giovaniemissione.it

Salmo 8: “Leggere i sogni degli Oppressi”: Sulle orme di don Tonino Bello

Estate 2002

“Leggere i sogni degli Oppressi”
Sulle orme di don Tonino Bello

Nel quartiere S. Valentino ad Andria (Bari) 11 – 21 agosto
GIM Venegono

cerca nel sito

torna alle pagina di Giovani Mission
torna alla pagina delle Catechesi

scrivi

 

CATECHESI: Qui puoi trovare le catechesi che hanno animato la riflessione e la preghiera

Con viscere di Misericordia Lc 10, 30-35
La Chiesa del Grembiule Gv 13, 1-17 Eucarestia: comunione e condivisione Mt 14, 13 - 21 Il vero digiuno Is 58, 6-12 Basilica MaggioRE... Basilica Minore = Salmo 8, il valore di una persona Creare Primavera di Pace Mt 5,38-48 e Rm 12, 17-21 
Leggi anche le riflessioni dei partecipanti al campo

 

Con viscere di misericordia

Andria, martedì 13 agosto 2002

Leggi Lc 10,30-35

La parabola del buon Samaritano, penso, l’abbiamo ascoltata tante volte, forse la sappiamo “quasi a memoria”; ma ogni volta che si legge un brano occorre avere l’attenzione del bambino per scoprirne, con meraviglia, ogni volta qualcosa di buono e di nuovo. In questo ci accompagna don Tonino che dice: “prima di tutto dobbiamo liberarci dall’equivoco che la carità sia frutto del nostro ‘buon cuore’, della nostra bontà, elaborazione delle nostre virtù, merito da vantare davanti a Dio. La carità non è qualcosa per cui Dio debba ringraziarci, ma un qualcosa di cui noi dobbiamo ringraziare Dio.

Undici verbi descrivono lÂ’agire del buon Samaritano:

“Era in viaggio”.

Un Samaritano era in cammino. È importante questo verbo, specie se esaminiamo la nostra situazione: non camminiamo molto. Ci siamo un po’ seduti. Si insinua il convincimento che tanto, fatica fatica, non cambierà mai nulla. Chiamati ad essere gli annunciatori della speranza, siamo diventati i tributari della filosofia dell’appiattimento. Ci siamo fermati. È necessario invece mettersi in viaggio. L’annuncio più forte è proprio questo: mettersi in viaggio sulla Gerusalemme-Gerico. È su quest’asse che si giocano i destini delle nostre utopie. Dobbiamo metterci in viaggio: come il Samaritano, come Maria [da Elisabetta, al tempio, a Cana, nelle città della Galilea, sul Golgota].

Di qui la necessità di interrogarci, per esempio, su certi riti che privilegiano più il salotto che la strada, più le pantofole che gli scarponi da viaggio, più la vestaglia da camera che il bastone del pellegrino.

“Gli passò accanto”.

Gli passò accanto: non dice gli passò sopra!

Noi non siamo tante volte rispettosi delle persone uguali e distinte: queste non sono dei numeri. Passare accanto significa rispettare i volti uguali e distinti, dobbiamo rispettare la convivivalità delle differenze, dove persone diverse stiano insieme.

Passare accanto significa anche amare il mondo, fargli compagnia, adoperarsi perché la sua cronaca di perdizione diventi storia di salvezza.

Passare accanto significa prendere atto della presenza degli altri; c’è un mondo al quale noi dobbiamo fare compagnia, per il quale siamo andati.

Passare accanto significa rispettare le minoranze.

Passare accanto significa essere discreti.

Passare accanto non significa annessione, accaparramento, proselitismo.

Passare accanto: mi sembra bellissimo, e anche molto dolce.

“Lo vide”.

Anche il vedere è un dono che dobbiamo chiedere al Signore; perché i poveri esistono ancora e sono più numerosi di quello che si pensa. Ci vogliono occhi per vedere i poveri. “La povertà non è solo quella del denaro, ma anche della mancanza di salute, la solitudine affettiva, l’insuccesso professionale, la disoccupazione … gli handicap fisici e mentali, le sventure familiari e tutte le frustrazioni che provengono dall’incapacità di integrarsi nel gruppo umano più prossimo” (Paolo VI)

Questi poveri ce li abbiamo sempre fra noi: sentiamo il loro fiato sul collo, sono i nostri amici, li chiamiamo per nome. Sono i droup-out: i “caduti fuori”. Come la frutta che, ai sobbalzi della strada, ruzzola per terra dal carretto e i ragazzi passano e la prendono a calci, divertendosi, finché si sfracella sul marciapiede.

“Ne ebbe compassione”.

Significa, amici miei, sentirsi provati emotivamente. Dovremmo chiedere al Signore la grazia dell’indignazione, perché non sempre ci indigniamo. Qualche volta siamo gelidi come il ghiaccio, non ci lasciamo coinvolgere nella vita dei poveri. Noi, invece, dovremmo prendere tutta in faccia la polvere sollevata dai loro passi, dovremmo guardare le cose dalla loro angolazione prospettica. Questo significa ne ebbe compassione: guardare la storia e la geografia dall’angolo dei poveri. Mettere in corpo l’occhio dei poveri.

Ne ebbe compassione significa essere la spina dell’inappagamento conficcata nel fianco del mondo: dovremmo essere l’icona dell’inappagamento, non dico della scontentezza. Dovremmo essere capaci di smascherare gli aspiranti al ruolo di Dio, e ce ne sono tanti, di questi despoti che impongono la loro prepotenza ai più poveri: dovremmo essere i disturbatori del manovratore.

 Â“Gli si fece vicino”.

