“Leggere i sogni degli Oppressi”
Sulle orme di don Tonino Bello

Nel quartiere S. Valentino ad Andria (Bari) 11 – 21 agosto
GIM Venegono

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Dai partecipanti al campo

Grazie don Vito!  di Diego
 L’esperienza vissuta nel quartiere S. Valentino di Elena
La mia Andria di Mariella
È un tipo di poche parole il signor Riccardo di Leonardo
Se state pensando di cambiare casa di Alessandro
Sulle orme di don Tonino... passando per S. Valentino di Marta&Fra&Ghi da Roma
Le Catechesi che hanno guidato la riflessione e la preghiera durante il campo

Dammi Signore un'ala di Riserva

Una Poesia di don Tonino Bello

 

visita nel nostro sito la pagina dedicata a don Tonino

Grazie, don VITO!!

 

“Leggere i sogni degli oppressi”: questo è stato lo slogan, poi il tentativo, ma soprattutto l’impegno del campo vissuto ad Andria, (Puglia).

 

Una frase sicuramente ad effetto, che colpisce per i vocaboli – “sogni” e “oppressi” - ormai in cima alla hit list del vocabolario gimmino; una frase, quindi, che troppo facilmente può essere preda della facile retorica, che è forse il peggior nemico dell’impegno.

 

Non è stato facile leggere la devastante portata di questo appello, così ambizioso da poter sembrare folle: può infatti sembrare follia l’accostamento della povertà e dell’ingiustizia con il sogno, apparentemente così incapace di “cambiare le cose”.

Durante il campo è stata (e lo è ancora!) una grande sfida cercare di trovare il significato delle singole parole “sogno” e “oppressi”, per poi chiedersi cosa significhi “leggere”.

 

Sono stati numerosi gli aiuti e i suggerimenti che don Tonino Bello ci ha regalato, non sono mancati i confronti nel gruppo sulla Parola di Dio, ma qui vorrei parlare di un aiuto davvero speciale, che ha colpito tutti per la sua freschezza e originalità: il parroco del quartiere S. Valentino: don Vito.

Lo stimolo alla riflessione che ci ha regalato non è venuto da belle catechesi, da incontri o serate speciali (anche se effettivamente ci ha voluto regalare in una serata la sua esperienza in Brasile…!!), ma da tanti gesti fatti nell’assoluto silenzio.

 

Ci ha aiutato a leggere i sogni degli oppressi innanzitutto accogliendoci con grande calore umano, mettendo a nostra disposizione le strutture della parrocchia (…e al lavoro la sorella, il fratello, la nipote, ...ecc.), ma soprattutto il suo tempo: è l’unico prete di una comunità di 4.500 persone, ma per dieci giorni è sempre stato molto disponibile per venire incontro alle nostre necessità, dalla chiave di quella o dell’altra stanza all’aiuto organizzativo della giornata. Ci ha insegnato con l’esempio che l’accoglienza è adattarsi all’ospite (a chi c’era verrà in mente il “gli si fece vicino” di Lc 10,25-37 ).

Per aiutarci a leggere i sogni degli oppressi ci ha fatto incontrare con le persone, fratelli e sorelle che nella semplicità hanno condiviso con noi la loro realtà di vita. Per “conoscere” il quartiere sarebbe potuto bastare leggere qualche tabella, chiedere a lui stesso o a qualcuno che conosca l’intera situazione, ma don Vito ci ha fatto capire che per leggere i sogni degli oppressi bisogna saper ascoltare, farsi accogliere.

 

E in fatto di farsi accogliere ha stupito un po’ tutti quella facilità con cui ha saputo organizzare le visite alle famiglie: ci ha colpito l’affetto e la familiarità con cui la gente lo saluta per strada, lo invita a salire prima ancora che lui, attraverso il citofono, riesca a finire il “Buongiorno, come state?” e dire che non può salire, perché accompagnato da un gruppo molto numeroso di giovani.

