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Jacques Dupuis: IL VOLTO ASIATICO DI GESU'

Il Volto asiatico di Gesù

di Jaques Dupuis

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Nel momento iniziale dell’evangelizzazione è auspicabile presentare Gesù, secondo i suggerimenti del sinodo per l’Asia, con categorie comprensibili ai popoli asiatici: Gesù Cristo come l’amico dei poveri, il guaritore, l’illuminato, ecc. Solo successivamente si passerà al mistero di Cristo Dio e uomo. In altri termini, in Asia e non solo in Asia la "gesuologia" (le caratteristiche del Gesù uomo come traspaiono dal Nuovo Testamento) deve precedere la cristologia. È questa la tesi di fondo di un intervento del teologo gesuita p. Jacques Dupuis.

Il saggio procede in due parti: dapprima mostra come una presentazione progressiva contestuale del mistero di Gesù Cristo corrisponda alla pedagogia stessa di Gesù nei confronti dei suoi discepoli; in seguito descrive in breve quanto l’impegno dei teologi asiatici negli ultimi decenni abbia cercato di riprodurre quella stessa dinamica.


                                                                                                             Tratto da il regno-documenti 19/99

 

 

Durante il sinodo dei vescovi per l'Asia, recentemente tenutosi a Roma, si è discusso molto sull'urgente necessità che le chiese asiatiche si presentino "con un volto asiatico". Questo significa che il principio di inculturazione deve essere applicato a tutti gli aspetti della vita della chiesa, dal modo personale di vivere la fede cristiana fino alle strutture e alla legge della chiesa. Il principio di inculturazione vale particolarmente per quello che riguarda il bisogno di sviluppare una teologia asiatica contestuale, e in primo luogo le modalità con cui il mistero di Gesù Cristo dovrebbe essere presentato nel contesto asiatico.

Vale la pena di citare quanto dice in proposito la relazione "post disceptationem" del cardinale di Taiwan Paul Shan Kuo-hsi:

"Tutti i padri sinodali concordano sul fatto che ci deve essere un nuovo modo di presentare Gesù Cristo ai popoli dell'Asia. È la persona di Gesù Cristo che deve essere presentata, e non dottrine su di lui. Ci sono molti modi di presentare Gesù Cristo comprensibili ai popoli asiatici: Gesù Cristo come il maestro della vera saggezza, Gesù come la via dello Spirito, Gesù come maestro di verità, Gesù come guida spirituale, Gesù come l'illuminato, Gesù come colui che condivide la kenosi delle genti asiatiche. La presentazione di Gesù Cristo potrebbe giungere come compimento degli aneliti espressi nelle mitologie e nel folklore delle genti asiatiche. Questo procedimento esisteva nella chiesa primitiva. Una catechesi dottrinale graduale su Gesù allora potrebbe dare sicuro fondamento alla fede dei credenti" (n. 15).

 

Prima la "gesuologia"
La raccomandazione di presentare Gesù Cristo in modo contestualizzato non è andata perduta nella lista ufficiale delle Propositiones mandate a papa Giovanni Paolo II dal sinodo. La propositio n. 6 dice: "Nell'annuncio di Gesù Cristo ai popoli dell'Asia dovrebbe essere presa in considerazione questa ricchezza dell'evangelizzazione: Gesù Cristo come il maestro di saggezza, il guaritore, il liberatore, la guida spirituale, l'illuminato, l'amico compassionevole dei poveri, il buon samaritano, il buon pastore, l'obbediente, ecc. Bisogna tenere presente che tale annuncio iniziale sarà completato da una catechesi più completa su Gesù Cristo come vero Dio e vero uomo" (Regno-doc. 11,1998,336).

È lecito presumere che l'esortazione apostolica che apporrà il sigillo al lavoro sinodale riprenderà fedelmente l'ulteriore raccomandazione espressa dai padri sinodali nella loro propositio n. 7, che afferma: "Il sinodo deve incoraggiare i teologi a proseguire il loro lavoro di sviluppo di una teologia inculturata e adeguata alle realtà asiatiche. Questo modo di fare teologia deve essere portato avanti con coraggio nella fedeltà alla Scrittura e alla tradizione della chiesa, con adesione sincera al magistero e nel riconoscimento delle realtà pastorali".

