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Gn (44, 1-34): “Ero in carcere e sei venuto a visitarmi”. Al di là delle sbarre, rompere le catene dell'indifferenza / Fratelli

Estate 2002

“Ero in carcere e sei venuto a visitarmi”
Al di là delle sbarre
Rompere le catene dell'indifferenza

Al carcere delle Vallette di Torino, 28 luglio – 8 agosto
GIM Venegono

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CATECHESI: Qui puoi trovare le catechesi che hanno animato la riflessione e la preghiera

Mistero di Dio, alla scoperta del Sogno (Gen. 37,2-11)
Giuseppe Venduto (Gn 37, 12 -36)
Seduzione, discernimento e persecuzione (Gen. 39,7-20)
Giuseppe in prigione (Gn 39, 20b-23) 

La Sapienza dono di Dio  Gen 40,1-23

Giuseppe liberato Gn 41 42 e 43

Fratelli Gn 44, 1-34 Leggi anche le riflessioni dei partecipanti al campo

ALLA SERA DELLA VITA

SAREMO GIUDICATI SULLÂ’AMORE

veglia di Preghiera

 

Mistero di Dio, alla scoperta del Sogno

Torino 29 luglio 2002

Leggi Gen. 37,2-11

La presenza nascosta di Dio nella vita

La storia di Giuseppe è la storia anche del popoli d’Israele, è la storia di un’alleanza rinnovata, di conciliazione e di una riscoperta dei legami familiari e dell’essere figli di Dio. Quello che colpisce nella vita di Giuseppe è che Dio non viene quasi mai menzionato, eppure c’è, ne segue e guida i passi, gli parla attraverso sogni e guida il suo cuore alla scoperta del progetto che Lui ha per la salvezza di molti.

Giuseppe non ha compreso subito il suo ruolo e le grandi cose che Dio farà con lui e attraverso di lui, lo scoprirà solo alla fine. Giuseppe si trova perciò in un cammino di scoperta e di conoscenza più profonda di Dio, dei suoi fratelli e della realtà che lo circonda.

Anche ciascuno di noi  si trova o si è trovato nella situazione di Giuseppe, e allÂ’inizio di questo campo siamo chiamati a scoprire questo Dio che ci parla, che è presente qui nel nostro gruppo e nelle attività che faremo, e che è altrettanto presente, ci guida e ci interpella nelle persone e nelle situazioni che incontriamo al mattino. Siamo chiamati ad aprire orecchi, occhi per vedere e percepire, e il cuore e le meni per accogliere e impegnarci in prima persona.

v     Guardo alla mia vita, alla mia storia e cerco di vedere dove Dio si è fatto presente, come mi ha guidato, accompagnato. Guardo anche ai momenti in cui hai camminato da solo/a, o mi sono sentito solo/a nel mio cammino e non ha saputo vedere Dio presente, o non ho avuto chiara la strada che stavo percorrendo.

Il progetto di Dio e il suo amore chiamano ad una vocazione importante

Dio ci accompagna e ci segue perché ci ama di un amore immenso. È per questo amore che Dio ci ha chiamati alla vita. L’amore si realizza in Colui che chiama alla vita e colui che è chiamato, risponde ad essa. L’uomo chiamato nell’amore, si realizza nella libera adesione a questa vocazione, che consiste nel suo vero e proprio sì alla vita. Due sono le caratteristiche di questo amore: non segue criteri quantitativi ed è libero. Per il primo caso, occorre vedere l’amore non secondo la logica del “mi ha dato tanto amore, ne rispondo tanto”, oppure “ama di più uno, e quindi fa torto agli altri”. È in questo errore che erano caduti i fratelli di Giuseppe, che non aveva più fatto loro vedere l’amore che il padre portava per loro, né sanno vedere quanto ama il padre; essi vivono l’amore come un qualcosa da possedere, in modo egoistico. Il secondo viene dal primo: occorre un amore libero dall’egoismo per viverlo veramente nella dimensione della chiamata, della vocazione.

Giuseppe ha una vocazione più esigente dei fratelli; è a causa di questa esigenza che Giuseppe riceve da Giacobbe l’amore necessario per compierla. E viceversa, è questo amore che porterà Giuseppe a compiere la sua vocazione. Ogni fratello aveva una vocazione e da Giacobbe tutti avevano ricevuto l’amore paterno necessario per realizzarla. Ma poiché Giuseppe sarà colui avrà come vocazione il ricomporre la famiglia, di far capire ai fratelli che sono figli del padre e che tra di loro sono fratelli.

Per capire meglio questo, ci viene in aiuto l’esempio di Gesù, che è detto il Figlio prediletto dal Padre, perché è chiamato a portare gli uomini a Dio Padre, e riunirli in un’unica famiglia. Da un lato questa logica dell’amore chiama a togliere ogni sentimento di superbia per “il di più” ricevuto, perché deve essere un’espressione dell’amore del Padre verso i fratelli; dall’altro richiede di togliere ogni gelosia e di gioire dell’amore che il Padre ha per ognuno dei suoi figli. Il peccato dei fratelli di Giuseppe è che vorrebbero un livellamento verso il basso dell’amore, vorrebbero che Giacobbe amasse di meno Giuseppe.

v     Guardo allÂ’amore del Padre per me. Mi sento amato da quellÂ’amore che chiama alla vita? Scopro i segni di questo amore. Scopro allora lÂ’amore immenso di Dio per me, e forse anche quel “di più”, perché Dio vuole chiamarmi ad un qualcosa di grande, di bello per essere strumento del suo amore.

v     Quanto il mio amore deve essere purificato da superbie o da gelosie che ne impediscono la vera realizzazione?

