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Mapuordit: Il villaggio degli alberi Lulu

Lettera di p. Daniele Moschetti dal Sudan, dicembre 2009

Lettera agli amici Sudan 2 - 3 Dicembre 2009

Mapuordit: Il villaggio degli alberi Lulu !!

Credere in un Dio vuol dire comprendere la questione del senso della vita.
Credere in un Dio vuol dire vedere che i fatti del mondo non sono poi tutto.
Credere in un Dio vuol dire vedere che la vita ha un senso.”

(L. Wittgenstein, Quaderni 1914-1916, 8 Luglio 1916)

Carissimo Amico/a!! Jambo!

 

Kudual! Ci yi bak? Come stai?

 Se mi vuoi scrivere:

IL MIO INDIRIZZO EMAIL rimane lo stesso nonostante cambi di missione quindi: daniele@korogocho.org

 Indirizzo di posta:

FR. DANIELE MOSCHETTI PARISH OF MAPUORDIT

 C/O BETHANY HOUSE DIOCESE OF RUMBEK
P.O.BOX 21102
NAIROBI - KENYA
 
Tel. 249 – 811-822385

di Juba


Finalmente ti scrivo dopo un paio di mesi dalla mia partenza dall’Italia. Ci sono tante cose che vorrei condividere con te e sicuramente questa lettera condenserà le prime impressioni e l’impatto che questa nuova realtà sta avendo su di me. Questa lettera è anche per me un motivo di riflessione, sintesi e condivisione con te di questa nuova avventura di vita e di passione per la missione. Cercherò di farti entrarte in punta di piedi dentro la realtà in cui vivo e condivido la mia vita, con il dovuto rispetto per una cultura e un popolo che comincio a conoscere piano piano, così che anche tu ti possa sentirti coinvolto in questa nuova missione. In questi due ultimi mesi sto studiando studio con passione e impegno la lingua dinka (thong muony jang) perché voglio parlare con la gente direttamente senza il bisogno sempre dell’inglese. Sto già parlando, o balbettando, con la gente e mi diverto anche …facendo i miei errori che ogni bambino compie quando impara una nuova lingua a scuola. Celebro già da più di un mese la messa in dinka da solo senza l’aiuto di qualcun’ altro. Solo nell’omelia ho bisogno di catechista che traduce ma presto vorrei predicare anche senza di lui. Ho sempre considerato la conoscenza della lingua solo il primo passo per un missionario per conoscere la cultura, lingua, tradizioni, costumi. È la chiave per aprire la porta….poi quando si è entrati….tutto è possibile!! Ma sono convinto che la lingua più importante da conoscere e continuare ad imparare per tutta la vita, perché si è sempre studenti, è quella dell’amore fraterno e universale. E per questo c’è un solo Maestro….
 

IMPARANDO A BALBETTARE….

Tra verbi, parole, grammatica, compiti scritti e orali in dinka, ho sempre cercato di intervallare la lettura di molti libri diversi: cultura e tradizioni dinka, geografia e storia del Sudan; vita dei pastori nomadi; psicologia e vita del prete, relazioni delle assemblee della provincia comboniana del Sud Sudan e della diocesi di Rumbek;; vita del Comboni e del tempo che ha preparato il suo arrivo in questa terra con le centinaia e centinaia di missionari ed esploratori che sono morti nel corso del 18° secolo proprio per mancanza di conoscenza dell’Africa!

Certo Mapuordit non è Korogocho!! Per tanto tempo ero abituato a vedere quotidiniamente intorno a me centinaia, migliaia di persone sardinizzate dentro la realtà di baraccopoli. Erano miei vicini di casa e con loro ho speso molti anni, prima e dopo la mia ordinazione. Erano volti e storie di persone ben precise che ho imparato ad apprezzare, ad amare, a diventare amici, a conoscere nonostante le tante inconstanze, debolezze e problemi. Ma chi può dirsi migliore e senza peccato in questo mondo? Con loro sono cresciuto come uomo e prete. Un’intensità di passione e entusiasmo per la missione e per la vita che mi accompagna anche in questa nuova avventura sudanese. Una terra e popoli tanto diversi ma altrettanto aperti alla sfida umana e spirituale. Anche questa gente chiede di essere accolta come la gente di Koch! E questo vale anche per me.
La sensazione netta avuta in questi due mesi di permanenza qui è che sono arrivato al momento giusto. Tante celebrazioni, il mese missionario di ottobre, la prima volta che celebravo la festa di Comboni nella sua terra, alcuni anniversari e giubilei, alcuni passaggi di consegne importanti in missione, il mese di novembre commemorazione dei defunti e ora preparazione al Natale che viviamo a temperature calde molto diverse che da voi. Il caldo qui è davvero micidiale. A Juba dove sono rimasto per una decina di giorni prima di arrivare qui il clima era caldo umido e si sudava costantemente. Era il periodo delle piogge e arrivando a Mapuordit ho potuto notarne le differenze tra Juba e questo piccolo villaggio in mezzo alla foresta dove la pioggia scendeva a catinelle specialmente la sera. E infatti il villaggio e la missione sono abbastanza isolati per circa 4 mesi da luglio a ottobre. La pista che porta dalla strada principale al villaggio è di circa 30km e passa attraverso la foresta piena di bellissimi e variegati alberi. Ma ad ogni 10 metri di pista c’erano immense pozze d’acqua che somigliavano più a laghi artificiali che a normali pozzanghere d’acqua. La pioggia è caduta in abbondanza quest’anno e la gente ha ringraziato il Signore perché l’anno precedente non era stato così abbondante. Quando non piove il tutto si ripercuote sui raccolti che qui sono il sostentamento fondamentale per la sopravvivenza. Senza raccolto vuole dire fame e malattie per gli esseri umani e per gli animali!
 

E JUBA COME TANTE CITTA’ AFRICANE…..


Leggi anche la testimonianza di Rosario, Comboniano, compagno di comunità di p. Daniele Moschetti

Approfondimenti sul Sudan

Ultime notizie dal Sudan


Altre lettere dal Sudan:

p. Christian Carlassare
p. Jorge (Karthoum)


Le lettere di padre Daniele Moschetti da Korogocho e da Gerusalemme

Sono arrivato a Juba, la capitale del Sud Sudan e sono stato per alcuni giorni nella nostra casa provinciale per preparare qualche documento come la patente di guida che mi servirà in queste zone così disperse del Sudan. Ho approfittato per visitare la città che ho trovato ingrandita e in forte crescita demografica rispetto all’anno scorso quando rimasi a Juba una settimana per poi venire a trovare proprio a Mapuordit fratel Rosario, mio compagno di noviziato e direttore dell’ospedale che gestisce da ormai 8 anni. Certamente Juba è una città che sta esplodendo in pochi anni dopo la firma dell’accordo di pace del 2005. Si dice che ci siano già quasi un milione di persone soprattutto nelle periferie come Lologo. L’ho visitata un po’ e mi ha impressionato come sempre per le dinamiche di vita che scaturiscono nei luoghi congestionati da tanta gente. È ciò che più mi rende curioso dovunque ci sia un brulicare di gente. Sicuramente in maniera differente ma costante sta seguendo tutti i trends delle città africane che già pullulano e scoppiano di gente e di problemi. Ma siamo ancora agli inizi di questo fenomeno qui e non solo a Juba ma anche in altre cittadine sud sudanesi come Wau che ho visitato con fratel Rosario per un concorso sanitario per alcuni giovani del nostro ospedale. Anche lì si parla di 300-500.000 persone. Insomma sto ritrovando tutte le dinamiche urbane che ho vissuto in Kenya. Ho intenzione di proporre alla prossima assemblea provinciale di gennaio a Juba di riflettere se non è arrivato il tempo di aprire anche qui una comunità inserita nelle realtà periferiche della città di Juba perché i giovani soprattutto stanno giungendo a fiumi nella capitale ma anche nelle altre cittadine. Dobbiamo prepararci anche in Sud Sudan ad affrontare nei prossimi anni questo fenomeno così africano! Vedremo in futuro….!