Questo saggio intende mostrare che una presentazione progressiva e contestuale del mistero di Gesù Cristo - a partire dalla scoperta dell'uomo Gesù nel corso della sua vita terrena, per passare gradualmente all'elaborazione del mistero della sua persona come proposto nel Nuovo Testamento alla luce dell'esperienza pasquale dei discepoli - corrisponde alla pedagogia usata dallo stesso Gesù per farsi capire da coloro che lo seguivano. La tradizione della chiesa ha inoltre seguito la stessa pedagogia: è progredita dal significato di cosa "Gesù è per noi" alla comprensione di "chi è il Cristo in se stesso". Nella pedagogia della fede cristiana la "gesuologia" deve precedere la "cristologia". Il saggio prosegue mostrando, in modo breve e schematico, come i teologi asiatici che si sono occupati di cristologia negli ultimi decenni abbiano recepito questa stessa dinamica della fede cristiana, nei loro sforzi di presentare il mistero di Gesù Cristo nel contesto della realtà asiatica. Di qui le due parti del saggio.

Prima di entrare nel cuore dell'argomento, può essere utile richiamare brevemente alcuni sforzi fatti dalle generazioni precedenti per far incontrare alle realtà asiatiche la persona di Gesù Cristo, e chiedersi perché tali sforzi abbiano incontrato solo un successo parziale.

Ripercorrendo velocemente il secolo che volge rapidamente al declino, possiamo dire che il primo contatto significativo tra Gesù Cristo e la cultura e religione indiana si è verificato all'inizio del secolo, nel contesto dell'incontro tra cristianesimo e misticismo indù. Ho sviluppato in altro luogo, benché sommariamente, i vari modelli di Gesù elaborati in quest'incontro da scrittori. Li ho distinti come segue: il Gesù delle beatitudini; il Cristo della Bhakti, il Cristo della filosofia neo-vedantica, il Cristo avatara, il Cristo Yogi, il Cristo del misticismo Advaita.

Scoprire la persona di Gesù

Si noterà che tra tutti questi modelli, a parte il Gesù secondo le beatitudini del mahatma Gandhi, la trattazione è immediatamente cristologica più che gesuologica. L'incontro tra appartenenti all'induismo e fedeli cristiani si è focalizzato direttamente su un'interpretazione dottrinale, indù o cristiana, della persona di Gesù Cristo. Così che, nelle generazioni precedenti, la presentazione cristiana di Gesù Cristo in India è approdata spesso alla costruzione di cristologie indiane che avevano poco fondamento nella concreta realtà storica di Gesù, l'uomo di Nazaret. Quello che immediatamente attraeva l'attenzione era la dottrina di una persona divina fatta uomo, come la caratteristica distintiva - e la sfida più grande - della fede cristiana nei confronti delle altre fedi dominanti in Asia.

Sarebbe facile dare prova di questa osservazione attraverso esempi concreti, tratti dalla tradizione protestante o da quella cattolica. Per riferirci solo a quest'ultima, vengono subito alla mente i celebrati nomi di B. Upadhyaya, P. Johannas, J. Monchanin, H. le Saux, B. Griffiths e molti altri, la cui principale preoccupazione è stata quella di sviluppare una teologia cristiana advaita e un misticismo nel quale potessero trovare posto i misteri cardine del cristianesimo, a partire dal mistero di un Dio uno e trino in relazione al mondo creato, e da quello di una persona divina fatta uomo nella storia.