La Sollicitudo rei socialis (n. 38) dice cha la solidarietà è determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune, ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti. Gli si fece vicino significa educarsi alla povertà. Lo sapete: non si nasce poveri, poveri si diventa. Si diventa poveri dopo una trafila di studi, dopo lunghe fatiche, dopo estenuanti esercizi ecco perché l’allenamento deve essere costante: quella della povertà è una carriera, e per giunta tra le più complesse, tanto difficile che il Signore Gesù si è voluto riservare direttamente l’insegnamento di questa disciplina. “Il Signore nostro Gesù Cristo, da ricco che era, si è fatto povero per voi” (2 Cor). Alla povertà la gente crede quando vede che uno vive con sobrietà, che vive per gli altri, in atteggiamento di condivisione: crede se il mantello lo si taglia a metà, come ha fatto San Martino, grande non perché ha reso il mantello tutt’intero ma perché ne ha dato la metà. La condivisione è molto più difficile del dono totale. La povertà, poi, non è soltanto povertà di denaro, è anche povertà di potere: è polarizzazione cordiale, evangelica sul servizio reso nel nome di nostro Signore Gesù Cristo.

“Gli fasciò le ferite”

Ebbene, vi dico che oggi c’è posto per le opere di misericordia spirituale e corporale. Non è finito il tempo delle opere di misericordia! Dobbiamo sì andare alla causa dei mali, ma intanto tamponare e fasciare le ferite, se il povero sta perdendo sangue.

“Versò l’olio e il vino”.

Si sa che l’olio e il vino non risolvono il problema, come per il malcapitato della parabola. Però, in tutto questo, vi è un grosso insegnamento: noi non disponiamo più dei segni del potere, ma abbiamo il potere dei segni. Significa che abbiamo la possibilità di mettere un po’ di olio e un po’ di vino sulle ferite, povere cose che non risolvono i problemi ma cambiano la mentalità. Dobbiamo mettere degli “scrupoli” dei sassolini nelle scarpe di coloro che camminano. Versare olio e vino significa proprio questo: mentre tu te ne stai a ridere sul ciglio della strada, io sto mettendo olio e vino e sto dicendo a te, civiltà, che vai di corsa sulle strade a scorrimento veloce, che non fai bene. L’olio, secondo i Padri, è l’olio della misericordia. Dobbiamo allora chiederci: voglio bene alla gente in termini di misericordia, con cuore grande? O le nostre rigide chiarezze intellettuali passano anche sopra ai bisogni struggenti della gente? E il vino della fortezza richiama una Chiesa profetica, audace, che non sta a mezza costa, che non sfuma le finali come nel canto gregoriano, ma dice tutt’intera la parola di verità, fino in fondo.

“Lo caricò sul suo giumento”.

Si accorge che l’olio e il vino non bastano. Non basta, cioè, il buon cuore, occorre il buon cervello. Occorre sviluppare una simpatia nuova per l’analisi lucida, scientifica, articolata, quasi fredda dei meccanismi dell’oppressione, di tutto ciò che genera sofferenza per l’umanità. È il primo atto di solidarietà con i poveri. Conoscere la macchina che produce i malanni: la disoccupazione, l’emarginazione, la miseria, lo sfratto, la droga, la prostituzione … Occorre convincersi che l’analisi strutturale delle situazioni di sofferenza e la ricerca delle cause sono il “luogo nuovo”, il “luogo teologico” in cui il Signore si manifesta. Ci sono delle “strutture di peccato”, e noi dobbiamo essere capaci di individuarle. Altrimenti è inutile metter l’unguento sulle piaghe.

 Â“E lo portò ad una locanda”.

Il samaritano si accorge di non farcela con i suoi mezzi. È il discorso del nostro rapporto con le istituzioni pubbliche, con i servizi sociali, con i servizi comunali. Dobbiamo stimolarli alla tenacia, dovremmo precederli sulla battuta, dovremmo intuire le risposte nuove da dare ai bisogni nuovi. Anche in questo occorre audacia, perché spesso facciamo cose parallele, se non similari, doppioni rispetto alle strutture pubbliche, e perdiamo del tempo che potremmo invece impiegare nell’andare in avanti, in avanscoperta, per vedere i bisogni emergenti, quelli che vengono evidenziati momento per momento. Dobbiamo essere coscienza critica delle strutture, servi che lavano i piedi del mondo, comprese le istituzioni, senza lucidare le scarpe, senza essere cortigiani, in vista di un nostro tornaconto.

“E si prese cura di lui”.

“I care” (mi sta a cuore) diceva don Milani. Perché se non ti sta a cuore, ma ti sta solo ad affitto, a locazione, al marocchino non gli dai niente. Non basta la casa, un tetto, occorre un lembo della tua vita, del tuo mantello, perché il tetto, da solo, non copre, come la minestra non scalda se non c’è un po’ di alito umano. Molte volte la gente non ha bisogno del piatto, ma della tovaglia che sta sotto, cioè della tenerezza. “Mi sta a cuore”: è la tenerezza della carità. Si tratta di chiamare per nome, di imparare il nome delle persone, dei poveri.

“Il giorno dopo estrasse due denari”

il Samaritano ha perso tempo, è arrivato al giorno dopo. Anche noi dobbiamo essere capaci di perder tempo: questa è la carità che permette di vedere le necessità dei fratelli. Eccoci arrivati alla “carità politica”, che analizza in profondità le situazioni di malessere e a apportare rimedi sostanziali sottratti alla fosforescenza del precariato e dell’immediato, evitando di fare, delle sofferenze della gente, l’occasione per gestire i bisogni: “Servi i poveri senza servirti di loro”, diceva don Lorenzo Dilani.

Se il samaritano fosse arrivato un’ora prima sulla strada, forse l’aggressione non sarebbe stata compiuta. Qui c’è spazio per tutta la nostra capacità profetica di preveggenza, il nostro andare all’avanscoperta, il nostro intuire dove va la società, per giocare d’anticipo, precedendolo sulla battuta.

Concludendo

Vi invito a lasciarvi evangelizzare dai poveri. I poveri ci evangelizzano. Sono provocazione di Dio per un mondo più giusto, più libero, più in pace. Le nostre chiese devono fare più spazio ai poveri.

