto. Nel tragitto, la sua vettura è centrata da alcune raffiche di mitra dei guerriglieri del Renamo. Alfredo muore: è il 24 agosto 1992. Al momento della sua morte, nelle vicinanze, cade un baobab: secondo la tradizione makua, un baobab cade quando muore una persona particolarmente gradita a Dio.

 

 

Alfredo è un uomo innamorato di Dio e della sua vocazione missionaria e di medico: “La mia, come ogni vocazione, penso che prima di tutto vada messa in questo contesto grande del mistero di Dio che ci circonda e che vive nella sua Chiesa. Con timore e tremore vorrei dire che questa vocazione missionaria non è tanto una dichiarazione di amore appagato, stabile, definitivo. Io la vivo molto di più come momento prolungato di innamoramento. Ritengo che il Signore usi due grandi modi per chiamarci alla sua volontà, cioè attraverso esperienze di grande gioia o esperienze di grande dolore. La grande gioia e il grande dolore si ritrovano uniti in maniera quasi paradossale nel momento in cui si è innamorati, quando si vive una situazione di pienezza e nello stesso tempo aspettando e desiderando il volto della persona amata”.

 

Salute: “...non è solo assenza di malattia ma affermazione di tutto ciò che è umano, con atteggiamenti positivi verso tutte le realtà della vita e della società, includendo il lavoro, la convivenza, la qualità della vita”.

 

 “Alfredo ci parla di vita, fede e speranza e si propone come colui che vuole ereditare dal Cristo la pena per l’umanità: l’immagine del cuore trafitto del Pastore, la presenza di questa ferita che non rimargina mai completamente e che contagia chi a lei apre il cuore, è una chiave di lettura della sua vita e anche della sua poesia” (don Fabio Fiorini, fratello di Alfredo).

“…Ha fattezze gloriose,

questa ferita,

ci viene da Gesù Nazareno,

ci dona di non essere da meno,

fiorisce dedizione,

vive allo sguardo,

ha nome COMPASSIONE…”.

(“Le Trafitture del Cuore”)

 

Chi è il “Fratello Missionario Comboniano”:

il testo delle costituzioni dell’Istituto dice: “I Fratelli realizzano la loro consacrazione missionaria a Dio, partecipando attivamente alla edificazione e crescita della comunità umana e cristiana, attraverso l’esercizio del lavoro professionale, la collaborazione al lavoro pastorale secondo i bisogni concreti delle singole comunità e la testimonianza evangelica della vita. In tal modo essi offrono un apporto particolare a quella promozione umana che è parte integrante dell’evangelizzazione”.

 

 

padre David Maria Turoldo 

Links:

 

www.assoc-p-turoldo.org

www.akkuaria.com/spazio_poesia/david_maria_turoldo.htm

www.loso.it/poiein/autori/Turoldo.htm

www.diocesi.milano.it/2002/ravasi/turoldo00.htm

www.memex.it/premio/turof.htm

 

Poesie:

 

www.club.it/autori/grandi/david.turoldo/poesie.html

 

DAVID MARIA TUROLDO (1916 – 1992)

 

Sacerdote, frate dei Servi di Maria, poeta

 

