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FRATELLO UNIVERSALE

i fratelli comboniani si raccontano, NAIROBI 2010

 ALCUNE TESTIMONIANZE DI FRATELLI MISSIONARI COMBONIANI,
IMPEGNATI NEL LORO MINISTERO DI TRASFORMAZIONE SOCIALE

Frat. Guerrino


Cos'è il FRATELLO COMBONIANO?

Lasciati coinvolgere
anche da queste 
PROVOCAZIONI SUL FRATELLO,
DI fr. Alberto Binaghi.

Missionario Comboniano Italiano in Kenya impegnato con i pastori Nomadi Pokot.

Sono stato in Africa per trenta anni ed è difficile scegliere un episodio tra tanti… Sono stato tra i Pokot (pastori nomadi del distretto Nord-Ovest del Kenya) dal 1988. È un’area di prima evangelizzazione. Come Fratello, ho iniziato a interagire con questo popolo nomade: abbiamo cercato di introdurre l’agricoltura ma, naturalmente questa non faceva parte del loro modo di vivere e così non erano molto convinti all’inizio. Dopo 2-3 anni però, la gente cominciò a vedere i vantaggi nel crescere mais e cominciò a pensarci su. Ho anche formato i ragazzi nei lavori della Missione ed ho visto un cambiamento, avvenire in loro: diventavano capaci di provvedere alle proprie necessità, di guadagnarsi da vivere e imparavano anche un po’ di agricoltura. Ora, a distanza di venti anni, tutte le famiglie hanno un terreno da coltivare, protetto da un recinto contro l’invadenza del bestiame. Crescono mais, fagioli, arachidi, ETC... Anche le razzie di bestiame sono diminuite: questo si deve al contributo dell’educazione, al lavoro di sensibilizzazione verso i temi i Giustizia e Pace e al fatto che esistono differenti possibilità di guadagnarsi da vivere. Un altro grande segnale di sviluppo è che, ora, ci sono alcuni insegnanti Pokot, nelle scuole fondate da noi.

Siamo strumenti nelle mani di Dio. Io stesso sono cresciuto e credo nella mia vocazione di Fratello. Sono molto felice di essere tra i Pokot. Ci sono molti segni di sviluppo, anche se vocazioni alla vita religiosa sono ancora molto poche.

La gente mi vede come qualcuno che ha la pazienza di insegnare loro a fare qualcosa d’importante per la loro vita. Possiamo predicare il Vangelo con il nostro lavoro, le nostre attitudini e con il modo di relazionarci.

Frat. Cyprian

Missionario Comboniano Togolese in Zambia, impegnato in una scuola tecnica

Lavoro a Chicowa, (Zambia), in una scuola tecnica. Sono impegnato nella formazione e nella produzione agricola. La gente nel villaggio ha collaborato con noi: vengono a raccogliere mais e girasole. Prima erano per lo più nomadi. C’erano più di quaranta persone ogni giorno a lavorare nella nostra fattoria, cercando un’opportunità per guadagnarsi da vivere con il lavoro a cottimo. Poi il numero si ridusse a circa quindici ogni giorno. Il motivo è che avevano cominciato a mantenere la propria fattoria e venivano da noi con lo scopo di “arrotondare” la loro attività.

Cominciarono a capire che quando c’è una siccità o un’alluvione, il raccolto può essere totalmente compromesso (per esempio quest’anno abbiamo avuto un’alluvione che ha letteralmente spazzato via le coltivazioni di mais). Perciò, recentemente, li abbiamo incoraggiati a piantare cassava, che noi compriamo per loro e la processiamo per il mercato. Ora hanno riconosciuto i vantaggi di ciò che facciamo e fanno lo stesso: così ora hanno iniziato le loro piccole attività commerciali. Un aspetto bello è che quest’anno la gente non è venuta da noi a comprare mais!

Sono felice di essere un “catalizzatore”. Non abbiamo imposto alla gente l’iniziativa: è venuta da loro. Mi piace essere chiamato “Fratello”, perché mi vedono come una persona più vicina a loro, con cui possono aprirsi, interagire e condividere.