Durante la partita a pallone dell’ultima sera del campo, cantava affetto anche il coretto di bambini suoi tifosi: “Forza, don Vito!”

Il suo silenzio spesso ci ha cantato la sua profonda e misteriosa umiltà, con la quale avrebbe voluto nasconderci le sue grandi capacità di missionario, di prete che dopo vent’anni di servizio in una comunità sicuramente “impegnativa” riesce ancora ad essere presenza propositiva ed energica.

 

Dietro a un volto tanto sereno da correre il rischio di essere frainteso si nasconde la passione di chi ama “con le viscere” e per questo sa commuoversi e indignarsi per la sua gente, la passione di chi si sa padre di una comunità e che per questo non manca di essere esigente e protettivo, che in un contesto di ingiustizia strutturale coincide con l’essere combattivo.

Ci ha fatto vedere che leggere i sogni degli oppressi significa soprattutto saper SPERARE, visto che nonostante da ormai vent’anni, ossia da quando è nato, il quartiere subisca ingiustizie, pregiudizi e violenze, lui e la sua gente ancora sperano, cioè credono che davvero un domani migliore sia non solo “possibile”, ma garantito, nella misura in cui non ci si fa spaventare dalla lunghezza e dalla tortuosità del cammino.

Indubbiamente in questo campo e in questo momento in cui siamo chiamati a costruire la pace, don Vito ci ha mostrato la gioia del servizio di chi ha ascoltato e fatto suo l’appello della montagna lanciato duemila anni fa da un “anonimo palestinese ebreo” che disse: Beati quelli che costruiscono la PACE, perché saranno chiamati “figli di Dio. Don Vito infatti ci ha mostrato la faccia anonima e sconosciuta della pace, quel filo d’erba che assieme a migliaia di fratelli e sorelle cresce senza fare il rumore dell’albero che cade, per dirci che la pace deve davvero essere nelle nostre mani, così come ci aveva detto il Maestro: la costruzione della pace non è un incarico dei grandi, un dovere da chiedere/imporre agli altri, i “violenti”: è invece il carattere fondamentale dei figli di Dio, una “convivialità” cui tutti siamo invitati e per la quale a nessuno sono promessi applausi.

 

Diego post

Padova

ciaodiego@yahoo.it

 

 

L’esperienza vissuta nel quartiere S. Valentino

L’esperienza vissuta nel quartiere S. Valentino, ad Andria, è stata caratterizzata dall’incontro di numerose persone importanti e significative che, tutt’oggi, nella loro quotidianità, lavorano per la costruzione di un mondo più giusto e di pace.

Tra tante persone incontrate, vi voglio raccontare la testimonianza di sr. Annamaria, missionaria Comboniana, che, originaria della terra di Puglia (terra ecumenica) e conterranea di don Tonino Bello, grande operatore di pace, ha voluto vivere la sua missione attraverso il dialogo interreligioso ed ecumenico in terra di Medio Oriente. Sr. Annamaria, donna giovane, esile, con un viso semplice e sereno, ha voluto raccontarci e condividere la sua storia vocazionale-missionaria.

All’età di 16 anni, inizia per Annamaria un periodo di profonda crisi, dove le amicizie, lo studio e gli ambienti che frequenta non la soddisfano più, creando un senso di vuoto che coinvolge anche il più radicale incontro con Dio. partecipa agli esercizi spirituali dove incontra un padre comboniano, p. Benedetto, che, cogliendo il suo bisogno di “altro”, le propone di frequentare il GIM. Annamaria inizia il suo cammino di scoperta di un nuovo volto di Dio, un Dio che vede, ascolta e chiama a collaborare con Lui nella storia e nella realizzazione del suo sogno di liberazione.

Durante il cammino fatto di studi, attività parrocchiale e GIM, instaura forti legami di amicizia con cui condivide la sua ricerca vocazionale, le sue gioie e sofferenze.

