Il vero cristiano sa comunicare la gioia
Nel
nostro
orizzonte ci sono oggi due fenomeni con cui
levangelizzazione si trova a fare i conti: lindifferentismo
della maggior parte degli uomini delle nostre società
post-cristiane e il pluralismo religioso,
dovuto soprattutto alle migrazioni di credenti di
altre religioni nel nostro continente. Entrambi
mettono in crisi non solo le forme e i modi, ma la
stessa plausibilità dellevangelizzazione: sono
fenomeni dolorosi per la coscienza credente perché
non la contestano frontalmente, non la combattono
apertamente, ma affermano, con il loro stesso esserci,
che il cristianesimo può essere insignificante e che
si può vivere bene anche senza di esso.
Lindifferenza religiosa pone la chiesa di fronte
allo spettro della propria possibile insignificanza e
inutilità, mentre il pluralismo religioso fa
intravedere al cristianesimo la possibilità di
doversi considerare una proposta tra le altre, senza
titoli di superiorità né, tanto meno, di
assolutezza.
Lindifferenza
è percepita come un ospite inatteso, un intruso
indesiderato, una presenza ingombrante di fronte alla
quale si è tentati o di rimuoverla con la nostalgia
di un mondo popolato da militanti, oppure di
condannarla con giudizi sommari e definitivi: così
lindifferenza sarebbe il risultato di un
individualismo esasperato, di una cultura incapace di
discernimento e contrassegnata da una radicale
incertezza
Lindifferenza di chi è deluso dalle
fine delle ideologie, lindifferenza di ex-credenti
frustrati nella loro attesa di un rinnovamento
ecclesiale, lindifferenza dellhomo
technologicus convinto di poter dominare tutto
attraverso la tecnica appare ai cristiani come
enigmatica e grande nemica. Eppure, li stimola a porsi
domande salutari: perché il cristianesimo ha cessato
di essere interessante agli occhi di molti? E i
cristiani, sono essi stessi davvero
evangelizzati, così da poter essere efficaci evangelizzatori?
Sanno davvero esprimere e comunicare la loro
peculiarità, la loro differenza? Non
dimentichiamo che lindifferenza cresce man mano che
scompare la differenza! Del resto, il cristianesimo è
unofferta, non unimposizione e non pretende di
avere il monopolio della felicità, ma afferma di
trovarla nella vita secondo Gesù Cristo. Il fatto che
vi siano degli atei, allora, non fa che rafforzare la
scelta di libertà che sta alla base di una vita
cristiana. Il problema serio, se mai, è che non siano
i cristiani stessi e le chiese a produrre atei con i
loro atteggiamenti disumani e intolleranti, con la
pratica dellautosufficienza e del non ascolto.
Quanto
al pluralismo religioso, occorre non essere astratti:
non si incontra mai lislam o una religione, bensì
uomini e donne che appartengono a determinate
tradizioni religiose e per i quali questa appartenenza
è un aspetto di unidentità molteplice e non
monolitica. In questo camminare accanto, in
questo vivere gli uni a fianco degli altri, i
cristiani non devono imboccare vie apologetiche né
assumere atteggiamenti difensivi o, peggio ancora,
aggressivi, ma devono saper creare spazi di vita e di
accoglienza in vista delledificazione di una polis
non semplicemente multiculturale e multireligiosa ma
interculturale e interreligiosa. Qui più che mai i
cristiani sono chiamati a creare spazi comunitari a
partire dalla loro capacità di essere uomini e donne
di comunione e a rendere le loro chiese autentiche
case e scuole di comunione per tutti gli uomini.
Il cammino di evangelizzazione richiede conoscenza
dellaltro e della sua fede, capacità
pentecostale di parlare la lingua dellaltro,
di farsi prossimo in senso evangelico di chi si è
fatto vicino a noi fisicamente, mostrando così di
credere nellunico Padre e di riconoscere la
fraternità universale. Di fronte allaltro per
lingua, etnia, religione, cultura, usi alimentari e
medici, prima di evangelizzare occorre imparare
lalfabeto con cui rivolgersi a lui, manifestando
concretamente una vicinanza e una simpatia
cordiali. Solo in questo modo si potrà
costruire una casa comune per lumanità nella
quale Dio possa vivere.
