2 GIM Venegono: Glorificare Dio con le nostre opere
febbraio 2004
Glorifichiamo Dio con le nostre opere
II° GIM di Venegono febbraio 2004
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CANTO INIZIALE
Le
ha scritto Chiara, la nipotina prediletta, allÂ’indomani della sua
morte: “Zia Graziella, tu aiutavi tutti e davi l’attenzione agli
altri, e a te pensavi come una formichina e non volevi essere al
centro dell’attenzione”.
Come
una formichina,paziente, instancabile, accurata, laboriosa,
lungimirante, generosa. Come una formichina, dimentica di sé e
premurosa per le altre formichine. Come una formichina, che
trasporta carichi impensabili e costruisce architetture ardite,
benché possa da un momento all’altro finire schiacciata da un
violenza ottusa e sterile. Come una formichina, come una donna
coraggiosa e capace dÂ’amare, colpita nella giornata della
preghiera per chi annuncia Gesù, uccisa ma non vinta, più forte
della morte.
La Formica...Impegno e Fatica...
Â…alla
scuola del quotidiano
Mamma
Elisa è casalinga, nella faccende di casa e nella cura dei figli
minori trova un appoggio in Giustina e Graziella, le sorelle
maggiori; la famiglia è pesante e Graziella non si tira mai
indietro quando c’è da dare una mano nelle faccende
domestiche. Nello studio si rivela coscienziosa e pronta
allÂ’apprendimento. Sin da piccola si mostra socievole, e matura la
nota scanzonata che colorerà per sempre il suo carattere. Ma
ogni tanto le piace appartarsi, costruirsi un angolo di silenzio e
di concentrazione. La rotta di una persona la si intuisce dai suoi
primi passi, e in quelli di Graziella vi è già la miscela di
giovialità e di riservatezza, di apertura e di segreto che
contrassegneranno il suo cammino. Così, scoccati i 15 anni si
affaccia al mondo del lavoro, i colleghi la ricordano sempre
pronta a darsi da fare e ad aiutare i compagni di lavoro, con grande
spirito altruistico. Graziella non si perde in parole, ma ci
mette energia, e soprattutto, prontezza e cervello. Passa le sue domeniche all’oratorio, dove si dà da fare come animatrice e dove si incontra con le amiche, con cui intraprende nuovi itinerari di crescita. L’avventura più naturale e più facilmente percorribile, e anche la più economica, è quella che conduce alla montagna. Lungo la sua strada difficile, aveva camminato fin da ragazza scortata da valori, da esempi e da un’esperienza di fede che non appartenevano all’orizzonte dell’eccezionale, ma alla silenziosa e incessante scuola del quotidiano. Tutte le scelte compiute, tutti i sacrifici accettati, tutti i risultati conseguiti, tutti i dolori patiti e le gioie assaporate, erano stati passi di in cammino ordinario, benché profondamente consapevole, nulla di cui vantarsi, nulla di cui gloriarsi, niente che meritasse celebrazioni, o che desse titolo a impartire lezioni. Graziella si sottraeva a ogni possibile cono di luce pubblica, riteneva di avere semplicemente preso sul serio una chiamata.
Breve
silenzio: scrivo sulla pergamena le fatiche e i gesti quotidiani
che voglio offrire al Signore. La Formica... Impegno e Fatica Â…scalando
la montagna della vita
Ben
presto, lÂ’interesse per la montagna si traduce in una vera e
propria passione. Quella che oggi passerebbe, al massimo, per una
scelta salutista, a quell’epoca è una sorta di affermazione di
autonomia personale, quasi un atto di emancipazione, se non di
innocente trasgressione. Questa passione è certamente sinonimo di
divertimento, ma più in profondità , la montagna è legata a
una dimensione di scoperta e di conquista. Non
cÂ’entra lÂ’agonismo: per una giovane che concepisce la sua vita
come un percorso orientato a una realizzazione alta e lontana,
l’alpinismo è un’ottima palestra, e le fatiche della salita
una metafora dei sacrifici che stanno dietro lÂ’angolo della
vita, oltre che una preparazione ad affrontarli.