Frat. Armando

Missionario Comboniano Messicano in Zambia, impegnato in una scuola tecnica

L’esperienza fondante che ancora oggi m’ispira viene dal tempo del mio Noviziato, durante i tre mesi di esperienza pastorale. Ero in una missione, lavoravo come veterinario e aiutavo anche il dottore nella clinica, perché conosco qualcosa anche di medicina… umana! Insegnavo catechismo nella scuola primaria locale. Non ero chiamato “Fratello” dalla gente, che mi chiamava spesso “dottore” o anche “ Padre”, vedendomi guidare la celebrazione domenicale, in una delle cappelle. Questo mi toccò profondamente. Mi dissi che non sarei stato chiamato Fratello dalla gente se non mi fossi fatto, davvero, loro fratello, se non fossi diventato un testimone, uno strumento di Dio! Insomma, un testimone cristiano che possa insegnare alla gente i valori del Vangelo.”. Mi piace pensare a me come a un “catalizzatore”, nel senso di aiutare ma senza essere protagonista. Un catalizzatore non trasforma la comunità per se stesso ma aiuta la comunità a trasformarsi da sé. In altre parole, si tratta di essere a servizio della comunità cristiana e umana.

Ora, sto insegnando, tra le altre cose, formazione umana e questo mi aiuta ad accompagnare gli studenti nella loro crescita umana e nello sviluppo che vogliono apportare nella società. La gente mi chiede perché sono un Fratello e, non un prete, poiché ho ricevuto un’educazione superiore, ETC... La risposta è che mi sento identificato come Fratello, nel mio modo di essere. Ciò che parla (anche in promozione vocazionale) è la nostra testimonianza. Si comunica chi è il Fratello, vivendolo, all’interno di una comunità di apostoli: nei nostri documenti come la “Ratio Fundamentalis” (sulla formazione) e nella nostra Regola di Vita, è pure scritto… ma bisogna viverlo.

Frat. Daniele

(Missionario Comboniano Italiano in Uganda, ora Assistente Generale Fratello dei Missionari Comboniani)

Sono diventato un Fratello Professo all’età di trentatré anni, quindi, piuttosto tardi. Prima lavoravo come medico volontario in Africa. La missione dei fedeli laici è” maneggiare cose”, ordinare la realtà secondo la bellezza e la verità del Regno di Dio. Questo è il modo in cui diventai Fratello: un laico chiamato a consacrare tutto me stesso e totalmente al Regno. Ora, dopo ventidue anni, mi domando: sono stato capace di assomigliare un po’ a questa figura?

Paradossalmente sono stato più vicino alla gente da laico che da religioso perché sin dalla mia prima destinazione mi è stata data la responsabilità di governare Istituzioni, e questo, ovviamente, ti porta un po’ lontano dal ministero diretto alla gente. Mi chiedo sempre: come posso usare la mia posizione per cambiare la realtà secondo i valori del Regno?

Come prima destinazione, fui assegnato al Karamoja (Nord Est Uganda), una regione che, a prima vista, sembra senza Dio e dominata da relazioni di violenza. L’ospedale di Matany, dove ho lavorato, era caratterizzato da relazioni ispirate a un diverso sistema di valori, per esempio, la cura del debole piuttosto del dominio del più forte. Mi resi conto che eravamo vicini a chiedere l’ospedale per via della sostenibilità della struttura. Avevamo bisogno di supportare l’ospedale e di dare stabilità alla presenza della Chiesa in un’area come il Karamoja, una situazione simile a quella dei monasteri del Medio Evo, che promuovevano fede e civiltà, in mezzo a violenza e distruzione. Il territorio può non essere pronto a ricevere il Vangelo, ma allora hai bisogno di instaurare una presenza che permetta di fare spazio al Vangelo per farsi presente. Ho cominciato a lavorare sulle leggi, a vedere quali possibilità erano presenti a livello istituzionale. Gli ospedali sono una risorsa per la gente e per la nazione, ma non per la Chiesa. Così cominciammo a raggrupparci e a cercare il supporto del Governo per mantenere aperti gli ospedali. In questo modo la promozione della salute era garantita ai più poveri, con il contributo del Governo.

L’aspetto bio-medico non basta. C’è anche un aspetto di esperienza umana della sofferenza e l’aspetto strutturale dello stesso. Organizzammo un servizio di pastorale del malato, che prima non esisteva, per accompagnare i malati a incontrare il Signore nella loro esperienza di sofferenza. In collaborazione con la Conferenza Episcopale, abbiamo costituito servizi di pastorale ospedaliera, e strutture di accompagnamento dei malati e delle loro famiglie, con la presenza di un gruppo di persone che seguisse quest’aspetto.