I miei sogni, purificati per scoprire il Sogno di Dio

Lasciarsi toccare dall’amore è scoprire la propria vocazione, è scoprire i propri sogni e il Sogno di Dio. Anche Giuseppe ha fatto e aveva dei sogni; nella Bibbia il sogno è spesso il momento della chiamata, il momento in cui Dio si rivela all’uomo. Ma come i sogni dell’uomo si rapportano col sogno di Dio, visto che a volte i nostri sogni non sono sempre “puri”, privi di imperfezioni? Il fatto è che la vocazione (il sogno) è ricevuta da una persona concreta, dentro la sua storia, all’interno della sua cultura. Quindi, il carattere, i talenti, la storia personale, anche le tendenze negative magari, nel caso di Giuseppe pure una sorta di narcisismo, non tolgono nulla all’azione di Dio e alla sua chiamata. Il sogno è una sorta di ideale che si rivela all’uomo e a cui poi l’uomo tenderà; è come una visione profetica che per l’istante una persona intravede e che poi avrà bisogno di tutta la vita per vivere. La voce dello Spirito nel cuore, la voce della Chiesa, la voce della Bibbia, delle persona vicine, i talenti e le inclinazioni personali, le necessità della gente, del mondo aiutano la comprensione di questo sogno. C’è sempre il rischio di voler essere noi i “direttori d’orchestra”, coloro che sanno dove andare e cosa fare; occorre lasciare Dio come protagonista e artefice principale, perché sia Lui a guidare e noi a seguire, così non cadremo nel protagonismo o in errori di una visione egoistica.

Dio non parla mai direttamente a Giuseppe come aveva fatto con Abramo, Isacco e Giacobbe; però lo accompagna sempre, è quella voce interiore che lo aiuta a discernere i fati della vita e a leggerli alla luce della fede. Anche nella nostra vita, normalmente, sono rare le teofanie esplicite, i veri momenti di grazia, ma Dio ci guida con la sua mano attraverso gli incontri, le persone, gli eventi, i luoghi. Si tratta allora di avere la saggezza per discernere e vagliare come le cose che ci stanno capitando, la vita di ogni giorno fa parte della nostra vocazione per la quale Dio ci ha chiamati alla vita.

Iniziando questo campo sono chiamato a confrontare il mio sogno con le persone e le realtà che incontro, perché esse mi aiutino a capirlo sempre di più.

v     Qual è il mio sogno? Come questo sogno sta andando a formare il Sogno di Dio per me e per il mondo? Quali sono le difficoltà che incontro e gli ostacoli che (provenienti da me o da altro) rallentano la sua realizzazione? Quali sono le persone e gli eventi che hanno segnato la mia vita e stanno aiutando la realizzazione del sogno?

 

Giuseppe Venduto

Leggi,medita e prega la Parola:

Continuiamo a seguire le vicende di Giuseppe, durante questo Campo, e ci lasciamo interpellare dalla Parola di Dio che ci guida a leggere nella storia di Giuseppe la nostra storia, quella di tante persone, di tanti uomini e donne che desiderano vivere nell’amore e dell’amore del Padre e si ritrovano venduti sul mercato dell’egoismo, dell’interesse, del ‘non-amore’.

Genesi 37, 12-36:

Giacobbe ama Giuseppe più di tutti i suoi fratelli. Lo invia un giorno a cercarli mentre erano ai pascoli, per comunicare  loro - attraverso di lui - il suo amore.

Giuseppe è inviato dal padre ai suoi fratelli, riceve il mandato che esplicita la sua vocazione, la sua stessa identità: cercare i suoi fratelli, essere ponte di comunione e riconciliazione tra lÂ’amore del padre non riconosciuto e non accolto e le vite dei suoi fratelli. Ogni vocazione è per una missione,  esige una risposta, una sequela per un servizio nella donazione.

Colui che è amato, che si scopre amato, diventa capace di  risposta alla sua personale vocazione ad una missione di amore, di servizio e di donazione.

Gesù, il Figlio prediletto del Padre, dà la vita per realizzare la missione affidatagli:  rivelare a tutti i suoi fratelli lÂ’amore appassionato del Padre per ciascuno.

Come per Giuseppe, come per Gesù, OGGI ogni discepolo  per cercare i suoi fratelli, deve lasciare le  sicurezze, le  comodità, e inoltrarsi lungo le strade del mondo, le strade spesso polverose, solitarie e piene di pericoli.  Ma colui che vive la vocazione che il Padre gli affida, non teme e va fiduciosoÂ…a vivere la sua missione che oggi  è più urgente che mai.

Il cuore dei fratelli è indurito dallÂ’invidia e dalla gelosia: non è capace di accogliere il messaggero di pace e di amore. Infatti, “vedendolo, i fratelli lo vollero uccidere”. C’è in loro risentimento verso il padre per la sua relazione  speciale verso Giuseppe.

 I fratelli si sono allontanati dallÂ’amore del padre, perciò non riescono più a riconoscere il loro fratello come figlio dello stesso padre, non riescono a partecipare  allo stesso amore: vogliono impossessarsi di quellÂ’amore e pensano di farlo uccidendo quel figlio prediletto dal padre. LÂ’uomo che si allontana da Dio, sorgente della vita e dellÂ’amore, cerca altre sorgenti che non lo possono soddisfare.

Non lo uccidono, lo immergono nella cisterna buia, secca, luogo di morte… e da lì lo estraggono, lo spogliano della tunica dalle lunghe maniche, segno della predilezione del padre, fingono la sua morte sbranato da una bestia e…lo vendono ai mercanti che vanno in Egitto.

Nel salmo 22 troviamo ben descritta lÂ’immagine di Giuseppe, lÂ’amato dal padre, gettato nella cisterna e venduto. Nel salmo è descritta lÂ’immagine della preda  caduta nella trappola, circondata dai cani e dalle bestie sul punto di divorarla.

E’ l’immagine di Giuseppe, è l’immagine del Signore Gesù: venduto, tradito, abbandonato, sulla croce e proprio dalla croce sorgente di salvezza , punto di incontro, di comunione nuova col Padre di tutta l’umanità.

La mafia, il narcotraffico, la stradaÂ…sono tante cisterne dove OGGI vengono immerse  persone deboli e indifese da altri, loro fratelli, incapaci di riconoscersi figli dello stesso Padre e con il cuore vuoto di valori e per questo pronte ad estrarle da quelle cisterne di morte, spogliate della loro dignità, della loro libertà per esporle sul mercato  dellÂ’avidità e  del guadagno.

