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2 GIM Venegono: Glorificare Dio con le nostre opere

febbraio 2004

 

 

Glorifichiamo Dio 

con le nostre opere

 

 

 

II° GIM di Venegono 

febbraio 2004

 

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CANTO INIZIALE

 

PREGHIAMO CON:

 IL MAGNIFICAT

             

L'anima mia magnifica il Signore

e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,

perché ha guardato l’umiltà della sua serva.

DÂ’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.

Grandi cose ha fatto in me lÂ’Onnipotente

e Santo è il suo nome:

di generazione in generazione la sua misericordia

si stende su quelli che lo temono.

Ha spiegato la potenza del suo braccio,

ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

ha rovesciato i potenti dai troni,

ha innalzato gli umili;

ha ricolmato di beni gli affamati,

ha rimandato a mani vuote i ricchi.

Ha soccorso Israele, suo servo,

ricordandosi della sua misericordia,

come aveva promesso ai nostri padri,

ad Abramo e alla sua discendenza,

per sempre.

                 


 

Le ha scritto Chiara, la nipotina prediletta, all’indomani della sua morte: “Zia Graziella, tu aiutavi tutti e davi l’attenzione agli altri, e a te pensavi come una formichina e non volevi essere al centro dell’attenzione”.

Come una formichina,paziente, instancabile, accurata, laboriosa, lungimirante, generosa. Come una formichina, dimentica di sé e premurosa per le altre formichine. Come una formichina, che trasporta carichi impensabili e costruisce architetture ardite, benché possa da un momento all’altro finire schiacciata da un violenza ottusa e sterile. Come una formichina, come una donna coraggiosa e capace d’amare, colpita nella giornata della preghiera per chi annuncia Gesù, uccisa ma non vinta, più forte della morte.

 

 

La Formica...Impegno e Fatica...

Â…alla scuola del quotidiano

Mamma Elisa è casalinga, nella faccende di casa e nella cura dei figli minori trova un appoggio in Giustina e Graziella, le sorelle maggiori; la famiglia è pesante e Graziella non si tira mai indietro quando c’è da dare una mano nelle faccende domestiche. Nello studio si rivela coscienziosa e pronta all’apprendimento. Sin da piccola si mostra socievole, e matura la nota scanzonata che colorerà per sempre il suo carattere.

 Ma ogni tanto le piace appartarsi, costruirsi un angolo di silenzio e di concentrazione. La rotta di una persona la si intuisce dai suoi primi passi, e in quelli di Graziella vi è già la miscela di giovialità e di riservatezza, di apertura e di segreto che contrassegneranno il suo cammino. Così, scoccati i 15 anni si affaccia al mondo del lavoro, i colleghi la ricordano sempre pronta a darsi da fare e ad aiutare i compagni di lavoro, con grande spirito altruistico. Graziella non si perde in parole, ma ci mette energia, e soprattutto, prontezza e cervello.

Passa le sue domeniche all’oratorio, dove si dà da fare come animatrice e dove si incontra con le amiche, con cui intraprende nuovi itinerari di crescita. L’avventura più naturale e più facilmente percorribile, e anche la più economica, è quella che conduce alla montagna. Lungo la sua strada difficile, aveva camminato fin da ragazza scortata da valori, da esempi e da un’esperienza di fede che non appartenevano all’orizzonte dell’eccezionale, ma alla silenziosa e incessante scuola del quotidiano. Tutte le scelte compiute, tutti i sacrifici accettati, tutti i risultati conseguiti, tutti i dolori patiti e le gioie assaporate, erano stati passi di in cammino ordinario, benché profondamente consapevole, nulla di cui vantarsi, nulla di cui gloriarsi, niente che meritasse celebrazioni, o che desse titolo a impartire lezioni. Graziella si sottraeva a ogni possibile cono di luce pubblica, riteneva di avere semplicemente preso sul serio una chiamata.

 

  Preghiera:

IL BUCATO DEL LUNEDIÂ’

 


Signore oggi è lunedì.  Sono uscita, ed ho visto svolazzare alle finestre e sui balconi, qua e là sullo sfondo del cemento, come un mosaico variopinto, splendente di colori nel grigio dei caseggiati, la biancheria stesa ad asciugare.