DESTINO O PROVVIDENZA?

Destino o Provvidenza volle che a Mapuordit ritornassi esattamente un anno dopo senza averlo programmato. E questo è davvero il grande mistero della vita che viviamo. Dopo aver ridato la mia disponibilità ai superiori di poter continuare in una presenza di baraccopoli in qualche altra città africana dove siamo presenti come comboniani, alla fine mi è stato proposto il Sud Sudan per mancanza di proposte africane nelle città. Infatti quando ricevetti via email la proposta della missione in Sud Sudan mi trovavo in Turchia, esattamente a Tarso, la città di nascita di s.Paolo. Ci ho pensato su e soprattutto pregato. Ho preso il mio tempo e quando sono arrivato ad Antiochia ho risposto positivamente alla proposta. Anche Antiochia ha un grande significato per noi cristiani perché proprio lì la gente del posto diede ai primi seguaci di Gesù Cristo il nome di Cristiani!! Ma attenzione! Il Sud Sudan o Mapuordit non lo considero un ripiego perché non è in una baraccopoli! Anzi! E’ una delle più belle, entusiasmanti, difficili ed essenziali missioni che ogni missionario dovrebbe accogliere con gioia. La terra del Comboni è ancora tra le più dure e difficili di tutta l’Africa. Molte cose sono rimaste come duecento anni fa, dovuto all’isolamento geografico, alle guerre che si sono susseguite, alla dominazione araba, alla schiavitù, al tribalismo e attaccamento a volte esagerato alle tradizioni e costumi, al colonialismo e alle scoperte geografiche e risorse naturali immense che vengono sfruttate senza un ritorno equo. Senza esagerare! Venite e vedrete!

“Chi si aspetta che gli “indigeni” possano giungere in un balzo dall’età della pietra
a quella delle motociclette, dimentica la fatica e lo sforzo compiuto dai nostri stessi padri
per portarci attraverso la storia in cui siamo.”
(K.Blixen, La mia Africa)
 
Non sapere comunque quale sarà il passaggio successivo della tua vita ti apre a una libertà e disponibilità interiori grande. Sicuramente il Signore ha un grande piano misterioso per me e per questa gente. Anche qui in questo luogo che sembra “deserto” di persone ma che racchiude la vita in abbondanza. Lo scoprirò camminando. Amath, amath, pole, pole, piano, piano!!
Infatti la sfida che già qualche secolo fa veniva lanciata alla Chiesa dal Comboni di salvare l’Africa con l’Africa è ancora molto attuale oggi. La natura stessa, i popoli, la calura e il clima, le comunicazioni e relazioni sembrano molto dure e a volte molto difficili da assimilare e vivere in pienezza. In un Sud Sudan dove tutto ciò di cui c’è bisogno per trasformare la realtà viene importato dai paesi confinanti o dall’estero. Infatti tutti materiali edili, cibo, vegetali, frutta, quaderni o libri e tantissimo altro viene dal Kenya e dall’Uganda. Oppure da Khartoum, la capitale del Nord Sudan. A volte anche cose minime non si trovano nel povero mercato di Mapuordit. Forse a Rumbek, una cittadina a circa 80 km da Mapuordit ma con prezzi alti. Anche le persone qualificate per ricostruire il paese sono mancanti: dottori, infermieri, insegnanti, elettricisti, meccanici, muratori, falegnami e altri….dovuto ai tanti anni di guerra che non hanno preparato i quadri amministrativi e professioni necessarie per ripartire come nazione che desidera un futuro. E quindi sono presenti in tutto il territorio sud sudanese moltissimi persone dal Kenya, Uganda e Tanzania che vengono pagate un salario molto alto perché stranieri che accettano di vivere in una realtà in ricostruzione. Tutto il business è in mano agli stranieri: arabi, kenyani o ugandesi. Un altro modo per controllare il paese che stenta a decollare con una propria economia per creare lavoro e futuro per i giovani. La risorsa più importante per il governo di Khartoum e di Juba è il petrolio per circa il 90% delle proprie entrate. Per il resto non esistono per il momento industrie o centri commerciali significativi nel Sud Sudan. È ancora una lunga strada da percorrere nel prossimo futuro. Si spera nella pace, giustizia e onestà per il bene della gente!
 

UN PO’ DI STORIA E GEOGRAFIA!!

Con i suoi 2.500.000 km. quadrati di superficie il Sudan è il gigante dell’Africa. E’ il più grande e vasto paese dell’Africa (1/10 dell'area totale dell'Africa, otto volte l’Italia), con un nord desertico o arido e un sud tropicale. E’ anche purtroppo tra i paesi più poveri al mondo. I sudanesi spesso descrivono il loro paese come l’intera Africa in un paese solo. E’ facile capire il perché. In Sudan si passa dal deserto del nord alle foreste tropicali del sud, spezzato a metà dal passaggio di uno dei più grandi fiumi al mondo: il Nilo. Il lungo fiume Nilo in Sudan è composto da due affluenti: il Nilo Bianco e il Nilo Azzurro (Blu). Si incontrano a Khartoum prima di discendere lentamente verso il nord, quindi verso il Mar Mediterraneo. Oltre l’80% dell’acqua del Nilo proviene dal Nilo Azzurro (Blu) che nasce vicino al Lago Tana negli altopiani etiopici.
Il Sudan meridionale da solo copre 650.000 chilometri quadrati, ma la regione ha 5.500 km di strade (se così si possono chiamare…) primarie e secondarie sterrate e malmesse. Solo 50 km di questi sono coperti in asfalto. Molte strade sono in cattive condizioni e non possono essere utilizzate durante la stagione delle piogge da giugno a ottobre.
“Bilad as-Sudan”, il paese dei neri, era il nome dato dai geografi arabi all’Africa a sud del Sahara. La popolazione stimata nel 2004 è di circa 39 milioni di abitanti, di cui circa 9 nei territori del Sud Sudan. L’ultimo censimento fatto nell’aprile 2009 ha creato tensione tra Nord e Sud del sudan perché il Sud accusa il governo del Nord di aver pilotato i dati e quindi non li riconosce. Praticamente i numeri sono simili a quelli del 2004 e anche gli abitanti del sud sarebbero circa 9 milioni. In base al censimento del 1956 (l'unico che includeva dati sull'origine etnica) vi erano 19 gruppi etnici maggiori e ben 597 sottogruppi e un centinaio di lingue parlate. È al crocevia tra il mondo islamico e l’Africa Sub-Sahariana.
Capire i molti gruppi etnici è la chiave per capire il Sudan. Un paese che dà l’immagine netta di una divisione tra Arabi (musulmani) e i neri (non musulmani) esattamente divisi tra nord e sud. La lingua ufficiale e franca del Sudan è l’arabo. Il trattato di pace con SPLM/A ha portato al riconoscimento dell’inglese come seconda lingua nel sud del paese. Le lingue più parlate oltre l’arabo sono il Dinka, il Beja e il Nubiano.
Dopo essere stato di fatto una colonia inglese, il Sudan divenne indipendente nel Gennaio 1956. Fin da allora la sua storia è stata marcata da cronica instabilità e violento conflitto interno. Il potere politico a livello nazionale è stato monopolizzato da una élite formatasi all'interno della comunità musulmana e arabizzata del Nord, mentre gli altri gruppi etnici e religiosi sono stati sempre privi di sostanziale potere politico ed economico. Di conseguenza, a parte 16 dei 53 anni di indipendenza, il governo centrale è sempre stato  in guerra contro forze di guerriglia rappresentanti le popolazioni largamente animiste e cristiane del Sud.
Due le principali fazioni ribelli: lo SPLM / SPLA(Sudan People’s Liberation Movement and Sudan People's Liberation Army) nel sud, il Jem (Justice for Equality Movement) nella zona centro-occidentale (Darfur).
 

IL SUDAN: IL GIGANTE FERITO DELL’AFRICA…..