Ricorda le situazioni e le persone che rivivono OGGI nel nostro mondo lÂ’esperienza di Giuseppe

  • le riconosci? Sai  dare loro un volto e un nome?

  • quali sono i  tuoi  sentimenti verso di loro?

  • Stai   scoprendoti, anche in questi giorni, amato  da  Dio così   tanto e  inviato a  testimoniare e condividere lo stesso amore

 

Seduzione, discernimento e persecuzione

Torino, 31 luglio 2002

Leggi Gen. 39,7-20

Le seduzioni

Giuseppe sembrerebbe ormai sistemato, nelle grazie di un ricco padrone, con la possibilità di salire la scala sociale e di rifarsi una vita dopo tante sofferenze fisiche, affettive e morali. Ed ecco che arriva una seduzione che se sfruttata bene potrebbe favorirlo ancora di più.

Giuseppe viene definito bello, ed era pure intelligente, perché capace di interpretare i sogni. Più grande è il dono, il talento ricevuto da Dio, e più forte è la seduzione della tentazione, perché c’è sempre la tentazione di impossessarsene, di gestirlo in maniera autonoma, per il proprio interesse personale. Inoltre Giuseppe è una persona ferita dalle vicende della sua storia e ha la tentazione di ricrearsi degli affetti, una vita sua, anche se in modo “sbagliato”. Un altro aspetto della tentazione per Giuseppe è il ‘desiderio di vendetta’ verso i fratelli, per dimostrare loro che è riuscito a rifarsi una vita, migliore della precedente. Giuseppe è tentato di dimenticare il legame d’amore che aveva con il padre e i fratelli. Ed è questa la tentazione, nascosta dietro il tradimento della fiducia del padrone, che rischia di far perdere a Giuseppe il suo sogno e quello di Dio.

Ogni giorno siamo bombardati da migliaia di seduzioni, basta pensare a quelle che ci propone la pubblicità, per non contare tutte quelle che ci vengono dalle persone che incontriamo, dagli ambienti che frequentiamo, dalla mentalità corrente. Seduzioni del tutto e subito, del bello e senza sacrificio, dell’apparire e dell’avere.

Anche alcune delle persone che incontriamo sono state sedotte da altre persone, da droghe, che hanno rovinato la loro vita.

v     Quali sono le seduzioni che sento più forti in me?

v     Come queste seduzioni rischiano di distogliermi dalla realizzazione del Sogno?

Geremia (20,7-18) invece ci presenta un altro tipo di “seduzione”, quella di Dio, è il suo Amore che lo seduce. Dio lo chiama, e gli fa sentire l’esigenza dell’impegno, anche se il compito risulta gravoso e difficile (tanto che arriva a maledire il giorno della nascita), e gli causa non poche difficoltà. Ma dentro di lui brucia il fuoco della presenza e della Parola di Dio, che lo spingono ad andare avanti, a servire Dio e i fratelli, ad annunciare e denunciare.

v     Tu ti sei lasciato sedurre da Dio? Oppure da qualcuno o qualcosÂ’altro?

v     Sai accogliere la proposta di Dio, con gioia, nonostante tu sia consapevole delle sua esigenze?

Discernimento: intelligenza e fede

Giuseppe sa resistere alla seduzione, e due sono gli strumenti che lo guidano nel discernimento: l’intelligenza, la virtù umana e al fede.

Il senso di onestà e di responsabilità guida il suo cuore e il suo intelletto. Di fronte alla seduzione è interpellata innanzitutto la nostra realtà umana, quei valori e virtù che fanno parte di tutte le culture e della vita sociale. Vivere le virtù ci avvicina a Cristo; la differenza sta ne fatto che Lui è la virtù, noi le possediamo. Egli è a un tempo Giustizia, Sapienza, Verità, ecc. La pratica della virtù allora non ha semplicemente un significato morale, ma è una vera partecipazione alla persona di Cristo.

Ed è qui che si inserisce il secondo punto, quello della fede. Giuseppe lega immediatamente la relazione con questa donna al suo rapporto con Dio. È lÂ’uomo religioso che vede Dio che agisce in tutto. Questo è il dono della contemplazione. Essa non è una semplice analisi della realtà guidati dalla ragione. È la fede che guida e  fa vedere a Giuseppe ciò che è “contro Dio”.

Ogni giorno siamo chiamati a discernere ciò che è bene nel nostro agire. Anche per noi c’è la tentazione di seguire gli interessi immediati. Mettersi alla scuola di Giuseppe è trovare il tempo per contemplare, lasciare che sia Dio a guidare il nostro intelletto e il nostro cuore nella ricerca del vero bene. Tanto più questo è vero nelle scelte importanti che decidono la nostra scelta di vita.

v     Nelle mie scelte quotidiane, do tempo al discernimento, o scelgo per istinto o comodità?

v     I miei criteri di discernimento tengono conto di Dio?

v     Nel capire sempre di più la mia vocazione lascio che sia Dio a guidarmi, o faccio i miei calcoli?

Persecuzione: conseguenza della scelta, e ingiustizie

Giuseppe non cede alla tentazione e sceglie di essere fedele a Dio e a sé stesso. Però ne paga le conseguenze. Perderà tutti i suoi diritti e le possibilità di realizzare la sua vita in pienezza.

Egli ha prima subito il furto della tunica, poi della veste. Si va sempre più verso una spogliazione radicale, una kenosis totale. E questo a causa di una persona annoiata che voleva crearsi un diversivo. Lo stesso accadrà a Giovanni Battista. È vittima di una ingiustizia sconcertante.

La lunga sequenza degli oppressi e delle vittime percorre tutta la storia; “un grande respiro di dolore sale verso il cielo. Il riso offensivo dei potenti ingiusti, l’arroganza dei malvagi, le insidie dei perversi, le calunnie dei mascalzoni, il successo degli empi sembra seppellire il lamento delle vittime.” (Ravasi)

Nessuno ascolterebbe, dunque, quel grido che sorge dalle “cisterne”, dalle prigioni, dalle mille forme di tortura, il grido di popoli interi schiacciati da debiti impossibili, oppressi da dittature politiche e economiche o uccisi da guerre interminabili?