 

Il vento dava voce alle note multicolori sui fili ed ho sentito mormorare nel mio cuore la canzone della sofferenza e quella dellÂ’amore: Biancheria sporca, biancheria lavata, biancheria asciutta, biancheria stirata e sporcata di nuovo per essere rilavata, riasciugata, ristirata. Biancheria di mio marito, biancheria di mio figlio, biancheria di mia figlia e in mezzo la mia.

 

Signore questa sera ti offro, per tutte quelle che non ti conoscono, o per tutte quelle che non pensano a pregare, questa biancheria candida, più morbida, più vaporosa, questa biancheria che profuma dell’amore delle mamme e di quello delle spose.

 

Ti offro tutti questi gesti quotidiani, che ripetuti mille volte intessono nell’ombra belle vite, vite meravigliose di umili, che sanno che amare significa resistere, ben al di là delle fatiche.

 

“Figliolo, te l’ho mai detto? Te lo dico, e tu dillo ai tuoi fratelli: Il Regno dei cieli assomiglia ad una donna, che per tutta la vita, della biancheria sporca fa biancheria pulita, e non per il potere del detersivo miracoloso, ma col miracolo dell’amore, donato ogni giorno”.

Michel Quoist

 


 

 

Breve silenzio: scrivo sulla pergamena le fatiche e i gesti quotidiani che voglio offrire al Signore.


 

La Formica... Impegno e Fatica...

Â…scalando la montagna della vita

Ben presto, l’interesse per la montagna si traduce in una vera e propria passione. Quella che oggi passerebbe, al massimo, per una scelta salutista, a quell’epoca è una sorta di affermazione di autonomia personale, quasi un atto di emancipazione, se non di innocente trasgressione. Questa passione è certamente sinonimo di divertimento, ma più in profondità, la montagna è legata a una dimensione di scoperta e di conquista.

Non c’entra l’agonismo: per una giovane che concepisce la sua vita come un percorso orientato a una realizzazione alta e lontana, l’alpinismo è un’ottima palestra, e le fatiche della salita una metafora dei sacrifici che stanno dietro l’angolo della vita, oltre che una preparazione ad affrontarli. L’esperienza della montagna, poi, è senza dubbio un’occasione di esplorazione interiore. Graziella sa stare in compagnia, ama ridere, scherzare. Ma la confidenza che concede non infrange mai i limiti della sua innata riservatezza. Durante le escursioni la si incontrerà più volte sulle pendici dei monti lecchesi, seduta all’ombra di un albero assorta in una solitaria passeggiata, desiderosa di respirare i colori, i rumori e i profumi della natura.

 

“Se in un bosco trovi due strade, segui la meno battuta”. Graziella era così. Una donna che si era saputa scegliere il proprio cammino di vita, rimanendogli fedele anche quando la conduceva per terreni impervi. Coriacea fino alla testardaggine, altruista fino all’ultimo, aveva piegato l’intera parabola della sua esistenza a uno scopo mai enunciato.

 

 

In ascolto della Parola

 

Mt 7, 24-27

“Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande”.

 

 

 

Breve silenzio

 

Le fondamenta della mia vita poggiano sulla roccia o sulla sabbia?

 

Riusciamo ad essere fedeli al nostro cammino

anche quando ci conduce per terreni impervi?

 

  La Formica...Impegno e Fatica...

Â…nel seguire la propria vocazione

Suor Aralda, cugina, madrina di battesimo, riferimento e guida della crescita spirituale di Graziella aveva provato a spingerla al matrimonio, per metterla alla prova, ma si era accorta che la sua vocazione autentica era lÂ’impegno missionario per i poveri.