Ci sono segni per niente positivi dalla politica. Le elezioni del 2010 e il referendum del 2011 vedono confrontarsi due mondi che non si ascoltano e non vogliono guardare in faccia alla realtà in maniera sincera e onesta per trovare insieme delle soluzioni ai problemi veri della gente che per troppi anni hanno sofferto e pagato a caro prezzo questa guerra assurda tra il Nord e il Sud, mondo arabo e mondo subsahariano, islam da una parte e cristianesimo e animismo dall’altra. 2 milioni di morti soprattutto civili in 2 guerre civili così assurdamente lunghe e fratricide: la prima dal 1955 al 1972 (17 anni) con trattato di pace ad Addis Abeba e la seconda dal 1983 al 2005 (22 anni) con trattato di pace a Nairobi. Ma in quest’ultimo anno, le statistiche ci dicono che sono già morti quasi un migliaio di persone qui vicino a noi e in varie parti del sud sudan per cattle-raiding (furto di bestiame tra tribù nemiche) a volte strumentalizzate politicamente per mettere le varie etnie una contro l’altra ma anche e soprattutto per motivi politici e religiosi. Non ultimi anche le 7 persone che sono state crocifisse, nel mese di Agosto, sugli alberi da gruppi ribelli ugandesi del LRA (Lord’s Resistance Army) nella diocesi di Tambura-Yambio vicino al confine dell’Uganda come denunciato durante il Sinodo Africano dal vescovo Hiboro e da altri vescovi sudanesi. E non dimentichiamo il vicino Darfur……
Nel 2005 venne firmato l'accordo di pace globale (Cpa) con cui si è posto fine agli oltre venti anni della seconda fase di guerra civile tra il nord e il sud del paese, mentre nel Darfur la situazione rimase caotica. Dopo la pace, il Sudan People's Liberation Army (SPLA) si riorganizzò politicamente come Sudan People's Liberation Movement (SPLM).
L’accordo di pace firmato a Nairobi nel 2005 prevedeva vari passi intermedi e riforme da compiere prima del 2011, anno nel quale si dovrebbe prevedere un referendum per l’autodeterminazione della popolazione del Sud Sudan. Anche l’indizione di libere elezioni in tutto il paese nell’ Aprile del 2010! Ma le due parti sono lontane dall’accordarsi sulla delimitazione geografica del Sud Sudan stesso e su alcune riforme sostanziali prima di questi due appuntamenti importanti. Intanto la registrazione dei votanti sono terminate da pochi giorni e sembra che nel paese ci siano 11 milioni di votanti per le elezioni del 2010 dei quali 3,2 milioni nel Sud Sudan. Ma moltissima gente non sa cosa siano le elezioni e nemmeno il referendum, specialmente chi vive nelle foreste, savane tropicali o deserti anche per mancanza di adeguata educazione, preparazione e informazione. E quindi non si sono registrati. E queste sono le prime elezioni storiche del paese.
La guerra civile in Sud Sudan è stata non solo la più lunga del mondo, ma anche, con due milioni di morti, quella con la più alta mortalità rispetto alla popolazione totale. Inoltre milioni sono stati i feriti, i profughi interni e i rifugiati nei paesi confinanti e immigrati in diverse parti del mondo. La maggior parte sono stati testimoni di uccisioni dei loro familiari, rapimenti dei loro bambini per trasformarli in bambini soldato, distruggere i villaggi,  bruciare i raccolti, rubare il bestiame.

Le guerre avvenute sono state anche il risultato di una dissennata decolonizzazione che ha unito due mondi etnici, storici, culturali e di religione profondamente lontani. La guerra civile ha eroso i tradizionali meccanismi di mutuo soccorso e la struttura economica delle popolazioni del Sud Sudan. L'insicurezza e lo sfollamento di migliaia di persone hanno avuto effetti disastrosi su queste popolazioni povere e svantaggiate, costituite da pastori e allevatori di bestiame. La guerra ha causato inoltre un considerevole danno al settore zootecnico e distrutto le infrastrutture di base inclusi i servizi sanitari, educativi e veterinari.
Stiamo godendo un tempo di “relativa pace” abbastanza diffusa e di sviluppo veloce ma ancora troppo lento per l’arretratezza in vari campi dovuta al tempo speso nelle guerre e all’isolamento e abbandono della popolazione. Ci sono troppi interessi economici legati al petrolio e ad altri minerali in questa terra benedetta e maledetta allo stesso tempo!

“NULLA E’ PIU’ DIFFICILE DA CAPIRE NELLE ESPLORAZIONI AFRICANE DEL XIX SECOLO DELLA DISINVOLTURA CON CUI FURONO SPESSO INTRAPRESE.” (Moorehead 1972, 157)


Ma per capire il presente bisogna conoscere anche il passato e la sua storia che ancora oggi influenzano fortemente questo conflitto. Mi piace al riguardo inserire qui un passaggio importante di un libro di Gianpaolo Romanato, professore all’università di Padova che ha scritto un libro sul Comboni e il suo tempo storico partendo da questo incontro-scontro tra islam e cristianesimo che ancora oggi vediamo in atto ma che risale a secoli precedenti. Allo stesso tempo mette in evidenza come la mentalità del tempo del Comboni e di Hegel e la poca conoscenza dell’Africa che si aveva a quel tempo, abbia indotto i potenti, gli scienziati e la Chiesa stessa a ritenere l’Africa e gli Africani come esseri inferiori e quindi selvaggi. Ma per Comboni non sarà così!
“…… Il famoso filosofo tedesco, Hegel morì nel 1831, l’anno in cui nacque Daniele Comboni. Poco dopo la sua morte, furono pubblicate le “Lezioni sulla filosofia della storia, contenenti il testo dei corsi che aveva tenuto all’Università di Berlino negli ultimi anni di vita. Un capitolo di quelle lezioni riguarda l’Africa.
Hegel distingue l’Africa in tre parti, “affatto separate l’una dall’altra” e senza “alcuna comunicazione reciproca”, le prime due relativamente conosciute, la terza totalmente ignota. La prima parte è a nord del deserto del Sahara, l’Africa mediterranea, “europea”. La seconda è l’Egitto, la regione costituita dal bacino terminale del Nilo, che apre una porta verso il Mediterraneo alle regioni interne del continente e crea una sorta di ponte verso l’Asia. La terza “giace a sud del deserto del Sahara”, l’Africa ” vera e propria”. Quest’immensa regione, scrive Hegel “per tutto il tempo a cui possiamo storicamente risalire, è rimasta chiusa al resto del mondo.” E’ un continente “sconosciuto, fuori di ogni rapporto con l’Europa”. Quel poco che si può dire dei suoi contorni geografici deve essere introdotto da un “sembra” prudenziale, dal momento che non se ne sa nulla di certo. “Sembra” che i Monti della Luna taglino a metà il continente, “sembra” che il Niger scorra a nord. Un’unica cosa è certa: “E’ la patria di ogni animale feroce”, una terra che “sprigiona un’atmosfera pestilenziale, quasi velenosa”, abitata da popoli che “si sono dimostrati così barbari e selvaggi da escludere ogni possibilità di annodare relazioni con essi”. Le loro culture, continua, sono “di difficile comprensione”, completamente “differenti” dalle nostre, “estranee e remote alla nostra coscienza”. L’africano è ancora immerso nello stato precosciente, vive una condizione morale indifferenziata, non si percepisce distinto dalla natura e quindi le è sottoposto, la teme, ne è terrorizzato; da ciò la sua indifferenza per l’uomo, della quale è caratteristico “non tanto il disprezzo per la morte quanto la mancanza di rispetto per la vita”. E’ un essere rozzo, barbaro, sfrenato, e “chi vuol conoscere manifestazioni spaventose della natura umana, può trovarle in Africa”. Descritta in questo modo la fisionomia del continente, la sua conclusione è quasi obbligata: “Lasciamo qui l’Africa – scrive – per non più menzionarla in seguito”.
Oggi nessuno ripeterebbe questo giudizio di Hegel. Esso tuttavia è indicativo del grado di conoscenza dell’Africa che si aveva in Europa solo pochi anni prima della fondazione della missione in Sudan. L’Africa era ancora un immenso buco nero: dal deserto del Sahara fino alla zona del Capo non se ne sapeva praticamente nulla. La geografia, la storia, le popolazioni che la abitavano, le lingue che vi erano parlate, le forme sociali ed economiche, il corso dei fiumi, l’orientamento e l’altezza delle montagne, la presenza o meno di laghi continuavano a essere avvolti nel buio più assoluto. I viaggi degli esploratori erano in atto da una cinquantina d’anni, in pratica dal 1788, quando fu fondata, a Londra, la British African Association. In seguito erano sorte società geografiche, con finalità simili, in tutte le principali capitali europee. Ma in cambio di sacrifici immensi, le esplorazioni avevano rivelato poco o nulla. La maggior parte di coloro che si erano avventurati nell’interno del continente non ne erano più tornati. La letteratura del tempo parla di “martirologio africano” e lo stesso Comboni scrive che “la storia delle scoperte del continente africano è una dolorosa enumerazione di eroi morti per la religione e per la scienza”.”
(Gianpaolo Romanato, L’Africa Nera fra cristianesimo e Islam. L’esperienza di Daniele Comboni. Ed Corbaccio, 2003, pg. 25)
 