“Il Signore fu con Giuseppe, …” (v.21)

Dio non è sordo o cieco, ma sente e soffre e chiede che si dia voce alle grida, e si dia risposta a chi piange.

v     Sai vedere la sofferenza di chi sta attorno a te? Senti il grido di tanti popoli oppressi in tante parti del mondo?

v     Ti senti coinvolto personalmente alle loro sorti? In che modo rispondi?

E la kenosis continua. Giuseppe si appella a Dio, ma Dio non interviene. La storia di Giuseppe ci richiama continuamente alla sapienza della croce. Chiunque si addentra sulla strada del vangelo e, toccato da Cristo, vuole seguirlo, già sa che per la logica del “mondo” i conti non torneranno. Quando si fanno scelte nella vita, quando ci troviamo ad incroci importanti, è bene sapere che, su quella che per noi è la via giusta, prima o poi ci aspetta la punizione per un bene compiuto; questo perché il bene è frainteso o perché atri ci fanno sopra calcoli e speculazioni.

Ma il bene, essendo l’amore, non cerca mai sé (1 Cor 13,5), esso è di tutti; è bene perché privo di interessi.non chiede per sé, e per questo motivo il peccato non lo sopporta. In una cultura del peccato, dove il male viene più o meno legittimato, e si rischia davvero di vantarsi di cose di cui si dovrebbe invece vergognare (Fil 3,19), il bene dev’essere punito, perché smaschera il male e lo fa crollare nella sua essenza, cioè nel suo interesse egoistico. Ed è per questo motivo che il male punisce il bene. Ma il bene continua a fare il bene, anche se punito, proprio perché non cerca il proprio (1 Cor 13,5). Infatti Giuseppe, anche in prigione continuerà a fare il bene, che rimane l’unica risposta la male: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene (Rom 12,21). Noi non riusciamo pensare così, perché coltiviamo sempre la visione della riuscita del bene, di una sua vittoria formale, dove tutti applaudono il bene.

v     Ti è mai capitato di fare del bene ed essere criticato o incompreso, e di aver continuato comunque? O ti sei scoraggiato e hai lasciato tutto?

v     Si può continuare a fare il bene nonostante lÂ’insuccesso, e lÂ’apparente sconfitta?

 

Giuseppe in prigione

 

 Â“Al di là delle sbarre”, così avevamo pensato il titolo di questo CampoÂ…ed era progettato perchè entrassimo nel carcere e condividessimo lì dentro, chiusi a chiave, AL DI LAÂ’ DELLE SBARRE, momenti di lavoro e di fraternità con gli ospitiÂ…

Sento forte il bisogno di riflettere sul senso del carcere, della prigione e sul significato della libertà, pensando ai nostri fratelli e sorelle  “oltre le sbarre”, alle Vallette di Torino così come nelle tante carceri in Italia e nei diversi paesi del mondo. EÂ… SOLO DENTRO LE CARCERI?

Vorrei che questa riflessione ci portasse a chiederci:

io,  sono libero/a?

Dove sto, in questo momento della vita: di qua o  di là delle sbarre?

Chi tiene le chiavi delle catene che mi legano i polsi e i piedi e mi impediscono di correre e di volare, di costruire vita, amore, speranza, un mondo diversoÂ…?

Quale concetto ho di libertà?

Lasciamoci ancora guidare dalla Parola di Dio e dallÂ’esperienza vissuta di Giuseppe.

LEGGI MEDITA  E  PREGA  LA  PAROLA

Genesi 39, 20b-23

  • Giuseppe continua la sua storia travagliata: per la sua fedeltà al suo Dio e al suo signore viene gettato in prigione. Dal momentaneo successo, viene buttato nella umiliazione del carcere.

  • Giuseppe accetta la prigionia, lÂ’umiliazione  e rimane col cuore libero. “Il Signore fu con Giuseppe, gli conciliò benevolenza e gli fece trovare grazia agli occhi del comandante della prigione”. 39,21

Dio non abbandona Giuseppe, come non abbandona lÂ’innocente che  soffre e subisce le ingiustizie degli uomini perchè “Dio eliminerà la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto…” Is.25,8

     Giuseppe ha il cuore libero, anche nel profondo del CarcereÂ…e proprio lì sperimenta la fedeltà di Dio.

  • Giuseppe, innocente, in prigione: simbolo di tanti innocenti schiacciati OGGI nelle prigioni spesso le più eleganti  e moderne, sfruttati, maltrattati, umiliati.

     Giuseppe, simbolo dei bambini, delle donne, dei poveri

     che gridano dalla loro sofferenza e dalla loro morte e

     non smettono di confidare in Dio, di confidare nellÂ’amore

     di fratelli e di sorelle che li aiutino a sperimentarlo per 

     continuare a credere nella vita e nella forza della

     solidarietà che ricrea energie dÂ’amore, di perdono e di

     riconciliazione.

 

 

·        Guardiamo a Paolo: in prigione, in catene, rimane LIBERO e capace di vivere la sua missione,  far incontrare LIBERTAÂ’ – CONVERSIONE al suo carceriere. Atti 16,25-35

 

 

 

Al capitolo 9 del libro degli Atti degli Apostoli leggiamo il racconto della conversione di Paolo; quello che successe a Paolo  è stata lÂ’esperienza più vera di liberazione dalla prigione ‘eleganteÂ’ in cui  si trovava con la sua sufficienza, la sua scienza, il suo zelo per  la Legge del Signore. Sperimenta la cecità, il buio, deve barcollare, farsi guidare per entrare nella libertà vera, per essere  afferrato da Cristo ed entrare nella ‘prigionia dello SpiritoÂ’, dove può vivere in pienezza del Cristo Gesù. Efesini 3,1; 4,1;  Filippesi 1,13-17

 

·        Giuseppe e  Paolo nella prigione sono rafforzati nella loro esperienza di libertà e di fedeltà al loro Dio e alla loro vocazione-missione.