Che la dimensione missionaria sia costitutiva del cristiano in quanto tale, laico o religioso che sia, e che il compito della testimonianza cristiana e dell’annuncio abbia per protagonista l’intero popolo di Dio, è convinzione che tarda a farsi strada. Il concilio suggerisce che la missione ad gentes è vocazione particolare di alcuni, non necessariamente consacrati, ma l’impegno evangelizzatore è responsabilità di tutti i fedeli, la consapevolezza che l’opzione cristiana non può non essere opzione per i poveri.

Ma un destino è un destino, e Graziella al suo ha già dato una svolta. Ha lasciato il lavoro, ha ripreso gli studi, la ragazzina minuta che lavorava in fabbrica, sorrideva e spesso taceva, ha già scelto la sua strada difficile. La meta è là, lontana e chiara, la partenza, un giorno, come medico, per curare i malati dell’Africa, i più sofferenti tra i sofferenti.

Per capire meglio cosa frulla nel suo cervello e nel ben custodito baule dei sogni, bisognerebbe ascoltarla mentre parla con suor Aralda, infermiera e missionaria comboniana. Ad un certo punto della sua giovinezza ed in vari momenti del suo itinerario di crescita, Graziella si interroga se la sua non sia una vocazione religiosa. La stessa Aralda la aiuta a sgombrare il campo dai dubbi: ”Se la tua strada porta all’Africa per servire i poveri, non necessariamente passa attraverso la scelta religiosa”. La suora sa che le logiche interne ad una congregazione non sempre sono flessibili, e non sempre possono tener conto dei desideri di una giovane che cerca la “sua” via per la missione. “Magari le superiori non ti faranno andare in Africa, e magari decideranno di impiegarti altrove. Da laica, forse, sarai più libera”. Così l’Africa guadagna la promessa di un medico che arriverà, un giorno, a condividere le angosce e le speranze. Laicamente, benché mossa da un intenso, tenace e silenzioso fuoco di testimonianza cristiana.

 

Graziella interpreta la vita non come un’avventura da tentare, o un melodramma da soffrire e godere, ma come un dovere da assolvere, un compito da sbrigare, un tempo da non sprecare, a costo di doversi scegliere un’occupazione secondaria per mantenere un’occupazione principale. La differenza sta nello scopo, più che nel modo: la sua meta non è il benessere, il conto in banca, il riscatto economico e l’affermazione sociale. Dice alla madre.” Non penserete che mi sia iscritta all’università per imparare a curare la malattie dell’abbondanza. Non voglio fare il medico per assistere chi ha mangiato troppo…”. Non concepisce la medicina come mestiere, curare i malati è il suo orizzonte di senso, la sua vocazione, la sua chiamata. Ascoltata da tempo, coltivata nell’ombra, fatta crescere con fedeltà.

Mentre stila una diagnosi, porge una medicina, compie un intervento, sa di avere a che fare con una persona alla quale deve l’imparzialità e la freddezza dello specialista, ma anche la carità di una parola e di un sorriso.

La sua scelta per un mondo tanto diverso non è stata una fuga da una professione insoddisfacente o da una famiglia inesistente. Graziella è partita sulla cresta dell’onda di una vocazione adulta e meditata, che ora matura e si dispiega con naturalezza, senza ostentazione. Soprattutto, però, nell’Africa di Graziella lavora l’instancabile tarlo del servizio, che non si accontenta di un generico scenario di bisogno, ma scruta l’orizzonte di prove sempre più dure, di situazioni sempre più estreme, di povertà sempre più pressanti, di umanità sempre più lacerate. Alle spalle ci sono già sentieri difficili, ma il più erto deve ancora venire.

 

Graziella aveva ricevuto unÂ’educazione religiosa, ma della sua fede aveva presto imparato a non fare bandiera, ne aveva privilegiato la dimensione interiore, era come una sorgente silenziosa e tenace a cui non aveva mai mancato di dare alimento, partecipando assiduamente ai momenti liturgici. Il suo essere cristiana, una vicenda intima e senza bandiere, rispettosa delle convinzioni e delle credenze altrui, non mancava di sostanza, di assiduità, di convinzione: passò beneficando e lo fece camminando sulle orme di Cristo, alla cui sequela aveva consacrato la vita. Laicamente e silenziosamente, ma fedelmente. 

