Durante il sinodo dei
vescovi per
l'Asia, recentemente tenutosi a Roma, si è discusso molto
sull'urgente necessità che le chiese asiatiche si presentino
"con un volto asiatico". Questo significa che il principio di
inculturazione deve essere applicato a tutti gli aspetti della
vita della chiesa, dal modo personale di vivere la fede
cristiana fino alle strutture e alla legge della chiesa. Il
principio di inculturazione vale particolarmente per quello che
riguarda il bisogno di sviluppare una teologia asiatica
contestuale, e in primo luogo le modalità con cui il mistero di
Gesù Cristo dovrebbe essere presentato nel contesto asiatico.
Vale la pena di citare
quanto dice in proposito la relazione "post disceptationem" del
cardinale di Taiwan Paul Shan Kuo-hsi:
"Tutti i padri
sinodali concordano sul fatto che ci deve essere un nuovo modo
di presentare Gesù Cristo ai popoli dell'Asia. È la persona di
Gesù Cristo che deve essere presentata, e non dottrine su di
lui. Ci sono molti modi di presentare Gesù Cristo comprensibili
ai popoli asiatici: Gesù Cristo come il maestro della vera
saggezza, Gesù come la via dello Spirito, Gesù come maestro di
verità , Gesù come guida spirituale, Gesù come l'illuminato, Gesù
come colui che condivide la kenosi delle genti asiatiche. La
presentazione di Gesù Cristo potrebbe giungere come compimento
degli aneliti espressi nelle mitologie e nel folklore delle
genti asiatiche. Questo procedimento esisteva nella chiesa
primitiva. Una catechesi dottrinale graduale su Gesù allora
potrebbe dare sicuro fondamento alla fede dei credenti" (n.
15).
Prima la "gesuologia"
La raccomandazione di presentare Gesù Cristo in modo
contestualizzato non è andata perduta nella lista ufficiale
delle Propositiones mandate a papa Giovanni Paolo II dal sinodo.
La propositio n. 6 dice: "Nell'annuncio di Gesù Cristo ai popoli
dell'Asia
dovrebbe essere presa in considerazione questa ricchezza
dell'evangelizzazione: Gesù Cristo come il maestro di saggezza,
il guaritore, il liberatore, la guida spirituale, l'illuminato,
l'amico compassionevole dei poveri, il buon samaritano, il buon
pastore, l'obbediente, ecc. Bisogna tenere presente che tale
annuncio iniziale sarà completato da una catechesi più completa
su Gesù Cristo come vero Dio e vero uomo" (Regno-doc.
11,1998,336).
È lecito presumere che l'esortazione apostolica che apporrà il
sigillo al lavoro sinodale riprenderà fedelmente l'ulteriore
raccomandazione espressa dai padri sinodali nella loro
propositio n. 7, che afferma: "Il sinodo deve incoraggiare i
teologi a proseguire il loro lavoro di sviluppo di una teologia
inculturata e adeguata alle realtà asiatiche. Questo modo di
fare teologia deve essere portato avanti con coraggio nella
fedeltà alla Scrittura e alla tradizione della chiesa, con
adesione sincera al magistero e nel riconoscimento delle realtÃ
pastorali".
Questo saggio intende mostrare che una presentazione progressiva
e contestuale del mistero di Gesù Cristo - a partire dalla
scoperta dell'uomo Gesù nel corso della sua vita terrena, per
passare gradualmente all'elaborazione del mistero della sua
persona come proposto nel Nuovo Testamento alla luce
dell'esperienza pasquale dei discepoli - corrisponde alla
pedagogia usata dallo stesso Gesù per farsi capire da coloro che
lo seguivano. La tradizione della chiesa ha inoltre seguito la
stessa pedagogia: è progredita dal significato di cosa "Gesù è
per noi" alla comprensione di "chi è il Cristo in se stesso".