 

-       Cosa è per te ‘libertà’?

-       Quali  sono le ‘passioniÂ’ che ti  legano e tÂ’impediscono di  scegliere la ‘libertà’?

-       Se ti  senti ‘in prigioneÂ’,  la  sai  definire?...è forse la tua famiglia, lÂ’amicizia,  la  sessualità,  il lavoro,  la politica, oÂ…?

-       Libero e afferrato da Cristo, sai  ascoltare il grido di tanti  innocenti  che aspettano la tua mano a cui aggrapparsi per uscire dalle loro prigioni  a vita nuova?

 

 

Voglio ringraziarTi, Signore, per il dono della vita

 

Ho letto da qualche parte

Che gli uomini

Sono angeli con unÂ’ala soltanto:

possono volare solo rimanendo abbracciati.

A volte, nei momenti di confidenza oso pensare,

Signore, che anche Tu

Abbia unÂ’ala soltanto,

lÂ’altra la tieni nascostaÂ…

forse per farmi capire che

Tu non vuoi volare senza di me.

Per questo mi hai dato la vita, perchè io fossi

tuo compagno di volo.

 

Insegnami allora a librarmi con Te, perché

vivere non è trascinare la vita, non è strapparla, 

non è rosicchiarla:

vivere è abbandonarsi come un gabbiano all’ebbrezza del vento;

vivere è assaporare l’avventura della libertà,

vivere è stendere l’ala, l’unica ala con la fiducia di chi sa

di avere nel volo

un partner come Te.

 

Ma non basta saper volare con te, Signore: Tu mi hai dato il compito di abbracciare anche il fratello, e aiutarlo a Volare.

Ti chiedo perdono, perciò, per tutte le ali che non ho aiutato

a distendersi: non farmi più passare indifferente

davanti al fratello che è rimasto con l’ala, l’unica ala, inesorabilmente impigliata

nella rete della miseria e della solitudine e si è ormai persuaso di non essere più degno di volare con Te:

soprattutto per questo fratello sfortunato

dammi, Signore, unÂ’ala di riserva. 

 

(Don Tonino Bello)

La Sapienza dono di Dio

Torino, venerdì 2 agosto 2002

Leggi Gen 40,1-23

 

La sapienza

 

Nella vita di Giuseppe entrano misteriosamente il coppiere e il panettiere del re d’Egitto. Tante volte la storia del bene passa per circostanze misteriose, per vie imprevedibili. La vita scorre attraverso le relazioni, gli incontri. È difficile racchiudere la vita in schemi, ma è più facile ripercorrerla attraverso gli incontri fatti, le persone che sono passate nella nostra vita. Saper incontrare una persona è saper leggere la sapienza presente nella vita dell’umanità.

Giuseppe si trova in carcere è lì ha occasione di essere di servizio a questi due fratelli. La prima cosa da notare è l’attenzione che ha per le persone che lo circondano. Si accorge subito che i suoi due compagni di cella sono afflitti, che hanno delle preoccupazioni e delle difficoltà. Occorre avere gli occhi e il cuore attenti per vedere le sofferenze e gli scoraggiamenti, anche nascoste, delle persone che incontriamo, specialmente di quelle deluse dalla vita; occorre fare il passo di avvicinamento, per ascoltare e sentire, per farsi prossimo. È segno di “sapienza”, cioè l’intelligenza che si mette al servizio del prossimo e che non dipende dal quoziente intellettivo, ma dalla grandezza del cuore e dalla profondità dello spirito.

 

v     Sei attento alle persone che ti circondano e capace di coglierne i bisogni e le attese? In questi giorni hai incontrato e incontri molte persone (al mattino e qui nel gruppo del campo); il tuo occhio e il tuo cuore si stanno facendo più attenti? Anche la realtà del mondo ti interpella, quanto sai ascoltarla e farla tua?

 

In Giuseppe il divino e l’umano si incontrano in modo “perfetto”. Giuseppe si rifà a Dio affermando che la sapienza viene da lui, e non da tecniche umane, o riti magici. Ma quando risponde, a prima vista, sembra che lo faccia in base alla propria sapienza, alla propria conoscenza. Giuseppe, radicato in Dio e seguendo la propria vocazione, attiva tutte le sue risorse, tutte le sue capacità. La sua sapienza è frutto della fede, dono “dall’alto” che nella tradizione biblica non è anzitutto conoscenza intellettuale, ma qualità delle persone che, accolto il dono di Dio, educate dalla Parola, sono “esperti, in pratica della vita e della morte, della gioia e del dolore, dell’amore, dell’amicizia, della pace e della guerra, della ricchezza e della povertà, del successo e dell’insuccesso, […] capaci di interpretare rettamente, di muoversi prudentemente e di impartire un insegnamento valido a propositi di chi sia l’uomo e la donna, di come si conduca una famiglia e si educhino i figli, di come si viva e ci si faccia rispettare nella società, si conducano gli affari e si gestisca il denaro”. (Rossi de Gasperi)

La sapienza è il dono che Dio fa a chi vive in comunione con Lui (Sap. 8,17-9,18); essa permette di vivere secondo la legge di Dio, che è la legge della giustizia e dell’amore. È un dono da chiedere.

 

v     Chi e che cosa guida il tuo agire e discernere? Il Signore ti ha fatto dono dellÂ’intelligenza, senti la necessità di illuminarla con la sua Sapienza?

v     Prega Sap 9,1-18 per chiedere a Dio di accompagnarti nella preghiera e nella vita

 

La sapienza ci libera dal nostro egoismo e dalle nostre corte vedute, ci aiuta a guardare il mondo e gli altri con gli occhi di Dio, quindi il nostro agire sarà per il bene di tutti e non del semplice profitto o tornaconto personale. La sapienza ci rende liberi: da noi stessi, dai pregiudizi, da calcoli umani, da ristrettezze mentali.

