giovaniemissione.it

"C'è qualcuno che mi guarda e accompagna i miei passi proprio come io faccio con le mie pecore"

Diario 2008 dal Sudan - p. Christian Carlassare

“La Pazienza é la piccola figlia della Speranza”
WALTER KASPER

In questi giorni, parlavo con p. Alberto Modonesi delle cose che stiamo vivendo a Fangak (Sudan). Ad un certo punto lui mi ha provocato: “Ricorda che le virtú del missionario sono quattro...” e subito ho reagito: “Quattro? E quali?”. “Ascolta: la prima é la pazienza. La seconda é la pazienza; la terza é ancora la pazienza. E la quarta, prova ad immaginare che cos’é? Sì, sì... é di nuovo la pazienza”. Come battuta non l’ho trovata troppo simpatica, ma mi ha fatto riflettere ed evocare qualche ricordo.
Uno dei tanti é il giorno della messa solenne a Piovene. P. Francesco Antonini era presente con molti altri missionari: quattro anni fa era ancora il provinciale dell’Italia. Ora sta lavorando in una parrocchia del Mozambico. É stata l’ultima volta che ci siamo incontrati e salutandoci mi ha detto: “Vedrai, Christian. In missione farai un bel allenamento di pazienza”. A me, sinceramente, sembrava di averne già avuta abbastanza di pazienza... e che la missione sarebbe stato un “finalmente”. Mi sbagliavo! Qui la pazienza é di casa e se qualcuno la perde é meglio che cambi indirizzo.
Quest’anno mi sono proposto di non valutare troppo la mia presenza a Fangak guardando ai frutti che sono sull’albero, pregustandone già la futura maturazione. Cerco di vivere tutto con gioia e semplicità, senza grosse pretese. É bello imparare ad accogliere la gente così com’é, così diversa da come potremmo desiderare. Quando condividiamo la vita semplice della gente impariamo ad apprezzarla; e vedendo come portano le croci della vita quotidiana con speranza, cominciamo anche a far esperienza di ció che la santità sia realmente.

“Chiedo al Signore che vi faccia forti della forza che viene da Gesú risorto,
perché siate in grado di portare tutto con Pazienza”
PAOLO Col 1,11

Luglio 2008

LA MEGLIO GIOVENTU’
Il cinque del mese sono partito per un viaggio che mi ha portato a visitare sei centri e alcune cappelle della parrocchia. Fa parte di un programma di visite annuale. Sono partito a piedi come sempre, con il mio zaino in spalla e alcune idee per la testa.
Questa volta sette persone mi hanno accompagnato per una settimana nel cammino di cappella in cappella: quattro ragazzi e tre ragazze tutti sui quattordici anni. Abbiamo condiviso molto e abbiamo fatto una bella esperienza dello stare insieme. Si sono resi disponibili in molti servizi: attingere l’acqua al fiume, preparare il cibo. Hanno insegnato nuovi canti ai loro coetanei e hanno condotto il coro durante le nostre celebrazioni. Mi hanno accompagnato anche di capanna in capanna per la benedizione delle famiglie. Hanno fatto tutto con entusiasmo come é proprio dei giovani. Ci sono stati anche parecchi litigi fra di loro. Ogni altro giorno alcuni adulti mi hanno consigliato di rimandarli a Fangak dalle loro famiglie. Nonostante questo ho ritenuto importante tenerli uniti e spesso ho dovuto richiamarli e chiedere loro di fare pace. Ricordo la pazienza di Peter Booth: ha imparato a perdonare le provocazioni di John Papa. Ricordo anche i lacrimoni di Caterina Nyayang offesa dalle parole poco delicate di Roda Nyantiek. E, dopo un po’ di vergogna per la sua reazione, ha accettato di continuare il cammino con il gruppo. Tutto ció mi ha fatto ricordare i tempi della mia adolescenza: quanti contrasti con i miei coetanei. Forse molti si sarebbero potuti evitare, ma tutti sono stati importanti per la nostra crescita. Quindi, anche ora, conto molto su questi giovani. Spero proprio che si sentano sfidati a vivere vite veramente cristiane. Saranno loro a portare l’annuncio di Gesú a tutti. Voglio proprio lavorare per una Chiesa che, con l’aiuto della nostra presenza, si evangelizzi dal di dentro, a partire dalle proprie risorse.