Tali sforzi non sono stati vani. Non si può negare che ancora abbiano un posto importante e che continuino a dare un contributo di valore in vista di una presentazione indiana e asiatica del mistero di Gesù Cristo. Tuttavia ci si può chiedere se il loro limitato successo e impatto, nel campo della cristologia, non debba essere in parte attribuito alla loro preoccupazione immediata di trasporre la dottrina del Dio uomo, invece di favorire un incontro personale con l'uomo Gesù di Nazaret. Una cristologia simile non ha, in un certo modo, messo il carro davanti ai buoi? Era dunque giusto tornare alla gesuologia. Questo ritorno, come vedremo, è la principale preoccupazione della riflessione cristiana corrente su Gesù Cristo nel contesto asiatico.

Anche su questo punto l'osservazione e la raccomandazione che vengono dal recente sinodo per l'Asia hanno qualcosa di importante da dirci. Il sinodo ha affermato a chiare lettere che nel contesto asiatico è più importante promuovere la scoperta della persona di Gesù che insegnare dottrine su di lui, e deve comunque essere la prima cosa in un contesto dove l'esperienza è elemento primario dell'impegno religioso. Il sinodo dà inoltre diverse indicazioni in base alle quali è possibile promuovere l'incontro personale con l'uomo Gesù nel contesto della realtà asiatica, dove la povertà disumanizzante di grandi masse convive con il ricco patrimonio di antiche culture e tradizioni religiose. Si è chiamati oggi a una gesuologia asiatica, contestualizzata e inculturata.

 

 

LA PEDAGOGIA DI GESÙ

 

Il ruolo decisivo che la risurrezione di Gesù e l'esperienza pasquale dei discepoli hanno giocato nella genesi della fede cristologica deve essere pienamente riconosciuto. Questi eventi hanno dato origine a una cristologia segnandone il punto di partenza. Prima della risurrezione di Gesù i discepoli non avevano percepito il vero significato della persona e dell'opera del loro Maestro. Avevano senza dubbio intravisto qualcosa del suo mistero, ma senza afferrare l'esatta portata di quello che Gesù aveva annunciato loro. Si potrebbe dire che i seguaci di Gesù sono passati da "discepoli" a veri "credenti" attraverso l'esperienza pasquale.

Ma i discepoli come sono arrivati alla fede in Gesù Cristo attraverso la risurrezione? Le apparizioni del Risorto "significavano" che Gesù aveva raggiunto, oltre la morte, la condizione escatologica. La pienezza attesa nel tempo escatologico si era compiuta in lui; o, inversamente, l'escatologia aveva fatto il suo inatteso ingresso nel tempo. La condizione dell'umanità di Gesù, totalmente nuova e mai sperimentata prima, ha fatto nascere domande sull'identità del Risorto. I discepoli erano così rimandati alla testimonianza di Gesù durante la sua vita terrena. Mossi dallo Spirito, hanno fatto memoria delle cose che il Gesù prepasquale aveva detto e fatto, e che allora non erano state per lo più capite. Questa memoria del Gesù storico ha giocato un ruolo decisivo nella genesi della fede cristiana dei discepoli. Ha fornito il legame tra lo stesso Gesù e l'interpretazione di fede che i discepoli hanno dato di lui dopo la risurrezione. Attraverso questa memoria la fede cristologica della chiesa ritorna veramente al Gesù della storia e può basarsi su di lui, trovandovi il proprio fondamento storico.

Questo viene a dimostrare che, mentre è impossibile scrivere una , "vita di Gesù", è tuttavia possibile tracciare un ritratto più generale della personalità di Gesù nella sua singolare originalità. Il "Gesù della storia" significa qualcosa di più del "Gesù storico" raggiunto dalla pura e semplice ricerca storica. E mentre è vero che la psicologia umana dell'uomo Gesù in se stessa sta oltre la portata della nostra indagine diretta, rimane tuttavia certo che, attraverso le sue parole e le sue azioni, il suo modo di fare le cose e le sue scelte, gli uomini e le donne che frequentava, il suo comportamento, i suoi rapporti con le persone umane e il suo atteggiamento verso il Dio dei suoi padri, in una parola, attraverso la sua intera "storia" umana, Gesù lascia trasparire gradualmente il segreto della sua persona, anche se in modo ancora nascosto e che sarà svelato soltanto nella luce di Pasqua.