Spunti per la riflessione

v     Quale di questi verbi senti più tuo? Fermati e “gustalo”

v     Quale senti che fai più fatica a vivere?

v     Quale senti che deve diventare tuo, perché importante, ma non ti appartiene ancora

 

 

La Chiesa del Grembiule

Andria, venerdì 16 agosto 2002

Leggi GV 13,1-17

Sembra proprio che la fotografia della Chiesa meglio riuscita sia quella che la ritrae col lezionario in mano o con la casula addosso. Quella che la riprende con il grembiule ai fianchi è giudicata un tantino osée, scattata forse in momenti di intimità e di abbandono e che, comunque, non è bene far consolare troppo nei salotti perché la gente non faccia commenti. È proprio vero: la Chiesa del grembiule non totalizza indici altissimi di consenso.

Per uscire fuori dalle immagini, possiamo distinguere nelle nostre Chiese quattro categorie di cristiani:

1.      quelli che ripiegano nello spazio intimistico, sentimentale, lontano dalle situazioni reali della gente; aspettano l’“altro mondo”, ma non fanno nulla perché un “mondo altro” si affermi sulla terra!

2.      quelli che dispiegano un impegno esteriore, affannoso; hanno perso ogni connotazione di annuncio religioso, e le loro proposizioni ideologiche hanno solo uno sbiadito ricordo della fede che le aveva mosse

3.      quelli che guardano con diffidenza, come invasione di campo, le sortite ecclesiali sugli spazi dove giustizia e perversità si scontrano, e accusano di orizzontalismo i vari tentativi di impegno sociale.

4.      quelli che impegnano ogni energia per “gridare il Vangelo con la vita” (don primo Mazzolari). Quelli che hanno compreso che credere è un modo nuovo di pensare, vivere e lottare; che solo se la spina dellÂ’impegno concreto si inserisce nella presa del Vangelo la Parola risplende e il mondo viene salvato

v     E tu a che categoria appartieni?

La Chiesa del grembiule: è il ritratto più bello della Chiesa, quello del servizio. La Chiesa che si piega davanti al mondo, in ginocchio; che diventa povera; povera di potere. Pauper (povero) in latino non si oppone a dives (ricco); si oppone a potens (potente).

Perché il grembiule è l’unico paramento sacerdotale registrato nel vangelo, per la messa solenne celebrata da Gesù nella notte del giovedì santo, non parla né di casule né di amitti, né di stole né di piviali. Parla solo di questo panno rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi.

“Si alzò da tavola”.

Significa prima di tutto che l’eucaristia non sopporta la sedentarietà, ci sollecita all’azione. Ci spinge a lasciare le nostre cadenze troppo residenziali per farci investire in gestualità dinamiche e missionarie il fuoco che abbiamo ricevuto.

Ma significa anche che gli atri due verbi “depose le vesti” e “ si cinse i fianchi con l’asciugatoio” hanno valenza di salvezza soltanto se partono dall’eucaristia. Se prima non si è stati “a Tavola”, anche il servizio più generoso reso ai fratelli rischia l’ambiguità, nasce all’insegna del sospetto, degenera nella facile demagogia, e si sfilaccia nel filantropismo faccendiero, che ha poco o nulla da spartire con la carità di Gesù Cristo. Solo così il nostro svuotamento si riempirà di frutti, le nostre spogliazioni si rivestiranno di vittorie, e l’acqua tiepida che verseremo sui piedi dei nostri fratelli li abiliterà a percorrere fino in fondo le strade della libertà.

v     Sai legare preghiera e azione? La prima sfocia nella seconda? E il tuo agire trova la sua sorgente nella preghiera e nellÂ’eucaristia?

“Depose le vesti”.

Chi sta alla tavola dell’eucaristia deve “deporre le vesti”. Le vesti del tornaconto, del calcolo, dell’interesse personale, per assumere la nudità della comunione. Le vesti della ricchezza, del lusso, dello spreco, della mentalità borghese, per indossare le trasparenze della modestia, della semplicità, della leggerezza. Le vesti del dominio, dell’arroganza dell’egemonia, della prevaricazione, dell’accaparramento, per ricoprirsi dei veli della debolezza e della povertà. Non possiamo amoreggiare con il potere. Non possiamo coltivare intese sottobanco, offendendo la giustizia, anche se col pretesto di aiutare la gente. Gli allacciamenti adulterini con chi manipola il denaro pubblico ci devono terrorizzare.

v     Quali sono le vesti di cui devi spogliarti?

“Si cinse un asciugatoio”.

Ed eccoci all’immagine che mi piace intitolare “la Chiesa del grembiule”. Essa non totalizza indici altissimi di consenso. Occorre riprendere la strada del servizio, che è la strada della condiscendenza, della condivisione, del coinvolgimento in presa diretta nella vita dei poveri. È una strada difficile perché attraversa le tentazioni subdole della delega: stipendiare i “lavapiedi” perché ci evitino la scomodità di certi umili servizi. Però è l’unica strada che ci porta alle sergenti della nostra regalità. E l’unica porta che ci introduce nella casa della credibilità perpetua è la “porta del servizio”.

Doveri di grembiule

Possono sintetizzarsi in tre parole chiave:

Condivisione

Condividere, intanto, la ricchezza di noi singoli con gli “ultimi”. Occorre sorvegliarsi sulle spese, controllare il denaro che entra, stabilire quale proporzione dei propri soldi dare ai poveri, sperimentare tentativi di convivenza e di cassa comune. È necessario bloccare la frenesia dell’accumulo, rendere fruibili i nostri beni inutilizzati, aprire il guardaroba chiuso, affittare le campagne incolte, popolare le case sfitte, stanziare per i poveri i redditi fissi di alcuni beni. Condividere con i poveri anche la ricchezza della comunità. Infine condividere con gli ultimi la loro povertà. Parlare il loro linguaggio. Entrare nel loro mondo attraverso la porta dei loro interessi. Aiutarli a crescere, rendendoli protagonisti del loro riscatto, e non terminarli nelle esuberanze caritative o destinatari inerti delle nostre strutture assistenziali.