 

Breve silenzio

 

 

 

  La Formica... Impegno e Fatica...

Â…nellÂ’affrontare il martirio

 

Il capo dei miliziani si fa ricevere al TB center, discute, fa la voce grossa, pretende di interferire nella gestione del programma. Vuole conoscere il budget: “O fate come chiedo, o ve ne andate”. Graziella, al suo passo d’inizio, non si mostra spaventata dal brusco benvenuto. Si limita a celiare, come suo solito: “Se non mi vogliono, non disfo le valigie”.

 

Ben presto – a detta di tutti i suoi collaboratori di Merca – rivela solide doti di equilibrio, di onestà e trasparenza, sa mescolarle con la robusta dose di pazienza che è necessaria a trattare ogni giorno con i somali, le amalgama con il coraggio indispensabile a dire i “no” che vanno detti, per resistere a pressioni e richieste che talvolta suonano come minacce, fa infine lievitare l’impasto con una speciale riserva di rispetto e correttezza nei confronti di tutti gli interlocutori.

 

“Dobbiamo essere fermi ma equi, per non essere ricattabili da alcuno”, commenta Graziella. Madame no: un appellativo ironico, un piccolo monumento verbale ad una capoprogetto imparziale e pignola, risoluta e intransigente.

Le scelte africane che ha in precedenza compiuto – la Guinea con le sue aspre condizioni ambientali, il Mozambico con tutte le incognite derivanti da una guerra civile appena spenta e dall’onnipresente minaccia delle mine – testimoniano che in Graziella vi è come un bisogno di mettersi costantemente alla prova, rifiutando le soluzioni più semplici o accomodanti, la sua missione è là dove non solo le persone hanno maggiore bisogno, ma anche dove aiutarle comporta maggiore pericolo.

 

Disse a un collega: “Dio ci ha voluto a Merca per aiutare questa gente; se poi dispone che moriamo qui, vorrà dire che moriremo qui”. Graziella sembra davvero, talora, guardare in faccia il pericolo senza paura, con una serenità e una freddezza che meravigliano.

Il capo della polizia di Merca rivolgendosi a Graziella, offre un giorno protezione speciale al compound, in cambio di un adeguato compenso: nei fatti una tangente sulla sicurezza. La replica di Madame No è una rasoiata, nonostante il sorriso e le buone maniere: “Il nostro dovere è di curare la vostra gente, il vostro è garantire la nostra sicurezza. Non vi paghiamo per un compito che già vi compete”. Il poliziotto incassa: “allora non rispondo di eventuali incidenti”.

 

Il dilemma, in effetti, è di quelli tosti. Garantirsi (forse) la sicurezza, rinunciando all’autonomia e consolidando il caos? O mantenere l’indipendenza, la trasparenza e l’equidistanza della propria posizione, con il rischio dell’incolumità personale? La Caritas sceglie la seconda, la decisione era già stata impostata da Annalena, quando non aveva voluto affidare le sorti del suo centro alla sorveglianza di un clan, e forse questo le era costato tante minacce e qualche percossa. La Caritas italiana e Graziella confermano questa linea.

 

Al rientro in Italia per un periodo di vacanza, ad alcuni amici che volevano raggiungerla per un periodo di volontariato dice: “Non è il momento, è meglio che aspettiate un po’…”, mentre in occasioni precedenti li invitava a raggiungerla.

“Vi fan credere che laggiù ci sia una guerra tribale, ma ci sono cose ben più importanti… a noi i miliziani chiedono coperte, benzina e medicine per rivenderle…. E il business del momento è quello delle armi”.

