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Enzo Bianchi: Mi baci con i baci della sua bocca

novembre 2001

Mi baci con i baci della sua bocca! 

(Ct 1,2)

Appunti e risonanza sul prologo del Cantico dei Cantici

da una conferenza di Enzo Bianchi 

(Padova, Novembre 2001)

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L'intervento di Enzo Bianchi ci aiuta ad approfondire la tematica dello speciale Ristabilire l'armonia tra l'uomo e la donna    

In quella piccola biblioteca che è la Bibbia si trova un libretto breve che porta il titolo "Il Cantico dei Cantici". Shirà schirìm in ebraico, locuzione che esprime un superlativo. Dire cantico dei cantici significa dire "il cantico per eccellenza" come tentava un volgare italiano dell’inizio del ‘400, facendone un femminile diceva: la cantica.

Il testo attribuisce questo testo a Salomone, il grande re, poeta, che secondo la testimonianza del primo libro dei re (I Re 5,12) pronunziò 3000 proverbi e i suoi canti sono del numero di 1500.

Quest’uomo, re Salomone, saggio, sapiente, un cuore capace di ascolto, porta però nel suo nome inscritta la pace. Shelomò ha la stessa radice di shalom, pace. Dunque Salomone andrebbe tradotto "il pacifico" e accanto a lui c’è Shulamìt, "la rappacificata", una donna.

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Cantico dei Cantici IV (1958). Marc Chagall (1887-1985). Olio su carta. Musée national Message Biblique Marc Chagall. The Provincial Museum of Alberta. L'interpretazione del Cantico dei cantici offerta da Chagall comunica l'amore esuberante tra lo Sposo e la Sposa con la vivacità dei colori e l'interazione giocosa delle forme

Tuttavia questo libretto si presenta pieno di enigmi: è un libro di amore, è attribuito a Salomone, ma chi sono i protagonisti? Tra chi si svolge questo canto? Sì, è vero, il testo parla di Shelomò, parla di Shulamìt, il pacifico e la pacifica, ma questi sono nomi che non si riferiscono certamente a personaggi storici. Non il re Salomone, e neanche una delle donne di Salomone, la Sulamite Abisàc. Tuttavia se Pacifico e Pacifica restano un enigma quanto alla loro identificazione, questi nomi comunicano una prima importante verità del cantico. Per fare l’amore, per essere in una relazione d’amore, fino a cantarla, fino a farne un’opera d’arte, ci vuole shalom, ci vuole la pace, ossia bisogna spegnere ogni violenza. E nell’amore voi sapete quanto la sessualità è legata alla violenza e come è difficile che avvenga proprio questo evento dell’amore. Solo chi conosce la pace, lo shalòm,, al punto che tutta la sua persona diventa shelomò, conosce il vero amore.

C’è poi un altro enigma, una domanda che è di importanza radicale: perché questo libro è finito nella Bibbia? Perché c’è questa canzone d’amore tra un uomo e una donna, una canzone "poco pudica", in cui per una sola volta e quasi per allusione compare il nome di Dio? e non da protagonista; si dice: l’amore è una fiamma di Jhwh. Jhwh è il grido per Javèh.

In realtà è un testo che ha trovato molta difficoltà ed entrare nel canone della Bibbia. Difficoltà a tal punto che non ho mai trovato una collocazione liturgica chiara nel giudaismo antico, l’ha trovata solo nel V secolo. E nel cristianesimo, comunque, non c’è mai un giorno o una festa in cui leggere il Cantico dei Cantici. Il giudaismo lo legge la notte di Pasqua, in fretta in uno spazio poco eloquente.

La chiesa ne legge qualche versetto per applicarlo a Maria, la Madonna. Complessivamente si constata una difficoltà a servirsi nella liturgia di tutto quello che il Cantico può dire come una storia d’amore.

L’accoglienza nel Canone del Cantico risale al I secolo durante il sinodo di Javnè che rappresenta l’inizio dell’ebraismo rabbinico.

