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Alla vigilia dell'incontro con gli Awa

di fr. Simone Bauce dalla Colombia

ALLA VIGILIA DELL’INCONTRO CON GLI AWA

Fratel Simone Bauce dalla Colombia

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TESTIMONI DELLA CARITA'

PROVOCAZIONI DI P.ALEX 

 

Bogotá, 31 maggio 2005

 

Carissime e carissimi tutti,

un saluto di cuore vi raggiunga ovunque siate.

 

Oggi, in questa data così significativa per me a 2 anni dai primi voti, vi voglio condividere una parte del mio cammino, almeno degli ultimi mesi.

 

È un passo importante ogni nuovo anno di servizio al Signore nell’istituto dei missionari comboniani, cercando di vivere i voti nel modo più pieno. È un momento di bilanci, di aspettative, di riflessione.

 

Il 2005 si è aperto per me nella maniera più strana: un anno nuovo che nasce e una vita che ci lascia, la vita della piccola Mayra (alcuni di voi si ricorderanno dell’ultima lettera). La morte che dà vita, la speranza che rinasce....grazie a Dio ho potuto alimentarmi della Sua Parola con gli esercizi spirituali annuali, vissuti serenamente con tutti i comboniani e le comboniane della Colombia. Anche il predicatore era comboniano: monsignor Eugenio Arellano, vescovo di Esmeraldas (Ecuador). Ritrovare un po’ di tranquillità immersi in un ambiente naturale molto suggestivo, riscoprire, rispolverare le motivazioni che mi spingono ad andare avanti, fissarsi completamente in Gesù Cristo, l’unico salvatore, mediatore tra Dio e l’umanità, soprattutto la sofferente.

 

Era necessario caricarsi prima di ripartire con un nuovo semestre accademico e di attività varie. L’università ancora una volta mi fornisce gli strumenti per poter capire meglio la realtà dove sto vivendo: lo studio dell’evoluzione della famiglia, in particolare della famiglia colombiana fino alla sua struttura attuale; la possibilità di intendere meglio l’importanza delle radici culturali, maltrattate nel tempo della colonizzazione e che ancora sembrano soffrire un certo complesso d’inferiorità; approfondire la storia di questa terra, questo popolo, crogiolo di razze; sapere cosa sta in profondità in ogni essere umano, o per lo meno, cercare di avvicinarsi; conoscere le differenti teorie sullo sviluppo, il perchè del modello attuale e forme alternative di vedere il progresso;.....

 

E poi riprendere la “missione” a Potosí, quartiere povero della città dove stiamo portando avanti un programma con 2 compagni: visita alle famiglie; formazione di piccoli gruppi di preghiera e azione-collaborazione con la parrocchia; visita alle persone ammalate, anziane e sole; formazione di bambini con sensibilità missionaria e la sfida dei giovani, di creare un gruppo giovanile. Molte difficoltà, delusioni, lavoro che sembra non portare frutto (forse anche per le difficili relazioni con il parroco)....però il nostro fondatore, parafraseando il Vangelo, diceva che siamo “servi inutili” e dobbiamo lavorare come “pietre nascoste sotterra”, senza aspettarci risultati, quelli poi, li vedranno i nostri successori, se avremo lavorato bene. E allora andiamo avanti con fiducia.

 

A fine febbraio, grazie ad una uscita propostaci da una professoressa, il mio incontro più gradito: la possibilità di conoscere da vicino un gruppo di indios colombiani (ce ne sono molti a Bogotà, però sparsi tra la gente e molti già “occidentalizzati”). Penso che a tutti siano arrivati i miei appelli e le notizie legate agli Embera Katío, perseguitati, sterminati e vittime di un genocidio pensato a tavolino. Beh, l’esito positivo della vicenda (almeno sulla carta) è stata una grande scossa e iniezione di fiducia per tutti quelli che qui in Colombia lottano da molto tempo per il rispetto dei diritti umani e la giustizia. Anche per me è stato entusiasmante: allora si può, se ci uniamo, cambiare le cose, pensare ad un mondo più giusto dove ci sia posto per tutti! Personalmente è stata anche l’occasione per avvicinarmi ad una cultura millenaria che da sempre mi attira e purtroppo oggi è in via d’estinzione (sì, avete letto bene, non solo gli animali, è in atto una vera e propria strategia perchè “i diversi” spariscono dalla faccia della terra!).