MA CHI E’ IL POPOLO DINKA?

I dinka sono pastoralisti, cioè un popolo che dà molta importanza e centralità al bestiame come oggetto e soggetto di devozione, proprietà, ricchezza e orgoglio comunitario e personale. E’ un popolo “molto orgoglioso e nati per essere leaders e guerrieri coraggiosi” come mi dice un amico dinka. Ma coltivano anche qualche campo per un’agricoltura di sussistenza in supporto alla pastorizia.
I pastoralisti sono di solito associati al nomadismo. Quando si pensa ai pastoralisti nel mondo vengono in mente gente che vaga da un posto ad un altro senza una fissa dimora. Ma per essere precisi, quando parliamo di pastoralisti in Africa si indicano tre differenti categorie di persone: i nomadi in senso stretto della parola cioè quelli che si muovono con le loro famiglie e bestiame in cerca di buoni pascoli. I semi-nomadi che tendono a muoversi per cercare buoni pascoli ma tendono a tornare in posti particolari con il quale hanno un’identità. Terzo gruppo: gente che adotta un tipo di guida del bestiame chiamata transumanza cioè coloro che hanno una fissa dimora e solo i giovani si spostano con il bestiame nei cattle-camp durante la stagione secca. La transumanza , una categoria quest’ultima che ci ricorda i pastori delle nostre montagne un po’ sparse in tutta Italia. Per dire il vero sempre più pezzi da museo che realtà vive e attive in un Italia dei pastori che è cambiata tantissimo da nord a sud negli ultimi 20 anni.
L’etnia dinka sono di quest’ultima categoria. E’ il gruppo non arabo più numeroso in Sudan. Il 10% della popolazione totale del Sudan parla come prima lingua il dinka. Sono Nilotici pastoralisti che vivono sulle due sponde del Fiume Bianco e nel Bar al Ghazal. Le vacche sono centrali alla cultura dinka e ogni uomo si identifica e adorna il suo bue per le feste e celebrazioni. Il bestiame è sacrificato nelle cerimonie religiose tradizionali dinka. Le vacche diventano come le banche ambulanti per i dinka perché vengono usati come valore di scambio o di accordo per i matrimonio e altri importanti alleanze. E’ una cultura molto maschilista che vede la donna soggiogata al volere e al potere dell’uomo. Infatti le giovani ragazze, a volte ancora bambine, vengono comprate con gran numero di vacche se è una bella ragazza e magari istruita. Purtroppo sono ancora troppo pochi i casi di giovani ragazze che riescono a completare gli studi fino ad arrivare alle scuole superiori. C’è ancora un lungo cammino per la donna tra i dinka ma anche in Sudan. La poligamia è alla base della cultura e relazioni tra i dinka. La cultura dinka segue anche strettamente i flussi e riflussi del fiume Nilo che crea nuovi pascoli e dove i giovani si spostano in cattle camps stagionali. La tribù dinka ha dominato con la leadership del SPLA con il compianto leader John Garang de Mabior, scomparso in un misterioso incidente d’elicottero dopo esser tornato da una visita ufficiale al presidente d’Uganda Museveni. Garang viaggiava sull’ elicottero personale del leader ugandese. Ancora ora l’etnia dinka domina il movimento per la liberazione del Sud Sudan, SPLM/A e ciò e anche uno dei motivi della continua instabilità politica nel sud del paese tra le tribù nere per mancanza di condivisione nella leadership del governo del Sud. 

MAPUORDIT: IL TORO MARRONE E GRIGIO!