Sembra allora possibile mostrare come tra la "cristologia implicita" di Gesù e la "cristologia esplicita" della chiesa apostolica vi siano al tempo stesso continuità e discontinuità. Questo vale per Gesù stesso, nel momento in cui passa dal suo stato di kenosi alla sua condizione glorificata attraverso la reale trasformazione della sua umanità nella risurrezione; ma anche per i discepoli, quando passano da un iniziale discepolato a un impegno di fede cristiana attraverso la loro esperienza pasquale.

Se - attraverso l'interpretazione di fede della storia di Gesù trasmessa dalla testimonianza del Nuovo Testamento - è possibile recuperare un ritratto d'insieme della originale personalità dell'uomo di Nazaret, sarà anche possibile ripetere il viaggio compiuto dagli stessi discepoli, che sono passati, con meraviglia e gratitudine, dal loro incontro vivo con il Gesù storico alla scoperta del significato della sua persona agli occhi di Dio per il loro aiuto.

Questo percorso li ha portati dall'essere personalmente compagni del Gesù terreno alla comprensione del suo mistero come il Cristo. Lo stesso percorso deve essere seguito dai futuri discepoli e credenti di ogni epoca, in tutte le circostanze e diversi contesti.

Ciò contraddistingue la genesi costitutiva della fede cristiana, secondo la pedagogia dell'auto-rivelazione di Dio in Gesù Cristo. La fede cristiana non può che essere basata su di un incontro personale con l'uomo Gesù, come la cristologia non può che essere basata sulla gesuologia. Si pone allora la domanda: qual è il centro vitale del messaggio di Gesù, il punto di riferimento fondamentale della sua vita, il valore assoluto trasmesso dalle sue parole e dalle sue opere? La risposta è indubitabile: l'irruzione del regno di Dio nella storia. Gesù ha annunciato il regno di Dio, non ha annunciato se stesso. Con parole di oggi lo diremmo teocentrico o "regnocentrico": era interamente centrato su Dio e il suo Regno. Per Gesù il Regno era il simbolo della nuova signoria che Dio avrebbe portato nel mondo, facendo nuove tutte le cose e risanando ogni rapporto tra Dio e gli esseri umani così come tra gli uomini. Anche per Gesù il regno di Dio era imminente; anzi, non solo era vicino, ma aveva già iniziato a farsi strada nella storia attraverso la sua missione. Gesù ha annunciato il Regno come l'irruzione della signoria di Dio tra gli uomini, attraverso la quale Dio manifesta la sua gloria. Per questo l'arrivo del Regno è una "buona notizia". Un incontro personale con l'uomo Gesù deve dunque mettere pienamente in evidenza la centralità e l'importanza del regno di Dio per Gesù stesso. Il tema del regno di Dio mette senza dubbio Dio all'origine e al cuore dell'azione di Gesù. Il regno di Dio realmente sta a significare che Dio ha iniziato ad agire nel mondo in modo decisivo, manifestandosi e mettendo ordine nella creazione. Questo avviene attraverso le azioni umane di Gesù.

La missione terrena di Gesù è accompagnata da miracoli. Sarebbe sbagliato trattarli come qualcosa che semplicemente stabilisce le credenziali del profeta di Dio che annuncia il Regno. I miracoli di guarigione e gli esorcismi (affini alle guarigioni) che, in generale, figurano tra i dati storici inattaccabili del ministero terreno di Gesù, sono segni e simboli. Essi significano che attraverso Gesù Dio sta portando la sua signoria sulla terra, vincendo il potere distruttivo del peccato e della morte. Sono i primi frutti della presenza operativa del regno di Dio tra gli uomini, parte costitutiva dell'inaugurazione del Regno.