In questa esperienza scopre la sua vera vocazione: la vita religiosa vissuta  come un cammino di liberazione verso un Amore totale, gratuito e libero (castità); come obbedienza alla Parola, all’ascolto e alla condivisione con i più poveri  ed emarginati (obbedienza e povertà), sull’esempio di Daniele Comboni. Uomo profondamente umano, capace di vivere relazioni autentiche e per esse di pagarne il prezzo. Annamaria capisce che la sua missione si può realizzare solo all’interno di una comunità, dove la diversità di ogni persona, diventa motivo di crescita e sostegno reciproco.

Ed è proprio nei luoghi dove diversità di cultura e religione rendono difficile la testimonianza della propria fede che, sr.  Annamaria decide di svolgere la sua missione: prima a Dubai, negli Emirati Arabi, e successivamente e Gerusalemme. A Dubai, città arabo-mussulmana, il cristianesimo costituisce una minoranza religiosa. In questo contesto sr. Annamaria ha vissuto l’esperienza di un cristianesimo espresso all’interno delle mura, ma testimoniato con la propria vita nel quotidiano, lavorando nella scuola e facendo l’incontro e il dialogo tra culture e religioni diverse.

Sr. Annamaria ricorda di questo periodo il senso di essere pellegrini e ospiti di questa terra, dove ha cercato il dialogo e il confronto con la religione islamica che non sempre è stato possibile.

Successivamente, sr. Annamaria si trasferisce a Gerusalemme, dove condivide con la preghiera, la sofferenza e la speranza di un popolo provato duramente dai conflitti religiosi e territoriali, lavorando per il dialogo e la pace. Ora, sr. Annamaria partirà per l’Egitto per studiare l’Arabo: a lei auguriamo  di proseguire la sua missione con la stessa fede ed entusiasmo che ci ha trasmessi nei momenti vissuti insieme. Sulle orme di don Tonino Bello, abbiamo incontrato sr. Annamaria e tante altre persone che ci hanno accompagnato in questo campo, facendoci scoprire la bellezza del donarsi senza misura per un Amore più grande.

Elena

 

 

La mia Andria

Ieri sera, per la prima volta dopo il campo ho rovisto i miei amici di sempre, gli amici di scuola che conosco da quando avevo sei anni, le persone con cui sono cresciuta, in questo posto da cui tutti siamo fuggiti e dove pochissimi di noi vogliono ritornare. Siamo rimasti in macchina a parlare fino alle due di notte, del campo, del fatto che mai avrei pensato che dieci giorni trascorsi qui ad Andria, nel quartiere più malfamato della città, mi avrebbero sconvolta così tanto nell’esistenza … sento ancora addosso le sensazioni bellissime che mi ha regalato questo campo: la mitezza e la dolcezza che hanno sempre accompagnato la preghiera, il fatto che per la prima volta in vita mia ho sentito il desiderio di possedere e di leggere una Bibbia, e poi i sorrisi, gli sguardi, le tavolate, le chiacchierate, i pensieri a metà, le lacrime, l’inquietudine, il sentirsi parte di qualcosa, quella sensazione forte di avere qualcosa in comune che a noi, che ci conosciamo da sempre, manca! È strano, ma spesso sembra che l’unica cosa che ci unisca sia il ricordo del passato, un passato comune bellissimo, quando la scuola ci teneva uniti … e adesso? Tante volte sembra di non avere più nulla da dirci, non siamo capaci di guardarci negli occhi e parlare seriamente, senza che qualcuno ironizzi sulla serietà dell’altro, e tante volte sembra che per noi “stare insieme” significhi semplicemente incontrarsi, sia un semplice fatto di vicinanza fisica, non siamo capaci di fare cose insieme, se non legate alla ricerca del divertimento. Ma ce l’abbiamo un ideale, un sogno in comune? Don Tonino diceva ai ragazzi: “Ho bisogno dei vostri sogni!” … è bellissimo sentirsi dire una cosa del genere da un uomo, da una persona adulta, mentre la maggior parte degli adulti ci ha sempre insegnato che diventare adulti significa ridimensionarli, i propri sogni …