Mapuordit, è un villaggio, che piano piano sta diventando una piccola cittadina situato a 75 km a sud-est di Rumbek, il centro più grande della regione dello LAKES STATE (Stato dei Laghi), uno dei dieci Stati che compongo il Sud Sudan. Lo Stato viene chiamato così perché sono presenti laghi e laghetti, stagni e acquitrigni. Proprio attorno a quelle zone i giovani portano a pascolare le migliaia di vacche e a cercare acqua nei momenti più secchi dell’anno. 
Come molti altri villaggi e città dinka e sud sudanesi, il nome Mapuordit ha un significato legato alla cosa più importante della cultura dinka: il bestiame. È il nome di un toro che è stato sacrificato in questo luogo agli antenati prima di insediarsi in questa area per avere la loro protezione. Il suo significato è: “grande Mapuor” cioè grande toro dal colore marrone e grigio.
Un villaggio rurale con tante capanne di paglia (tukul) costruite con estro tramandando la tecnica da una generazione all’altra. Tutte uguali e quasi sempre con la stessa forma. Per chi si immagina l’Africa del villaggio è proprio come ve lo immaginate. Ci sono circa 33.000 persone molte nel villaggio ma soprattutto in tutta l’area circostante chiamata Payam Mapuordit che comprende altri piccoli villaggi. Le cose più significative del villaggio sono gli uffici del Paramount Chief, cioè il capo del villaggio e sede giudiziaria, e dal Payam Administrator rappresentante dell’area per il governo del Sud Sudan, le due scuole con i loro grandi cortili, l’ospedale che è stato costruito lentamente negli ultimi 5 anni con i suoi padiglioni e reparti, il mercato circolare con negozi un po’ fatiscenti e con la stessa identica e poca merce in ogni negozio, il seminario diocesano con grande cortile, refettorio e casa degli educatori in muratura, capanne dormitorio-tukul come quelle della gente. Tantissimi alberi diversi, tanti alberi lulu e verde circondano il villaggio. Tanto verde nella stagione delle piogge ma con tanta calura durante tutto l’anno. Mentre vi scrivo siamo nel periodo più “freddo” ma sempre dai 20 ai 30 gradi tutti i giorni. Potete immaginare da gennaio in avanti, stagione secca!
Basta uscire dal villaggio e incamminarsi verso la foresta o campagna e incontri le varie persone nelle loro capanne e nei loro spaziosi cortili. Spesso proprio per la calura sia uomini che donne rimangono a torso o seno nudo e i bambini più piccoli completamente nudi, così come il Signore li ha creati. La povertà delle capanne e della vita quotidiana è visibile ad occhio nudo ma è una povertà dignitosa e più o meno allo stello livello per tutti. C’è una differenza in termini di povertà e sviluppo a volte abissale con il Kenya. Ciò che li sostiene sono le loro tradizioni e la solidarietà della famiglia e del clan che funziona ancora. I dinka sono molto tradizionalisti e ci tengono a mantenere i loro costumi e tradizioni! Anche per questo la modernità fa più fatica a penetrare in un tessuto sociale che resiste alle novità e anche all’educazione ma che cerca di resistere per mantenere sé stesso, per non rimanere intrappolato in un modernismo che porta ancor più povertà. Passeggiando di tanto in tanto in mezzo al villaggio e capanne mi tornano in mente ricordi di tanti volti e storie della gente di Korogocho, venuta dalle campagne con le loro famiglie con tante speranze e sogni ma che si sono ritrovate perdute negli artigli di una baraccopoli crudele che ha spezzato i legami famigliari e lasciato molto spesso i singoli a lottare da soli contro una povertà senza dignità! Senza cultura, legami, tradizioni e costumi da potersi aggrappare per sentirsi importanti con una propria identità e poter essere comunità. Non abbandonati a se stessi. Ma questa sarà anche per i sud sudanesi una realtà che purtroppo sarà più presente in futuro nelle città di Juba, Wau e altri più piccoli centri: le cittadine stanno crescendo in maniera esplosiva. La realtà del fenomeno dell’urbanizzazione in Africa che stanno sperimentando tutti i paesi africani lo sarà ancor di più qui in Sudan se permarrà la relativa pace di questo tempo durante e dopo il 2010 e 2011, anni cruciali e storici per questo popolo!
Mapuordit fu fondato nel 1993 durante la seconda guerra civile da missionari fuggiti con la gente dalla cittadina di Yirol a quasi 80 km di distanza. Yirol fu conquistata e distrutta dall'esercito governativo sudanese a fine 1991. Per motivi di sicurezza e per dare un futuro alla gente fu scelto un posto isolato nella foresta a 30 km all'interno dalla strada principale tra Yirol e Rumbek. Infatti Mapuordit è isolato ancora oggi dalle comunicazioni stradali, telefoniche, commerciali. Non c’è assolutamente elettricità come in gran parte del Sud Sudan. L’unica comunicazione che abbiamo con il “mondo esterno” è internet satellitare, usando l’energia dei pannelli solari, che una associazione italiana che si occupa di ospedali all’estero ha voluto offrire al nostro ospedale per rimanere sempre in rete per eventuali emergenze e comunicazioni.
Durante la guerra, la copertura degli alberi e la quasi impenetrabilità dell’area facilitò il nascondimento; gli arabi dell'esercito governativo non sarebbero potuti arrivare nemmeno con i bombardieri Antonov che bombardavano zone abitate. Il fondatore della missione fu un prete diocesano, Raphael Riel che è morto recentemene proprio nell’ospedale di Mapuordit dove ha voluto essere ricoverato da un’altra missione. Un altro segno di una storia che il Signore conduce!
I missionari che si sono susseguiti con la gente locale è sempre stata molto attiva nel resistere alle situazione difficili della guerra che durò fino al 2005 e praticamente anche alle difficoltà di ogni tipo che si potevano incontrare. Lentamente nel corso degli anni Mapuordit ha visto crescere attorno a sé un numero sempre maggiore di gente che si nascondeva dai soldati ma che cercava anche un segno di speranza per il loro futuro, specialmente i giovani. Così sono sorti negli anni una scuola primaria che dura 8 anni, una scuola secondaria di quattro anni con quasi 200 studenti, un dispensario per i malati che con l’arrivo di fratel Rosario Iannetti, medico comboniano diventò nel 2002 un ospedale che oggi ha una capienza di 100 posti letto con tantissime visite giornaliere, personale infermieristico locale e anche medici e infermieri dai paesi vicini come l’Uganda, Kenya, Tanzania ma anche dall’Italia e Slovacchia. Ultimo arrivato nel 2006 come presenza della missione e della diocesi cattolica locale è stato il seminario minore della diocesi di Rumbek; una quarantina di giovani seminaristi dinka suddivisi in quattro gruppi annuali che studiano nella locale scuola secondaria; per poi eventualmente andare a Khartoum per continuare gli studi di teologia prima di diventare prete diocesano. Il vescovo Cesare Mazzolari, nostro confratello comboniano, ha voluto assolutamente mettere il seminario a Mapuordit proprio perché c’era a quel tempo l’unica scuola secondaria della regione. Oggi se ne contano altre quattro in tutto lo Stato dei Laghi ma ancora troppo insufficienti per i bisogni della gioventù sud sudanese. Devi pensare che qui trovi ancora nelle scuole elementari giovani che possono avere dai 20 ai 30 anni magari già sposati con figli che condividono il banco (se c’è…) con ragazzini di molti anni inferiori. E così pure anche nella scuola secondaria.
C’è una fame di educazione!! E’ la chiave del futuro di questo paese e dei giovani. Un’immensa popolazione giovanile ma con poche risorse, strutture, personale preparato e qualificato per poter insegnare. D’altronde siamo usciti dalla guerra soltanto 5 anni fa. Il lavoro è immane e non finirà mai. I missionari che ci hanno preceduto hanno creduto sin dall’inizio a questa importante missione nel campo educativo fondando le due scuole e preparando i quadri del futuro. Infatti molti dei giovani istruiti che sono oggi in uffici governativi di questo Stato, sono usciti proprio da queste due scuole. Ma logicamente di scuole la missione ne ha oltre una ventina sparse in giro per il vasto territorio della parrocchia. Le chiamiamo satellite schools, scuole satelliti, perché portate avanti dalla comunità locale oppure dal governo in questi ultimi tempi. Si cerca di dare una mano con materiale didattico, sportivo e qualche consiglio. Come sempre le ragazze sono sempre svantaggiate rispetto ai loro coetanei per l’accesso alla scuola. Bisogna convincere i loro genitori dell’importanza dell’educazione anche per le ragazze. Non è facile perché ancora viviamo in una realtà che sta uscendo da poco da un profondo isolamento culturale, economico, sociale e geografico. Ma non ci abbattiamo e vediamo anche i risultati che sono stati già ottenuti….per il miglioramento c’è sempre tempo e spazio!!

 

MAPUORDIT: IL VILLAGGIO DEGLI ALBERI LULU!

E Mapuordit è piena anche di un albero comune in queste zone chiamato Lulu (Rak in dinka). Fa una bellissima ombra e anche frescura. Ma oltre a questi già importanti doni in queste torride terre, questo albero ci dona molto di più: frutta, olio e……scopritelo da voi!
Il frutto è una noce nilotica chiamata in arabo Lulu è sicuramente una grande risorsa naturale per i sudanesi. Cresce principalmente nelle savane che si estendono dal Senegal all’Etiopia. Qui nelle pianure alluvionali del Sud Sudan crescono naturalmente e abbondantemente migliaia di lulu. Questo albero in media non supera i 15 metri e si considera anche che possa vivere circa tra i 200 e i 300 anni. Ha bisogno tra i 15 e i 20 anni prima di fruttificare.
Nel Sud Sudan questo frutto è celebrato come una risorsa naturale vitale per la sua ricca e nutriente noce che diventa frutto e olio allo stesso tempo. I frutti molto dolci maturano esattamente nel periodo della stagione dove vengono meno i raccolti delle campagne e quindi bisognosa di cibo. Il valore economico delle noci del Lulu è molto alto perché provvede alle donne una possibile risorsa per la famiglia così come è stato durante tutto il periodo della guerra. In questi ultimi anni, dopo l’accordo di pace del 2005, alcune organizzazioni europee hanno scoperto le potenzialità di questo frutto-cibo. Infatti hanno cominciato ad organizzare alcune donne per la raccolta di questo frutto saporoso e molto produttivo. Si può produrre naturalmente un olio molto profumato, lozioni per capelli, saponi, creme per la pelle, balsami e tanto altro. Insomma si è scoperta una risorsa sicuramente migliore del petrolio….. Speriamo che a Mapuordit possa nascere qualcosa di nuovo da questo albero!!

ARRIVANDO A MAPUORDIT….