Nella pedagogia della fede cristiana la "gesuologia" deve
precedere la "cristologia". Il saggio prosegue mostrando, in
modo breve e schematico, come i teologi asiatici che si sono
occupati di cristologia negli ultimi decenni abbiano recepito
questa stessa dinamica della fede cristiana, nei loro sforzi di
presentare il mistero di Gesù Cristo nel contesto della realtÃ
asiatica. Di qui le due parti del saggio.
Prima di entrare nel cuore dell'argomento, può essere utile
richiamare brevemente alcuni sforzi fatti dalle generazioni
precedenti per far incontrare alle realtà asiatiche la persona
di Gesù Cristo, e chiedersi perché tali sforzi abbiano
incontrato solo un successo parziale.
Ripercorrendo velocemente il secolo che volge rapidamente al
declino, possiamo dire che il primo contatto significativo tra
Gesù Cristo e
la cultura e religione indiana si è verificato
all'inizio del secolo, nel contesto dell'incontro tra
cristianesimo e misticismo indù. Ho sviluppato in altro luogo,
benché sommariamente, i vari modelli di Gesù elaborati in quest'incontro
da scrittori. Li ho distinti come segue: il Gesù delle
beatitudini; il Cristo della Bhakti, il Cristo della filosofia
neo-vedantica, il Cristo avatara, il Cristo Yogi, il Cristo del
misticismo Advaita.
Scoprire la persona di Gesù
Si noterà che tra tutti questi modelli, a parte il Gesù secondo
le beatitudini del mahatma Gandhi, la trattazione è
immediatamente cristologica più che gesuologica. L'incontro tra
appartenenti all'induismo e fedeli cristiani si è focalizzato
direttamente su un'interpretazione dottrinale, indù o cristiana,
della persona di Gesù Cristo. Così che, nelle generazioni
precedenti, la presentazione cristiana di Gesù Cristo in India è
approdata spesso alla costruzione di cristologie indiane che
avevano poco fondamento nella concreta realtà storica di Gesù,
l'uomo di Nazaret. Quello che immediatamente attraeva
l'attenzione era la dottrina di una persona divina fatta uomo,
come la caratteristica distintiva - e la sfida più grande -
della fede cristiana nei confronti delle altre fedi dominanti in
Asia.
Sarebbe facile dare prova di questa osservazione attraverso
esempi concreti, tratti dalla tradizione protestante o da quella
cattolica. Per riferirci solo a quest'ultima, vengono subito
alla mente i celebrati nomi di B. Upadhyaya, P. Johannas, J.
Monchanin, H. le Saux, B. Griffiths e molti altri, la cui
principale preoccupazione è stata quella di sviluppare una
teologia cristiana advaita e un misticismo nel quale potessero
trovare posto i misteri cardine del cristianesimo, a partire dal
mistero di un Dio uno e trino in relazione al mondo creato, e da
quello di una persona divina fatta uomo nella storia.
Tali sforzi non sono stati vani. Non si può negare che ancora
abbiano un posto importante e che continuino a dare un
contributo di valore in vista di una presentazione indiana e
asiatica del mistero di Gesù Cristo. Tuttavia ci si può chiedere
se il loro limitato successo e impatto, nel campo della
cristologia, non debba essere in parte attribuito alla loro
preoccupazione immediata di trasporre la dottrina del Dio uomo,
invece di favorire un incontro personale con l'uomo Gesù di
Nazaret. Una cristologia simile non ha, in un certo modo, messo
il carro davanti ai buoi? Era dunque giusto tornare alla
gesuologia. Questo ritorno, come vedremo, è la principale
preoccupazione della riflessione cristiana corrente su Gesù
Cristo nel contesto asiatico.