Il problema fu risolto con Origene, il grande maestro dell’esegesi cristiana. Vi trovò che l’amore che vi era descritto era un amore parabolico, un amore che rinviava a qualcosa d’altro: l’amore tra Dio e il suo popolo, l’amore tra Cristo e la Chiesa. Origene scrisse un commento intelligentissimo e bello, ma da lui in poi si è praticata sempre e soltanto questa lettura, che possiamo dire tipologica o addirittura qualche volta allegorica. Questa lettura è stata l’unica fino ai tempi recenti, al nostro secolo.

Ma tra i primi a capire l’esigenza di una lettura del Cantico come amore umano del nostro secolo, il primo con autorevolezza, è stato Bonhoeffer. Bonhoeffer, certamente uno tra i più grandi teologi del secolo passato, un visionario, un profeta, così scriveva dal carcere in una lettera del 2 giugno del 43: "Io vorrei leggere il Cantico dei Cantici come il cantico dell’amore terreno perché questa è la migliore interpretazione cristologica. Dovrò dunque meditare a lungo su Efesini 5". E poi nella lettera del 22 maggio 44 dice: "C’è in realtà il pericolo, in ogni forte amore erotico, di perdere la polifonia della vita. Dio e la sua eternità vogliono essere amati con tutto il cuore, ma senza che venga indebolito l’amore terreno. L’amore di Dio è come il cantus fermus." (Il cantus fermus all’interno di una esecuzione è il canto rispetto al quale altre voci vengono suonate come contrappunto e uno di questi contrappunti è l’amore terreno n.d.r.) "Nella Bibbia c’è il Cantico e non si può davvero pensare ad un amore più sensuale, più caldo, più ardente di quello che vi è narrato, dove il cantus fermus è chiaro e distinto. Talora il contrappunto può dispiegarsi con il massimo vigore e la più alta libertà." "Credo che noi dobbiamo amare Dio e avere fede in lui in modo tale che quando arriva l’ora, la nostra ora, noi possiamo andare a lui con amore e fiducia, nello stesso modo. Per dirla in modo più chiaro e semplice che un uomo nelle braccia di una donna debba avere nostalgia dell’aldilà è a dir poco una mancanza di gusto e comunque non è secondo la volontà di Dio.". Queste parole di Bonhoeffer hanno di fatto aperto una nuova esegesi del Cantico e non annullano l’altra lettura.

Come si dovrebbe leggere il Cantico dei Cantici? Il Cantico dei Cantici è un insieme di frammenti di un discorso amoroso. Siamo nello spazio poetico, in cui soprattutto appare nel Cantico dei Cantici un io e un tu. C’è un io che parla al maschile e che non può essere identificato con Salomone. È un io di un amante furtivo, un io di un amante che fa visite notturne, che va a cercare una ragazza che non sta in una reggia, né in un palazzo del re. Dunque non è l’amata di Salomon. Questo io, se uno legge bene il Cantico, è piuttosto un io di un ragazzo della campagna più che della città. Le sue immagini sono pastorali. Quando deve pensare al rapporto tra lui e questa amata dice: "La mia vigna " (Ct 8,12).

Alcuni interrogandosi sui personaggi, hanno visto addirittura tre: l’amato, l’amante, e Salomone che appare come all’orizzonte; insomma il triangolo classico dell’intrigo amoroso. Ma in realtà è sbagliato. Chi legge il Cantico dei Cantici bene si accorge che qui non c’è storia, né intrigo, neppure un filo narrativo. Ci sono parole dette, parole scambiate, frammenti di un discorso amoroso.