 

Graziella ha telefonato per sfogarsi, per condividere una preoccupazione che la opprime: “Aralda, prega. Sono tornati a minacciare”. La suora sa che Graziella è sicura che vogliono soldi per comprare le armi. “Aveva voglia di denunciare i traffici di armi legati al porto…”. Lascia intuire ad Aralda che questa volta il pericolo è concreto e non le tace un dubbio pesante come un macinio: “Non so se rimanere o andarmene”. La suora le dice “abbandonare i malati può essere una diserzione, e se sarai chiamata a dare la vita sarà una testimonianza di fedeltà, ma se moralmente ritieni di dover partire, parti “. Graziella è in ansia ma non tentenna: “Non me la sento di lasciare soli i malati e i nostri bambini. Sono persi senza di noi”. Suor Aralda la incalza: “sei una donna, dai ad un uomo la responsabilità di rispondere a chi ti minaccia”. Ribatte lapidaria: “E’ compito mio”.

 

Al telefono con un collega: “Sono contenta che veniate, vi devo parlare di qualcosa di serio. Ma adesso non voglio dire di più. Anche le pareti, in questa casa, hanno orecchi”.

La mattina del 22 ottobre Graziella scende nel nuovo laboratorio per visitare il paziente che le è stato segnalato. Il senso del dovere. E la consapevolezza delle proprie responsabilità, la volontà di non lasciare senza attenzione una persona che soffre, la muta e profonda convinzione che anche questa giornata, comunque vada, qualunque sia il demone che preme al cancello, è fatta per spendersi, dedicarsi, servire, chinarsi sui bisogni dei fratelli: arde, in Graziella, un fuoco dello spirito, quieto, tenace, sempre vigile, che la conduce sotto la mano del suo carnefice.

Chi le ha sparato, alle 9,45 locali, le 7,45 in Italia, lo ha fatto per uccidere. Un’esecuzione fredda e spietata. Tre colpi al volto, la morte che sopraggiunge, nel giro di pochi minuti, per “emorragia intracranica e frattura del parietale destro da proiettile”. Era il 22 ottobre 1995, una normale domenica a Merca, la giornata che i cristiani, nel mondo, dedicano alla preghiera per le missioni.


Tra i compagni di lavoro, di avventura e di missione che hanno condiviso con Graziella il periodo, sedici mesi, della sua permanenza a Merca, nessuno ha disertato. Tutti continuano a combattere ogni giorno, sparsi ai quattro angoli del mondo. Ha scritto un collega: “ nei momenti difficili, quelli delle decisioni importanti, quando bisogna chiamare a raccolta tutte le forze dell’animo e dell’intelletto. È allora che ci si chiede: cosa ne penserebbe Graziella? Esattamente come quando si lavorava insieme. Perché, difatti, ancora insieme stiamo lavorando”.

 

 

Condivisioni e gesto

 

Ogni tre condivisioni cantiamo il mottetto di Taizè

 

 

PER CONCLUDEREÂ….

 

LA CROCE QUOTIDIANA

 

Si può notare, vivendo il presente, che – se lo si vive bene – è sempre possibile attuare le parole del Cristo: “prendi la tua croce” (Mt. 16,24). Quasi ogni momento ha la sua croce: piccoli, minimi o grandi dolori spirituali o fisici che accompagnano la nostra vita nel presente. Occorre “prenderle” queste croci, non cercare di dimenticarle rifugiandosi in una vita non impegnata.

(Chiara Lubich)

 

   

PREGHIERA FINALE:          

AVE, MARIA

 

Ave Maria.

Maria del Si, per rifiutare i no e sempre accogliere lÂ’amore che si annuncia.

Maria silenzio, semi di silenzio per far fiorire nella nostra terra la Parola di vita.

Maria la bella, bella di luce per rischiarare i volti chiusi al Sole del Bambino.

Maria di tutti i giorni, per sgranare mille istanti di giornata in grani di rosario.

Maria tenerezza per i nostri baci, frulli dÂ’ali su fronti deserte.

Maria sorriso per vivere come fiori, fiori da raccogliere per chi passa.

Maria delle lacrime, lacrime come fiumi per irrigare cuori inariditi.

Maria lassù che vivi nella Gioia, prega per me, che sono in difficoltà.

Maria memoria, memoria fedele, ricordati di me quando con i piedi sporchi di fango entrerò nella vita.

Io ti saluto Maria, Maria madre, Maria che amo.

Così sia.

Michel Quoist


   

 

CANTO FINALE

 

 

 

 

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