Anche su questo punto l'osservazione e la raccomandazione che
vengono dal recente sinodo per l'Asia hanno qualcosa di
importante da dirci. Il sinodo ha affermato a chiare lettere che
nel contesto asiatico è più importante promuovere la scoperta
della persona di Gesù che insegnare dottrine su di lui, e deve
comunque essere la prima cosa in un contesto dove l'esperienza è
elemento primario dell'impegno religioso. Il sinodo dà inoltre
diverse indicazioni in base alle quali è possibile promuovere
l'incontro personale con l'uomo Gesù nel contesto della realtÃ
asiatica, dove la povertà disumanizzante di grandi masse convive
con il ricco patrimonio di antiche culture e tradizioni
religiose. Si è chiamati oggi a una gesuologia asiatica,
contestualizzata e inculturata.
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LA
PEDAGOGIA DI GESÙ
Il ruolo decisivo che la
risurrezione di Gesù e l'esperienza pasquale dei discepoli hanno
giocato nella genesi della fede cristologica deve essere
pienamente riconosciuto. Questi eventi hanno dato origine a una
cristologia segnandone il punto di partenza. Prima della
risurrezione di Gesù i discepoli non avevano percepito il vero
significato della persona e dell'opera del loro Maestro. Avevano
senza dubbio intravisto qualcosa del suo mistero, ma senza
afferrare l'esatta portata di quello che Gesù aveva annunciato
loro. Si potrebbe dire che i seguaci di Gesù sono passati da
"discepoli" a veri "credenti" attraverso l'esperienza pasquale.
Ma i discepoli come sono
arrivati alla fede in Gesù Cristo attraverso la risurrezione? Le
apparizioni del Risorto "significavano" che Gesù aveva
raggiunto, oltre la morte, la condizione escatologica. La
pienezza attesa nel tempo escatologico si era compiuta in lui;
o, inversamente, l'escatologia aveva fatto il suo inatteso
ingresso nel tempo. La condizione dell'umanità di Gesù,
totalmente nuova e mai sperimentata prima, ha fatto nascere
domande sull'identità del Risorto. I discepoli erano così
rimandati alla testimonianza di Gesù durante la sua vita
terrena. Mossi dallo Spirito, hanno fatto memoria delle cose che
il Gesù prepasquale aveva detto e fatto, e che allora non erano
state per lo più capite. Questa memoria del Gesù storico ha
giocato un ruolo decisivo nella genesi della fede cristiana dei
discepoli. Ha fornito il legame tra lo stesso Gesù e
l'interpretazione di fede che i discepoli hanno dato di lui dopo
la risurrezione. Attraverso questa memoria la fede cristologica
della chiesa ritorna veramente al Gesù della storia e può
basarsi su di lui, trovandovi il proprio fondamento storico.
Questo viene a dimostrare
che, mentre è impossibile scrivere una , "vita di Gesù", è
tuttavia possibile tracciare un ritratto più generale della
personalità di Gesù nella sua singolare originalità . Il "Gesù
della storia" significa qualcosa di più del "Gesù storico"
raggiunto dalla pura e semplice ricerca storica. E mentre è vero
che la psicologia umana dell'uomo Gesù in se stessa sta oltre la
portata della nostra indagine diretta, rimane tuttavia certo
che, attraverso le sue parole e le sue azioni, il suo modo di
fare le cose e le sue scelte, gli uomini e le donne che
frequentava, il suo comportamento, i suoi rapporti con le
persone umane e il suo atteggiamento verso il Dio dei suoi
padri, in una parola, attraverso la sua intera "storia" umana,
Gesù lascia trasparire gradualmente il segreto della sua
persona, anche se in modo ancora nascosto e che sarà svelato
soltanto nella luce di Pasqua.
Sembra allora possibile
mostrare come tra la "cristologia implicita" di Gesù e la
"cristologia esplicita" della chiesa apostolica vi siano al
tempo stesso continuità e discontinuità . Questo vale per Gesù
stesso, nel momento in cui passa dal suo stato di kenosi alla
sua condizione glorificata attraverso la reale trasformazione
della sua umanità nella risurrezione; ma anche per i discepoli,
quando passano da un iniziale discepolato a un impegno di fede
cristiana attraverso la loro esperienza pasquale.