Frutto della sapienza è scoprire i propri doni e metterli a disposizione degli altri, per diventare, a nostra volta, strumenti di liberazione.

 

v     Guarda ai doni che il Signore ti ha fatto; quali metti di più a disposizione degli altri e quali tieni per te, “nascondendoli sotto terra”?

 

Il bene dimenticato

 

Giuseppe, dopo essere rimasto fedele e per questo esser stato punito con la prigione, ha agito bene nella prigione. Ma per ricompensa viene dimenticato in carcere. Quante volte capita nella vita che ci siano grandi festeggiamenti, ringraziamenti e la persona più meritevole non sia lì, non venga neppure menzionata. Allora sorge la domanda: noi uomini siamo capaci realmente di giudicare ciò che è meritevole riguardo qualcosa? E anche un’altra: vale la pena fare il bene, quando si è dimenticati, e anche il bene fatto è dimenticato?

Fare il bene di nascosto è un atteggiamento spirituale che aiuta a non cadere nella tentazione e a non mescolare il bene con il male, l’egoismo all’amore. Altrimenti ci si convince pian piano che davvero facciamo del bene, che si è onesti, buoni e se non si è riconosciuti come tali e ringraziati, ci si offende e ci si rattrista; qui nasce la superbia spirituale.

A questo proposito Mt 6,1-3 e Lc 6,33 ci illuminano sul comportamento da avere. Daniele Comboni diceva ai suoi missionari: “Il missionario lavora non per sé, ma per l’eternità e per la felicità dei suoi simili … il missionario deve essere mosso unicamente dalla pura vista del suo Dio … il missionario deve essere disposto a morire senza vedere il frutto del suo lavoro … come pietra nascosta sotterra che non verrà mai alla luce e fa parte di un edificio mirabile”.

Il bene dimenticato è un vero bene, perché non è frutto dell’interesse personale, è visto e accolto da Dio, è partecipazione dell’amore di Dio che tutto compie per il bene, senza cercare un tornaconto.

 

v     Ti è mai capitato di fare del bene senza essere poi stato ringraziato? Cosa hai provato?

v     In questi giorni stai sperimentando la gratuità del servizio; cosa provi dentro di te? Sei disposto/a a non renderla semplicemente unÂ’esperienza estiva, ma a farne un impegno costante nella tua vita?

 

Giuseppe liberato

 

Per servire e per salvare

 

Leggi, medita e prega la Parola

Da  Genesi 41, 11-16

 

Giuseppe è in prigione, e il suo spirito continua a rimanere libero e fedele al suo Dio; continua a soffrire per le ingiuste accuse della moglie del suo signore, e il Signore Dio è con lui e guida il suo spirito con la sapienza dall’alto.

 

“Al termine di due anni, il faraone sognò…”  41,1

I sogni sconvolgono la mente del faraone che chiama gli esperti per l’interpretazione, ma nessuno sapeva dargliela. Viene chiamato Giuseppe dal carcere perchè ritenuto abile nell’interpretazione: “non io, ma Dio darà la risposta per la salute del faraone”, rispose Giuseppe. 41,16

 

·        E i sogni si avverano, e il faraone promuove Giuseppe il quale mette tutta la sua abilità al suo servizio  e al servizio del popolo dÂ’Egitto.

 

Da Gen  41,57 a 42, 1-13

 

“Da tutti i paesi venivano in Egitto per acquistare grano da Giuseppe, perchè la carestia infieriva su tutta la terra”. 41,57

“Ora Giacobbe seppe che in Egitto cÂ’era il grano; perciò disse ai figli: Â…andate laggiù e compratene per noi, perchè possiamo conservarci in vita e non morire”  42,1.2

  “I fratelli di Giuseppe vennero da lui e gli si prostrarono davanti con la faccia a terra. Egli li vide  e li  riconobbe”. 42,6

   

Da Gen 43, 27-30

    

    - Giuseppe cercò informazioni sul suo vecchio padre, quel 

     padre che lo amava più di tutti i suoi fratelli, e del suo

     fratello più piccolo figlio di sua madre.

     Giuseppe non si fece riconoscere fino a quando non aveva

     provato i loro sentimenti e non era certo della sorte di suo

     padre Giacobbe.

 

 

·        Cogliamo alcune idee chiave da questi capitoli, 41-43:

- Giuseppe sa leggere ‘i segni dei tempi’; ci insegna a

   leggere la storia con gli occhi di Dio, nella consapevolezza     

   che è Dio che la conduce e ci chiama e ci dona la

   sapienza del cuore per vivere la missione di ‘cercare i

   fratelliÂ’ TUTTI i fratelli e le sorelle nel mondo, perchè tutti 

   partecipino allÂ’intimità della casa del Padre.

 

- Giuseppe è liberato dal carcere per servire e per salvare, in

   obbedienza alla missione che Dio gli aveva affidato, quella

  di  ricostruire la fraternità universale.

 

- Giuseppe rimane consapevole della sua vocazione-

  missione, attraverso tutte le vicende della sua vita, anche  

  attraverso i   momenti più oscuri.

 

·        Sei attento/a per ascoltare la Voce di Dio che ti chiama a realizzare la tua vocazione-missione a servizio dei fratelli e sorelle del mondo?

·        In questo  Campo, sei aperto/a  a  scoprire quello che Dio ti chiede, leggendo ‘i  segni ‘ che ti  offre ogni giorno?

·        Come è la tua visione della tua storia personale e della storia del mondo?

 

  STORIA  di   FENIDE

     Il mio nome è Fenide. Sono una ragazza albanese di 19 anni. Mi trovo in Italia da circa un anno.

Vengo da un paesino di montagna, molto distante dalla città. Spesso dovendo andare in città, partivo il mattino presto e facevo 4 o 5 ore di cammino a piedi…, non potendomi pagare il mezzo di trasporto.