 

Dalla parte dei poveri

Il regno di Dio è la sua signoria tra gli uomini. Richiede un completo ri-orientamento dei rapporti umani e un riassetto della società secondo la volontà di Dio. I valori che, in conformità con il regno di Dio, devono caratterizzare i rapporti umani, possono riassumersi in poche parole: libertà, fratellanza, pace e giustizia. Di conseguenza, nel corso della sua azione missionaria, Gesù denuncia tutto quello che nella società si oppone a questi valori. Il che lo mette in contrasto con varie categorie del popolo cui lui stesso appartiene: rimprovera l'oppressivo legalismo degli scribi, lo sfruttamento della gente perpetrato dalla casta sacerdotale, l'autocompiacimento arrogante dei farisei. Gesù non è un conformista, ma un sovversivo per il regno di Dio. Rifiuta di rispettare strutture stereotipate e prive di giustizia della società in cui vive. Si fa compagno di peccatori e pubblicani, di samaritani e prostitute, di tutte le categorie disprezzate nella società del suo tempo. A ognuno annuncia che il regno di Dio è arrivato. Invita tutti a entrarvi attraverso la conversione e un nuovo ordine di vita.

Il regno di Dio, che si sta realizzando attraverso la vita e l'opera di Gesù, è destinato prevalentemente ai poveri, gli anawim di Dio, vale a dire alle persone disprezzate, oppresse, calpestate. Per queste Gesù manifesta un'opzione preferenziale che equivale a una dichiarazione a loro favore da parte della stessa volontà di Dio. I poveri, ai quali il regno di Dio è preferenzialmente destinato, sono quelli che soffrono privazioni perché schiacciati da strutture ingiuste. Questo non significa che la povertà economica e disumanizzante costituisca per Gesù un oggetto di scelta in sé e per sé. Gesù sta dalla parte dei poveri, non della povertà. Quello che conta per lui è la disponibilità a entrare nel Regno attraverso la pratica dei suoi valori. I poveri sono predisposti a farlo, poiché ripongono la loro fiducia in Dio e non in sé stessi, nel proprio potere, nei propri beni. I valori del Regno sono presenti ed efficaci tra i poveri.

E’ chiaro che l'atteggiamento di Gesù nei confronti della giustizia e della povertà va oltre il messaggio dei profeti veterotestamentari a questo proposito. Questi avevano parlato in favore dei poveri, degli oppressi e in difesa dei loro diritti. Il discorso profetico era chiaramente indicativo della volontà di Dio: predilezione per i poveri e collera per l'ingiustizia loro inflitta. Gesù, tuttavia, non solo manifesta un'opzione preferenziale per i poveri; non è solo "in loro favore". Ma si identifica personalmente con loro e sta preferibilmente in loro compagnia. Egli non solo è per i poveri, ma appartiene a ed è con loro. In Gesù compagno dei poveri l'amore preferenziale di Dio per loro giunge al climax. L'atteggiamento di Gesù non è soltanto indicativo della volontà di Dio nei confronti dei poveri; incarna l'impegno e il coinvolgimento di Dio con loro.

Dunque, l'intera missione di Gesù è incentrata sul regno di Dio, vale a dire, su Dio che sta stabilendo la sua signoria sulla terra nel suo messaggero. Incentrato sul regno di Dio, Gesù è incentrato su Dio stesso. Per lui non c'è distanza tra l'una e l'altra cosa: "regnocentrismo" e teocentrismo coincidono. Il Dio che Gesù chiama Padre è al centro del suo messaggio, della sua vita e della sua persona. Gesù non ha parlato principalmente di se stesso; è venuto ad annunciare Dio e l'avvento del suo regno, e per essere al servizio di Dio. Il centro è Dio, non il suo messaggero.

 

Una sorprendente vicinanza a Dio

Eppure, Gesù non è solo un profeta. E neanche semplicemente il "profeta escatologico" che annuncia che il regno di Dio si sta definitivamente stabilendo sulla terra. Gesù si pone in modo radicalmente nuovo in rapporto a Dio e al suo regno: è nella sua vita e nella sua persona che Dio sta intervenendo in modo decisivo nella storia con l'inaugurazione del suo Regno.