Se - attraverso
l'interpretazione di fede della storia di Gesù trasmessa dalla
testimonianza del Nuovo Testamento - è possibile recuperare un
ritratto d'insieme della originale personalità dell'uomo di
Nazaret, sarà anche possibile ripetere il viaggio compiuto dagli
stessi discepoli, che sono passati, con meraviglia e
gratitudine, dal loro incontro vivo con il Gesù storico alla
scoperta del significato della sua persona agli occhi di Dio per
il loro aiuto.
Questo percorso li ha
portati dall'essere personalmente compagni del Gesù terreno alla
comprensione del suo mistero come il Cristo. Lo stesso percorso
deve essere seguito dai futuri discepoli e credenti di ogni
epoca, in tutte le circostanze e diversi contesti.
Ciò contraddistingue la
genesi costitutiva della fede cristiana, secondo la pedagogia
dell'auto-rivelazione di Dio in Gesù Cristo. La fede cristiana
non può che essere basata su di un incontro personale con l'uomo
Gesù, come la cristologia non può che essere basata sulla
gesuologia. Si pone allora la domanda: qual è il centro vitale
del messaggio di Gesù, il punto di riferimento fondamentale
della sua vita, il valore assoluto trasmesso dalle sue parole e
dalle sue opere? La risposta è indubitabile: l'irruzione del
regno di Dio nella storia. Gesù ha annunciato il regno di Dio,
non ha annunciato se stesso. Con parole di oggi lo diremmo
teocentrico o "regnocentrico": era interamente centrato su Dio e
il suo Regno. Per Gesù il Regno era il simbolo della nuova
signoria che Dio avrebbe portato nel mondo, facendo nuove tutte
le cose e risanando ogni rapporto tra Dio e gli esseri umani
così come tra gli uomini. Anche per Gesù il regno di Dio era
imminente; anzi, non solo era vicino, ma aveva già iniziato a
farsi strada nella storia attraverso la sua missione. Gesù ha
annunciato il Regno come l'irruzione della signoria di Dio tra
gli uomini, attraverso la quale Dio manifesta la sua gloria. Per
questo l'arrivo del Regno è una "buona notizia". Un incontro
personale con l'uomo Gesù deve dunque mettere pienamente in
evidenza la centralità e l'importanza del regno di Dio per Gesù
stesso. Il tema del regno di Dio mette senza dubbio Dio
all'origine e al cuore dell'azione di Gesù. Il regno di Dio
realmente sta a significare che Dio ha iniziato ad agire nel
mondo in modo decisivo, manifestandosi e mettendo ordine nella
creazione. Questo avviene attraverso le azioni umane di Gesù.
La missione terrena di
Gesù è accompagnata da miracoli. Sarebbe sbagliato trattarli
come qualcosa che semplicemente stabilisce le credenziali del
profeta di Dio che annuncia il Regno. I miracoli di guarigione e
gli esorcismi (affini alle guarigioni) che, in generale,
figurano tra i dati storici inattaccabili del ministero terreno
di Gesù, sono segni e simboli. Essi significano che attraverso
Gesù Dio sta portando la sua signoria sulla terra, vincendo il
potere distruttivo del peccato e della morte. Sono i primi
frutti della presenza operativa del regno di Dio tra gli uomini,
parte costitutiva dell'inaugurazione del Regno.
Dalla parte dei poveri
Il regno di Dio è la sua
signoria tra gli uomini. Richiede un completo ri-orientamento
dei rapporti umani e un riassetto della società secondo la
volontà di Dio. I valori che, in conformità con il regno di Dio,
devono caratterizzare i rapporti umani, possono riassumersi in
poche parole:
libertà , fratellanza, pace e giustizia. Di
conseguenza, nel corso della sua azione missionaria, Gesù
denuncia tutto quello che nella società si oppone a questi
valori. Il che lo mette in contrasto con varie categorie del
popolo cui lui stesso appartiene: rimprovera l'oppressivo
legalismo degli scribi, lo sfruttamento della gente perpetrato
dalla casta sacerdotale, l'autocompiacimento arrogante dei
farisei. Gesù non è un conformista, ma un sovversivo per il
regno di Dio. Rifiuta di rispettare strutture stereotipate e
prive di giustizia della società in cui vive. Si fa compagno di
peccatori e pubblicani, di samaritani e prostitute, di tutte le
categorie disprezzate nella società del suo tempo. A ognuno
annuncia che il regno di Dio è arrivato. Invita tutti a entrarvi
attraverso la conversione e un nuovo ordine di vita.