“Colui che evangelizza è un mendicante che va a dire a un altro mendicante dove entrambi potranno trovare da mangiare” (Sinodo di Nairobi, 1975).

v     Quanto e cosa sai condividere? Sai condividere solo le cose, oppure anche il tuo tempo e te stesso/a

Profezia.

Ma non basta il buon cuore: occorre un buon cervello. Conoscere i meccanismi perversi che generano le sofferenze è il primo atto di solidarietà con i poveri. Le improvvisazioni sentimentali non bastano. Occorre la competenza e lo studio, per comprendere che le cause di tante situazioni disumane non sono fatalità, ma hanno un nome preciso.

Bisogna, allora, avere la capacità di lottare su due fronti: sulle radici del male sociale per rimuoverle e sui frutti amari dell’ingiustizia per aiutare di volta in volta le vittime che sono costrette a ingoiarli.

v     Cerchi e trovi il tempo per formarti sulle problematiche del mondo? Sai scoprirne le cause e nel tuo piccolo portare azioni concrete?

Formazione politica.

Le nostre comunità cristiane devono promuovere una strategia nuova di coscientizzazione, di educazione alla giustizia e alla carità, di stimolo alla partecipazione, di rottura con la mentalità individualistica che inquadra tutti i problemi sempre nell’ottica degli interessi personali.

È necessario stimolare una formazione politica seria per il nostro popolo, senza la quale i poveri si trasformano in massa manovrabile da parte di coloro che hanno in mano le leve del potere economico, politico e culturale.

Occorre imparare dai profeti e dall’Esodo per comprendere la passione di Dio per i poveri. Vale veramente la pena battersi per i poveri, anche perché, qualunque cosa avremo fatta ai più piccoli, l’avremo fatta a Lui.

v     Ti senti chiamato/a in prima persona a collaborare nella costruzione di un mondo nuovo?

 

 

Eucarestia: comunione e condivisione

Andria, lunedì 19 agosto 2002

Leggi Mt 14,13-21

Nei Vangeli il pranzo o la cena sono momenti significativi dove si operano le manifestazioni del messaggio di Gesù, o del Regno o cambi radicali di vita: le parabole del Regno, le nozze di Cana e l’ultima Cena, la conversione di Matteo e di Zaccheo, solo per citarne alcuni.

Il brano di Matteo ci presenta molte affinità con le celebrazioni eucaristiche delle prime comunità cristiane: il ritrovo, l’ascolto della Parola, la preghiera, la condivisione del pane.

Vide una gran folla e ne senti compassione

C’è una grande folla che cerca e segue Gesù e lui se ne accorge, si ferma, ha tempo per loro; si lascia prendere dalla loro vita, il suo non è un semplice assistere e vedere, anche il cuore è catturato, capisce e partecipa del loro desiderio, la loro vita diventa oggetto del suo amore. Molte volte si legge nel Vangelo che Gesù “ebbe compassione”, Gesù è appassionato dell’uomo. Ancora oggi ci sono folle che cercano, che hanno bisogno di chi le veda, si fermi, provi compassione (e non commiserazione) e si senta chiamato in prima persona a dare una risposta. La risposta significativa che è Gesù e la sua Parola di salvezza e liberazione.

v     Prendi il cuore e gli occhi di Gesù e guarda al mondo, alle sua sofferenze e alle sue gioie, alle sua speranze e alle sua fatiche; lasciati riempire il cuore.

Vadano a comprarsi da mangiare

Spesso la gente è lasciata a sé stessa, alla sua fame, deve arrangiarsi ogni giorno per procurarsi, tante volte a fatica, di che vivere. Tutti conosciamo le realtà di fame che sono presenti nel mondo. In molti sappiamo come le ricchezze del mondo sono divise iniquamente, e come la magior parte dell’umanità si debba accontentare delle briciole; c’è anche chi conosce le fatiche che fanno milioni di persone per poter avere, la sera, qualche cosa da mettere sotto i denti, non sapendo se domani ci riusciranno di nuovo, se riusciranno a sfamare la loro famiglia. Capita pure di sentire discorsi sulla fame e i problemi alimentari (cf. l’ultimo incontro della FAO a Roma), ma volontà e scelte vere e significative non se ne pongono, si lascia ancora che vadano loro a cercarsi il cibo necessario per sfamarsi. E se poi non limitiamo la sfera al solo nutrimento del corpo, ma aggiungiamo la salute, l’istruzione, la pace, … allora la lista si fa ancora più lunga e impressionante.

v     Se informato sulle realtà mondiali di ingiustizia e di oppressione? Cerchi il tempo per conoscere i meccanismi della globalizzazione o ti accontenti dei nostri TG “regionali”?

Date loro voi stessi da mangiare

L’Eucaristia si vive da protagonisti. Partecipare al banchetto della vita e della fede ci impegna in prima persona a farci carico delle sorti degli altri, dei più deboli. Occorre sporcarsi le mani, le proprie, per dare una risposta a chi chiede, o a chi non ha più neppure la forza di chiedere. Il Signore chiama a realizzare il Regno attraverso il nostro impegno; il primo realizzatore della salvezza è Lui, ma non vuole fare Babbo Natale, ci rende collaboratori in prima linea.

v     Ti senti interpellato in prima persona? Cosa rispondi?

Solo cinque pani e due pesci

Tante volte ci siamo detti: “Ma io cosa posso fare di fronte alle necessità del mondo? Io non posso cambiare niente; e poi il poco che posso fare, è talmente piccolo che risulta insignificante”.

v     Quali sono i tuoi pani e pesci?

v     Di fronte allÂ’immensità del lavoro da fare hai mai provato scoraggiamento e impotenza? Cosa hai fatto allora?