Sono arrivato a Mapuordit l’ultimo giorno di settembre. Il giorno successivo la comunità cristiana aveva organizzato il rosario missionario per celebrare il mese di ottobre, mese dedicato a Maria ma anche alle missioni. I miei confratelli e la comunità cristiana mi hanno accolto molto calorosamente e con affetto. Mi stavano aspettando da tempo. E sicuramente è stato una buona partenza e permanenza qui. Il rosario mariano era organizzato nelle capanne e cortili della gente stessa. Così ho avuto l’opportunità durante il mio primo mese e ogni giorno di poter conoscere i nostri cristiani direttamente a casa loro, con le loro famiglie e pregare insieme con la comunità cristiana. È stata davvero una bella esperienza missionaria. Per la prima volta anche gli stessi cristiani si sono coinvolti fino in fondo organizzando in maniera stupenda questa attività nelle loro case. Abbiamo terminato questo mese di ottobre con un momento di adorazione e festa finale dove tutti abbiamo ballato sotto un cielo stellato e una luna bellissima che ci invitava a sentirci davvero uniti e parte integranti di una creazione stupenda. Ho imparato a ballare alla “dinka style” visto che ero abituato a danzare alla Korogocho style dove avevamo tante etnie diverse con canti, danze e ritmi diversi.
Il mese di Ottobre è anche la festa di Daniele Comboni, esattamente il giorno 10. Quel giorno avevamo la presenza del nostro vescovo Cesare Mazzolari tra noi, dei battesimi, dare le consegne da parte della vecchia direttrice della scuola alla nuova arrivata, e anche l’accoglienza alle due suore giunte un paio di mesi prima e a me che ero arrivato da pochi giorni. È stato un momento di festa e il leader della comunità come si usa nella tradizione dinka e dei pastoralisti ha dato un nome dinka a ognuno di noi tre. Ora ho un nome in più da mettere in fondo al mio nome e cognome: CIEN. Cien è il secondo nome di una coppia di gemelli. Infatti il leader ha voluto dare il nome del primo gemello a suor Philippa che era arrivata prima di me: Ang’er che vuol dire primo gemello e poi CIEN cioè chi è uscito ultimo dal seno materno: CIEN. Come potete capire qui i nomi di tutti i bambini e persone vengono date in base agli eventi, situazioni belle o difficili che vive la famiglia o il popolo ma soprattutto vengono dati nomi del proprio bestiame. Ogni dinka ha il nome del suo bue o vacca e di nomi ce ne sono un’infinità perché ogni piccolo dettaglio, colore o difetto viene connotato nel nome che viene dato all’animale ma anche alla persona. Il giorno del Comboni celebrato qui in Sudan nella sua terra mi ha sorpreso davvero con tanta gioia. Ho visto come la gente non solo a Mapuordit ma in tante parti del Sudan riconosca e veda in quest’uomo venuto da lontano, il loro padre spirituale, un santo antenato da rispettare e venerare. Infatti era festa di precetto e quindi rispettata anche dai musulmani in altre parti del paese. Molte scuole in tutto il Sudan del Sud sono intitolate a lui. Sono stato molto contento di poter fare questa esperienza di una presenza così importante del suo spirito ancora in mezzo a noi. Un grande segno anche per me e per la mia nuova missione.Davvero continua a camminare in mezzo alla sua gente, sulla sua terra tanto amata dove è stato sepolto da qualche parte, nella terra deserta di Khartoum. Dopo la rivoluzione islamica non sappiamo più dove sia stato riposto perché la Mahdia aveva distrutto tutto ciò che era religioso. E’ proprio guardando al Comboni che voglio condividere con voi un passaggio di un libro scritto da Vittorino Andreoli. E’ uno psichiatra di fama internazionale che si dichiara non credente. Ho letto il libro con grande interesse che l’amico Roberto mi ha regalato prima di partire per questa terra:
Non posso entrare nella forza supplementare che deriva dalla consacrazione, ma so che se un sacerdote non ha raggiunto sul piano umano la convinzione della grandezza del bene e non ha sperimentato la gioia del bene, non potrà essere un buon sacerdote; al massimo farà la contabilizzazione del bene e del male.Se il bene diventa gioia allora lo si fa in maniera gioiosa e questa è una caratteristica che si farà epidemica perché ricevendo bene aumenta la voglia di farlo, mentre in situazioni di sopruso la voglia è solo quella della violenza che esplode dalla sommatoria delle frustrazioni e dall’aver subito ingiustamente.Che bello è potere fare bene senza una ragione, semplicemente perché è meraviglioso farlo. Ecco chi è il sacerdote; che prima di tutto è un uomo, un uomo vero.”

(Vittorino Andreoli, PRETI, ed. Piemme, 2009, p.93)
 

LA MIA NUOVA COMUNITA’……

Passando da Juba e poi arrivando a Mapuordit la sensazione che avevo parlando con i confratelli comboniani era che sarei rimasto qui non solo per studiare la lingua come mi era stato comunicato all’inizio ma anche per restare in questa missione. Non ho ancora ricevuto nulla di confermato dal mio provinciale che è rientrato da poco dal nostro Capitolo Generale dei Comboniani che si è svolto a Roma per un paio di mesi. Prima di Natale verrà in visita alla nostra comunità comboniana e capiremo meglio. Ma credo che ormai i giochi siano fatti. Cioè dopo aver studiato la lingua dinka rimarrò qui per sostenere la comunità. E qui ci mettiamo nelle mani del Signore come sempre!!
La mia nuova comunità comboniana è molto internazionale: 1 togolese, 1 sudanese, 1 mexicano, 1 portoghese e 2 italiani. La persona che conosco di più è certamente il mio compagno e amico di noviziato fratel Rosario Iannetti, il chirurgo che è il direttore dell’ospedale e che è un lavoratore accanito. Ma avremo tempo di raccontare di noi anche nelle prossime lettere agli amici. Gli altri, tutti più giovani di noi due, li conoscevo perché ci eravamo incontrati in vari meetings sia qui in sudan l’anno scorso ma anche a Nairobi. Padre Antoine è togolese ed è qui da ormai 4 anni e parla un buon dinka. Lui è parroco da qualche mese visto la partenza improvvisa del parroco precedente. Insegna anche religione nella scuola superiore. Fratel Andres, mexicano, e fratel Antonio, portoghese, sono due fratelli infermieri che operano anche loro all’intero dell’ospedale, nella farmacia e nell’amministrazione. Fratel Paul, sudanese, è qui per un periodo di pastorale per due anni ed è quasi al termine di questo tempo prima di rientrare al Centro Fratelli di Nairobi per continuare la sua formazione di base. Lui insegna varie materie alla scuola secondaria. Una comunità religiosa giovane impegnata, che cerca di rispondere ai vari bisogni del territorio in maniera anche professionale. C’è molto da fare nell’ambito della pastorale perché ho già notato alcune difficoltà e non molta gente alle celebrazioni e momenti formativi, sia qui in parrocchia centrale che anche nelle 20 cappelle lontane a volte molti kilometri e ore di viaggio dalla missione. Mi è capitato di andare insieme a qualche seminarista in un paio di cappelle esterne per celebrare di domenica l’eucaristia. A Mayom e anche a Donjic c’erano una ventina di persone in tutto. Moltissimi bambini piccoli, donne, giovani ma quasi nessun adulto maschio. Questa area territoriale di Rumbek e Mapuordit è una zona che l’amministrazione inglese coloniale all’inizio del 20° secolo assegnò alla Chiesa Protestante Anglicana mentre divise altre parti del Sud Sudan alla Chiesa Cattolica per evitare conflitti religiosi. E ancora oggi si nota questa netta divisione anche nelle presenze di entrambe le Chiese in queste divisioni storiche avvenute da parte del colonialismo ma anche per mancanza di ecumenismo tra le chiese stesse. Nella nostra zona sono pochi i cattolici e molti i protestanti che ora sono diventati chiesa locale protestante. Mentre nelle zone cattoliche, i cattolici sono la maggioranza con moltissimi catechisti e molto preparati. La storia ci insegna molto ma spero che qualche volta impariamo la lezione. Quindi la nostra realtà già difficile di per sé per varie ragioni vede questa presenza minima di fedeli cattolici anche perché è una zona di prima evangelizzazione o direi meglio anche di pre-evangelizzazione, cioè dove il Vangelo è ancora ai primi passi pur essendo qui in Sudan dai tempi del Comboni con tutti i travagli storici e di cambiamenti religiosi e politici che si sono susseguiti dopo la sua morte. Ma credo che il nostro compito sia quello di essere testimonianza evangelica umile, vera e concreta di servizio, preghiera, attenzione agli ultimi, promozione della donna e dei giovani, educare alla pace-giustizia-riconciliazione,solidarietà fraterna, dialogo ecumenico e anche interreligioso. Qui non esistono moschee o musulmani in questo villaggio proprio perché gli arabi, pur avendo in mano il commercio nelle città anche nel sud, è una grande minoranza nel sud sudan. Ma vi racconterò in altri momenti ciò che vivremo.
E poi ci sono le nostre vicine di casa, le suore di Maria Nostra Signora del Sacro Cuore. Una congregazione internazionale che opera in vari paesi ma la comunità presente qui di 6 persone (5 suore e 1 volontaria infermeria) è quasi tutta proveniente dall’Australia , Nuova Zelanda e dalla piccolissima isola di Kiribati sempre in Oceania. Tutte sono coinvolte nell’educazione nella scuola primaria, secondaria o nell’educazione degli adulti. Tutte suore molto donne, aperte e moderne nel pensare e nell’agire. Son qui dai tempi della seconda guerra civile e le due che all’inizio vennero qui avevano già a suo tempo 65 anni. L’inizio di una nuova missione e vita. Ora suor Mary la più anziana ha 81 anni e ha appena lasciato la scuola secondaria come direttrice ad una suora più giovane che è arrivata un paio di mesi prima di me. Suor Mary però ha deciso di rimanere qui a continuare la sua vita di missione e non di ritornare in Australia. Davvero un grande esempio per tutti noi e per la gente di Mapuordit che la ama molto. Molti giovani che oggi sanno parlare inglese e hanno ottenuto posti di riguardo nell’amministrazione governativa del sud sudan sono usciti da questa scuola dove suor Mary ha fatto davvero miracoli di ogni tipo, soprattutto pensando che erano tempi di guerra!!
Poi c’è la comunità missionaria degli Apostoli di Gesù che dirigono come educatori il seminario diocesano di Rumbek: padre Mark,sudanese, il rettore e fratel Felix, ugandese.
Insomma questo è il team di lavoro pastorale e missionario di questo villaggio sperduto nella foresta tropicale di Rumbek. Uomini e donne che cercano di fare del loro meglio per servire il Signore e la gente del Sudan nella buona e nella cattiva sorte come purtroppo è capitato durante il tempo della guerra civile durata troppi anni. E il futuro è nelle mani del Signore!