Giuseppe Turoldo nasce a Coderno di Sedegliano il 22 novembre 1916. Dopo alcuni anni di formazione presso l’ordine mendicante religioso dei Servi di Maria (che lui definiva “mendicanti d’amore”), emette la sua prima professione religiosa nel ’35 assumendo il nome di fra David Maria. Nel ’40 viene ordinato sacerdote e per quindici anni tiene la predicazione domenicale nel duomo di Milano. Fin dall’inizio del suo sacerdozio si impegna in ambiti diversi: predicazione, scritture, resistenza, assistenza ai poveri e Nomadelfia (“piccola città” con l’unica legge della fraternità).Fonda il centro culturale “Corsia dei Servi”e alterna l’attività culturale alla testimonianza civile e politica, all’attività di predicatore e soprattutto di poeta. Nel ’46 si laurea in filosofia con una tesi dal titolo “Per una ontologia dell’uomo”. Durante la Resistenza fonda una rivista antifascista clandestina, “L’Uomo”, dove pubblica le sue prime poesie; scrive anche testi in prosa di contenuto biblico-letterario, testi teatrali; traduce inoltre tutti i salmi della Bibbia e compone nuovi inni e cantici a commento della liturgia domenicale e festiva. Per i suoi scritti anticonformisti, viene chiamato “coscienza inquieta della Chiesa”. Viene allontanato da Pio XII da Milano per la severità con cui interpreta il Vangelo di fronte alla borghesia milanese e viene inviato all’estero. A metà degli anni ’60 si trasferisce nella comunità dei Servi di Maria a Fontanella, vicino a Sotto il Monte, paese natale di papa Giovanni XXIII. Turoldo ha stima e fiducia per il cammino dell’uomo promosso dal Papa buono e dal Concilio Vaticano II e s’impegna per una “ricomposizione” indicata dal vangelo. Da Fontanella continua a condurre le sue battaglie e dirige il Centro di Studi Ecumenici Giovanni XXIII. L’obbedienza al servizio all’uomo e alla solidarietà si realizza nella sua attività di prosatore prolifico e pungente e di notista con delle rubriche fisse su giornali e riviste. Denuncia tutti i soprusi, soprattutto istituzionali ed economici, e si fa voce degli oppressi, anche di quelli più lontani, per la libertà e la giustizia. Crede, infatti, che l’unica scelta di salvezza sia la spartizione dei beni (incontro con Ernesto Cardenal, valorizzazione di Rigoberta Menchù, canto per Oscar Romero).

Nel suo testamento spirituale, scritto nel 1986, padre David ringrazia i suoi “tre amori” con l’aiuto dei quali ha saputo superare ogni difficoltà: gli amici laici, i confratelli e i poveri (che lui chiamava “mie radici e mio sangue” e “la mia gente”). La produzione poetica degli anni della sofferenza fisica, in cui “sperare è più difficile che credere”, si caratterizza per la trattazione delle tematiche legate al mistero dell’essere, alla vita e alla morte con una schiettezza radicale. Dopo una lunga malattia che lo segna fisicamente e moralmente, ma che non gli fa mai abbandonare la speranza, padre David muore nel 1992.

 

Il suo messaggio:

 

Rinnovamento del cristianesimo: occorre impegnarsi per rivivere l’evento cristiano nell’umiltà, nella riscoperta personale e nel silenzio interiore, e resistere inoltre al conformismo imposto. Ciò è necessario per offrire nuovi modelli di vita ed essere capaci di critica e opposizione ai miti e agli interessi mondani dominanti.

 

Povertà: “presenza profetica della storia”, fonte di ricchezza interiore, fondata sulla libertà da se stessi, di attenzione all’essenziale, capace quindi di cogliere una priorità di valori. E’ in nome della povertà intesa come libertà che gli uomini rinunciano a possedere e diventano capaci di convivenza fraterna.

 

Incarnazione: passione per l’uomo che si manifesta nella necessità della “relazione” per poter incontrare l’altro, il suo quotidiano, la sua storia. In forza di essa deve essere possibile il superamento di ogni divisione e differenza.

 

La poesia è fede e la fede è poesia, questo è il concetto su cui fonda la sua produzione poetica; una produzione che non cambia nella sostanza (la poesia come modo di vivere la propria fede) ma solo nella forma, che nel tempo diventa sempre più essenziale con l’uso di parole nude e crude. Turoldo è il poeta di quella certezza che viene subito dopo il dubbio e che deriva da un amore assoluto per gli uomini, Dio e la natura. E’ il poeta della gioiosa fatica della speranza (“vorrei tramandare questo scandalo della speranza”, parole che padre David pronuncia quando è già gravemente malato).

 

La realizzazione della propria umanità: questo è il solo scopo della vita che siamo chiamati ad essere, questa umanità di Dio, che è, appunto, il sogno di Dio. Ecco. Magari fosse possibile dire: sono arrivato! Ma non sono arrivato mai. E il progresso, il benessere, l’”essere bene” non sta nei possedimenti o nei libri o nelle cariche; sta in questa umanità realizzata giorno per giorno. E anzi se un giorno va male non scoraggiarsi perché la faremo andare bene oggi. Questa è la ragione della vita, tanto più la ragione del credere e del pregare”.

 

Prega con una veglia ispirata a p. Turoldo

 

 

 

 

 

Per informazioni:
p. Mosè Mora,  p. Dario Bossi e fr Claudio Parotti
Missionari Comboniani
via S.G. di Verdara, 139
37137 PADOVA
Segreteria
tel 049-8751506
fax 049-8762054
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