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Incontri ravvicinati

Gim Venegono (novembre 2001)

Riconciliazione e Perdono

Seconda  GIM, 11 novembre 2001

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Per iniziare un cammino occorre darsi delle linee guida, dei punti saldi su cui indirizzare il cammino. E questo è un cammino che si fa in compagnia, ognuno cammina, ma ci sono dei compagni di viaggio con noi, di cui alcuni sono “INDISPENSABILI”;  uno di questi è Dio. ScoprirLo significa trovare un amico infaticabile che ti sa indicare la via, ti sostiene nelle fatiche e ti rallegra lungo la strada. Diventa allora indispensabile FARE ESPERIENZA DI DIO.

Per poter riuscirci occorre mettersi in cammino, come Abramo (Gen 12,1), occorre lasciare la propria terra, le proprie sicurezza per fidarsi solo di Lui. Incontrare Dio non ci risolve i problemi, ma ci mette in crisi; occorre camminare anche quando non tutto è chiaro (Gen 22,2), sicuri che prima o poi Dio si manifesterà (Gen 22,8.12-18); Abramo diventa nostro compagno di viaggio che inizia il cammino senza conoscere molto di Dio e del cammino, ma che strada facendo fa crescere la sua fede fino ad arrivare ad un abbandono sempre più maturo a Dio che rivela progressivamente il suo volto e il suo amore. Come Abramo siamo chiamati a vivere nelle tende, in un atteggiamento di continuo esodo; è una sfida perché in noi è costante la tentazione del possesso, ad abitare in case di pietra, ville confortevoli, ad avere il domani assicurato; la tenda è lì per dirci che il cammino non è terminato. Avere Abramo come compagno di viaggio è accettare il pellegrinaggio, la povertà e la provvisorietà.

·        Con quale atteggiamento vuoi iniziare questo cammino? Sei disposto/a ad abitare nella tenda, a non accontentarti del cammino fatto, e a vivere la precarietà?

 

Tanti possono essere i nostri compagni di viaggio, che ci possono mostrare i vari volti di Dio: il Dio liberatore degli oppressi (Mosè); il Santo, l’Inaccessibile, il Terribile, l’Affascinante (Isaia, cf. Is 6 e 30); il Seduttore (Geremia 1,5-10; 20,7-18). Noi ci vogliamo fermare con Elia sul monte per ascoltare la voce di Colui che ti chiama.

Elia, profeta di Dio, “alla cui presenza sto” (1Re 17,1) è uno che Dio l’ha già incontrato nella propria vita, non gli è sconosciuto, anzi, gli ah già parlato, e in Suo nome ha già parlato e agito; insomma Elia è uno di noi, già “avvezzi” a Dio, alla sua voce, alla sua Parola, ma allora cosa dobbiamo fare ancora, Dio lo ‘conosciamo’ già. Ma lo conosciamo davvero? C’è un’altra cosa che ci accomuna ad Elia: ad un certo punto della sua vita Elia ha una crisi, si scoraggia, non trova più il suo posto, non si sente più alla presenza di Dio, ha paura e fugge, vuole addirittura morire perché non trova più il suo posto (1Re 19,3-4); come per Elia anche a noi può essere accaduto che, dopo aver creduto di riuscire dove altri avevano fallito e dopo esserci impegnati con tutta la buona volontà, ci siamo accorti di non aver risolto nulla, di non aver cambiato la situazione (v.5)

·        Qual è il tuo stato dÂ’animo attualmente? Sei scoraggiato/a o pronto/a per cominciare lÂ’avventura con Dio?

 

Qualunque sia il tuo stato dÂ’animo e la tua situazione, per proseguire il cammino nel deserto occorre che tu ti fermi, per trovare le forze per proseguire. Il sonno, il pane e lÂ’acqua sono lÂ’espressione dellÂ’amore di Dio per Elia, per ridargli forza, coraggio per fare il cammino.

·        Che acqua e pane ti sta donando Dio per iniziare il cammino?

 

Il monte luogo per eccellenza dell’incontro con Dio; Elia vi giunge in un momento particolare della sua vita: Dio non parla più come prima, vive una carta aridità spirituale. È scoraggiato perché la sua missione non ha portato i risultati sperati; lui che era pieno di zelo per il Signore, ma il popolo resta indifferente alla Parola di Dio, non crede. Quando le cose non vanno ci si scoraggia, oppure ci si sente soli, abbandonati “sono rimasto solo” (v. 10). Occorre allora uscire alla presenza di Dio, rimettersi sotto il suo sguardo, come all’inizio del nostro incontro con Dio (1Re 17,1); occorre uscire dalla caverna, uscire dalle nostre caverne dove ci siamo “rifugiati” o nascosti e stare alla presenza di Dio come Mosè sul Sinai, Elia sull’Oreb, Maria presso la croce, mettersi sotto il Suo sguardo, che penetra nelle profondità del nostro cuore, ne illumina le paure e gli angoli più oscuri, per ridare loro vita.