Mi hanno chiesto, i miei amici di sempre, se di don Tonino abbiamo cantato quella preghiera che fa venire la pelle d’oca, quella che dice “vivere è abbandonarsi come un gabbiano all’ebbrezza del vento …”, e alcuni si sono ricordati di quando, all’oratorio estivo, quella preghiera era capace di zittire centinaia di bambini scalmanati … sì, certo che l’abbiamo cantata, e abbiamo anche letto e ascoltato tante altre parole di don Tonino, politiche, forti, passionali …

È bellissimo scoprire che esistono persone capaci di guardare le cose e progettare il futuro, con una immaginazione a molti sconosciuta, capaci di sognare in grande, tanto in grande, ed essere allo stesso tempo concrete … l’anima vola e i piedi restano per terra, gli occhi guardano lontano e le mani, qui e ora, si sporcano! È una cosa su cui abbiamo insistito molto durante il campo: per leggere i sogni degli oppressi bisogna sporcarsi le mani.

Ho provato a pensare al perché mi sono sentita molto più a mio agio e a casa a S. Valentino che non nell’“altra Andria”, e ho pensato che forse dipende proprio dai sogni degli oppressi … come sono questi sogni: piccoli e infinitamente grandi?! Probabilmente molto piccoli perché dietro l’angolo, la dignità e i diritti che gli oppressi sognano, tanti altri ce li hanno già e li considerano scontati. Ma sono anche immensi perché quando si sogna qualcosa, le si dà un nome, e si scopre che è davvero grande, bella, preziosa! E poi, come dice una canzone d’amore, bisogna guardare le cose da lontano per vederle tutte intere.

Una scoperta bellissima per me, è stata la solidarietà che ha unito la gente di questo quartiere. Il fatto che abbiano protestato, lottato e agito sempre insieme, come comunità, mi sembra una cosa davvero grande e davvero “avanti rispetto all’“altra Andria”.

Evidentemente i miei sentimenti verso la mia città sono un misto di amore e rabbia; se devo parlare degli andriesi lo faccio sempre al negativo; descrivo “l’andriese tipo” come quella persona che se ha un po’ di soldi da parte, compra un vestito, anche se non c’è più spazio nel suo armadio, ma non lo sfiorerà l’idea di comprare un libro, e se i soldi sono tanti comprerà un’auto super accessoriata di grossa cilindrata, con cui girerà la città ai due all’ora impantanato nel traffico, ma mai il biglietto del treno per girare il mondo. Lo descrivo come una persona con una scala di priorità assurda, che considera la famiglia una comunità chiusa ed è totalmente indifferente  a quello che succede nel mondo, ma anche nella stessa Andria, perché chi la odia fugge via e chi ci vive non  la ama, non la rispetta, non l’apprezza, non fa niente per valorizzarla, perché non la conosce neppure.

Io stessa, mi sono resa conto di ignorare totalmente, ad esempio, la storia si S. Valentino, di essere cresciuta con dei pregiudizi assurdi su questo quartiere. Gli andriesi dell’“altra Andria” sono davvero convinti che la nascita a S. Valentino imprima nel DNA il gene della delinquenza, ma forse pochi sanno che ci sono delle responsabilità amministrative pesantissime, che dopo un’accurata cernita dei casi familiari e sociali più disastrati, le rispettive famiglie sono state ghettizzate in quel quartiere, ripulendo la città. Ghettizzate e abbandonate.

C’è un prete di periferia, che è una persona incredibile, che ha un passato come missionario in Brasile e lì è una specie di mito. Tornato qui ad Andria ha visto nascere e crescere il quartiere, ha combattuto tutte le sue battaglie ed è sempre stato un punto di riferimento; conosce la gente per nome, sa dove abita, conosce le loro storie, e tutta questa storia lui sa raccontarla meglio di chiunque altro. Il suo racconto è disarmante, indigna, apre gli occhi.