Ora sono responsabile dei Fratelli della Congregazione: questo è il posto che per ora il Signore mi ha affidato. Da qui posso vedere come in molte occasioni i Fratelli tendono a sfuggire a posti di responsabilità amministrativa. Non so il perché. Di fatto, questo tipo di posizione, è quello che permette di influenzare le strutture, di creare “sistemi” in linea con il Regno di Dio. Dovremmo cominciare a chiederci: “Come posso vivere la vocazione di Fratello in questi contesti?”, invece di dire “Questo posto non fa per me!”. Allora le cose possono cominciare a cambiare.

Frat. Alberto

Missionario Comboniano Italiano in Kenya, Direttore dell’Istituto di Social Ministry in Mission

Pensando a quale istanza condividere, mi sono trovato indeciso tra due esperienze. La prima riguarda il cammino di riconciliazione e guarigione dopo il massacro avvenuto qualche anno fa nella parrocchia di Kariobangi (Nairobi). L’iniziativa di questo cammino partiva da una base d’interscambio di Fede. Ho potuto vedere i sopravvissuti al massacro toccati e riconnessi con la loro vita, riconciliati nell’incontro –tra le altre iniziative messe in atto- con le tradizioni di pace africane, mediate attraverso i “Musei della Pace del Kenya”. Custodisco questa esperienza nel mio cuore perché mi ha fatto incontrare il Signore in una nuova maniera, che, veramente, ha arricchito e trasformato la mia esperienza di fede.

Tuttavia, ho poi deciso di condividere a proposito del mio attuale ministero nella formazione di agenti di trasformazione sociale. Spesso, quando gli studenti vengono da noi, li scopriamo piuttosto intimoriti, “addomesticati” da una formazione che Paulo Freire definiva come “deposito di sapere”, volendo dire che gli studenti non vengono, di fatto, socializzati come soggetti di un processo di assimilazione/insegnamento ma come, piuttosto oggetti, vasi da riempire. Questo genera paure, dubbi, blocchi al processo di imparare e instaura un sistema di anti-valori. Per esempio, lo scorso Dicembre, ho potuto interagire con gli studenti di un programma d’insegnamento a distanza che abbiamo iniziato e vi era, tra questi, un Fratello di una congregazione locale che, alla fine, venne a condividere con me quello che stava avvenendo in lui. Aveva dovuto faticare non poco, per unirsi al corso e inizialmente si sentiva piuttosto perso, ansioso a causa di una bassa autostima, generata dalle relazioni di potere che subiva all’interno della congregazione e dal proprio background accademico, considerato debole. Ora stava sperimentando un profondo cambiamento, si sentiva incoraggiato e ispirato e, finalmente, liberato da quelle paure che lo tenevano ostaggio. Stava scoprendo il proprio potenziale e la fiducia in se stesso, eccitato di ricominciare di nuovo da una prospettiva completamente nuova: poteva visualizzare la sua vita e ministero con entusiasmo. Come avviene per una noce, il cui gheriglio è liberato dal guscio, quest'uomo cominciava il suo cammino di rigenerazione.

La pedagogia e la metodologia che usiamo non sono improvvisate; sono il risultato di studio, ricerca, esperienza e così via. Cerchiamo di capire le dinamiche della liberazione e così disegniamo i processi che offrono un’atmosfera che garantisca che la trasformazione della società possa avvenire. Tuttavia, quando questa trasformazione avviene, è sempre, in ultima analisi, un mistero. È qualcosa di meraviglioso, nel senso che noi svolgiamo il nostro ministero ma, alla fine, ciò che fa avvenire il cambiamento è che le persone sono venute a contatto con uno speciale incontro con il Signore e sono state capaci di rispondere a questo incontro. Per me è sempre stata un’esperienza”umiliante” della presenza del Cristo Risorto che ci porta vita nuova.

Frat. Mattias

Missionario Comboniano Togolese in Malawi-Zambia, Scuola Tecnica di Lunzu

La scuola è cominciata nel 1991 e ha come scopo principale aiutare quei giovani che non avrebbero avuto possibilità di andare all’università a ottenere una formazione tecnica. La qualità del programma ha generato un impatto nella regione e il “passa-parola” ha sparso la notizia che gli studenti escono da essa ben formati. Molte compagnie venivano a selezionare il loro personale nella nostra scuola tecnica. Una grossa compagnia locale “portò via” alcuni degli insegnanti, creandoci dei problemi.