È vero che c’è una tematica regale, ma questa appartiene all’immaginario, appartiene al linguaggio dell’amore. L’amata chiama l’amante "mio re", dice " il re che mi fa entrare nella sua alcova" (Ct 1,4) e l’amante quando arriva fa una parossia, una manifestazione, come Salomone re su una lettiga. Ma se allo sguardo dell’amata l’amante è un re, allo sguardo dell’amante lei è una regina. E l’amante dice "amante io ti farò regno in cui l’amore sarà re e tu regina".

Leggendo il Cantico si rivela come vi sia un io che porta tutte le frasi. Non c’è nelle Bibbia libro dove risuoni così tanto io e tu. Nel Cantico dei Cantici c’è la modalità irriducibile del faccia a faccia come dialogo. Io e tu, in ebraico at e atà, l’uomo e la donna, il maschile e il femminile.

Le matafore del libro sono una grande creazione poetica, possibile solo nell’amore: c’è un ricco bestiario (lui la chiama "cavalla", "colomba tra le fessure", "gazzella", lui è il "melo in mezzo al bosco"). Creazione di metafore vive capacità di creare: è la creazione dell’arte amorosa in cui lui può dire a lei "sei giardino chiuso" e poi sente il bisogno di dire non solo "mia amata", ma "mia fidanzata", "mia sorella" un bisogno profondo che abita un uomo nello slancio per questa amata che vorrebbe declinarle tutte le possibilità: amata, sposa, sorella, fidanzata. La bellezza dell’uno e dell’altro è costantemente riferita attraverso un duetto. In tutto questo c'è solo una cosa da capire: che le parole sono baci. Non ci si bacia soltanto attraverso la comunione dei soffi e dei respiri, ma le parole sono baci che gli amanti si scambiano e uno non sa mai distinguere se ha detto una parola come bacio o se ha dato un bacio che diventa parola per l'altra. La sessualità umana ha la capacità di sfociare nel mondo della parola e sempre una sessualità parlante, il desiderio sessuale parla in metafore ed è irriducibile alla necessità o al bisogno, la sessualità degli amanti è parola scambiata, anche silenzio, ma silenzio scambiato non muto. Gli amanti sono davvero dei poeti.

Le ideologie dominanti oggi sembrano dire che il corpo deve essere a disposizione di chi cerca soltanto piacere e bellezza come sui rotocalchi patinati: "sii bello e taci". Ma questo è narcisismo non è amore. All'interno del Cantico dei Cantici si sa fare un buon uso del piacere sessuale per cui è necessario il dominio di se; occorre molto dominio perché l'amore sia amore e non violenza, occorrono vigilanza e disciplina. Molto spesso, invece, egoismo e narcisismo e con essi la violenza sono presenti nella sessualità.

Mi baci con i baci della sua bocca!

Sì, le tue carezze sono più dolci del vino. (Ct 1, 2)

Questo è il preludio ed è l'espressione di un desiderio. La prima caratterizzazione dei personaggi avviene attraverso la descrizione di un desiderio, perché è il desiderio che dice la qualità di un uomo e una donna. E' sempre il desiderio che esprime la persona umana nella suo pienezza, si è uomini e donne quando si è capaci di desiderare e non si è più sotto la schiavitù del bisogno. Il desiderio è quello che fa sì che l'uomo sia capace di comunicazione, capace di estasi: si è uomini e donne solo se si è capaci di desiderare, "chi non desidera non è più un vivente è un morto" dice la Scrittura. La tarassia, l'impassibilità, l'assenza di desiderio non sono virtù bibliche. Gregorio Magno dice che desiderare è arte difficile, arrivando a parlare di officina desideriorum, officina per imparare a desiderare, perché ciò richiede un lungo lavoro su noi stessi nella fatica di approfondire e differire i propri bisogni. Desiderare è l'esatto contrario del "tutto e subito", perché chi dice così non desidera, ha solo dei bisogni e non conoscendo l'arte del differire e dell'attendere; non solo non è capace di stupore, ma è tentato costantemente dalla violenza. Il vero amore è la capacità del "non tutto, non subito", è estatico, va verso l'altro se è capace di spegnere in noi ogni tendenza che ci porterebbe alla violenza. La cultura dominante da immagine di una sessualità che impegna poco, senza il peso della serietà, ma l'unione carnale è piena di senso, coinvolge zone profonde della personalità, implica e mette in causa forze oscure che vanno armonizzate per evitare che venga imparentata con la violenza. Il passare da bisogno al desiderio è fondamentale, deve avvenire: è per questo che il desiderio si pone all'inizio del Cantico come esito di un cammino e come slancio di una avventura straordinaria. "Mi baci con i baci della sua bocca", pare voler suggerire che un desiderio deve essere espresso come canto. Un'altra differenza con il bisogno è nel modo in cui lo comunichiamo: il bisogno lo diciamo, soprattutto attraverso imperativi, il desiderio si canta. Il bacio è la prima maniera di entrare in contatto con l'altro è il simbolo trionfante del ruolo dei volti, la vera sessualità esige volto contro volto, è un evento, incontro tra due volti ed è parola, quindi, tra quelli che si baciano. Il bacio per l'amante che lo invoca è come un sigillo, introduzione alla celebrazione dell'amore. L'amore senza bacio non è amore, è senza volto.