L’esperienza della montagna, poi, è senza dubbio un’occasione
di esplorazione interiore. Graziella sa stare in compagnia,
ama ridere, scherzare. Ma la confidenza che concede non infrange
mai i limiti della sua innata riservatezza. Durante le escursioni
la si incontrerà più volte sulle pendici dei monti lecchesi,
seduta allÂ’ombra di un albero assorta in una solitaria
passeggiata, desiderosa di respirare i colori, i rumori e i
profumi della natura. “Se
in un bosco trovi due strade, segui la meno battuta”. Graziella
era così. Una donna che si era saputa scegliere il proprio
cammino di vita, rimanendogli fedele anche quando la conduceva
per terreni impervi. Coriacea fino alla testardaggine,
altruista fino allÂ’ultimo, aveva piegato lÂ’intera parabola
della sua esistenza a uno scopo mai enunciato. In
ascolto della Parola Mt
7, 24-27 “Perciò chiunque ascolta
queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo
saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la
pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono
su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la
roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in
pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa
sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i
venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua
rovina fu grande”. Breve
silenzio Le
fondamenta della mia vita poggiano sulla roccia o sulla sabbia? Riusciamo
ad essere fedeli al nostro cammino anche
quando ci conduce per terreni impervi? Â…nel
seguire la propria vocazione
Suor
Aralda, cugina, madrina di battesimo, riferimento e guida della
crescita spirituale di Graziella aveva provato a spingerla al
matrimonio, per metterla alla prova, ma si era accorta che la
sua vocazione autentica era lÂ’impegno missionario per i poveri.
Che
la dimensione missionaria sia costitutiva del cristiano in quanto
tale, laico o religioso che sia, e che il compito della
testimonianza cristiana e dellÂ’annuncio abbia per protagonista
l’intero popolo di Dio, è convinzione che tarda a farsi strada.
Il concilio suggerisce che la missione ad
gentes è vocazione particolare di alcuni, non necessariamente
consacrati, ma lÂ’impegno evangelizzatore è responsabilitÃ
di tutti i fedeli, la consapevolezza che lÂ’opzione cristiana non
può non essere opzione per i poveri. Ma
un destino è un destino, e Graziella al suo ha già dato una
svolta. Ha lasciato il lavoro, ha ripreso gli studi, la ragazzina
minuta che lavorava in fabbrica, sorrideva e spesso taceva, ha
già scelto la sua strada difficile. La meta è là , lontana e
chiara, la partenza, un giorno, come medico, per curare i malati
dell’Africa, i più sofferenti tra i sofferenti. Per
capire meglio cosa frulla nel suo cervello e nel ben custodito
baule dei sogni, bisognerebbe ascoltarla mentre parla con suor
Aralda, infermiera e missionaria comboniana. Ad un certo punto
della sua giovinezza ed in vari momenti del suo itinerario di
crescita, Graziella si interroga se la sua non sia una vocazione
religiosa. La stessa Aralda la aiuta a sgombrare il campo dai
dubbi: ”Se la tua strada porta all’Africa per servire i
poveri, non necessariamente passa attraverso la scelta religiosa”.
La suora sa che le logiche interne ad una congregazione non sempre
sono flessibili, e non sempre possono tener conto dei desideri di
una giovane che cerca la “sua” via per la missione. “Magari
le superiori non ti faranno andare in Africa, e magari decideranno
di impiegarti altrove. Da laica, forse, sarai più libera”.
Così l’Africa guadagna la promessa di un medico che arriverà ,
un giorno, a condividere le angosce e le speranze. Laicamente,
benché mossa da un intenso, tenace e silenzioso fuoco di
testimonianza cristiana. Graziella
interpreta la vita non come unÂ’avventura da tentare, o un
melodramma da soffrire e godere, ma come un dovere da assolvere,
un compito da sbrigare, un tempo da non sprecare, a costo di
doversi scegliere unÂ’occupazione secondaria per mantenere
unÂ’occupazione principale. La differenza sta nello scopo,
più che nel modo: la sua meta non è il benessere, il conto
in banca, il riscatto economico e lÂ’affermazione sociale. Dice
alla madre.” Non penserete che mi sia iscritta
all’università per imparare a curare la malattie
dellÂ’abbondanza. Non voglio fare il medico per assistere chi ha
mangiato troppo…”. Non concepisce la medicina come
mestiere, curare i malati è il suo orizzonte di senso, la sua
vocazione, la sua chiamata. Ascoltata da tempo, coltivata
nell’ombra, fatta crescere con fedeltà . Mentre
stila una diagnosi, porge una medicina, compie un intervento, sa
di avere a che fare con una persona alla quale deve
l’imparzialità e la freddezza dello specialista, ma anche la
carità di una parola e di un sorriso. La
sua scelta per un mondo tanto diverso non è stata una fuga
da una professione insoddisfacente o da una famiglia inesistente.
