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GIM Verona: Essere Vangelo con i lontani

novembre 2003

Missione come festa: abbondanza di vita

Veglia III GIM di Venegono Superiore

novembre 2004

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Catechesi Teologia della missione  Sfide per crescere

  

Canto iniziale

Invocazione allo Spirito

Vieni Spirito dÂ’Amore, donaci lÂ’amore nuovo, apri i nostri cuori, le nostre mani per abbracciare tutto il mondo, per dare un bacio di pace e dÂ’amore agli ultimi del mondo.

Vieni Spirito di Vita, forza di ogni cosa. Tu che fai nuovo il volto della terra, spezza le catene, vinci lÂ’ingiustizia e portaci la pace.

Vieni Spirito di Forza, facci rischiare la vita per annunciare ad ogni fratello che Cristo è la nostra Speranza per camminare insieme e costruire un mondo migliore.

Vieni respiro di Vita, soffia su di noi, facci strumento per annunciare il Regno.

Vieni Spirito di Pace, dacci fame di giustizia, facci testimoni di verità nel mondo perché nasca un’umanità nuova unita nella pace.

 

Canone di Taizè

 

In ascolto della Parola

Dal vangelo di Giovanni (2,1-12)

Tre giorni dopo ci fu una festa di nozze in Cana di Galilea e c' era là la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Ed essendo venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli dice: «Non hanno più vino». Le dice Gesù: «Che vuoi da me, o donna? Non è ancora venuta la mia ora». Sua madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà». C' erano là sei giare di pietra per le abluzioni dei Giudei, capaci da due a tre metrète ciascuna. Dice loro Gesù: «Riempite le giare di acqua». Le riempirono fino all' orlo. Dice loro: «Ora attingete e portatene al direttore di mensa». Essi ne portarono. Come il direttore di mensa ebbe gustata l' acqua divenuta vino (egli non sapeva donde veniva, mentre lo sapevano i servi che avevano attinto l' acqua), chiama lo sposo e gli dice: «Tutti presentano dapprima il vino buono e poi, quando si è brilli, quello scadente. Tu hai conservato il vino buono fino ad ora». Questo inizio dei segni fece Gesù in Cana di Galilea e rivelò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. Dopo questo fatto, discese a Cafarnao: lui, sua madre, i fratelli e i suoi discepoli, e rimasero là non molti giorni.

 

Essere segno dellÂ’amore di Dio, fare ciò che il Figlio ci invita a compiere,  significa essere disposto/a ad offrire la vita per quello che riteniamo giusto e che nella logica del Regno assume spesso i contorni del martirio. Per questo, oggi, ci lasciamo condurre dalla testimonianza di una donna di pace, Rachel, che ha saputo essere segno di nonviolenza attiva, ponendo il suo corpo e la sua vita al servizio della giustizia e della pacificazione. Aprendo la sua porta al banchetto dove tutti possano partecipare, e dove il vino buono della solidarietà e della condivisione non manca mai

Canone di Taizè

 

In ascolto della testimone

Rachel Corrie, 23 anni, attivista statunitense, è stata assassinata il 16 marzo 2003, schiacciata da una ruspa israeliana. Rachel tentava di evitare che la ruspa demolisse l'abitazione di un medico palestinese nella Striscia di Gaza. Nelle sue ultime lettere racconta ai familiari la Palestina che ha conosciuto partecipando alle azioni dell'International Solidarity Movement.

 

Rachel ha deciso di dedicare la sua vita ad un impegno concreto in favore della pace. Senza assumere un atteggiamento demagogico o pietista. Si è posta “nel mezzo”, opponendo la sua vita alla logica della violenza, del conflitto violento. Rachel ha scelto di schierarsi, di ascoltare le ragioni, di comprendere “dal di dentro” le cause. E per questo ha pagato con la vita.