 

RILANCIAMO L’APPELLO……

All’inizio del mese missionario di Ottobre, con l’amico e confratello Rosario Iannetti, medico dell’ospedale di Mapuordit, abbiamo lanciato un paio di appelli:

  1. per volontari medici, infermieri e altro personale ospedaliero che volessero venire a prestare gratuitamente la loro opera per alcuni mesi al servizio della gente del Sud Sudan. Sicuramente un’esperienza forte di servizio ma soprattutto di vita, amicizia, spiritualità e solidarietà. Ma sento di invitare anche chi potrebbe fare altri servizi alla comunità come: insegnanti, elettricisti, muratori, falegnami e altre professioni. Ciò che si richiede magari è un conoscenza dell’inglese che aiuterebbe molto nel comunicare soprattutto con i giovani che sono la maggioranza. Ma anche per servire meglio.

  2. Per il sostentamento economico per un anno di una caposala-ostetrica per l’ospedale.

Ve lo rilancio ancora perché visitando l’Italia nel tempo in cui ero di passaggio ho incontrato tante persone che volevano mettere al servizio della gente in Africa la loro professionalità, tempo e sostegno economico. Ho sempre sostenuto che bisogna aiutare la gente locale qui in Africa a camminare con le loro gambe e quindi seguire il motto del mio fondatore Daniele Comboni: Salvare l’Africa con l’Africa! Ma ho anche sempre detto che l’Africa e gli africani sono sempre aperti a persone generose e desiderose di fare un’esperienza arricchente di vita e condividere al servizio della crescita dell’umanità, della propria professionalità, competenza ma soprattutto della propria umanità e spiritualità! Quindi benvenuti…..Karibuni sana!!
Volevo anche ringraziare ognuno di voi che nel corso di questo anno si è prodigato nel distribuire il mio libro: IL VANGELO NELLA DISCARICA! Il mio amico Gianluca Ferrara, editore delle Edizioni Creativa, mi ha comunicato che avete distribuito tutti insieme più di 1500 libri. Davvero un grande lavoro che avete fatto in grande solidarietà con me, la gente di Korogocho e la comunità che continua a camminare là. Infatti i proventi delle vendite sono stati mandati in varie riprese sia da voi che da me alla comunità di Korogocho per sostenere il progetto dei bambini di strada. Una grande benedizione per tutti!
Con Gianluca abbiamo intenzione agli inizi del prossimo anno 2010 di pubblicare un nuovo libro che riporta le varie riflessioni che ho scritto durante la mia permanenza in Terra Santa. Si intitolerà: GERUSALEMME: L’OMBELICO DEL MONDO! Spero che anche questo libro e solidarietà comunitaria possa aiutare in qualche progetto qui a Mapuordit. Vi farò sapere presto per quale realtà raccoglieremo i proventi della vendita del libro. Intanto vi ringrazio davvero di cuore a nome di tutta la gente di Koch e del Sudan! Anche perché sono convinto che mandare messaggi positivi e vitali alla nostra gente italiana è molto importante. E ciò che si può fare per animare coloro che cercano la vita vera, è sempre una grande benedizione che possiamo condividere con gli altri.



SIGNORE! COSA VUOI CHE IO FACCIA…..??

E’ la domanda che mi sto facendo molto spesso nella mia preghiera e nella mia meditazione da quando sono arrivato in questa terra promessa. È la famosa domanda che s. Francesco aveva fatto al Signore nel momento della sua conversione. Io umilmente la faccio per capire e saper discernere ciò che in questo tempo il Signore vuole da me! Ricordo che era anche la preghiera e l’invocazione che facevo ogni mattina al Signore soprattutto nei primi tempi della mia presenza a Korogocho. Questo particolare tempo lo sento molto pregnante di potenzialità e mistero che mi entusiasma e che allo stesso tempo intimidisce perché l’ignoto a volte lo si teme. Ma il Signore ci dice sempre: Non Temere! Ed è una delle cose più vere e reali che ho sperimentato diverse volte nella mia vita. Quindi con speranza e fiducia!
Non perché credo che il Signore mi dica ora che la cosa più importante per la mia vita sia il fare ma come riuscire a condividere in pienezza la mia vita, a entrare dentro nei cuori della gente, ad essere semplicemente testimone dell’Amore del Cristo, perché poi come missionari non veniamo qui in Africa ad annunciare noi stessi anzi…..! Chiedo umilmente al Signore di continuare a convertirmi alla Sua Presenza che già esiste qui in mezzo a questa gente con tutti i loro pregi e difetti. L’essere capace di cogliere lo Spirito della Vita che già lavora nascostamente nelle persone che già vivono qui ed imparare la Vita. E certamente anche nell’operare, nell’essere guidato nello scegliere che tipo di presenza essere come uomo e missionario che passa anche attraverso il fare ma ha la sua ragione nell’essere me stesso al servizio del Regno di Dio. Al proposito ho trovato un proverbio dinka che mi piace e ho imparato e che desidero che sia un po’ come una profezia per me e per la nostra presenza qui: Yin abi cil ci pul ke tiit piu ic. Che tradotto in italiano viene così: Crescerai forte e saggio come l’ albero del mogano se saprai ascoltare i consigli della gente! E io aggiungo anche dello Spirito Divino! Una miscela di umano e di divino che si trasforma per trasfigurare la realtà per una vita in dignità da figli di Dio e cittadini onorati di vivere in questo mondo. E’ logico che chiedo le vostre preghiere perché ne ho bisogno non soltanto per questo primo periodo di missione ma per sentire sempre questa rete di solidarietà divina che ci unisce al di là della lontanza. E condivido ancora con voi un altro brano molto profondo e bello di Vittorino Andreoli sulla preghiera che scritta da un non credente ha un valore ancora più grande e molto da insegnarci:
Sono convinto che quando ciascuno di noi – anche il sacerdote – chiede di essere aiutato a vivere il proprio ruolo o missione già prega, e lo faccia ogni volta che fa qualcosa che serva agli altri. La preghiera ha una forza straordinaria e non mi meraviglia che nel mondo sia ancora oggi la medicina più usata ed efficace, perché pregare significa credere, e credere in un qualcosa che è al di fuori di noi, serve a contenere i limiti dentro di noi.
La preghiera è il segno della propria umiltà. Ecco perché il credente prega sempre Dio, e il non credente prega il dio che non c’è o che non c’è ancora. Con maggiore forza deve pregare il sacerdote che il Dio ce l’ha. Dio bisogna sempre cercarlo, lo deve fare anche chi lo ha già trovato. E’ bellissimo vedere un prete con un libro di preghiera in mano. È un immagine che preferisco a quelle del prete con in mano l’ultimo romanzo o il trattato recente di sociologia.”
(Vittorino Andreoli, PRETI, ed. Piemme, 2009, p. 122)