Il regno di Dio, che si
sta realizzando attraverso la vita e l'opera di Gesù, è
destinato prevalentemente ai poveri, gli anawim di Dio, vale a
dire alle persone disprezzate, oppresse, calpestate. Per queste
Gesù manifesta un'opzione preferenziale che equivale a una
dichiarazione a loro favore da parte della stessa volontà di
Dio. I poveri, ai quali il regno di Dio è preferenzialmente
destinato, sono quelli che soffrono privazioni perché
schiacciati da strutture ingiuste. Questo non significa che la
povertà economica e disumanizzante costituisca per Gesù un
oggetto di scelta in sé e per sé. Gesù sta dalla parte dei
poveri, non della povertà . Quello che conta per lui è la
disponibilità a entrare nel Regno attraverso la pratica dei suoi
valori. I poveri sono predisposti a farlo, poiché ripongono la
loro fiducia in Dio e non in sé stessi, nel proprio potere, nei
propri beni. I valori del Regno sono presenti ed efficaci tra i
poveri.
EÂ’ chiaro che
l'atteggiamento di Gesù nei confronti della giustizia e della
povertà va oltre il messaggio dei profeti veterotestamentari a
questo proposito. Questi avevano parlato in favore dei poveri,
degli oppressi e in difesa dei loro diritti. Il discorso
profetico era chiaramente indicativo della volontà di Dio:
predilezione per i poveri e collera per l'ingiustizia loro
inflitta. Gesù, tuttavia, non solo manifesta un'opzione
preferenziale per i poveri; non è solo "in loro favore". Ma si
identifica personalmente con loro e sta preferibilmente in loro
compagnia. Egli non solo è per i poveri, ma appartiene a ed è
con loro. In Gesù compagno dei poveri l'amore preferenziale di
Dio per loro giunge al climax. L'atteggiamento di Gesù non è
soltanto indicativo della volontà di Dio nei confronti dei
poveri; incarna l'impegno e il coinvolgimento di Dio con loro.
Dunque, l'intera missione
di Gesù è incentrata sul regno di Dio, vale a dire, su Dio che
sta stabilendo la sua signoria sulla terra nel suo messaggero.
Incentrato sul regno di Dio, Gesù è incentrato su Dio stesso.
Per lui non c'è distanza tra l'una e l'altra cosa: "regnocentrismo"
e teocentrismo coincidono. Il Dio che Gesù chiama Padre è al
centro del suo messaggio, della sua vita e della sua persona.
Gesù non ha parlato principalmente di se stesso; è venuto ad
annunciare Dio e l'avvento del suo regno, e per essere al
servizio di Dio. Il centro è Dio, non il suo messaggero.
Una sorprendente
vicinanza a Dio
Eppure, Gesù non è solo
un profeta. E neanche semplicemente il "profeta escatologico"
che annuncia che il regno di Dio si sta definitivamente
stabilendo sulla terra. Gesù si pone in modo radicalmente nuovo
in rapporto a Dio e al suo regno: è nella sua vita e nella sua
persona che Dio sta intervenendo in modo decisivo nella storia
con l'inaugurazione del suo Regno.