 

Ancora Potosí: la morte della signora Sabina. La travolse un furgoncino della polizia, alle 5 della mattina, mentre atraversava una delle strade più importanti della città, per fare la fila, aspettando il suo turno; di tanto in tanto alcune associazioni cittadine distribuiscono dei buoni per l’acquisto di generi alimentari o per degli sconti sulla bolletta delle immondizie o di altri servizi basici. Purtroppo le conseguenze sono ancora più drammatiche: Sabina si era incaricata del nipotino dall’età di 4 anni, quando la mamma aveva deciso di abbandonarlo, perchè cambiando marito e già con altri figli non riusciva a prendersi cura di tutti. Johny ora vive con uno zio, zoppo da 18 anni, che si guadagna qualcosa vendendo biglietti della lotteria e, adesso, con la vendita di fiori per la strada, attività che portava avanti Sabina. Ho cercato varie volte di proporre al bambino di 10 anni una vita differente, un’educazione in una fondazione che lo possa aiutare nella sua formazione fino ai 16-18 anni almeno, però non ha voluto; preferisce vivere con lo zio, alzandosi alle 4 tutti i sabato e domenica mattina per aiutargli a vendere fiori (da lunedì a venerdì frequenta la scuola).

 

Vi posso raccontare anche la storia di Johana, giovane di 16 anni che sta aspettando un bambino. Felice, contentissima della gravidanza: il suo ragazzo ha detto che è disposto a prendersi cura di lei e del piccolo che nascerà. Johana ha 3 grandi sogni, nell’ordine: essere mamma, finire le superiori e iniziare l’università. Mi ha lasciato disorientato la notizia di Johana, ragazza molto vicina alla parrocchia, non tanto perchè sia incinta, ma perchè il suo più grande desiderio era essere madre. Chissà, così diverso da quello che passa nella mente di tante giovani e donne che non vogliono neanche sentire parlare di figli, perchè sono un disturbo, un qualcosa che impedisce la loro felicità (non pensate che succeda solo in Italia, anche qui nella piccola grande Bogotá, in altri quartieri si fanno questi ragionamenti).

 

Non posso non ricordare Angie Milena, una piccolina che tra qualche mese compirà 5 anni. È frutto di uno stupro, la mamma soffre di un handicap (quello che in Italia si conosce come ritardo mentale) che la sta debilitando fisicamente, soprattutto l’udito e la vista. Situazione di assurdità umana: come può un essere umano approfittare tanto vilmente di una creatura già indebolita dalla natura e caricargli il peso di una responsabilità così grande come è un figlio?! Crudele, inumano,...

 

Non voglio lasciarvi con un’impressione troppo negativa e desolante....no, assolutamente, ci sono segni di speranza, e molto belli. Questo pomeriggio ho partecipato ad una messa di saluto per una donna che ha deciso di rispondere ad una chiamata particolare del Signore. Magdalena non è più tanto giovane, è molto vicina ai 40 anni; è una donna veramente speciale. La conobbi un anno e mezzo fa a San Vicente de Chucurí, un paesotto di una regione del centro della Colombia. Era la responsabile della Pastorale Sociale della parrocchia, lei, di famiglia benestante aveva deciso di dedicarsi completamente ai  suoi fratelli e sorelle più svantaggiati, sacrificando la sua stessa vita, nel senso di amicizie, relazioni con l’altro sesso,...le piaceva, si vedeva che lo faceva con passione. Poi, un anno e mezzo fa, la chiamata dalla capitale per un posto di alta responsabilità all’interno della conferenza episcopale; una decisione difficile, sofferta, il lasciare un mondo per entrare in un altro completamente distinto, che però le avrebbe permesso una certa stabilità economica...doveva anche pensare al suo futuro! E solamente alcune ore fa la notizia di un nuovo cambio, una nuova vita, forse il decisivo: Magdalena lascerà Bogotá per iniziare un cammino con una comunità secolare a Quibdó, nel Chocó, la regione più povera del paese, dove il 95% sono di colore. Grazie Magdalena, per la tua testimonianza, per il tuo coraggio, la tua umanità....