 

VOLTI DI MAPUORDIT: ABRAHAM, DAVID, STEPHEN, JAMES…..

In questa prima lettera che vi scrivo da qui, voglio farvi conoscere alcuni dei volti di questo villaggio che condividono con noi questo cammino. E oggi voglio parlarvi di ABRAHAM, DAVID, STEPHEN, JAMES e……altri. Chi sono questi amici che guarda caso sono anche vicini di casa della missione? Sono una comunità di ciechi che vivono in capanne (tukul) costruite dai missionari che ci hanno preceduto a qualche metro dal cortile della missione. La chiamano Pan Cor, la zona dei ciechi. Sono una trentina compreso mogli e figli. Sono ciechi dalla nascita o diventati ciechi per mancanza di assistenza sanitaria. Ogni tanto nei pomeriggi vado a trovarli anche per parlare un po’ di dinka con loro. Così sono diventati anche loro i miei maestri di lingua dinka e lo fanno con tanta attenzione e passione. Quello che mi ha colpito in loro da quando sono arrivato, è la gioia e la semplicità che esprimono nell’incontrarti e nel danzare e cantare in ogni circostanza. Non si lasciano scappare nemmeno un evento del villaggio o della comunità cristiana. E ogni evento è danza e festa per loro. Cominciano a cantare tutti insieme e a danzare pur essendo ciechi ma con tanta disinvoltura e grazia. Credo che abbiano capito il vero significato della vita e dello stare insieme. I cosidetti semplici che Gesù un giorno ringraziava il Padre di aver rivelato a loro la Sua Presenza e non ai sapienti e agli intelligenti. Sembra strano ma non li trovi mai imbronciati o a piangere su se stessi per i loro problemi. Certo chiedono di essere aiutati con del cibo durante il mese perché non possono lavorare ma le mogli e i figli si danno da fare per cercare di sbarcare il lunario quotidiano. Tutti sono già diventati miei amici ma in particolare mi fa piacere incontrare Abraham, cieco dalla nascita e della sua voglia di vivere e di cantare. In chiesa è sempre in prima fila con tutti gli altri accompagnati a traino di bastoni dai loro figli o dalle loro mogli. Oppure li trovi per la strada, uno dietro l’altro come catena umana che camminano in fila indiana. Abraham ogni tanto in chiesa o mentre cammina per strada per festeggiare grida incessantemente: Gurukguruk! Gurukguruk!! Gli ho chiesto cosa voglia dire e mi ha spiegato che è il suono della grande campana del toro che viene applicata al suo collo quando il bestiame si deve muovere da un posto all’altro in cerca di pascoli. Sentendo la campana del toro leader del branco, tutte le vacche seguono in maniera ordinata e non si perderanno. Così Abraham si immagina Dio che con la sua voce grida Gurukgurk! Gurukguruk! per richiamare tutti i suoi figli. Davvero una bella fantasia e creatività legata a questo mondo rurale e animale.
E conclude sempre dicendo: Cin raan wer raandai, Nhialic yen awar koc eben. E di nuovo mi e ci dà ancora una grande lezione di fede: Non c’è nessuno più grande di un’altro. Soltanto Dio è il più grande di tutti!! Grazie Abraham!!
Beh questi sono i miei primi amici di Mapuordit e nelle prossime lettere vi racconterò di altri amici, uomini e donne che lottano per credere nella vita e in un Dio misterioso. Probabilmente vivrò il Natale con la comunità cristiana ma voglio viverla anche con gli amici ciechi e i lebbrosi del centro di Panamat che vivono ai margini del villaggio.Un gruppo di lebbrosi che oggi sono stati curati ma che ancora portano i segni di questo flagello che è passato sui loro corpi e sulle loro vite. Oggi dopo un cammino con la comunità cristiana e i missionari sono accolti e integrati con altri giovani che vivono nella stessa area e condividono con loro attività, preghiera, educazione e tanto altro. Ma vi racconterò in futuro.

 

E GESU’ BAMBINO E’ ANCORA QUI CON NOI….

Siamo ormai a metà dell’avvento e tra qualche giorno è Natale! Ricevete da me questo regalo di questa lettera che vuole portare un messaggio dal lontano Sudan di tanta gente che desidera ricevere Speranza di Vita Nuova, la possibilità e il diritto di vivere una vita dignitosa come tanti altri popoli del mondo. Ma per tanto, troppo tempo questa gente ha dovuto soffrire e vivere nascosta e lontana dalle loro case, famiglie e proprietà. Un Gesù bambino che ci insegna che Dio ama profondamente i deboli, gli emarginati, i poveri, i malati, coloro che nessuno ama. Ha voluto Lui stesso nascere povero, in una capanna fuori Betlemme e rifiutato da tutti. Solo i pastori, come i dinka, sono andati a trovarlo. Loro che erano considerati fuori dalle mura della società del tempo, gente infima alla quale non dare fiducia. Eppure il Figlio di Dio ha voluto farsi Buona Novella proprio sulle labbra e usando la voce di questi pastori itineranti. E la Storia di Salvezza si è compiuta……! Mai disprezzare chi consideriamo inferiore o marginalizzato perché è il Mistero di Dio che continua a ripetersi ogni giorno, ogni mese, ogni anno quando scopriamo gesti di vero Amore e Solidarietà tra noi. E Lui continua a nascere anche oggi tra noi, attraverso di noi e per noi! D’altronde si chiama “EMMANUELE….Dio con noi!”.

E sempre avanti con passione e fiducia come ci annuncia il profeta Isaia in questi giorni di Avvento: “Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corronno senza affannarsi, camminano senza stancarsi.” (Is 40, 29-31)

Davvero buon Natale a te e a tutte le persone a te care! E non dimentichiamoci che ci sono tanti Gesù Bambini che nascono quel giorno, e tutti i giorni nel mondo! E a Mapuordit……come a Korogocho!! Che l’anno prossimo 2010 sia per voi benevolo e pieno di benedizioni. Chiediamo la tua preghiera per noi perché il 2010 è un anno decisivo per il Sudan, per il suo futuro, per la sua gente! Che la Pace, la Giustizia e la Verità prevalga sempre! Nulla è impossibile a Dio!

Miet puou dit yan dhienh Banyda Yesu! Buon Natale!
Miet puou dit ruon yam!! felice anno nuovo!!

Un grande abbraccio fraterno a te!!
Daniele Cien
 

P.S. 1: PER CHI RICEVE LA LETTERA AGLI AMICI VIA POSTE ITALIANE: nel caso tu avessi un tuo indirizzo email mandalo al mio indirizzo email così che ti invierò le prossime lettere agli amici via posta elettronica. Risparmieremmo soldi e tempo!

 
P.S. 2: Per le comunicazioni telefoniche non abbiamo possibilità se non tramite skype con il nome: TUNAWEZA
 



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