Portatemeli qua

Ecco la svolte dell’impasse, ora l’impossibile diventa possibile. Due sono però le necessità perché ciò si renda possibile. La prima: quello che il Signore ci ha messo nelle mani, ora ci chiede di rimetterlo nelle sue perché possa realizzarsi la salvezza. La seconda: occorre dare tutto. I discepoli non si tengono nulla per sé, eppure hanno fame anche loro ed è proprio quello che danno che servirebbe a sfamali.

La fiducia, la disponibilità, la condivisione di ciò che si ha, la comunione nelle mani di Gesù fanno il miracolo; e ne avanza molto più di quello che era stato dato.

v     Quanto sei disposto a rischiare con Gesù? Quanto sei disposto a giocarti con lui? Tutto o solo una parte?

Don Tonino

Leggendo i discorsi di don Tonino si vede come l’eucaristia è per lui un punto centrale della vita, dà senso e vigore alla vita intera.

“Ieri sera stavo amministrando l’eucaristia, durante la messa solenne, quando si è presentato un papà con la figlioletta in braccio. Il Corpo di Cristo. Amen. E gli ho dato la comunione. La bambina allora si è rivolta al padre e gli ha chiesto: «È buona?». Sono rimasto letteralmente bruciato da quell’interrogativo … Quella domanda mi è sembrata così splendida … Ciò che rende credibili sulle nostre labbra di annunciatori la trasmissione del messaggio di Gesù è soltanto l’esperienza che noi per primi facciamo della sua verità. Una verità che non passa, se chi la trasmette non ne pregusta un assaggio e non se ne nutre in abbondanza. La domanda di quella bambina, perciò, ci stringe d’assedio, perché chiama in causa non tanto il nostro sapere religioso, quanto lo spessore del nostro vissuto concreto. «È buona?». Perché, se la mensa di cui tu parli ti ritempra le forze, desidero sedermi anch’io alla tua tavola. Spezzane un po’ anche per me di quel pane che tu gusti avidamente. Fammi bere alla stessa brocca, se è vero che quell’acqua toglie la sete e ti placa l’arsura dell’anima. «È buona?» … fa’ assaporare pure a me queste delizie del palato e non escludermi da condivisioni di così squisita bontà … avrei voluto dirle: «Sì che è buona l’eucaristia. Così come è buona la sua Parola. Così come è buona la sua amicizia. Così come è buona la sua croce. Te lo dico io che non posso più resistere senza quell’ostia. Che non so più fare a meno della sua Parola di vita eterna».

Ora, se l’Eucaristia è comunione, anche la Chiesa deve essere comunione, anzi fioritura di comunione, compimento di comunione, pienezza di comunione.

v     Fai dellÂ’Eucaristia il centro della tua vita, il luogo dellÂ’incontro con Dio e con i fratelli e le sorelle? Il luogo della condivisione di ciò che hai, ma soprattutto di ciò che sei?

v     Sai fare della tua vita unÂ’eucaristia?

 

 

Il vero digiuno

Andria, martedì 20 agosto 2002

Leggi Is 58,6-12

In questi giorni ci hanno accompagnato le parole forti di don Tonino, che ci hanno scomodato e fatto alzare dalle nostre “poltrone”, e ci hanno fatto capire l’importanza di una vita cristiana autentica e impegnata. Le parole di Isaia allora vengono a suggellare e confermare il cammino fatto fin qui.

Digiuno è cambiare vita

Fare il digiuno nella Bibbia ha il significato di voler cambiare vita, di pentimento, di rinnovamento della vita, di purificazione. Ma Dio chiede una vera conversione, non solo apparente (vv. 4-5), non solo “spirituale”, disincarnato dalla realtà che si vive, presente, attorno. Don Tonino non apprezzava certo queste persone (cf. Chiesa del grembiule).

Allora Isaia ci illumina su come deve essere il digiuno: deve togliere i gioghi che schiacciano le persone, deve toglier le catene inique che impediscono la vera vita; don Tonino richiamava spesso all’andare alle cause concrete delle sofferenze e delle ingiustizie. E se guardiamo al mondo d’oggi, questi gioghi e queste catene sono presento, anzi, sembrano essere diventati più forti e più pesanti: debito estero, guerre, vendita di armi, colonialismo economico e politico, saccheggio delle risorse, controllo della BM e del FIM; per non parlare di realtà che vediamo e tocchiamo qui vicino a noi, e in alcuni casi anche durante il campo: droga, prostituzione, mafia, cattiva amministrazione della cosa pubblica. Di fronte a queste realtà don Tonino ci richiama alla figura del buon Samaritano, che sa vedere, che non passa sopra, che paga di tasca proprio.

v     Che gioghi conosci? Cosa stai facendo tu, in concreto, per toglierli?

v     Quali sono le catene e i gioghi di cui ti devi liberare?

v     La Parola ti sta facendo cambiare vita?

Digiuno è condivisione

Isaia continua su questa linea e chiede la capacità di saper condividere; condividere è più che donare, perché pone anche chi riceve sullo stesso nostro piano, con la stessa nostra dignità e non è schiacciato né dalla nostra ricchezza né dalla nostra bontà. Inoltre condividere chiede di saper dare ciò di cui abbiamo bisogno anche noi e non solo il superfluo; la raccolta di vestiti usati, mobili vecchi, ecc. se sono molto utili per aiutare chi è nel bisogno e non avrebbero altre possibilità, però per qualcuno, potremmo dire, “fa comodo” perché così possono rifarsi poi il guardaroba, o disfarsi di oggetti che non sapevano più cosa farsene, o ormai fuori moda!!

Condividere il pane è condividere la vita, è condividere ciò che si ha, è dare la possibilità di vivere; condividere la casa è condividere ciò che si è, è dare protezione, è portare nel proprio cuore la realtà dell’altro e farla proprio; condividere il vestito è ridare dignità, dargli la dignità di persona che Dio ha dato anche a te (cf Basilica maggiore e salmo 8).

v     Ti è mai capitato di condividere con chi non può ricambiarti il favore? Ti è costato fatica?