 

Nominando il Chocó, devo spendere due parole sulla situazione socio-politica del paese. Il presidente Uribe da alcuni mesi sta portando avanti una campagna per la sua reelezione, cercando di cambiare alcune leggi perchè questo sia possibile. Inoltre da più di un anno ha spinto fortemente per un “processo di pace” con i paramilitari, che tradotto significa reinserire dei criminali alla vita civile, senza una pena troppo dura. Molti si chiedono perchè un processo di pace solo con i paramilitari e non con le guerriglie? La risposta è semplice: la famiglia del presidente da sempre ha combattuto la FARC, mentre è sempre stata più vicina al paramilitarismo. Di fatto oggi, i paramilitari sono il braccio “sporco” dell’esercito: quando ci sono alcune persone da eliminare, è meglio mandare i paramilitari che l’esercito (anche se negli ultimi tempi, ci sono delle testimonianze che incriminano lo stesso esercito di crimini atroci).

 

La politica è molto semplice ed è la più antica: una volta arrivato al potere, mantenerlo a tutti i costi. Ha adottato la politica neoliberale, la apertura economica per far piacere agli USA, che possono commerciare molto vantaggiosamente armi e droga: sì, avete letto bene, perchè il Plan Colombia e tutte le promesse di aiuti militari degli Stati Uniti, in realtà non sono che un grande imbroglio (le armi che arrivano qui, Colombia le va a pagare in altre forme e con gli interessi, tra le altre cose anche con droga). E non è solo la mia personalissima opinione: come si spiega l’impunità illimitata ai militari statunitensi? Colombia è uno dei 3 paesi al mondo che offrono questo privilegio agli USA (gli altri 2 sono Afganistan e Iraq!!).

 

Oltre ad allearsi con i più forti per coprirsi le spalle, l’altra strategia è eliminare tutti gli oppositori interni. In questo momento tutti quelli che non la pensano come Uribe sono dei terroristi: studenti, intellettuali, politici,....e le comunità di pace per esempio.

 

San José de Apartadó è un piccolo paesino che si è costituito come comunità di pace nel 1997, perchè stanco delle continue rappresaglie di guerriglia e paramilitari. Una comunità di pace è un territorio neutrale dove nessuno può entrare armato. Non si può dire che sempre siano stati rispettati dai gruppi armati illegali, però hanno resistito, uniti. 3 mesi fa il presidente in una dichiarazione ha affermato che a San José vive “gente buona” però ci sono dei semi di terrorismo che bisogna estirpare. Risultato: ha ordinato che l’esercito entrasse nella comunità, violando il senso stesso della comunità di pace, e, di fatto, obbligandola a sparire (tra l’altro ammazzando alcuni membri).

 

E le comunità degli indios colombiani che si sono pronunciate in solidarietà con la gente di San José stanno subendo le conseguenze. Toribio è un paesetto praticamente completamente indios; si trova in una zona controllata dalla FARC, che però aveva quasi sempre rispettato i civili. Il presidente ha deciso di “difendere” la popolazione dagli attacchi dei “terroristi”. Risultato: invia l’esercito che entra e si trincea nelle case dei poveri abitanti; la conseguenza è l’attacco pesante della FARC, che adesso non può distinguere civili e militari. Come sempre, quelli che ci rimettono sono i civili.

 

Riassumendo: eliminare tutti gli oppositori come le comunità di pace, le comunità di indios, le comunità nere,....vale a dire tutti i diversi, quelli che vogliono pensare diversamente.

 

Se avete avuto la pazienza di leggere fino a qui, vi chiedere che significa il titolo. Veramente questa lettera è stata un ripercorrere il mio passato prossimo, e niente del mio futuro: il titolo è l’immediato futuro. Farò un’esperienza fino alla fine di luglio con i nostri fratelli e sorelle Awá, proprio per l’esigenza di condividere una visione differente, sognare un mondo “altro” e sostenere la loro resitenza.

 

Un abbraccio di pace nel Dios de la Vida

 

Fratel Simone Bauce

 

 

 

Fr. Simone è da quasi 2 anni a Bogotà, in Colombia, dove sta terminando la sua formazione come fratello missionario comboniano; nel maggio 2003 dopo i due anni di noviziato ha fatto la sua prima professione religiosa ad Arzignano ( VI - suo paese natale) assieme a Gianluca e Giacomo.

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