La mia famiglia è molto numerosa: mamma, io e cinque fratelli più piccoli di me, fra i 12 e i 3 anni. Papà e mamma  si sono separati quando la mamma era in attesa del mio ultimo fratellino. Li ho sentiti sempre litigare e spesso papà picchiava la mamma e noi fratelli. EÂ’ un alcolizzato. Per questo motivo sono lontani i giorni in cui lÂ’ho visto lavorare. La mamma si dava da fare nellÂ’ortoÂ…, è successo tante volte che non mi fosse possibile mangiareÂ…Avevo paura di vivere in casa mia, perchè lui era un violento, ma mi facevo forza per la mamma ed i miei fratellini.

     Ho frequentato la scuola per 5 anni, poi ho dovuto lasciarla per aiutare in casa.

Quando avevo 15 anni, è venuto a casa mia un uomo dell’età di mio padre, meno povero di noi, chiedendomi in sposa. Mio padre accolse la cosa con approvazione, mia madre non era d’accordo, ma non ci fu nulla da fare e dopo un mese mi ritrovai sposata ad un uomo che non conoscevo, non amavo e che mi considerava una sua proprietà. Mi portò in Grecia.

     Laggiù conobbi un vicino di casa, un giovane emigrato dallÂ’Albania  che mi chiese dopo poco tempo di scappare con lui, che mi amava e mi avrebbe portata in Italia, dove avremmo trovato una casa, un lavoro sicuro ed avremmo potuto vivere felici. Io accettai. Scappammo una notte in cui mio marito era fuori casa. Fra molte peripezie per evitare la polizia, giungemmo in Italia, a Bari.

    Prendemmo il treno più volte, Â…dopo una settimana arrivammo a Padova. Non avevo alcuna paura; mi sentivo finalmente importante per qualcuno, lui faceva di tutto per farmi stare bene.  Giunti a Padova, ci recammo a casa di alcuni amici albanesi che aveva in città e vidi con loro alcune ragazze vestite in modo dubbio. Ci fermammo da loro. Io cucinavo, facevo i mestieri, tutti erano molto gentili. Una sera lui mi dice che è arrivato il momento di iniziare a lavorare. Ero al settimo cielo. Egli mi mostrò la ‘divisaÂ’ che dovevo indossare: rimasi inorridita. Non capivo. Egli mi spiegò che dovevo andare sulla strada e lavorare per mantenerci. Io, incredula, mi  rifiutai. Non potrò mai dimenticare cosa mi accadde quella notte ed i giorni che seguirono, sino a quando ‘accettaiÂ’ (per non morire) di prostituirmi: pugni, calci, schiaffi, bruciature di sigaretta su tutto il corpo, minacce e a tutto questo si aggiunge il fatto che sono stata violentata più volte da lui e dai suoi amici. Minacciò di fare del male alla mia famiglia. Mi prese il passaporto e non me lo dette più.

     Mi portava sulla strada la sera alle 20.00 e veniva o mandava a prendermi il mattino alle 6.00. Ero sempre sotto il loro controllo, sia quando ero sulla strada, sia quando ero segregata in casa e le violenze si ripetevano. Controllava sempre i soldi che portavo prima di togliermeli e se non bastavano, mi picchiava a sangue. Non so quale fosse il male peggiore, se lavorare molto o poco. I miei clienti (molti abituali), potevano essere, per lÂ’età, mio padre, mio fratelo, mio nonno. A volte il ribrezzo era talmente tanto che se riuscivo, bevevo qualcosa prima di ‘iniziare il lavoroÂ’. EÂ’ incredibile quanto lÂ’uomo possa essere bestiale (senza offesa per gli animali).

      Sapevo qualcosa circa lÂ’AIDS ed avevo sempre moltissimi profilattici con me. Una notte, in cui ero con un cliente piuttosto anziano, si è rotto il profilattico. Ero terrorizzata, ma lui non volle smettere. Grazie a Dio, ho fatto le analisi di recente ed il test è risultato negativo.. Dopo tre mesi circa dallÂ’inizio del ‘ lavoroÂ’, mi accorsi che aspettavo un bambinoÂ…ma un figlio di chi? Lui mi costrinse ad abortire a suon di calci.

Â…   ..Sognavo di scappare, ma non trovavo via dÂ’uscita. Ai carabinieri ed alla polizia che mi fermavano dicevo che ero greca e non conoscevo lÂ’italiano.

     Durante una notte di lavoro, ho conosciuto Alberto, un italiano di circa 35 anni, in crisi con il matrimonio, che mi veniva a trovare regolarmente. Non lo sentivo come un cliente, mi rispettava ed a volte mi pagava anche se fra noi non era successo niente, solo per evitare che mi picchiassero.

Lui voleva aiutarmi ad uscire, ma non sapeva come. Una sera arrivò dicendo che aveva parlato con un suo amico prete, che era disposto ad aiutarmi e così dopo alcuni giorni riuscimmo a scappare.

     Mi portò da questo suo amico e con lui andai il giorno dopo ad un ufficio della Caritas. Ho parlato con un operatore e poi sono andata in Questura ed ho fatto denuncia. Questo mi permetterà fra poco di avere il permesso di soggiornoÂ….probabilmente mi stavano cercando e così mi hanno portata in una comunità distante molti km., nella quale sto da due mesi e mi trovo molto bene. Finalmente ho trovato qualcuno che mi vuole bene senza volermi usare o volere qualcosa da me, ma solo per ciò che sono.

    Ho risentito la mamma dopo tanto tempo e mi ha detto che le cose non vanno molto bene. Io ho deciso di rimanere in Italia e cercarmi un lavoro che mi permetta di mandare anche soldi a casa.

    Stare in comunità mi ha fatto capire che sono importante, che valgo qualcosa, che è possibile ricominciare a vivere nonostante tanto dolore. EÂ’ una lotta di ogni giorno ma voglio crederci.

    Spesso vivo con la paura del domani: se facessi degli amici e venissero a sapere che ho lavorato sulla strada, mi rifiuterebbero? Potrò mai trovare un uomo capace di amarmi nonostante tutto o fra di noi ci sarà sempre un terribile segreto? Riuscirò ancora a fidarmi veramente di qualcuno?