Vivere da profeti

Vivere questo è già vivere da profeti, perché la nostra diventa una testimonianza di fronte al mondo; saremo luce che brilla, luce che rischiara, che indica la via per la realizzazione di un mondo diverso. Matteo (5,13-16) ci ricorda che questa è un’esigenza del cristiano che deve vivere la sua vocazione, la realtà che lo caratterizza, noi siamo già sale e luce, perciò dobbiamo vivere come tali; non ci possiamo nascondere, far finta di niente per paura o disinteresse.

Don Tonino ci ricorda:

“Vergine Santa, fa che abbiamo il coraggio di entrare nella città, per portarle annunci di liberazione e di speranza … Entrare nella città significa ritrovare la ragione d’essere della nostra comunità. Che non è quella di estraniarsi dal mondo, ma di entrare nel suo tessuto connettivo, assumendone la storia e la geografia, le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce. … nell’atteggiamento del servizio. Dico del servizio e non del servilismo. Che il servizio autentico qualche volta esige anche la critica o la denuncia, non significa che la Chiesa voglia costituirsi quasi come rivale o antagonista delle istituzioni, creandosi delle aree di influenza dove, invece che esprimersi come serva, si esprime come padrona. Vogliamo essere ministri della felicità della gente.”

“Si tratta di attrezzarsi per essere coscienza critica nella città, spina dell’inappagamento conficcata nel fianco del mondo, centrale di un discernimento che scruti il peccato «accovacciato davanti alla porta», fulcro elaboratore di annunci che abbiano la forza di operare conversione , cantiere sempre aperto non di proposte di gestione ma di orientamenti per la rigenerazione dell’humus etico della politica.”

Vivere la profezia porta a farsi promotori della giustizia, perché si realizzi il Regno di Dio, e perché anche il nostro agire porti alla “gloria di Dio” (v. 8). Cerchiamo la giustizia non per una gratificazione propria, per “far carriera”, ma perché si compia la volontà di Dio e l’umanità lo scopra.

v     Ti senti sale e luce del mondo? Senti lÂ’esigenza e lÂ’urgenza di vivere la profezia della vocazione cristiana? Quali sono le difficoltà e le paure che incontri?

Vivere la comunione

Vivere questo ci dice Isaia è vivere in comunione con Dio, un Dio che è presente, che risponde, che si prende cura dei suoi servi (vv. 9.11).

Tante volte i profeti hanno fatto fatica, perché la missione a loro affidata era difficile, e i risultati non erano immediati e visibili; a questo proposito è significativa la vita di Geremia. Ma una cosa li accomuna: la certezza di essere dalla parte giusta, quella di Dio, di “lavorare” per un qualcosa di grande valore, che si realizzerà, perché è Parola di Dio, una parola che è efficace (Gen 1, Is 55). Sanno che Dio è fedele e non li abbandona, anche nei momenti più bui; sarà questa vita vissuta nella fedeltà che porterà alla realizzazione delle persone che la percorrono (salmo 1).

v     Condividi la tua esperienza: le volte che hai sentito vera questa parola, in cui ti sei sentito accompagnato da Dio, in cui capivi che stavi facendo la volontà di Dio, anche nella fatica, e questo ti ha fatto crescere nella fede e in umanità.

 

 

“Basilica maggioRe   Basilica minore” = Salmo 8 -  Il valore della persona.

Dalla riflessione – preghiera di questo Salmo, alla contemplazione del valore della persona: dell’uomo e della donna, secondo il Cuore di Dio.

Don Tonino, è un cantore della bellezza e della dignità di ogni persona, Lui stesso preso dai sentimenti del cuore di Dio, in umile ascolto delle Sue vibrazioni per la creatura che Lui ha formato a Sua immagine e somiglianza e lÂ’ha inviata nel mondo a custodire, a  governare il creato.

LÂ’ascolto attento, umile e contemplativo del Cuore di Dio, fa che Don Tonino  non può più ignorare la situazione di milioni di persone abbruttite, umiliate, disprezzate, emarginate, sfruttateÂ…nei grandi mercati del mondo, dove c’è posto solo per chi produce, per chi serve ad aumentare il guadagno dei pochi, già  troppo ricchi.

Don Tonino, lo ricordiamo oggi, ascoltiamo le sue parole, desideriamo camminare sulle sue orme, proprio qui, su questa terra di Puglia perchè lui, prima di essere innamorato dell’uomo, della donna, prima di fermarsi a contemplarne la bellezza e la grandezza, era in sintonia con Dio, stava in preghiera, in ascolto di Dio, dimorava nella comunione profonda della Trinità.

  • Per te, chi è Dio?

  • Quale concetto ne hai?  Hai imparato ad incontrarLo, ad ascoltarLo, a contemplarLo a stare con Lui?

  • Dove?  Come?

“O Signore, nostro Dio, quanto è grande il Tuo nome su tutta la terra” Salmo 8, 2 e 10

Con questo versetto inizia e  chiude questo salmo!

EÂ’ un grido di stupore, di estasi dellÂ’uomo che contempla la gloria di Dio, la Sua presenza, la Sua opera nella bellezza, nellÂ’armonia del creato.

  • Sai fermarti con stupore davanti ad un fiore, ad un tramonto, agli   occhi   di un bambino, ad un volto amato?

“…sopra i  cieli si  innalza la  tua magnificenza.

Con la bocca dei bimbi e dei  lattanti  affermi la tua potenza contro i tuoi  avversari,  per ridurre al silenzio  nemici  e ribelli”  Salmo  8, 2b – 3

Con queste parole così forti e così belle, il salmista ci presenta lo stile di Dio nell’affermarsi tra gli uomini. Don Tonino commenta questi versetti ricordandoci che Dio paradossalmente ci invita a lasciarci evangelizzare dai bambini, così come altrove ci viene ricordato di lasciarci evangelizzare dai poveri, sì, perchè questi sanno di farlo affidandosi a Colui che riempie le loro vite e le loro storie, anche quelle che agli occhi del mondo sembrano le più insignificanti e vuote.