Nonostante l'apparente riluttanza di Gesù a usare appellativi messianici per dichiarare la propria identità, emerge dai suoi atti e dalle sue parole una stupefacente autocoscienza. Il suo atteggiamento e il suo comportamento vanno, in maniera del tutto naturale, completamente oltre le norme stabilite. Nessuna categoria conosciuta potrebbe mai contenerlo. La sua radicale originalità, e il fatto che sia lui a fare la differenza, si manifestano in molti modi. Abbiamo già notato che Gesù si pone in maniera singolare in relazione al Regno. Possiamo indicare qualche altro aspetto della sua originalità radicale.

Gesù si presenta come rabbi, ma il suo insegnamento suscita stupore, perché insegna con singolare autorità. Egli rivendica in modo clamoroso un'autorità superiore a quella di Mosè. Dichiara lo scopo ultimo di Dio non come una lezione che ha imparato, e nemmeno come un messaggio che ha ricevuto da Dio, ma a partire dalla propria ineffabile familiarità con Dio stesso. Semplicemente, Gesù conosce il volere di Dio, volere che egli proclama. Il suo modo di parlare implica come egli percepisca il volere di Dio attraverso un'intuizione immediata, e lo dichiara nel proprio nome: "Io vi dico". All'origine dell'autorità personale di Gesù nell'insegnare sta una sorprendente vicinanza a Dio. La testimonianza più evidente di questa vicinanza è il termine Abbà con il quale Gesù invocava Dio nella preghiera, in un modo che non ha precedenti.

Un altro aspetto che concorre a costituire la sorprendente originalità di Gesù è il modo in cui egli raccoglie discepoli intorno a sé e si mette in relazione con loro. Da una parte, di fronte alla loro fatica nell'avere fede, dimostra una pazienza infinita, che traduce in termini umani la stessa pedagogia di Dio nei confronti degli uomini; dall'altra, avanza personali richieste sulle loro vite che, nel loro rigore, sorpassano qualsiasi autorità umana. Lasciare tutto alle spalle e seguirlo equivale a optare per il regno di Dio. Guardare indietro esitando significa essere inadatti e indegni per il Regno. Nel suo rivendicare la suprema autorità sui futuri discepoli, forse più che in ogni altro aspetto, Gesù manifesta il carattere unico della sua personalità. Egli realmente sta tra gli uomini come la presenza stessa di Dio.

 

 

MODELLI ASIATICI DI GESÙ

 

Non tutto è stato detto in questa sede, eppure si è affermato abbastanza per mostrare, in termini generali, una somiglianza tra gli aspetti della personalità umana di Gesù appena richiamati e i modi di presentare Gesù "con un volto asiatico" suggeriti dai membri del sinodo dei vescovi per l'Asia. La propositio n. 6 dei padri sinodali faceva esplicito riferimento ad aspetti quali: "Gesù Cristo come maestro di verità, il guaritore, il liberatore, la guida spirituale. l'illuminato. l'amico pietoso dei poveri, il buon samaritano, il buon pastore, l'obbediente". Aggiungeva: , "Bisogna tenere presente che tale annuncio iniziale sarà completato da una catechesi più completa su Gesù vero Dio e vero uomo".

Se esaminiamo le cristologie sviluppatesi nel corso degli ultimi decenni nel contesto asiatico, appare chiaro che vogliono dare risposta alla concreta realtà del continente, così come è stata ripetutamente descritta nei documenti ufficiali dalla Federazione delle conferenze episcopali dell'Asia (FABC).

Già nel 1974, nelle conclusioni della I Assemblea generale della FABC, a Taipei, furono menzionate esplicitamente le tre componenti che insieme costituiscono la realtà asiatica, e che richiedono un triplice dialogo: con le culture, con le religioni e con i poveri. Progressivamente ci si è anche resi conto che questi tre obiettivi non possono restare separati, come se fossero adeguatamente distinti l'uno dall'altro; al contrario, devono andare di pari passo. Il risultato di questo approccio, quello che sta ora crescendo nel contesto asiatico, può essere descritto nel modo migliore come una gesuologia della liberazione, meditata nel contesto del pluralismo culturale e religioso; o, ancor meglio, può essere descritto come una gesuologia della liberazione dentro il dialogo interreligioso.