UN TÉ SPECIALE
Diang Diang é un villaggio a un’ora di cammino da Fangak. C’é una comunità cristiana piuttosto numerosa ma senza catechista. Ho impiegato due giorni per visitare parte delle famiglie. Un giorno, dopo la messa, John Jock mi ha invitato a casa sua per un té. Mi ha mostrato la stalla in costruzione, il campo dove ha seminato da poco il sorgo, la capanna di Elizabeth, sua moglie, e del figlioletto Lam, con Roda Nyaciot, la nipotina di John, una bambina di sei anni che ora fa da bambinaia al piccolo Lam. Roda é una bambina molto graziosa e mi meraviglia vedere l’attenzione con cui segue il cuginetto. Mi ha fatto piacere vedere questo bel posticino, ordinato e pulito, che dà il senso di una famiglia unita. Nella cultura Nuer raramente l’uomo vive con la propria moglie e figli, spesso ha un suo posto separato e passa a vedere la famiglia in caso di necessitá. Sono molto contento per John Jock. Ha aspettato molto a sposarsi perché non aveva vacche a sufficienza. Ora é ormai quarantacinquenne e ha trovato una ragazza in gamba, seria ed attenta. Elizabeth é diciottenne; sembra che si stiano “capendo” bene e che vogliano formare una famiglia diversa: una famiglia cristiana. Elizabeth ci ha servito il té. Lo abbiamo trovato delizioso. Aveva un sapore diverso: strano ma allo stesso tempo buono. Gli arabi hanno molti tipi di té arricchiti da una grande varietá di spezie. Ho pensato che questo era il caso. Subito dopo il té, le nuvole si sono addensate e si son fatte minacciose. Ci siamo salutati e mi sono diretto verso la capanna dove ero ospitato.
Il mattino seguente John mi porta un termos di té simile a quello del giorno precedente: “A proposito del té. Ti é piaciuto, vero? Le foglie di té erano finite. Elizabeth lo ha preparato come sa lei, arrostendo lo zucchero al fuoco”.

UNA RIVOLUZIONE DI MENTALITA’
A Diang Diang abbiamo avuto anche il battesimo di un numeroso gruppo di bambini. Un giovane uomo, Wilson Gay, ha preparato per il sacramento e forse potrá diventare il catechista di questa cappella. Lo era giá, ma era stato sospeso per pigrizia nel suo servizio e continui contrasti con padre Antonio e altri catechisti.
Fra tutti i bambini presentati al battesimo, anche un bambino disabile. Fra i Nuer non si vedono molti bambini disabili. La vita é piuttosto dura e se la persona non é piú che forte non resiste a lungo. Qualche malattia se la porta via in fretta.
I nostri vicini, gli Schilluk, preparano una cesta di vimini. Depongono il bambino disabile nella cesta con un pó di cibo. Legano una capra alla cesta e affidano tutto al fiume, il Nilo.
I Nuer sono rispettosi: finché c’é vita lasciano vivere. Danno la loro parte di cibo, puliscono (un pochettino)... ma non provvedono grandi cure: se il corpo si indebolisce per qualche malattia lasciano che il bambino vada.
Nyadeey Tut ha fatto un grande passo: ha chiesto che il suo bambino sia battezzato. Ha riconosciuto la dignitá del suo bambino disabile, il suo diritto alla vita e si é impegnata ad aiutarlo perché viva. Ha anche sofferto molto per questa situazione. E’ poco piú di ventenne. Joseph Tut é il suo primo bambino. Disabile. I Nuer hanno la credenza che se il bambino muore al momento del parto, o nelle prime settimane, é perché é figlio di un adulterio. La disabilitá, invece, é causata da un peccato della mamma durante la gravidanza. Sono quasi certo che, dopo il parto, Nyadeey se le sia prese, almeno dal marito. Suo marito, Booth Koang, era un soldato. Due mesi fa si é sparato mentre era in servizio a Juba. Ora, é la quarta moglie di un nostro ex catechista: Samuel Noay. Un uomo intelligente: sicuramente un miglior partito. Lui stesso ha fatto maturare l’idea di battezzare anche questo bambino: non é figlio del peccato, ma anche lui del Signore. Nyadeey era raggiante di gioia durante il battesimo del figlio.
 