“…che cos’è l’uomo perchè te ne ricordi e il figlio dell’uomo perchè te ne curi?” Salmo 8, 5

In quanti passi della Bibbia, oltre che in queste parole  del salmo troviamo lÂ’assicurazione che Dio non dimentica mai lÂ’uomo. Isaia 49,15-16  ci ricorda: “Non ti dimenticherò mai, Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani”.

Per Dio non ci sono figure anonime, ma persone con un nome ed un volto, chiamate, conosciute, cercate per nome.

Nella nostra società, dove tutti diventano ‘ruolo’, diventano ‘numero’, quanto riempie il cuore questa Parola di Dio! Ed è ancora una Parola che ci interpella e ci scomoda nelle nostre relazioni spesso superficiali.

“…Che cos’è l’uomo perchè te ne ricordi, il figlio dell’uomo perchè te ne curi?”

Dio si prende cura di ciascuno dei suoi figli e figlie. Certo è sconcertante questa Parola. Può venire da crederla vera per le persone bene, per le persone grandi, per quelle che contano e riempiono di sé i notiziari…eppure Dio si ricorda di tutti, di ogni uomo e donna e se ne prende cura, e si china su ogn’uno con tenerezza infinita, con pazienza,

E… Dio affascina di Sé per realizzare questo nella storia, anche oggi, anche qui, durante questo Campo.

  • Come guardi a te stesso/a?

  • ·Hai   sperimentato  lÂ’Amore personale di  Dio per te?  E, senti   come ti chiama OGGI a manifestare lo  stesso  amore   ai poveri,  ai piccoli, a coloro  che la società  non ne riconosce degni?

“…L’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato.” Salmo 8, 6-7

Don Tonino commenta queste parole del Salmo con riflessioni

forti che sfidano e interpellano la visione che abbiamo di noi stessi e delle persone che incontriamo:

senti che sei grande? Che Dio ti ha fatto poco meno degli angeli e che le persone che incontri, quelle che avvicini in questi giorniÂ…Dio le ha fatte poco meno degli angeli e le ha rivestite di gloria e di onore?  EÂ’ questa la visione dellÂ’uomo, della donna che ci deve far riflettere, scomodare e  che deve renderci  creativi nel nostro impegno per la giustizia e per la pace, perchè tutti i nostri fratelli e sorelle specialmente nel Sud del mondo abbiano la loro ‘gloriaÂ’ e grandezza rispettata e riconosciuta.

    Don Tonino ci illumina anche su questo con il suo insegnamento circa le due Basiliche: la maggiore e la minore!!!

Ci ricorda come ogni uomo e donna è ‘casa del ReÂ’, è importante, è MAGGIORE perchè vivo, perchè pieno della Presenza viva di DioÂ…molto più di tutte le chiese di mattoni e di pietre  e opere dÂ’arte.

“Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi;   ” Salmo 8, 7-8

E, quanto abbiamo da riflettere su queste parole del salmo 8!

LÂ’uomo, la donna chiamati a partecipare alla creazione di Dio, al suo lavoro instancabile nellÂ’universo: co-creatori con Dio! Collaboratori nella costruzione delle sue opere stupendeÂ… quindi non tiranni, non padroni assoluti, non liberi di usare e abusare, di manipolare le opere di DioÂ…

E noi siamo mercanti di morte, e noi compriamo e vendiamo e usiamo persone per interessi egoistici, e noi chiudiamo gli occhi davanti alla povertà, alla debolezza di chi ci chiede solo di essere partecipe della gestione delle risorse del creato!!!

Dio ci ha messo ‘tutto sotto i nostri piedi’…perchè entrassimo in un rapporto rispettoso con la natura, Dio si fida di noi. S.Francesco ci insegna tutto questo in modo stupendo!

  • E tu, come ti senti nel creato? Quale è il tuo rapporto con le creature, soprattutto con le persone come te - figli e figlie di Dio?

  • Ti   senti   responsabile dellÂ’uso e/o  abuso  del creato, nel senso  largo  del  termine?

O Signore, quanto è grande il tuo Nome su tutta la terra!

 

 

Creare Primavera di Pace

Leggi, Medita e Prega la Parola:

Matteo 5, 38-48  e Romani 12,17-21 

·        Il brano fa parte del discorso della montagna di Gesù, il

discorso-programma di vita di Gesù per i suoi discepoli. Spesso ci soffermiamo alla prima parte, alle Beatitudini, ma tutto questo capitolo è evangelico, porta la buona notizia della vita nuova secondo lo Spirito, vita da figli e figlie di Dio Padre, Santo e misericordioso verso TUTTI.

  • Popolo delle Beatitudini, Giovani delle Beatitudini, ha chiamato il Papa i giovani radunati a Toronto per la GMG, solo alcuni giorni fa. E per CREARE PRIMAVERA DI PACE, abbiamo bisogno di essere davvero POPOLO, GIOVANI delle Beatitudini!

La continuazione dello stesso capitolo 5 di Matteo, ci chiama ad  approfondire il significato di questa Parola-Annuncio-Programma di vita, per diventare concretamente quello che siamo chiamati ad essere in questo nostro mondo, OGGIÂ…

  • Don Tonino continua ad esserci Maestro, con la sua parola profetica e il suo esempio di vita totalmente impegnata fino alla donazione radicale alla causa del Vangelo, della Pace e della Giustizia coniugate insieme

 

  • Silvano Fausti ci aiuta a leggere questo brano, 5,38-48 sottolineando 5 regole dÂ’oro, guida per la nostra vita.

  • La prima regola per vincere il male e quindi CREARE PACE, è opporsi al male e non al malvagio. Il malvagio, prima vittima del male, è un mio fratello e sorella, da amare con tutto il cuore. Il mio odio verso di lui, svela la mia simpatia per il male, per lÂ’ingiustiziaÂ…anche se nascosta elegantemente. Solo un cuore libero e puro ama con tenerezza il peccatore.