Nonostante l'apparente
riluttanza di Gesù a usare appellativi messianici per dichiarare
la propria identità , emerge dai suoi atti e dalle sue parole una
stupefacente autocoscienza. Il suo atteggiamento e il suo
comportamento vanno, in maniera del tutto naturale,
completamente oltre le norme stabilite. Nessuna categoria
conosciuta potrebbe mai contenerlo. La sua radicale originalità ,
e il fatto che sia lui a fare la differenza, si manifestano in
molti modi. Abbiamo già notato che Gesù si pone in maniera
singolare in relazione al Regno. Possiamo indicare qualche altro
aspetto della sua originalità radicale.
Gesù si presenta come
rabbi, ma il suo insegnamento suscita stupore, perché
insegna con singolare autorità . Egli rivendica in modo clamoroso
un'autorità superiore a quella di Mosè. Dichiara lo scopo ultimo
di Dio non come una lezione che ha imparato, e nemmeno come un
messaggio che ha ricevuto da Dio, ma a partire dalla propria
ineffabile familiarità con Dio stesso. Semplicemente, Gesù
conosce il volere di Dio, volere che egli proclama. Il suo modo
di parlare implica come egli percepisca il volere di Dio
attraverso un'intuizione immediata, e lo dichiara nel proprio
nome: "Io vi dico". All'origine dell'autorità personale di Gesù
nell'insegnare sta una sorprendente vicinanza a Dio. La
testimonianza più evidente di questa vicinanza è il termine AbbÃ
con il quale Gesù invocava Dio nella preghiera, in un modo che
non ha precedenti.
Un altro aspetto che
concorre a costituire la sorprendente originalità di Gesù è il
modo in cui egli raccoglie discepoli intorno a sé e si mette in
relazione con loro. Da una parte, di fronte alla loro fatica
nell'avere fede, dimostra una pazienza infinita, che traduce in
termini umani la stessa pedagogia di Dio nei confronti degli
uomini; dall'altra, avanza personali richieste sulle loro vite
che, nel loro rigore, sorpassano qualsiasi autorità umana.
Lasciare tutto alle spalle e seguirlo equivale a optare per il
regno di Dio. Guardare indietro esitando significa essere
inadatti e indegni per il Regno. Nel suo rivendicare la suprema
autorità sui futuri discepoli, forse più che in ogni altro
aspetto, Gesù manifesta il carattere unico della sua
personalità . Egli realmente sta tra gli uomini come la presenza
stessa di Dio.
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MODELLI
ASIATICI DI GESÙ
Non tutto è stato detto
in questa sede, eppure si è affermato abbastanza per mostrare,
in termini generali, una somiglianza tra gli aspetti della
personalità umana di Gesù appena richiamati e i modi di
presentare Gesù "con un volto asiatico" suggeriti dai membri del
sinodo dei vescovi per
l'Asia. La propositio n. 6 dei padri sinodali faceva
esplicito riferimento ad aspetti quali: "Gesù Cristo come
maestro di verità , il guaritore, il liberatore, la guida
spirituale. l'illuminato. l'amico pietoso dei poveri, il buon
samaritano, il buon pastore, l'obbediente". Aggiungeva: , "Bisogna
tenere presente che tale annuncio iniziale sarà completato da
una catechesi più completa su Gesù vero Dio e vero uomo".
Se esaminiamo le
cristologie sviluppatesi nel corso degli ultimi decenni nel
contesto asiatico, appare chiaro che vogliono dare risposta alla
concreta realtà del continente, così come è stata ripetutamente
descritta nei documenti ufficiali dalla Federazione delle
conferenze episcopali dell'Asia (FABC).
Già nel 1974, nelle
conclusioni della I Assemblea generale della FABC, a Taipei,
furono menzionate esplicitamente le tre componenti che insieme
costituiscono la realtà asiatica, e che richiedono un triplice
dialogo: con le culture, con le religioni e con i poveri.
Progressivamente ci si è anche resi conto che questi tre
obiettivi non possono restare separati, come se fossero
adeguatamente distinti l'uno dall'altro; al contrario, devono
andare di pari passo. Il risultato di questo approccio, quello
che sta ora crescendo nel contesto asiatico, può essere
descritto nel modo migliore come una gesuologia della
liberazione, meditata nel contesto del pluralismo culturale e
religioso; o, ancor meglio, può essere descritto come una
gesuologia della liberazione dentro il dialogo interreligioso.