 

AscoltiamolaÂ…

 

7 febbraio 2003

Ciao amici e famiglia e tutti gli altri, sono in Palestina da due settimane e un'ora e non ho ancora parole per descrivere ciò che vedo. È difficilissimo per me pensare a cosa sta succedendo qui quando mi siedo per scrivere alle persone care negli Stati Uniti. È come aprire una porta virtuale verso il lusso. Non so se molti bambini qui abbiano mai vissuto senza i buchi dei proiettili dei carri armati sui muri delle case e le torri di un esercito che occupa la città che li sorveglia costantemente da vicino. Penso, sebbene non ne sia del tutto sicura, che anche il più piccolo di questi bambini capisca che la vita non è così in ogni angolo del mondo. Un bambino di otto anni è stato colpito e ucciso da un carro armato israeliano due giorni prima che arrivassi qui e molti bambini mi sussurrano il suo nome - Alì - o indicano i manifesti che lo ritraggono sui muri.

(…) In ogni caso qui si trovano dei ragazzi di otto anni molto più consapevoli del funzionamento della struttura globale del potere di quanto lo fossi io solo pochi anni fa.

 

Canone di Taizè

 

Tuttavia, nessuna lettura, conferenza, documentario o passaparola avrebbe potuto prepararmi alla realtà della situazione che ho trovato qui. Non si può immaginare a meno di vederlo, e anche allora si è sempre più consapevoli che l'esperienza stessa non corrisponde affatto alla realtà: pensate alle difficoltà che dovrebbe affrontare l'esercito israeliano se sparasse a un cittadino statunitense disarmato, o al fatto che io ho il denaro per acquistare l'acqua mentre l'esercito distrugge i pozzi e naturalmente al fatto che io posso scegliere di andarmene. Nessuno nella mia famiglia è stato colpito, mentre andava in macchina, da un missile sparato da una torre alla fine di una delle strade principali della mia città. Io ho una casa. Posso andare a vedere l'oceano. Quando vado a scuola o al lavoro posso essere relativamente certa che non ci sarà un soldato, pesantemente armato, che aspetta a metà strada tra Mud Bay e il centro di Olympia a un checkpoint, con il potere di decidere se posso andarmene per i fatti miei e se posso tornare a casa quando ho finito.

 

Dopo tutto questo peregrinare, mi trovo a Rafah: una città di circa 140.000 persone, il 60% di questi sono profughi, molti di loro due o tre volte profughi. Oggi, mentre camminavo sulle macerie, dove una volta sorgevano delle case, alcuni soldati egiziani mi hanno rivolto la parola dall'altro lato del confine. "Vai! Vai!" mi hanno gridato, perché si avvicinava un carro armato. E poi mi hanno salutata e mi hanno chiesto "come ti chiami?". C'è qualcosa di preoccupante in questa curiosità amichevole. Mi ha fatto venire in mente in che misura noi, in qualche modo, siamo tutti bambini curiosi di altri bambini. Bambini egiziani che urlano a donne straniere che si avventurano sul percorso dei carri armati. Bambini palestinesi colpiti dai carri armati quando si sporgono dai muri per vedere cosa sta accadendo. Bambini di tutte le nazioni che stanno in piedi davanti ai carri armati con degli striscioni. Bambini israeliani che stanno in modo anonimo sui carri armati, di tanto in tanto urlano e a volte salutano con la mano, molti di loro costretti a stare qui, molti semplicemente aggressivi, sparano sulle case mentre noi ci allontaniamo.

 

Canone di Taizè

 

27 febbraio 2003 (alla madre)

Vi voglio bene. Mi mancate davvero. Ho degli incubi terribili, sogno i carri armati e i bulldozer fuori dalla nostra casa, con me e voi dentro. A volte, l'adrenalina funge da anestetico per settimane di seguito, poi improvvisamente la sera o la notte la cosa mi colpisce di nuovo: un po' della realtà della situazione.