Oggi
ai cristiani è chiesto di non venir meno al loro
compito di annunciare il Vangelo,
ma questo annuncio non può essere disgiunto da una
buona comunicazione, un comportamento limpido, una
pratica cordiale dellascolto, del confronto e
dellalterità. Sì, lannuncio cristiano non deve
avvenire a ogni costo, né attraverso forme arroganti,
né con unostentazione di certezze che mortificano
o con splendori di verità che abbagliano. Infatti,
come ricordava già Ignazio di Antiochia allinizio
del ii
secolo: il cristianesimo è opera di grandezza, non
di persuasione.
Paolo
VI ha più volte chiesto alla chiesa,
in vista dellevangelizzazione di farsi dialogo,
conversazione, di guardare con immensa simpatia al
mondo perché, se anche il mondo sembra estraneo al
cristianesimo, la chiesa non può sentirsi estranea al
mondo, qualunque sia latteggiamento del mondo verso
la chiesa. Ecco perché occorre innanzitutto che i
cristiani siano loro stessi evangelizzati,
discepoli alla sequela del Signore piuttosto che
militanti improvvisati: così sapranno mostrare la
differenza cristiana. I cristiani non cerchino
visibilità a ogni costo, non rincorrano la
sovraesposizione per evangelizzare, non si servano di
strumenti forti di potere ma, custodendo con massima
cura, quasi con gelosia, la Parola cristiana, sappiano
innanzitutto essere testimoni di quel Gesù che ha
raccontato Dio agli uomini con la sua vita umana.
Il
primo mezzo di evangelizzazione resta la testimonianza
quotidiana di una vita autenticamente cristiana, una
vita fedele al Signore, una vita segnata da libertà,
gratuità, giustizia, condivisione, pace, una vita
giustificata dalle ragioni della speranza. Questa vita
improntata a quella di Gesù potrà suscitare
interrogativi, far nascere domande, così che ai
cristiani verrà chiesto di rendere conto della
speranza che li abita e della fonte del loro
comportamento. Per questo servono uomini e donne che
narrino con la loro esistenza stessa che la vita
cristiana è buona: quale segno più grande di
una vita abitata dalla carità, dal fare il bene,
dallamore gratuito che giunge ad abbracciare anche
il nemico, una vita di servizio tra gli uomini,
soprattutto i più poveri, gli ultimi, le vittime
della storia? Teofilo di Antiochia, un vescovo del ii
secolo, ai pagani che gli chiedevano mostrami il
tuo Dio, ribaltava la domanda: mostrami il tuo
uomo e io ti mostrerò il tuo Dio, mostrami la tua
umanità e noi cristiani, attraverso la nostra umanità,
vi diremo chi è il nostro Dio. I cristiani del xxi
secolo possono dire questo? Sanno mostrare una fede
che plasma la loro vita a imitazione di quella di Gesù,
fino a far apparire in essi la differenza cristiana?
La loro vita propone una forma di uomo, un modo umano
di vivere che racconti Dio, attraverso Gesù Cristo?
Altrimenti,
come potranno essere credibili nellannuncio di una
buona notizia, se la loro vita non riesce a
manifestare anche la bellezza del vivere? Nella
lotta di Gesù contro ciò che è inumano, nella lotta
dellamore, cè stato spazio anche per
unesistenza umanamente bella, arricchita
dalla gioia dellamicizia, circondata dallarmonia
della creazione e illuminata da uno sguardo di amore
su tutte le realtà più concrete di unesistenza
umana. Perché anche le gioie e fatiche che il
cristiano incontra ogni giorno diventino eventi di
bellezza occorre una vita capace di cogliere
sinfonicamente la propria esistenza assieme a quella
degli altri e del creato intero.
Così,
la vita del cristiano che vuole annunciare Gesù come
uomo secondo Dio sarà anche, a imitazione di
quella del suo Signore, una vita felice,
beata. Certo, non in senso mondano e banale, ma felice
nel senso vero, profondo, perché la felicità è la
risposta alla ricerca di senso. Tale dovrebbe essere
la vita cristiana: liberata
dagli idoli alienanti come dalle comprensioni
svianti della religione, contrassegnata dalla speranza
e dalla bellezza. I grandi maestri della spiritualità
cristiana hanno sempre ripetuto: O il cristianesimo
è filocalia, amore della bellezza, via
pulchritudinis, via della bellezza, o non è! E
se è via della bellezza saprà attirare anche altri
su quel cammino che conduce alla vita più forte della
morte, saprà essere narrazione vivente del Vangelo
per gli uomini e le donne di questo nostro tempo.
Enzo
Bianchi
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