  • La seconda regola, v.39, parla di ‘tolleranzaÂ’ cristiana, che non è indifferenza al male, ma la forza di portare su di sé il male dellÂ’altro.

  •  La terza regola per vincere il male, v.40, è quella di ricordarmi del mio dovere di figlio di Dio, quella di non oppormi al mio fratello, guardando a Gesù sulla croce.

  • La quarta regola, v.41, è quella di aiutare il mio fratello a portare i suoi pesi, a considerare i suoi bisogni.

  • La quinta regola, v.42, e la disponibilità a ‘dareÂ’, contro la logica del ‘prendereÂ’, del possedere, causa di tanta ingiustizia e mancanza di pace nel nostro mondo.

 

  • ‘Amate i vostri nemiciÂ’, dice Gesù! LÂ’Amore dei nemici è lÂ’essenza del cristianesimo! Vuol dire aver conosciuto Dio che non ha nemici, ma solo FIGLI e FIGLIE; vuol dire aver ricevuto il dono del Suo Spirito che mi dona di riconoscerli tali e di amarli come fratelli e sorelle.

‘Amate i vostri nemici e pregate per quanti vi perseguitano, perché diventiate figli del Padre…’ v.44

Solo amando i nemici e  pregando per i persecutori, divento ciò che sono: figlio/a del Padre! LÂ’amore e la misericordia di Dio sono per TUTTI, perché Lui riconosce TUTTI come figli, e attende che qualcuno lo riconosca come Padre accettando gli altri come fratelli.

  • LÂ’amore che Gesù chiede è un amore gratuito, che non cerca il proprio interesse, la propria soddisfazione: che è rivelazione dellÂ’amore incondizionato di Dio. Chi vive questo amore dà PACE a TUTTI, perchè la sperimenta.

 Â‘Â…Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro.'

EÂ’ considerato questo il versetto chiave-culmine di tutto il discorso della montagna.  EÂ’ un imperativo forte col quale Gesù ci invita ad essere quello che davvero siamo: FIGLI, FIGLIE di DIO!... proprio perchè creati a sua immagine e chiamati a testimoniare con la vita questo stesso essere.

  • Quale Parola di questo brano del Vangelo ti tocca  profondamente?

  •  Ti  senti  chiamato a costruire PACE e a coniugarla con la Giustizia? Come?

Don Tonino afferma con forza che per noi credenti la pace non è frutto della paura, ma dell’amore e cita il versetto 44: ‘amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori’.

La pace va ‘osata’ sulla Parola di Cristo, sulla ‘stoltezza della croce’.

Cerchiamo ora di leggere questa parola P A C E, di ascoltarla vibrare dentro, di lasciarci provocare per accoglierla e realizzarla confrontandoci con l’insegnamento di Gesù e il vissuto di Don Tonino.

  •  Â“P” come preghiera.

La cultura della nonviolenza parte proprio da lì. “Chi prega, dice S.Bernardo, ha le mani sul timone della storia”. Ogni sforzo, ogni impegno per costruire pace e giustizia trova significato e forza e coraggio nella preghiera, in un rapporto personale con Gesù, in una ricerca sincera del Suo Volto, nell’ascolto umile ed attento della Sua Parola.

  • “A” come audacia.

Audacia che non vuol dire spericolatezza, imprudenza, ma vuol dire libertà, coraggio, franchezza, radicalità nell’accogliere e vivere il Vangelo senza annacquarlo, nelle pagine che ci disturbano di più. Don Tonino usa delle parole profetiche forti per scuotere l’indifferenza soprattutto dei giovani, chiamati a provocare le coscienze del mondo troppo tranquillo e prudente di tanti cristiani.

Audacia a coniugare pace e giustizia: Isaia 32,17  e  

Salmo 85, 9-14, senza disgiungerle!

  • “C” come convivialità.

Sì, perchè PACE è la convivialità delle differenze, quando si mettono a sedere alla stessa tavola persone diverse, di culture diverse…che noi siamo chiamati a conoscere, ad accogliere e a servire per incontrarne il volto e scoprire il Volto - Icona di Cristo in ognuno.

  • “E” come Esodo.

Esodo per lasciare le ricchezze, le sicurezze, il potere, la volontà di dominio sulle coscienze dei poveri.

Esodo per accostarci ai poveri e partire da loro per costruire pace e giustizia, con scelte concrete di vita.

Don Tonino ci sfida ad avere e a condividere il potere dei segni, non i segni del potere.

Il potere del segno della condivisione, del segno della speranza.

Accendere delle piccole luci che illuminino i passi dei poveri a costruire la loro vita, la loro dignità per camminare insieme verso la costruzione di un mondo nuovo, di giustizia, di pace e di amore.

  • Sai  coniugare la parola P A C E  nella tua vita?

  • Chi  sono gli ALTRI  con i quali senti di voler camminare per far fiorire la Pace e la Giustizia, secondo le esigenze del Vangelo di Cristo?

  • Sei  attento alle voci di profeti  che ti interpellano a crescere, a camminare, a volare verso la libertà,  sostenendo fratelli e sorelle impigliati  nella  rete della  povertà, della solitudine,  dellÂ’ignoranza?

 

Condividi questo articolo:

Registrati alla newsletter

giovaniemissione.it

BARI

Via Giulio Petroni, 101
70124 Bari
Tel. 080 501 0499

ROMA

Via Luigi Lilio, 80
Roma, 00142
Tel. 06 519451

VERONA

Vicolo Pozzo, 1
37129 Verona,
Tel. 045 8092100

PADOVA

Via S. G. di Verdara, 139
35137 Padova
Tel. 049/8751506

NAPOLI

Via A. Locatelli 8
80020 CASAVATORE (NA)
Tel. 081.7312873

VENEGONO

Via delle Missioni, 12
21040 Venegono Sup. (VA)
Tel. 0331/865010