    Quando ero sulla strada, spesso chiedevo aiuto a Dio e Lui ha ascoltato le mie preghiere. Spero che mi sarà sempre vicino.

 

Io voglio credere che si può davvero ricominciare a vivere!

 

Fratelli

Torino, martedì 6 agosto 2002

Leggi Gen 44, 1-34

 

Vivere la fraternità

 

Siamo arrivati al culmine della storia di Giuseppe. Qui si scopre che la vita dell’uno è legata alla vita dell’altro, e non possiamo tornare davanti al volto del Padre se non si è insieme, non si può fare da soli. Qui si svela il grande mistero del racconto: al di là delle gelosie, delle invidie, del sospetto, sotto sotto sono fratelli. E non possono realizzare la loro vita se non insieme, se non tenendo conto l’uno dell’altro. La nostra vocazione, il sogno, possiamo realizzarlo solo con gli altri e insieme agli altri. Un persona può fare tante cose nella vita, ma non realizza in pienezza la sua vocazione, se non tiene conto degli altri come fratelli nell’unico amore del Padre. Non si può tornare al Padre senza i fratelli.

 

Andare alla ricerca dei fratelli significa andare per il mondo sentendosi parte dell’umanità in modo da formare una catena in cui gli anelli sono legati gli uni agli altri. Questo non si può fare spinti da un valore di umanesimo o da buona volontà, non bastano; occorre aprirsi a quell’Amore che è la forza per costituire le persone facendo loro vedere la propria realizzazione nel grande universo delle relazioni libere.

 

Non significa che tutti insieme stiamo davanti al Padre, mano nella mano. Significa piuttosto sentire il dolore perché mancano i fratelli. Nella nostra società ci sono tanti fratelli che sono esclusi, emarginati, lasciati a sé, sia per indifferenza, sia perché danno fastidio. Alcuni li abbiamo incontrati in questi giorni. E poi ci sono tutti “gli anonimi” che crea la nostra società; vicini di casa, scuola, lavoro che non conosciamo, che ci siano oppure no, per noi non fa differenza. Anche loro sono miei fratelli e sorelle.

 

v     Ti senti parte di questo mondo, ti senti parte dellÂ’umanità, e quindi soffri delle loro sofferenze gioisci delle loro gioie? Ti interessi di cosa succede nel mondo, o “vivi la TUA vita”?

 Â“I care” (mi sta a cuore) diceva don Milani. E don Tonino “perché se non ti sta a cuore, ma ti sta solo ad affitto, a locazione, al marocchino non gli dai niente. Non basta la casa, un tetto, occorre un lembo della tua vita, del tuo mantello, perché il tetto, da solo, non copre, come la minestra non scalda se non c’è un poÂ’ di alito umano”.

 

v     Guarda alle persone che hai incontrato in questi giorni, a quelle di cui leggi su giornali e riviste, puoi dire “I care”?

Certo, ci sono cose dell’altro che mi disturbano, mi fanno arrabbiare, non mi vanno, mi si ribellano i sensi se lo voglio avvicinare e considerare come fratello. Ma è in Cristo che l’amore del Padre lo ha raggiunto. Cristo lo ha assunto come figlio del Padre e fratello suo, a dunque anche mio. Ed è con l’amore di Cristo che lo Spirito Santo mi fa accogliere quell’“altro” come fratello. Ma tra noi due, ancora per molto tempo, si potranno forse sentire tante difficoltà e resistenze, finché non si arrivi “allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef 4,13)

 

v     Quali sono le difficoltà di relazione che hai avuto in questo campo con i compagni di cammino o le persone incontrate al mattino?

 

La vita di uno è legata all’altro

 

La prova organizzata da Giuseppe consiste nell’aver provocato una situazione nella quale risultasse chiaro se i fratelli si sarebbero comportati come prima o nel frattempo erano maturati. Il discorso di Giuda è l’esito della grande maturazione avvenuta. Adesso, per la prima volta, in uno dei fratelli, commosso e colpito dall’amore del padre, matura la convinzione di non poter tornare a casa senza il fratello.

La vita dell’uno è legata all’altro. La vita degli uomini è l’amore del Padre. La storia di Giuseppe ci fa vedere come i fratelli non abbiano vissuto la pienezza dell’amore del padre in loro, come hanno negato la fratellanza.

L’unica realtà che non si è frantumata lungo la storia di Giuseppe, che non si è smarrita, anche se era dimenticata, non capita, non coscientemente assunta, è l’amore di Giacobbe. L’amore di Giacobbe che vive nei figli e che non può essere calpestato, ucciso, dimenticato, perché risusciterà negli stessi figli come amore fraterno. Più matura l’amore dei fratelli e più matura l’amore di figli e più è realizzato in pienezza l’amore del padre.

Questo legame non si limita solo al gruppo ristretto dei familiari. Chiama di Dio Padre, ci leghiamo all’umanità intere. Questo legame si esprime in uno dei valori che la Bibbia e i Patriarchi ci insegnano: l’accoglienza.

L’Italia sta vivendo un periodo di grande possibilità: diventare luogo di accoglienza. Tanti sono coloro che, anche se solo di passaggio, vengono in Italia per cercare un futuro possibile. Ma gli ultimi eventi, tra cui la recente legge Bossi-Fini, sta chiudendo le porte; anzi sta impedendo l’incontro fraterno, trattando lo straniero come semplice e sola forza lavoro e non come fratello. Rischiamo di perdere una possibilità grandissima di diventare segno di una comunione possibile tra popoli, culture e religioni diverse. Senza contare il fatto che queste persone “ci servono”, siamo legati a loro per portare avanti la nostra vita economica e sociale.

 

v     Senti la tua vita legata a quella degli altri (cominciando dal gruppo e dalle persone che incontri al mattino)?

v     Ti è mai capitato di accogliere e/o vivere la fraternità con degli immigrati?

v     Come pensi possibile realizzare la fraternità e lÂ’accoglienza in Italia?

 


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