Oltre a vedere il volto dell'amato l'amata si augura le sue carezze. La carezza è l'altra grande esperienza dell'amore, la mano si apre e la dita restano aperte e sentono, non prendono, non narrano la violenza, restano dita offerte, tese. Più che toccare la carezza vuole ascoltare, sentire è prova che l'altro è presente e che è altro, è celebrazione dell'altro. La Bibbia ebraica indica le carezze con il termine sot che in italiano è quasi impossibile da tradurre: è il colloquio silenzioso segreto in cui i due dialogano, si comunicano senza parlare semplicemente guardandosi, toccandosi e odorandosi. E quindi viene coinvolto anche l'odorato L'amata vorrebbe percepire l'altro attraverso il profumo e dice "profumo che si espande il tuo nome, per questo ti amano le ragazze", cioè il profumo dell'amante comunica tutto il suo essere ed è strumento dell'incontro amoroso come ad oggi relazione umana, Desiderio, piacere e bellezza sono stimolati dal profumo. La relazione erotica è apparentata alla relazione estetica, voluttà carnale e piacere estatico sono vicini, ma la prima è consumatrice il secondo vuole indugiare, si apre alla comunicazione , tende alla contemplazione è un'arte e un disciplina capace di accendere la comunione.

Il preludio si concludersi e lascia posto ad altri frammenti amorosi. In un primo momento in cui il ragazzo e la ragazza sono uno di fronte all'altro, finalmente si esaudisce quel desiderio "mi baci con i baci della sua bocca", si parlano, sboccia il dialogo: l'amore umano diventa amore parlato perché incontro di due corpi che parlano e comunicano, se incontro amoroso non c'è posto per la parola, allora si nega un volto all'amore l'incontro tende ad essere animale diventa voracità soddisfazione di un bisogno. L'amore deve essere secondo il logos, la parola, razionale in senso non opposto ad emotivo, ma che lascia spazio al linguaggio che permetta la vera relazione nell'alterità. Esso ritardando l'unione fisica ed introducendo una distanza rende più forte, più consapevole, più umano il desiderio e la contemplazione senza equivoci dell'altro. Parlando l'amata e l'amato fanno nascere tra loro la dimensione della contemplazione e prendono coscienza di cosa sia l'amore come l'incontra tra un io e un tu.

Gli sposi del cantico dei Cantici dichiarano l'un l'altro con parole brucianti il loro amore umano, si può dire che attraverso il linguaggio dei corpi sia nella dimensione soggettiva della verità dei cuori umani, sia nella dimensione oggettiva della verità di vivere in comunione, diventa lingua della liturgia. "Quando gli amanti sono uniti compiono la liturgia dei corpi" (Giovanni Paolo II).

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