 

Ho proprio paura per la gente qui. Ieri ho visto un padre che portava fuori i suoi bambini piccoli, tenendoli per mano, alla vista dei carri armati e di una torre di cecchini e di bulldozer e di jeep, perché pensava che stessero per fargli saltare in aria la casa. In realtà, l'esercito israeliano in quel momento faceva detonare un esplosivo nel terreno vicino, un esplosivo piantato, a quanto pare, dalla resistenza palestinese. Questo è nella stessa zona in cui circa 150 uomini furono rastrellati la scorsa domenica e confinati fuori dall'insediamento mentre si sparava sopra le loro teste e attorno a loro, e mentre i carri armati e i bulldozer distruggevano 25 serre, che davano da vivere a 300 persone. L'esplosivo era proprio davanti alle serre, proprio nel punto in cui i carri armati sarebbero entrati, se fossero ritornati. Mi spaventava pensare che per quest'uomo, era meno rischioso camminare in piena vista dei carri armati che restare in casa. Avevo proprio paura che li avrebbero fucilati tutti, e ho cercato di mettermi in mezzo, tra loro e il carro armato. Questo succede tutti i giorni, ma proprio questo papà con i suoi due bambini così tristi, proprio lui ha colto la mia attenzione in quel particolare momento, forse perché pensavo che si fosse allontanato a causa dei nostri problemi di traduzione.

 

Ho pensato tanto a quello mi avete detto per telefono, di come la violenza dei palestinesi non migliora la situazione. Due anni fa, sessantamila operai di Rafah lavoravano in Israele. Oggi, appena 600 possono entrare in Israele per motivi di lavoro. Di questi 600, molti hanno cambiato casa, perché i tre checkpoint che ci sono tra qui e Ashkelon (la città israeliana più vicina) hanno trasformato quello che una volta era un viaggio di 40 minuti in macchina in un viaggio di almeno 12 ore, quando non impossibile. Inoltre, quelle che nel 1999 erano le potenziali fonti di crescita economica per Rafah sono oggi completamente distrutte: l'aeroporto internazionale di Gaza (le piste demolite, tutto chiuso); il confine per il commercio con l'Egitto (oggi con una gigantesca torre per cecchini israeliani al centro del punto di attraversamento); l'accesso al mare (tagliato completamente durante gli ultimi due anni da un checkpoint e dalla colonia di Gush Katif). Dall'inizio di questa intifada, sono state distrutte circa 600 case a Rafah, in gran parte di persone che non avevano alcun rapporto con la resistenza, ma vivevano lungo il confine.

Canone di Taizè

Credo che Rafah oggi sia ufficialmente il posto più povero del mondo. Esisteva una classe media qui, una volta. Ci dicono anche che le spedizioni dei fiori da Gaza verso l'Europa venivano, a volte, ritardate per due settimane al valico di Erez per ispezioni di sicurezza. Potete immaginarvi quale fosse il valore di fiori tagliati due settimane prima sul mercato europeo, quindi il mercato si è chiuso. E poi sono arrivati i bulldozer, che distruggono gli orti e i giardini della gente. Cosa rimane per la gente da fare? Ditemi se riuscite a pensare a qualcosa. Io non ci riesco. Se la vita e il benessere di qualcuno di noi fossero completamente soffocati, se vivessimo con i nostri bambini in un posto che ogni giorno diventa più piccolo, sapendo, grazie alle nostre esperienze passate, che i soldati e i carri armati e i bulldozer ci possono attaccare in qualunque momento e distruggere tutte le serre che abbiamo coltivato da tanto tempo, e tutto questo mentre alcuni di noi vengono picchiati e tenuti prigionieri assieme a 149 altri per ore: non pensate che forse cercheremmo di usare dei mezzi un po' violenti per proteggere i frammenti che ci restano? Ci penso soprattutto quando vedo distruggere gli orti e le serre e gli alberi da frutta: anni di cure e di coltivazione. Penso a voi, e a quanto tempo ci vuole per far crescere le cose e quanta fatica e quanto amore ci vuole. Penso che in una simile situazione, la maggior parte della gente cercherebbe di difendersi come può. Penso che lo farebbe lo zio Craig. Probabilmente la nonna lo farebbe. E penso che lo farei anch'io.