Un gruppo di razzi da tutta Italia è venuto qui ad Andria e gli ha chiesto di raccontare; ma non ho mai sentito che una parrocchia o una scuola dell’“altra Andria” l’abbia mai invitato per raccontarla, questa storia, ai ragazzi dell’“altra Andria”.

Mariella

 

 

È un tipo di poche parole il signor Riccardo

È un tipo di poche parole il signor Riccardo, anche se di cose da raccontare ne avrebbe molte. Con un poco di attenzione ai suoi gesti si può capire cosa gli passa per la testa, mi spiega Emanuela rivelando una delicatezza ed un’attenzione che mi costringono ad andare oltre la mia cruda superficialità. Gli anziani e gli ammalati sono fra i più emarginati qui nel quartiere, alcuni non escono da casa da anni perché non riescono a fare le scale. Con queste parole don Vito ci ha accompagnato all’appartamento dove vivono il signor Riccardo e la signora Maria.

 

Entrare in casa d’altri, senza essere né attesi né richiesti, e passarvi intere mattinate è molto più difficoltoso di quanto possa sembrare ad un primo pensiero. Per fortuna la signora Maria sa farti sentire a casa. Si fa un po’ nonna di tutti noi: ci interroga, vuole conoscerci, non ha timore neppure se deve darci la battuta (i capelli lunghi e l’aspetto trasandato fanno di me bersaglio di intraducibili esclamazioni in andriese stretto). E poi racconta, eccome se racconta, e racconta molto ma molto bene. Racconta con mille parole una storia di cui è depositaria e protagonista: la sua storia. E mentre lei cerca di farci entrare in quelle situazioni il signor Riccardo fa da contrappunto con lievi sorrisi, smorfie del viso e sguardi di chi, davvero, ne ha viste tante da poterci anche ridere sopra. La storia (le storie) che abbiamo avuto la fortuna di ascoltare meriterebbe la penna di Victor Hugo per essere raccontata degnamente. Vi abbiamo incontrato avvenimenti che non riuscirei a condensare in poche righe. Per quelli più recenti tenterò comunque una sintesi. Quattro anni fa sembrava che tutto fosse andato a posto: anche l’ultima figlia sposata, già molti nipoti, un matrimonio in vista anche per loro dopo trentacinque anni di convivenza, due pensioni minime – una vita a lavorare ma solo pochi anni in regola – minime ma sufficienti per le poche pretese di una vita felice. Poi ritorna la malattia. Quella malattia che ha costretto il signor Riccardo alle stampelle fin dall’età di sei anni. Adesso lo mette a letto, le gambe non risponderanno più. Ci sono le medicine da pagare, i dottori, i ricoveri l’assistenza e le pensioni rivelano l’agghiacciante verità dell’aggettivo. Minime. Non chiedetemi per quale strana interpretazione della legge italiana il signor Riccardo non percepisce pensione d’invalidità, non saprei rispondervi. Non chiedetemi perché nessuno ha mai detto alla signora Maria che bastava un semplice certificato per non pagare alcune costose medicine, non saprei rispondervi. Io certe cose non le so, ho fatto solo la seconda elementare, vi risponderà lei.

 

Cos’abbiamo mai fatto con le nostre poche visite? Probabilmente nulla. O probabilmente qualcosa che non capiamo. Ci salutano piangendo l’ultimo giorno, qualcuno di noi ricambia il gesto di tenerezza. La signora Maria affronterà la vita come sempre, sbattendo i pugni sui tavoli e prendendosi qualche ora ogni tanto per ricamare splendide tovaglie. Il signor Riccardo continuerà a vivere la vita con quel suo sguardo sornione, fintamente indolente. Continueranno a farlo assieme. E noi? Beh, noi abbiamo incontrato in carne e sangue due storie (una storia) di ordinaria oppressione, le abbiamo guardate negli occhi e bevuto caffè assieme a loro. È un’attività che non lascia mai uguali a prima. Ripenso e ci rivedo raccontare alla signora Maria i perché del nostro viaggio ad Andria. Il signor Riccardo spegne la televisione, si sostiene il mento con una mano ed ascolta divertito.