Il programma formativo favorisce la preparazione tecnica e non viene fatta molta pubblicità al settore strettamente produttivo: la gente viene anche da lontano a richiedere manufatti perché vede la qualità del prodotto. L’impatto nella vita degli studenti è grande perché il lavoro è utile e le loro famiglie possono beneficiare di esso.

Frat Manfred

Missionario Comboniano Tedesco in Kenya e -ora- in Mozambico, Scuola Tecnica di Carapira

Condivido a proposito della mia prima esperienza missionaria a Gilgil, in Kenya. Il lavoro con i giovani, a Gilgil, cominciò nelle Domeniche, cercando di preparare spiritualmente i giovani, facendoli riflettere un po’ sul Vangelo. Le attività di un Fratello, Frat. Adelmo, aprirono la strada al coinvolgimento dei Fratelli. I giovani cominciarono a percepire che avevano bisogno di una maggiore unità per potersi organizzare tra loro. Le varie iniziative che organizzammo (passeggiate, dibattiti, ETC…) portarono i giovani a raggrupparsi. Cominciarono a essere indipendenti, a organizzare momenti di condivisione e convivialità e a creare ponti di pace. Per noi che lavoravamo con loro, diventò un momento di crescita interiore, di maturare una spiritualità: si trattò di scoprire Dio nel camminare insieme, nel avere tempo per tutto. Dopo il lavoro lungo la settimana, potevo condividere i miei doni, come Fratello, per camminare con i giovani.


Frat. Eduardo

Missionario Comboniano Portoghese in Kenya; condivisione di un’esperienza Missionaria in Mozambico

Durante la guerra, molte strutture scomparirono e le comunità si ritrovarono senza scuole, ospedali, ETC… . Dopo la guerra, la comunità di Alua decise di cominciare una scuola comunitaria. C’erano pochi studenti ma l’importanza della scuola fu tenuta in grande considerazione: la comunità era orgogliosa di ciò che vi si trovava! La scuola era stata pensata per i bambini ma anche gli adulti cominciarono a frequentare la scuola comunitaria. C’era un grande senso di appartenenza. Questa semplice scuola cambiò la comunità: la formazione cambiò la vita della gente. Un progetto che era partito dalla comunità si trovò presto all’avanguardia, rispetto il sistema vigente e questo modo di fare scuola si diffuse rapidamente tra i villaggi vicini.

Frat. Paolo

Missionario Comboniano Italiano in Kenya

Nell’Apostolato che svolgiamo nel Progetto di Cura domiciliare per persone affette da HIV/AIDS, nello slum di Korogocho, ci capitò di incontrare una donna che si era rivolta a noi per chiedere un aiuto per la figlia, una giovane ragazza di circa diciotto’anni. La ragazza soffriva di un disturbo di personalità, e ad un primo sommario esame, appariva distaccata dalle proprie emozioni. L’umore era decisamente imprevedibile e sembrava potesse perdere il controllo molto facilmente, soprattutto con alcuni membri della sua famiglia. Dopo un accertamento un po’ più approfondito, ci rendemmo conto che c’era una storia di abuso nell’ambiente familiare. Questa ragazza non rientrava nei criteri di attenzione del nostro programma perché non era affetta da HIV/AIDS, ma la situazione appariva alquanto disperata. Accettammo di farcene carico. La prima cosa fu offrire a L. un “cuore in ascolto”: creare uno spazio dove potesse condividere I suoi problemi senza essere giudicata o condannata o derisa. Piano, piano, cominciò a fidarsi di noi e ad aprirsi. Riconoscevamo in lei la presenza di un conflitto interiore tra il suo bisogno di essere accettata e il suo diritto a essere rispettata come persona. Presto però ci rendemmo conto che il suo problema era al di là della nostra capacità di gestirlo e che L. aveva bisogno di un accompagnamento più qualificato. Cercammo possibili soluzioni e alla fine trovammo una Comunità di Suore che si offrì di ospitarla, seguirla e di accompagnarla in maniera più sistematica. Ora si trova in un posto sicuro ed ha l’opportunità di condividere in maniera profonda con persone di fiducia, senza paura di venir ferita o giudicata. Si è aperta molto e ha riguadagnato fiducia in se stessa.