 

Una gesuologia integrata

È importante rilevare questo carattere integrato della gesuologia asiatica, nella quale le diverse dimensioni del contesto concorrono a formare un tutto organico. Questa caratteristica non è senza implicazioni di vasta portata: promuove realmente un approccio all'uomo Gesù che i credenti cristiani possono sviluppare unitamente a quelli di altre fedi religiose, in uno sforzo comune di dare risposta religiosa a una realtà concreta condivisa da tutti. Può essere a questo proposito illuminante un paragone con la situazione esistente nel continente africano.

Nonostante le notevoli differenze tra le due situazioni, sembrerebbe valere anche per il continente africano il contesto spesso costituito da una duplice realtà: religiosità multiforme e povertà su larghissima scala. Eppure, tra le cristologie sorte in questa situazione nel continente africano e quelle della controparte asiatica sembra esserci una differenza molto grande. Due distinte cristologie sembrano svilupparsi nel continente africano, fianco a fianco ma apparentemente senza grande interazione: la prima è una cristologia dell'inculturazione, la seconda della liberazione.

Finora esse tendono a restare separate. Al contrario, nel contesto asiatico inculturazione, dialogo e liberazione si fondono in un tutto organico, e una gesuologia della liberazione sta progressivamente emergendo dalla prassi del dialogo interreligioso. Non c'è bisogno (e non c'è qui lo spazio sufficiente) di entrare in un'analisi dettagliata del contributo dato dai singoli autori all'emergere di tale gesuologia contestuale asiatica. Dobbiamo limitarci a richiamare, senza far torto ad altri, alcuni dei nomi importanti che vengono immediatamente alla mente quali particolarmente significativi a questo riguardo. Nel contesto indiano: S. Kappen, M.M. Thomas, S. Rayan, G. Soares-Prabhu, F. Wilfred, M. Amaldoss e, al di fuori dell'India, tra gli altri: C.S. Song, A. Pieris.

Dobbiamo andare oltre lo specifico contributo dei singoli autori: la domanda da porre è come, nel concreto contesto in cui sta riuscendo la costruzione di una gesuologia asiatica, si possa percorrere la strada nel migliore dei modi. Questa strada deve portare da una vibrante scoperta dell'uomo di Nazaret a un'adeguata descrizione del mistero della sua identità personale di Figlio in relazione unica con il Dio che ha chiamato suo Padre. La chiesa apostolica si è già trovata di fronte a questo problema nel momento in cui si è sforzata di progredire da ciò che Gesù rappresentava per i propri membri - l'uomo che ci libera, il Maestro di verità, il Messia di Dio - a ciò che egli era in sé stesso e agli occhi di Dio: Figlio, Parola, Sapienza. Le dinamiche della fede hanno obbligato la chiesa a compiere la necessaria ascesa dalla funzionalità dell'uomo Gesù all'ontologia del Figlio incarnato.

Il Gesù storico aveva preso intenzionalmente le distanze dagli appellativi messianici familiari alla tradizione giudaica nella quale annunciava il suo messaggio. Quando, tuttavia, la chiesa apostolica ha provato a esprimere la propria fede in Gesù, da poco scoperta, ha fatto ricorso a tali appellativi e li ha progressivamente applicati a lui. Ma è importante notare che in questo processo i titoli messianici, ripresi dall'Antico Testamento, andavano acquisendo un nuovo significato, mai udito.