 

 

Se state pensando di cambiare casa

 

“Se state pensando di cambiare casa, o magari persino quartiere e città, noi, che siamo appena tornati dalla Puglia, dalla città di Andria (BA) precisamente, abbiamo una incantevole zona residenziale da consigliarvi, il quartiere San Valentino. Lì, anche d’estate, alla sera soffia un venticello piacevole che rinfresca l’aria e di sicuro non vi troverete mai bloccati nel traffico dell’ora di punta. Certo, se avete dei genitori anziani, che fanno fatica a salire e scendere le scale, sarà meglio cercarvi un appartamento al pianterreno perché di ascensori, nei palazzi, non ce ne sono; e se anche voi siete un po’ duretti di gambe e sfortunatamente non avete la macchina, bè, vi converrà armarvi di pazienza e andarvi già a mettere alla fermata dell’autobus perché, se si esclude una farmacia,un market e una macelleria, negozi nel quartiere non ce ne sono: nemmeno un bar per bere il caffè; poi – ma c’è davvero bisogno di fare queste raccomandazioni? – fate attenzione a non ammalarvi, a non sentirvi male in casa perché ambulatori non ce n’è e la zona è un po’ fuori mano, quindi l’ambulanza arriva tardi e qualche volta si perde; e poi la prudenza non è mai troppa, contando che non c’è una stazione di polizia o carabinieri, e di volanti anche se ne vedono poche; ah, forse i ricevimenti mondani sono la vostra passione: allora forse è il caso di orientarvi altrove perché, vai a capire come accadono queste cose, il quartiere per certe malelingue ha una cattiva fama e qualcuno potrebbe declinare il vostro invito…”

La lista delle raccomandazioni potrebbe proseguire ancora a lungo ma probabilmente l’ipotetico inquilino è fuggito spaventato già da tempo. Ma in effetti, sin da quando è stato costruito dall’ICAP (Istituto Case Popolari) nel 1980, lo scopo del quartiere San Valentino sembra essere stato più quello di tenere isolata la gente che ci abita piuttosto che di attirarne nuova da fuori: ancora oggi leggermente separato dal resto del tessuto urbano di Andria, negli anni della sua nascita – come racconta don Vito Miracapillo, che ci ha ospitati nella sua parrocchia di San Riccardo – vi furono relegate tutte le famiglie ritenute per un motivo o per l’altro “ scomode”: persone con precedenti penali, o legate a traffici di droga, o con handicap fisici e mentali, o ancora famiglie semplicemente disagiate, numerose e che prima abitavano tutte nel centro storico di Andria, che venne così in un certo modo “ripulito” dall’amministrazione di allora. Ai suoi inizi, il quartiere era ancora più povero di servizi di quanto lo sia oggi: collegato da una linea di bus al resto della città, senza negozi, luoghi d’incontro, verde pubblico, scuole; senza un telefono pubblico – ancora oggi, e allora non c’erano i telefonini – e senza i nomi per le vie; i ragazzi condannati a crescere in strada ed era quasi impossibile per loro frequentare bene la scuola: un solo scuolabus li portava a tutte le scuole della città e chi arrivava per ultimo entrava in classe alle dieci meno un quarto. L’unica cosa a crescere rapidamente fu la cattiva fama, che da alcune famiglie coinvolte nei giri della malavita organizzata si diffuse rapidamente a tutti gli abitanti del quartiere: numerosi i fatti di sangue commessi da abitanti di San Valentino negli anni, uno solo però all’interno del quartiere stesso, l’anno scorso. In questa zona – che ricordiamoci, è solo una delle tante, soprattutto nel Sud – sembra che le condizioni per la povertà, l’isolamento e il degrado tanto materiale quanto sociale siano state messe in atto quasi scientificamente.