Da questa esperienza ho imparato l’importanza di offrire alla nostra gente un “cuore in ascolto”, uno spazio dove le loro storie possano essere raccontate e custodite. Ho imparato anche quanto sia importante lavorare in rete. Essere Fratello è anche diventare un canale che collega le persone nel bisogno con chi può aiutarle nel modo migliore.

Frat. Jean - Marie

Missionario Comboniano Congolese in Togo

Insegno filosofia in un seminario per candidati al sacerdozio e vivo nella Comunità del Postulato dei Missionari Comboniani, dove il numero degli aspiranti sacerdoti (24) eccede grandemente quello dei candidati alla Fraternità (1). Quando arrivai, fui presentato come un membro della Comunità e come un insegnante di filosofia: gli studenti rimasero stupefatti. Non si aspettavano che un Fratello potesse insegnare loro. Erano solidi considerare i Fratelli come missionari di seconda categoria. All’inizio non interagivano con me. Cominciai il mio servizio nel seminario e presto vennero a chiedermi della mia vocazione. Molte persone ancora non conoscono chi sia il Fratello e spesso mi venivano fatte domande del tipo: “ Quando sarai ordinato?” o “Perché vuoi rimanere Fratello?” Alcune persone, poi, semplicemente non hanno interesse a capire perché la società in Togo è molto clericale. Alcuni sacerdoti sono molto sorpresi della mia presenza in seminario. Anche tra alcuni nostri Confratelli questo sentimento è presente. Ho deciso di lavorare al fine di far conoscere la vocazione dei Fratelli. Ora, sono coinvolto in attività con i giovani della Parrocchia e nell’accompagnamento e direzione spirituale. Sono felice. Quello che faccio è aiutare le persone ad aprire le loro menti. Il numero dei Fratelli è in discesa ma credo che la qualità della loro preparazione sta migliorando molto, anche se confrontata con quella di alcuni studenti e sacerdoti.

Credo che il nostro ministero sia aprire le menti delle persone a capire il nostro ruolo nella Chiesa e nella società.

Frat. Jonas

Missionario Comboniano Togolese in Malawi-Zambia, Scuola Tecnica di Chicowa

Tre anni fa, un uomo venne nel mio ufficio, dicendomi che era grato per il modo con cui mi ero rapportato con lui, quando era nella nostra scuola. Mi disse che aveva lasciato quel posto, completamente trasformato, una persona nuova. Quando cominciò il corso, non si aspettava di poter relazionarsi con me in maniera informale. Dopo aver completato il percorso formativo, a quest’uomo fu affidato un posto di responsabilità in una grossa compagnia della zona.

Ricordo anche un ragazzo musulmano, che entrò come fanatico della propria religione che uscì dalla scuola tecnica, completamente trasformato.

Queste esperienze mi hanno aiutato a riflettere su quanto l’impatto che possiamo avere nella vita delle persone, dipende dalla qualità delle relazioni che abbiamo con queste. Il tipo di presenza che scegliamo, conta moltissimo e parla alle persone. Non credo che siamo chiamati a convertire le persone dalla loro fede al Cristianesimo ma ad aiutare la gente a vivere la propria fede profondamente. Queste relazioni trasformanti con la gente e tra di noi, ci aiutano a vivere la gioia di essere Fratelli.

Frat. Roberto

Missionario Comboniano Italiano in Etiopia

Abbiamo iniziato nel 2005 un’esperienza di prima evangelizzazione tra la gente Gumuz, un gruppo etnico dell’Etiopia, disprezzato e marginalizzato. Gli altri gruppi etnici non si fidano dei Gumuz ma noi decidemmo di promuovere la loro dignità, offrendo loro lavoro nella missione. Lavoravamo insieme con loro. Per questa gente, avere qualcuno che si fidasse di loro, era un’esperienza nuova. Per noi era anche un modo per individuare coloro che sarebbero potuti diventare possibili maestri o catechisti con lo scopo di portare sviluppo a partire da loro. Abbiamo iniziato a costruire semplici scuole e cappelle. La gente vede la differenza nel modo con cui ci relazioniamo con loro e ci capiscono.

Il cambiamento è stato reso possibile grazie alla fiducia che abbiamo riposto in loro.