Graziella è partita sulla cresta dell’onda di una vocazione
adulta e meditata, che ora matura e si dispiega con naturalezza,
senza ostentazione. Soprattutto, però, nell’Africa di Graziella
lavora lÂ’instancabile tarlo del servizio, che non si
accontenta di un generico scenario di bisogno, ma scruta
l’orizzonte di prove sempre più dure, di situazioni sempre più
estreme, di povertà sempre più pressanti, di umanità sempre
più lacerate. Alle spalle ci sono già sentieri difficili, ma il
più erto deve ancora venire. Graziella
aveva ricevuto unÂ’educazione religiosa, ma della sua fede aveva
presto imparato a non fare bandiera, ne aveva privilegiato la
dimensione interiore, era come una sorgente silenziosa e tenace a
cui non aveva mai mancato di dare alimento, partecipando
assiduamente ai momenti liturgici. Il suo essere cristiana, una
vicenda intima e senza bandiere, rispettosa delle convinzioni e
delle credenze altrui, non mancava di sostanza, di assiduità , di
convinzione: passò beneficando e lo fece camminando sulle orme di
Cristo, alla cui sequela aveva consacrato la vita. Laicamente e
silenziosamente, ma fedelmente.
Breve
silenzio Â…nellÂ’affrontare
il martirio
Il
capo dei miliziani si fa ricevere al TB center, discute, fa la
voce grossa, pretende di interferire nella gestione del programma.
Vuole conoscere il budget: “O fate come chiedo, o ve ne
andate”. Graziella, al suo passo d’inizio, non si mostra
spaventata dal brusco benvenuto. Si limita a celiare, come suo
solito: “Se non mi vogliono, non disfo le
valigie”. Ben
presto – a detta di tutti i suoi collaboratori di Merca –
rivela solide doti di equilibrio, di onestà e trasparenza,
sa mescolarle con la robusta dose di pazienza che è
necessaria a trattare ogni giorno con i somali, le amalgama con il
coraggio indispensabile a dire i “no” che vanno detti,
per resistere a pressioni e richieste che talvolta suonano come
minacce, fa infine lievitare lÂ’impasto con una speciale riserva
di rispetto e correttezza nei confronti di tutti gli
interlocutori. “Dobbiamo
essere fermi ma equi, per non essere ricattabili da alcuno”,
commenta Graziella. Madame no: un appellativo ironico, un
piccolo monumento verbale ad una capoprogetto imparziale e
pignola, risoluta e intransigente. Le
scelte africane che ha in precedenza compiuto – la Guinea con le
sue aspre condizioni ambientali, il Mozambico con tutte le
incognite derivanti da una guerra civile appena spenta e
dall’onnipresente minaccia delle mine – testimoniano che in
Graziella vi è come un bisogno di mettersi costantemente alla
prova, rifiutando le soluzioni più semplici o accomodanti, la sua
missione è là dove non solo le persone hanno maggiore bisogno,
ma anche dove aiutarle comporta maggiore pericolo. Disse
a un collega: “Dio
ci ha voluto a Merca per aiutare questa gente; se poi dispone che
moriamo qui, vorrà dire che moriremo qui”.
Graziella sembra davvero, talora, guardare in faccia il pericolo
senza paura, con una serenità e una freddezza che meravigliano. Il
capo della polizia di Merca rivolgendosi a Graziella, offre un
giorno protezione speciale al compound, in cambio di un adeguato
compenso: nei fatti una tangente sulla sicurezza. La replica di
Madame No è una rasoiata, nonostante il sorriso e le buone
maniere: “Il nostro dovere è di curare la vostra gente,
il vostro è garantire la nostra sicurezza. Non vi paghiamo per un
compito che già vi compete”. Il poliziotto incassa:
“allora non rispondo di eventuali incidenti”. Il
dilemma, in effetti, è di quelli tosti. Garantirsi (forse) la
sicurezza, rinunciando allÂ’autonomia e consolidando il caos? O
mantenere lÂ’indipendenza, la trasparenza e lÂ’equidistanza
della propria posizione, con il rischio dellÂ’incolumitÃ
personale? La Caritas sceglie la seconda, la decisione era
già stata impostata da Annalena, quando non aveva voluto affidare
le sorti del suo centro alla sorveglianza di un clan, e forse
questo le era costato tante minacce e qualche percossa. La Caritas
italiana e Graziella confermano questa linea. Al
rientro in Italia per un periodo di vacanza, ad alcuni amici che
volevano raggiungerla per un periodo di volontariato dice: “Non
è il momento, è meglio che aspettiate un po’…”, mentre
in occasioni precedenti li invitava a raggiungerla. “Vi
fan credere che laggiù ci sia una guerra tribale, ma ci sono cose
ben più importanti… a noi i miliziani chiedono coperte, benzina
e medicine per rivenderle…. E il business del momento è quello
delle armi”. Graziella
ha telefonato per sfogarsi, per condividere una preoccupazione che
la opprime: “Aralda, prega. Sono tornati a minacciare”.