 

Don Vito è arrivato a San Valentino pochi mesi dopo la nascita del quartiere. Era appena rientrato dal Brasile, dove la giunta militare lo aveva processato ed espulso per aver affrontato insieme ai contadini il problema della terra. Come lui stesso ci ha raccontato, il vescovo di Andria venne a prenderlo all’aeroporto per informarlo della sua nuova destinazione: “Ti mando a Montevideo” gli disse, e lui capì subito che non parlava alla lettera, che non intendevano rimandarlo in Sud America. Ancora oggi la parrocchia di San Riccardo con il suo oratorio è l’unico centro di aggregazione a San Valentino e ormai, su un’area di quasi un ettaro, trovano spazio, oltre alla chiesa e alla canonica, tre campi da calcio, una sala parrocchiale dove tra l’altro si riunisce il comitato di quartiere, un avviato laboratorio di falegnameria, un teatrino. Molti ragazzi, anche di quelli provenienti da famiglie “a rischio” trovano qui un’alternativa alla strada e alla carriera a cui li avvierebbe la loro tradizione familiare.

 

Ma agli inizi la situazione era ben diversa: la chiesa iniziò a essere costruita solo nel 1984 e prima si celebrava negli androni dei palazzi, sotto i porticati, gli oggetti indispensabili alla messa trovavano posto in qualche stanza messa a disposizione da famiglie generose, il catechismo – a San Valentino c’erano più di 600 giovani – si faceva per strada così come ogni altra attività. Per gli avvisi si andava alla fermata della circolare e si parlava con chi era in attesa: questi, poi, avrebbero provveduto a girare la voce per tutto il quartiere. Il parroco era l’unico punto di riferimento: si andava da lui se c’era bisogno di un’auto per portare un malato all’ospedale e furono gruppi di cittadini coordinati da don Vito a battersi per la costruzione prima e l’apertura poi dell’asilo e delle scuole elementari e medie, a sostenere l’apertura di quei tre negozi che adesso ci sono a San Valentino e a portare avanti le altre battaglie a favore del quartiere e dei suoi abitanti. Quando lo Stato è assente, si sa, rimane la Chiesa a dare voce ai bisogni elementari di chi è dimenticato. Però, chi ha vissuto quei tempi “eroici” li ricorda volentieri e quasi li rimpiange.

 

E adesso, che prospettive ha San Valentino per il futuro? Le cose sono cambiate rispetto a vent’anni fa, ma rimane ancora una zona povera, priva di molti servizi essenziali. Un cambiamento sembra però essere alle porte: Andria si è dotata finalmente di un piano regolatore, che prevede tra l’altro di riprendere l’ampliamento di San Valentino con la costruzione di una zona commerciale, una stazione dei Carabinieri e 150 nuove abitazioni da mettere in vendita, in modo da aumentare il valore complessivo dell’area e toglierle di dosso quella brutta patina di criminalità ed emarginazione. Ma questi sono i progetti, quando verranno realizzati chissà. Intanto, fossi in voi, continuerei a cercare casa…

 

Alessandro Speciale

 

 

Sulle orme di don Tonino ... passando per S. Valentino

"Fate in modo che dove poggiate i vostri passi crescano fiori..." A S.Valentino di fiori ce ne sono tanti, alcuni appena sbocciati, altri rigogliosi, e molti devono ancora nascere. Come mai tanti fiori sono tuttora in"gestazione"? Sole, terra, aria non mancano eppure a tutti gli abitanti del quartiere è negata la possibilità di crescere forti e sani. S.Valentino, costruito negli anni '70, per volere del comune di Andria ospita molte famiglie disagiate: drogati, delinquenti, disabili, anziani, analfabeti, persone ritenute "non idonee per la convivenza civile" con chi disagiato non è. Carente di qualsiasi servizio elementare, dalla panetteria al bar. Vivere in un quartiere come S. Valentino vuol dire accettare delle regole imposte, consuetudinarie e soprattutto ingiuste, essere etichettati come appartenenti al Bronx italiano. Vincenzo, falegname, diabetico e in dialisi, non trova lavoro perché malato. Antonio, ex drogato, è attualmente in debito con la legge. Maria, è una giovane donna affetta da distrofia muscolare. Una diciassettenne e un trentenne conviventi, lei è incinta e lui agli arresti domiciliari. Cinque volti in mezzo a tanti altri che hanno un nome e una storia simili alle migliaia di nomi e volti a noi sconosciuti.