 

Mi avete chiesto della resistenza non violenta. Quando l'esplosivo è saltato ieri, ha rotto tutte le finestre nella casa della famiglia. Mi stavano servendo del tè, mentre giocavo con i bambini. Adesso è un brutto momento per me. Mi viene la nausea a essere trattata sempre con tanta dolcezza da persone che vanno incontro alla catastrofe. So che visto dagli Stati Uniti, tutto questo sembra iperbole. Sinceramente, la grande gentilezza della gente qui, assieme ai tremendi segni di deliberata distruzione delle loro vite, mi fa sembrare tutto così irreale. Non riesco a credere che qualcosa di questo genere possa succedere nel mondo senza che ci siano più proteste. Mi colpisce davvero, di nuovo, come già mi era successo in passato, vedere come possiamo far diventare così orribile questo mondo. Dopo aver parlato con voi, mi sembrava che forse non riuscivate a credere completamente a quello che vi dicevo. Penso che sia meglio così, perché credo soprattutto all'importanza del pensiero critico e indipendente. E mi rendo anche conto che, quando parlo con voi, tendo a controllare le fonti di tutte le mie affermazioni in maniera molto meno precisa. In gran parte questo è perché so che fate anche le vostre ricerche.

 

Ma sono preoccupata per il lavoro che svolgo. Tutta la situazione che ho descritto, assieme a tante altre cose, costituisce un'eliminazione, a volte graduale, spesso mascherata, ma comunque massiccia, e una distruzione, delle possibilità di sopravvivenza di un particolare gruppo di persone. Ecco quello che vedo qui. Gli assassini, gli attacchi con i razzi e le fucilazioni dei bambini sono atrocità, ma ho tanta paura che se mi concentro su questi, finirò per perdere il contesto. La grande maggioranza della gente qui, anche se avesse i mezzi per fuggire altrove, anche se veramente volesse smetterla di resistere sulla loro terra e andarsene semplicemente (e questo sembra essere uno degli obiettivi meno nefandi di Sharon), non può andarsene. Perché non possono entrare in Israele per chiedere un visto e perché i paesi di destinazione non li farebbero entrare: parlo sia del nostro paese che di quelli arabi. Quindi penso che quando la gente viene rinchiusa in un ovile - Gaza - da cui non può uscire, e viene privata di tutti i mezzi di sussistenza, ecco, questo credo che si possa qualificare come genocidio. Anche se potessero uscire, credo che si potrebbe sempre qualificare come genocidio. Forse potreste cercare una definizione di genocidio secondo il diritto internazionale. Non me la ricordo in questo momento. Spero di riuscire con il tempo a esprimere meglio questi concetti. Non mi piace usare questi termini così carichi. Credo che mi conoscete sotto questo punto di vista: io do veramente molto valore alle parole. Cerco davvero di illustrare le situazioni e di permettere alle persone di tirare le proprie conclusioni. Comunque, mi sto perdendo in chiacchiere. Voglio solo scrivere alla mamma per dirle che sono testimone di questo genocidio cronico e insidioso, e che ho davvero paura, comincio a mettere in discussione la mia fede fondamentale nella bontà della natura umana.

 

Canone di Taizè

Credo che sia una buona idea per tutti noi, mollare tutto e dedicare le nostre vite affinché ciò finisca. Non penso più che sia una cosa da estremisti. Voglio davvero andare a ballare al suono di Pat Benatar e avere dei ragazzi e disegnare fumetti per quelli che lavorano con me. Ma voglio anche che questo finisca. Quello che provo è incredulità mista a orrore. Delusione. Sono delusa, mi rendo conto che questa è la realtà di base del nostro mondo e che noi ne siamo in realtà partecipi. Non era questo che avevo chiesto quando sono entrata in questo mondo. Non era questo che la gente qui chiedeva quando è entrata nel mondo. Non è questo il mondo in cui tu e papà avete voluto che io entrassi, quando avete deciso di farmi nascere. Non era questo che intendevo, quando guardavo il lago Capital e dicevo, "questo è il vasto mondo e sto arrivando!" Non intendevo dire che stavo arrivando in un mondo in cui potevo vivere una vita comoda, senza alcuno sforzo, vivendo nella completa incoscienza della mia partecipazione a un genocidio. 