La suora sa che Graziella è sicura che vogliono soldi per
comprare le armi. “Aveva voglia di denunciare i traffici di armi
legati al porto…”. Lascia intuire ad Aralda che questa volta
il pericolo è concreto e non le tace un dubbio pesante come un
macinio: “Non so se rimanere o andarmene”. La
suora le dice “abbandonare i malati può essere una diserzione,
e se sarai chiamata a dare la vita sarà una testimonianza di
fedeltà , ma se moralmente ritieni di dover partire, parti “.
Graziella è in ansia ma non tentenna: “Non me la sento
di lasciare soli i malati e i nostri bambini. Sono persi senza di
noi”. Suor Aralda la incalza: “sei una donna, dai ad un
uomo la responsabilità di rispondere a chi ti minaccia”.
Ribatte lapidaria: “E’
compito mio”. Al telefono con un collega: “Sono contenta che veniate, vi devo parlare di
qualcosa di serio. Ma adesso non voglio dire di più. Anche le
pareti, in questa casa, hanno orecchi”. La
mattina del 22 ottobre Graziella scende nel nuovo laboratorio per
visitare il paziente che le è stato segnalato. Il
senso del dovere.
E la consapevolezza delle proprie responsabilità , la volontà di
non lasciare senza attenzione una persona che soffre, la muta e
profonda convinzione che anche questa
giornata,
comunque vada, qualunque sia il demone che preme al cancello, è
fatta per spendersi, dedicarsi, servire, chinarsi sui bisogni dei
fratelli:
arde, in Graziella, un fuoco dello spirito, quieto, tenace, sempre
vigile, che la conduce sotto la mano del suo carnefice. Chi
le ha sparato, alle 9,45 locali, le 7,45 in Italia, lo ha fatto
per uccidere. UnÂ’esecuzione fredda e spietata. Tre colpi al
volto, la morte che sopraggiunge, nel giro di pochi minuti, per
“emorragia intracranica e frattura del parietale destro da
proiettile”. Era il 22 ottobre 1995, una normale domenica a
Merca, la giornata che i cristiani, nel mondo, dedicano alla
preghiera per le missioni. Tra
i compagni di lavoro,
di avventura e di missione che hanno condiviso con Graziella il
periodo, sedici mesi, della sua permanenza a Merca, nessuno ha
disertato. Tutti continuano a combattere ogni giorno, sparsi
ai quattro angoli del mondo. Ha scritto un collega: “ nei
momenti difficili, quelli delle decisioni importanti, quando
bisogna chiamare a raccolta tutte le forze dellÂ’animo e
dell’intelletto. È allora che ci si chiede: cosa ne penserebbe
Graziella? Esattamente come quando si lavorava insieme. Perché,
difatti, ancora insieme stiamo lavorando”.
Condivisioni
e gesto Ogni
tre condivisioni cantiamo il mottetto di Taizè
PER
CONCLUDEREÂ…. LA
CROCE QUOTIDIANA Si
può notare, vivendo il presente, che – se lo si vive bene –
è sempre possibile attuare le parole del Cristo: “prendi la tua
croce” (Mt. 16,24). Quasi ogni momento ha la sua croce: piccoli,
minimi o grandi dolori spirituali o fisici che accompagnano la
nostra vita nel presente. Occorre “prenderle” queste croci,
non cercare di dimenticarle rifugiandosi in una vita non
impegnata. (Chiara
Lubich)
CANTO FINALE
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