Dieci giorni a S. Valentino sono stati ben pochi per comprendere fino in fondo questa realtà, sentire sulla propria pelle (provare La COMPASSIONE) le difficoltà di chi è "condannato" a vivere nel quartiere ma sono stati abbastanza per renderci conto che in un paese democratico come l' Italia esista la Povertà e la volontà di emarginare e ghettizzare. Diritti come istruzione, sanità e dignità, che a noi sembrano scontati, per molti nostri CONNAZIONALI sono ancora oggetto di lotta e di umiliazione.

Al centro del quartiere c'è una fonte che zampilla da circa venti anni e viene anche da lontano. Dopo essere stato cacciato dal Brasile, don Vito ha messo radici a S. Valentino, smuovendo la terra e bagnandola della sua esperienza, della sua volontà, della sua fede e della sua COM-PASSIONE. Ha reso l'oratorio di S. Riccardo l'unico punto di incontro per i giovani e non solo del quartiere. Vincenzo costruisce con il legno bomboniere e aiuta nei lavori di falegnameria. Antonio (nd. bello e bravo) è stato affidato alla parrocchia e partecipa attivamente alla vita della comunità. Maria e i due ragazzi non sono più lasciati a se stessi, ma sono stati presi a cuori come il resto degli abitanti.

S. Riccardo ci è sembrato il concretizzarsi della PACE voluta da don Tonino Bello vescovo di Molfetta. La Preghiera; l'Audacia di scommettere sui destini di chi è tagliato fuori in partenza; la Convivialità delle differenze che diventa Comunità; l'Esodo da una facile discriminazione ad un "entrare nella città" in mezzo alla gente, sono il "potere dei segni" che devono diventare la nostra "spina dell'inappagamento" e sfida per la quotidianità... perché ovunque poggiamo i nostri passi crescano fiori!

Buon cammino!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Marta&Fra&Ghi da Roma

 

 

DAMMI SIGNORE, UN’ALA DI RISERVA

(Parole di Don Tonino Bello – Vescovo)

(musica di Felice Spaccamento)

Voglio ringraziarTi, Signore, per il dono della vita

Ho letto da qualche parte

Che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto:

possono volare solo rimanendo abbracciati.

A volte, nei momenti di confidenza,

oso pensare, Signore,

che anche Tu abbia un’ala soltanto,

l’altra la tieni nascosta,

forse per farmi capire

che Tu non vuoi volare senza di me;

per questo mi hai dato la vita:

perchè io fossi Tuo compagno di volo.

Insegnami allora, a librarmi con te,

perchè vivere non è trascinare la vita,

non è strapparla, non è rosicchiarla,

vivere è abbandonarsi come un gabbiano

all’ebbrezza del vento.

Vivere è assaporare l’avventura della libertà

Vivere è stendere l’ala, l’unica ala

Con la fiducia di chi sa di avere nel volo

Un partner grande come Te.

 

Ma non basta saper volare con Te, Signore

Tu mi hai dato un compito

Di abbracciare anche il fratello

E aiutarlo a volare.

Ti chiedo perdono, perciò,

per tutte le ali che non ho aiutato a distendersi.

Non farmi più passare indifferente

Vicino al fratello che è rimasto

Con l’ala, l’unica ala

Inesorabilmente impigliata nella rete

Della miseria e della solitudine

E si è ormai persuaso

Di non essere più degno di volare conTe;

soprattutto per questo fratello sfortunato,

dammi, o Signore un’ala di riserva.