 

Sento altre forti esplosioni fuori, lontane, da qualche parte. Quando tornerò dalla Palestina, probabilmente soffrirò di incubi e mi sentirò in colpa per il fatto di non essere qui, ma posso incanalare tutto questo in altro lavoro. Venire qui è stata una delle cose migliori che io abbia mai fatto. E quindi, se sembro impazzita, o se l'esercito israeliano dovesse porre fine alla loro tradizione razzista di non far male ai bianchi, attribuite il motivo semplicemente al fatto che io mi trovo in mezzo a un genocidio che io anch'io sostengo in maniera indiretta, e del quale il mio governo è in larga misura responsabile.

Voglio bene a te e a papà. Scusatemi il lungo papiro. OK, uno sconosciuto vicino a me mi ha appena dato dei piselli, devo mangiarli e ringraziarli.

Rachel

 

Gesto di riconciliazione

In un semplice gesto di richiesta di perdono, ci laviamo le mani, il viso. Chiediamo al Signore della vita di purificare il nostro cuore e le nostre azioni, per chiedere la forza di resistere al male impegnandoci in gesti e comportamenti coerenti con il Vangelo della pace! (Canto B4)

 

SilenzioÂ… risonanze

 

TerminandoÂ…

 

Rinnoviamo la nostra fede

 

Credo nella multiformità delle espressioni umane come multiformità delle espressioni di Dio.

Credo nei mille colori dell’arcobaleno che composti insieme danno una luce che è calore e tenerezza.

Credo nelle cinque dita della mano, nessun dito è veramente dito senza le altre dita e senza essere mano.

Credo nell’unità delle diversità della fantasia di Dio.

Credo in Dio Padre di tutti gli uomini

Credo in Gesù Cristo morto e risorto per la nostra salvezza e liberazione

Credo nello Spirito Santo che cÂ’insegna ad amare e lottare

Credo nel Vangelo, Parola che salva e luce nel cammino

Credo nel perdono di Dio che ci rende creature nuove

Credo nella preghiera e nel servizio gratuito

Credo nelle infinite risorse delle persone, nella loro capacità di collaborare con Dio, per la sua Grazia

Credo alla volontà di Dio che vuole che la terra torni ad assomigliare al cielo. Amen

 

Padre Nostro e Canto finale

___________________________________________________

Il primo mezzo di evangelizzazione resta la testimonianza quotidiana di una vita autenticamente cristiana, una vita fedele al Signore, una vita segnata da libertà, gratuità, giustizia, condivisione, pace, una vita giustificata dalle ragioni della speranza. Questa vita improntata a quella di Gesù potrà suscitare interrogativi, far nascere domande, così che ai cristiani verrà chiesto di “rendere conto della speranza che li abita” e della fonte del loro comportamento. Per questo servono uomini e donne che narrino con la loro esistenza stessa che la vita cristiana è “buona”: quale segno più grande di una vita abitata dalla carità, dal fare il bene, dallÂ’amore gratuito che giunge ad abbracciare anche il nemico, una vita di servizio tra gli uomini, soprattutto i più poveri, gli ultimi, le vittime della storia? Teofilo di Antiochia, un vescovo del ii secolo, ai pagani che gli chiedevano “mostrami il tuo Dio”, ribaltava la domanda: “mostrami il tuo uomo e io ti mostrerò il tuo Dio”, mostrami la tua umanità e noi cristiani, attraverso la nostra umanità, vi diremo chi è il nostro Dio. I cristiani del xxi secolo possono dire questo? Sanno mostrare una fede che plasma la loro vita a imitazione di quella di Gesù, fino a far apparire in loro la differenza cristiana? La loro vita propone una forma di uomo, un modo umano di vivere che racconti Dio, attraverso Gesù Cristo? 

            Enzo Bianchi

 

 

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