Frat. Desu

Missionario Comboniano Etiope in Kenya, impegnato nell’Animazione Missionaria della Chiesa locale

Nel mio servizio di animazione missionaria, incontro sempre molte persone con differenti cammini alle spalle e in svariate situazioni e luoghi. Mi sono sempre presentato come un fratello tra loro. Una volta, dopo alcuni incontri di animazione, ho ricevuto una telefonata da qualcuno che, apparentemente lavorava con il Governo. Questa persona era un cattolico con forti valori cristiani e desideroso di aiutare le Missioni, anche se non proprio facoltoso. Nonostante l’impegno a dover pagare la retta scolastica per una figlia che studiava all’estero, volle contribuire con qualcosa. Aprì un dialogo con me, circa la sua vita ed io, a mia volta, cercai di incoraggiarlo.

Compresi che quando siamo semplici fratelli a servizio della gente, essa ci da fiducia e si fa pronta a cooperare per la costruzione del Regno di Dio.

Frat. Dario

Missionario Comboniano Italiano in Kenya, tra i nomadi Turkana

Ho lavorato per più di trenta anni tra i pastori nomadi (precisamente tra i gruppi etnici Pokot e Turkana). Non si può vedere molto cambiamento in queste aree. Con il mio servizio di cercatore di falde acquifere e scavatore di pozzi, ho potuto vedere le comunità di pastori diventare relativamente stanziale, perché non era più necessario, per loro, muoversi frequentemente per cercare acqua per sé e per il bestiame. Ho cercato di dare un contributo all’educazione, costruendo scuole, anche se qualche volta ho avvertito la frustrazione di vedere le scuole abbandonate o gli edifici vandalizzati da coloro che non ne vedevano l’utilità.

Vedo il mio essere Fratello come un seminare il cambiamento. Posso vederne i frutti o no. In ambedue i casi, è per il Regno di Dio.

Frat. Luigi

Missionario Comboniano Italiano in Mozambico

Sto lavorando in Mozambico da due anni ormai. Mi trovo ancora in una fase di aggiustamento per cercare di adattarmi al presente ambiente africano. Sono nato in Italia, sono stato formato in America Latina e ora, sto lavorando in Africa. Sono consapevole che non posso cambiare i contesti. Provo a cambiare me stesso. Sono un pedagogista, responsabile di una scuola tecnica a Carapira, in Mozambico. Sono felice di vedermi al lavoro con altre persone, di avere un impatto positivo nella vita dei giovani che frequentano la scuola, alla ricerca di conoscenza e competenza.

I Fratelli sono agenti di cambiamento.

Frat. Godinez

Missionario Comboniano Messicano in Kenya

Cominciai il mio apostolato in California e, in un secondo momento in Africa, fino ad oggi. Ho visto me stesso sin dall’inizio, come “un cartello stradale in movimento”: uno che indica la direzione ma che si muove assieme a coloro cui segnala la strada.

Ho usato il gioco per animare i giovani nelle varie cappelle delle missioni dove ho lavorato. Molti dei Cattolici di queste missioni, oggi, sono il risultato di questo servizio, tra gli altri. Attraverso il gioco li ho portati a Cristo.


Frat James

Missionario Comboniano Keniano in Kenya

Ho lavorato come direttore della scuola primaria di St John nella baraccopoli di Korogocho (Nairobi). Questa scuola si prende cura, per lo più, dei bambini poveri di questo quartiere della città. Oltre che incoraggiare il lavoro di squadra e la cooperazione tra gli insegnati e il personale di supporto, ho cercato di passare il significato del “rigenerare l’Africa con gli Africani”. Ho cercato di motivare gli studenti e lo staff a lavorare non solo per i voti o per denaro, ma per il più importante cambiamento della faccia della baraccopoli nella quale sono radicate molte bugie e queste sono spesso latenti tra la stessa gente che la abita.

Attraverso le visite alle famiglie e un contatto più formale con i genitori e i leaders locali ho cercato di coscientizzare la gente verso il bisogno di prendere posizione nella costruzione della “Korogocho che vogliamo”, un tema che ha ricevuto gli sforzi congiunti dei Missionari Comboniani che hanno lavorato e che stanno ancora lavorando in questo contesto. Così la gente ha iniziato a dare il proprio contributo e a diventare più coscienti dell’importanza di educare i propri bambini.

Ho lasciato la baraccopoli alcuni mesi fa. Credo che un Missionario debba essere un po’ come una chiocciola che si muove lentamente ma che lascia una traccia e non come gli elefanti che si muovono facendo fracasso ma senza lasciare tracce del loro passaggio.



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