Una gesuologia
integrata
È importante rilevare
questo carattere integrato della gesuologia asiatica, nella
quale le diverse dimensioni del contesto concorrono a formare un
tutto organico. Questa caratteristica non è senza implicazioni
di vasta portata: promuove realmente un approccio all'uomo Gesù
che i credenti cristiani possono sviluppare unitamente a quelli
di altre fedi religiose, in uno sforzo comune di dare risposta
religiosa a una realtà concreta condivisa da tutti. Può essere a
questo proposito illuminante un paragone con la situazione
esistente nel continente africano.
Nonostante le notevoli
differenze tra le due situazioni, sembrerebbe valere anche per
il
continente africano il contesto spesso costituito da una
duplice realtà : religiosità multiforme e povertà su larghissima
scala. Eppure, tra le cristologie sorte in questa situazione nel
continente africano e quelle della controparte asiatica sembra
esserci una differenza molto grande. Due distinte cristologie
sembrano svilupparsi nel continente africano, fianco a fianco ma
apparentemente senza grande interazione: la prima è una
cristologia dell'inculturazione, la seconda della liberazione.
Finora esse tendono a
restare separate. Al contrario, nel contesto asiatico
inculturazione, dialogo e liberazione si fondono in un tutto
organico, e una gesuologia della liberazione sta
progressivamente emergendo dalla prassi del dialogo
interreligioso. Non c'è bisogno (e non c'è qui lo spazio
sufficiente) di entrare in un'analisi dettagliata del contributo
dato dai singoli autori all'emergere di tale gesuologia
contestuale asiatica. Dobbiamo limitarci a richiamare, senza far
torto ad altri, alcuni dei nomi importanti che vengono
immediatamente alla mente quali particolarmente significativi a
questo riguardo. Nel contesto indiano: S. Kappen, M.M. Thomas,
S. Rayan, G. Soares-Prabhu, F. Wilfred, M. Amaldoss e, al di
fuori dell'India, tra gli altri: C.S. Song, A. Pieris.
Dobbiamo andare oltre lo
specifico contributo dei singoli autori: la domanda da porre è
come, nel concreto contesto in cui sta riuscendo la costruzione
di una gesuologia asiatica, si possa percorrere la strada nel
migliore dei modi. Questa strada deve portare da una vibrante
scoperta dell'uomo di Nazaret a un'adeguata descrizione del
mistero della sua identità personale di Figlio in relazione
unica con il Dio che ha chiamato suo Padre. La chiesa apostolica
si è già trovata di fronte a questo problema nel momento in cui
si è sforzata di progredire da ciò che Gesù rappresentava per i
propri membri - l'uomo che ci libera, il Maestro di verità , il
Messia di Dio - a ciò che egli era in sé stesso e agli occhi di
Dio: Figlio, Parola, Sapienza. Le dinamiche della fede hanno
obbligato la chiesa a compiere la necessaria ascesa dalla
funzionalità dell'uomo Gesù all'ontologia del Figlio incarnato.
Il Gesù storico aveva
preso intenzionalmente le distanze dagli appellativi messianici
familiari alla tradizione giudaica nella quale annunciava il suo
messaggio. Quando, tuttavia, la chiesa apostolica ha provato a
esprimere la propria fede in Gesù, da poco scoperta, ha fatto
ricorso a tali appellativi e li ha progressivamente applicati a
lui. Ma è importante notare che in questo processo i titoli
messianici, ripresi dall'Antico Testamento, andavano acquisendo
un nuovo significato, mai udito.