 

Incoraggiamento ai teologi

A questo proposito, il caso dell'appellativo "Figlio di Dio" è emblematico. Nell'Antico Testamento questo titolo aveva un significato esteso, in virtù del quale poteva essere applicato a casi diversi. Era usato, per esempio, per il popolo eletto di Dio o per il caso individuale di una persona giusta nel popolo di Dio. Era usato in modo speciale per il re davidico, in quanto rappresentante di Dio nel suo popolo. Tuttavia, quando l'appellativo viene applicato a Gesù dalla chiesa primitiva, esso assume progressivamente un significato aggiuntivo, sconosciuto fino ad allora, finché arriva a esprimere la figliolanza divina del Figlio di Dio che si è fatto uomo in Gesù Cristo. Il titolo "Figlio di Dio" veniva effettivamente a occupare un posto privilegiato nella cristologia della chiesa apostolica, poiché sembrava più adatto di altri a esprimere il mistero della persona di Gesù.

Non tutti i titoli che vennero usati in diversi contesti per trasmettere il mistero di Gesù Cristo furono destinati ad avere la stessa fortuna; alcuni saranno ritenuti, sul lungo periodo, più adeguati di altri. Ma la prova finale della loro idoneità sarà la capacità di esprimere in modo adeguato - sebbene inevitabilmente imperfetto -, e allo stesso tempo in maniera comprensibile e attraente in ogni specifico contesto, che cosa è Gesù per gli uomini, e chi egli sia agli occhi di Dio.

Questa osservazione si applicherebbe ai titoli di guaritore e liberatore, di guru e illuminato, per dare solo pochi esempi tra quelli menzionati sopra. I teologi dovranno sempre essere preoccupati sia dell'attrattiva del titolo in un dato contesto, sia della sperabile adeguatezza di significato dei modelli che propongono, nel tentativo di dare - o di restituire - a Gesù il suo "volto asiatico".

È incoraggiante sapere che in questo sforzo i teologi, come hanno voluto dichiarare senza ambiguità i vescovi asiatici membri del sinodo, sono sostenuti dai pastori delle chiese asiatiche. Questo non è sfuggito agli osservatori dello svolgimento sinodale. Come è noto, i Lineamenta del sinodo, preparati nella curia romana, contenevano un'affermazione che denigrava i teologi asiatici. Questo, comunque, è scomparso del tutto nell'Instrumentum laboris, basato sulle osservazioni ai Lineamenta fatte dalle conferenze episcopali asiatiche. Tuttavia una domanda insidiosa - la cui origine rimane poco chiara - era stata aggiunta alla relazione "post disceptationem" del card. Paul Shan Kuohsi, per essere discussa nei gruppi di lavoro. La domanda era: "Come può la chiesa trattare alcune tendenze eterodosse, presenti in alcuni teologi, in relazione alla divinità di Gesù e alla sua unica mediazione in vista della salvezza? In che modo Gesù può essere rappresentato come qualcosa di più rispetto a uno dei tanti salvatori?". I vescovi hanno ignorato la prima parte della domanda e risposto positivamente alla seconda parte. Dopo avere proposto, nella propositio n. 6 già menzionata, alcuni modelli di un "Gesù dal volto asiatico", essi hanno proseguito, nella propositio n. 7 anch'essa citata sopra, esprimendo il loro incoraggiamento ai teologi "a proseguire il loro lavoro nello sviluppo di una teologia inculturata che risponda alle realtà asiatiche". "Il sinodo - conclude la propositio - propone che le autorità della chiesa, quando controllano il lavoro dei teologi, diano loro anche l'incoraggiamento di cui hanno bisogno".

La voce dei pastori delle chiese asiatiche sarà di conforto ai teologi in Asia. Il loro impegnativo compito è mostrare non solo che c'è "posto per Cristo in Asia", ma che il Gesù asiatico è colui nel quale possono trovare compimento le più profonde aspirazioni dei popoli di questo continente.

                        

                                                                                                                                       JACQUES DUPUIS

 

 

Il teologo belga Jacques Dupuis è morto a Roma il 28 dicembre 2004. Studioso del pluralismo religioso del mondo contemporaneo (in particolare in Asia), il suo volume “Verso una teologia del pluralismo religioso” (Queriniana, 1997) gli attirò le ire vaticane e dovette sottoscrivere una dolorosa ritrattazione.

Da www.viottoli.it

 

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