·        Quali sono le caverne in cui mi nascondo, cerco rifugio, per sfuggire da Dio e da me stesso/a?

 

È lì fuori che possiamo fare esperienza di Dio. Il Signore sta lì nella nostra vita, sta a noi uscire dai nostri nascondigli di non vita, di fuga dalla vita, e scoprire la sua presenza, la presenza di un Dio che passa nella nostra vita, che passa come liberatore, per fare di noi un popolo nuovo, liberato dalle schiavitù del nostro Egitto, per farci risorgere a creature nuove.

Dio passa, ma come riconoscerlo? Anche Elia ha i suoi problemi a riconoscerlo. Sente un forte vento; Elia, isolato da tutti, sente lo sconvolgimento delle passioni, che scuotono, agitano il suo cuore. A volte sono le nostre passioni, positive o negative, che guidano il nostro cuore, che dirigono il nostro relazionarci con Dio, falsando la verità e la limpidezza dellÂ’incontro. Il cuore è troppo pieno per riconoscere e accogliere Dio, per ascoltare la sua voce e gustare la sua presenza. Poi arriva un terremoto; tutto trema, e come pure Elia, di fronte allÂ’infinito, a Dio si trema di paura, tutta la vita e sconquassata, la paura si impadronisce di noi, tutte le nostre sicurezze crollano e noi rischiamo di rinchiuderci in noi stessi, talmente intenti a “salvarci”, che non riusciamo ad abbandonarci in Lui. Ed ecco il fuoco, il calore che brucia nel cuore, lo slancio che ci fa fare quei balzi in alto che potremmo toccare il cielo con  un dito; siamo forti, carichi di energia, pronti a spiccare il volo, protagonisti e padroni del nostro cammino. Ma grande sorpresa, Dio non è lì, non si manifesta in questi fenomeni straordinari?!? Eppure spesso si era manifestato con potenza, basti pensare allÂ’esperienza di Mosè: il roveto che non brucia, la colonna di fuoco e la nube che accompagnano il popolo nel deserto, i tuoni, i fulmini, la terra fumante del Sinai, dove Mosè incontra Dio.

·        Dio passa, e tu lo vedi? Come si manifesta nella tua vita?

 

Ed ecco la voce di un sottile silenzio. Voce: Dio parla, vuole comunicare con noi, ma in modo particolare. È un parlare che si esprime attraverso un silenzio sottile, come la polvere fine di una roccia sbriciolata finemente per coglierne tutte le caratteristiche. Dio vuole entrare in profondità per farci cogliere la pienezza dell’essenza dell’incontro con Lui. Come la polvere entra in tutte le piccole fessure, così Dio vuole entrare in tutte le piccole fessure, in tutti i meandri più reconditi del nostro cuore. Dio vuole prendere possesso del tuo cuore, vuole arrivare anche là dove tu hai paura, vergogna, per poter rischiarare con il suo amore e la sua misericordia ogni angolo della nostra vita, e rivitalizzarla con la sua grazia. Silenzio: fare silenzio nella propria mente, nel proprio cuore; non è un silenzio passivo, semplice vuoto, assenza di rumore, ma un silenzio conquistato, dove l’io lascia il posto a Dio, dove tutte le mie preoccupazioni non riempiono più il mio cuore. Il brano di Elia ci chiede di fare un’esperienza mistica interiore, quella dell’estasi suprema in cui il mistico, svuotato di ciò che costituisce il suo io (vento, terremoto, fuoco), accede ardentemente a Dio. Ciò che rende la cosa difficile è questo Dio, che parla con il silenzio; sembra un’assurdità, un controsenso, le due parole sono l’una l’opposta dell’altra.

Di fronte al silenzio di Dio si può restare sconcertati, è un silenzio che ci invita ad entrare, è un Dio che attende chi gli viene incontro per lasciarsi scoprire, e lì piano piano scopriremo, gradualmente la grandezza di Dio. Ma la cosa più difficile è fare silenzio dentro di sé e lasciare che Dio entri, è dare spazio a Lui perché ci riempia di Lui.

·        Di fronte al silenzio di Dio, come reagisco? Come entro nel mistero di Dio così grande e “pauroso”? So fare silenzio in me per lasciare parlare Dio?

 

Entrare nel cuore di Dio non vuol dire chiudersi al mondo, anzi, chi vede il volto di Dio non può che  aprire gli occhi e il cuore sul mondo e scoprire Dio nel volti di tanti che mi stanno attorno, negli avvenimenti della vita e del mondo. Giovanni ci ricorda che non possiamo amare Dio che non vediamo senza amare i fratelli e le sorelle che ci circondano. Occorre fare esperienza di Dio nelle chiese, ma anche sulle strade. Sono gli incontri ravvicinati che mi avvicinano al cuore di Dio e al cuore dellÂ’umanità, e dilatano il mio cuore e il mio vedere alla dimensione di Dio e del mondo.

 

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