Incoraggiamento ai
teologi
A questo proposito, il
caso dell'appellativo "Figlio di Dio" è emblematico. Nell'Antico
Testamento questo titolo aveva un significato esteso, in virtù
del quale poteva essere applicato a casi diversi. Era usato, per
esempio, per il popolo eletto di Dio o per il caso individuale
di una persona giusta nel popolo di Dio. Era usato in modo
speciale per il re davidico, in quanto rappresentante di Dio nel
suo popolo. Tuttavia, quando l'appellativo viene applicato a
Gesù dalla chiesa primitiva, esso assume progressivamente un
significato aggiuntivo, sconosciuto fino ad allora, finché
arriva a esprimere la figliolanza divina del Figlio di Dio che
si è fatto uomo in Gesù Cristo. Il titolo "Figlio di Dio" veniva
effettivamente a occupare un posto privilegiato nella
cristologia della chiesa apostolica, poiché sembrava più adatto
di altri a esprimere il mistero della persona di Gesù.
Non tutti i titoli che
vennero usati in diversi contesti per trasmettere il mistero di
Gesù Cristo furono destinati ad avere la stessa fortuna; alcuni
saranno ritenuti, sul lungo periodo, più adeguati di altri. Ma
la prova finale della loro idoneità sarà la capacità di
esprimere in modo adeguato - sebbene inevitabilmente imperfetto
-, e allo stesso tempo in maniera comprensibile e attraente in
ogni specifico contesto, che cosa è Gesù per gli uomini, e chi
egli sia agli occhi di Dio.
Questa osservazione si
applicherebbe ai titoli di guaritore e liberatore, di guru e
illuminato, per dare solo pochi esempi tra quelli menzionati
sopra. I teologi dovranno sempre essere preoccupati sia
dell'attrattiva del titolo in un dato contesto, sia della
sperabile adeguatezza di significato dei modelli che propongono,
nel tentativo di dare - o di restituire - a Gesù il suo "volto
asiatico".
È incoraggiante sapere
che in questo sforzo i teologi, come hanno voluto dichiarare
senza ambiguità i vescovi asiatici membri del sinodo, sono
sostenuti dai pastori delle chiese asiatiche. Questo non è
sfuggito agli osservatori dello svolgimento sinodale. Come è
noto, i Lineamenta del sinodo, preparati nella curia
romana, contenevano un'affermazione che denigrava i teologi
asiatici. Questo, comunque, è scomparso del tutto nell'Instrumentum
laboris, basato sulle osservazioni ai Lineamenta fatte dalle
conferenze episcopali asiatiche. Tuttavia una domanda insidiosa
- la cui origine rimane poco chiara - era stata aggiunta alla
relazione "post disceptationem" del card. Paul Shan
Kuohsi, per essere discussa nei gruppi di lavoro. La domanda
era: "Come può la chiesa trattare alcune tendenze eterodosse,
presenti in alcuni teologi, in relazione alla divinità di Gesù e
alla sua unica mediazione in vista della salvezza? In che modo
Gesù può essere rappresentato come qualcosa di più rispetto a
uno dei tanti salvatori?". I vescovi hanno ignorato la prima
parte della domanda e risposto positivamente alla seconda parte.
Dopo avere proposto, nella propositio n. 6 già menzionata,
alcuni modelli di un "Gesù dal volto asiatico", essi hanno
proseguito, nella propositio n. 7 anch'essa citata sopra,
esprimendo il loro incoraggiamento ai teologi "a proseguire il
loro lavoro nello sviluppo di una teologia inculturata che
risponda alle realtà asiatiche". "Il sinodo - conclude la
propositio - propone che le autorità della chiesa, quando
controllano il lavoro dei teologi, diano loro anche
l'incoraggiamento di cui hanno bisogno".
La voce dei pastori delle
chiese asiatiche sarà di conforto ai
teologi in Asia. Il loro
impegnativo compito è mostrare non solo che c'è "posto per
Cristo in Asia", ma che il Gesù asiatico è colui nel quale
possono trovare compimento le più profonde aspirazioni dei
popoli di questo continente.
JACQUES DUPUIS
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