GLI ULTIMI DEGLI ULTIMI
Mi sono fatto l’idea che, in passato, molti Nuer hanno deciso di diventare catechisti anche con l’intenzione di evitare di essere presi come soldati. L’SPLA infatti era assetato di nuove reclute, ma ha rispettato chi era incaricato di una chiesa e ha permesso ai nostri catechisti di continuare il loro servizio. Una scappatoia da morte quasi certa, insomma. Questo spiega, almeno in parte, la ragione per cui durante il conflitto avevamo catechisti a centinaia, ma ora con la pace, si sono ridotti a poco piú di una cinquantina.
Durante la mia visita a Kuerkueak, John Koak, un giovane catechista di 27 anni, mi ha posto il problema in maniera diversa. Mi ha detto: “Ho rinunciato ad andare soldato per essere catechista! Ora i miei amici di un tempo che invece sono andati soldati, hanno imparato un pó di inglese, hanno avuto la possibilitá di fare qualche anno di elementari e ora sono alle redini dell’amministrazione locale. Adesso, aiutaci! Fá qualcosa perché noi catechisti non finiamo ad essere proprio gli ultimi degli ultimi”.
Ho pensato che in fondo ha proprio ragione. Quelli che sono andati a combattere e sono sopravvissuti ora hanno in mano tutto: gli unici a essersi arricchiti. I ragazzi, magari solo quindicenni, che erano stati arruolati dall’SPLA e hanno avuto un pó di scuola nei campi di addestramento, ora sono i nostri politici ed amministratori. I catechisti sono rimasti alle loro vacche, ai campi e a dover pensare quotidianamente (o quasi) a procurare il cibo per la famiglia.

CAMBIARE LA CULTURA O CAMBIARE IL CRISTIANESIMO?
A Nyanené mi sono trovato a dover fare i conti con una situazione culturale un pó difficile per noi cristiani. James Kiir, il catechista trentenne del posto, si é sposato due anni fa e ha giá un bellissimo bambino. Ma da tre anni a questa parte ha giá dato due figli a suo padre con l’ultima giovane moglie del padre. Qualche catechista mi ha fatto notare il problema, ma per molto tempo la situazione era stata coperta dal silenzio. La gente della cappella non sembra abbia neanche avvertito il problema, ha ritenuto tutto normale. Non so quanto la cultura incida sul nostro modo di vivere il cristianesimo. Non so se siano pensabili diversi modelli di cristianesimo secondo le diverse culture. La chiesa presbiteriana presente a Fangak é arrivata ad accettare molte situazioni culturali, come anche la poligamia. Questa situazione di James Kiir é vista come un dovere verso la famiglia.
Qualche mese fa una giovane americana che lavorava per una ONG chiamata “Carter Centre”, vedendo che molte famiglie, nonostante siano cristiane, continuano a vivere in una situazione di poligamia, mi ha chiesto quale sia l’insegnamento della Chiesa Cattolica fra i Nuer. É facile dare una risposta banale. Io mi son preso del tempo dicendo che la risposta é piuttosto complessa. É necessario riscoprire ció che é essenziale nell’insegnamento di Gesú. Ed é altrettanto importante che ogni persona si lasci interpellare dalla novità di Gesú nella propria vita concreta e sia capace di elevarsi oltre i propri orizzonti culturali pur senza farne del tutto a meno.

SONO I PIU’ PICCOLI A SORPRENDERCI
Sono arrivato a Paguir, una zona molto vasta con una popolazione molto numerosa. Purtroppo la partecipazione della gente é molto bassa, nonostante il catechista Simon Gawgaw sia fedelissimo alla preghiera domenicale. Abbiamo avuto una cinquantina di persone alla messa. E sorpresa: una bambina di otto anni, mentre ha avuto l’opportunitá di trascorrere qualche settimana a Fangak, ha imparato i nuovi canti e le nuove danze. Una volta di ritorno a Paguir, di sua iniziativa, ha insegnato alle sue amiche ció che aveva imparato. Sono proprio i piccoli a sorprenderci: a volte viene da loro ció che ci saremmo aspettati dai grandi.

QUANDO GIOIA DIVENTA TRISTEZZA
Sono arrivato a Jiaath. Moses Macar mi ha invitato a pregare a casa sua dicendomi: “C’é una cosa che mi é accaduta”. Poi, vengo a sapere che Teeth Loac, il suo bambino di cinque anni, é morto improvvisamente. Era a casa della nonna. Gli é venuta la febbre. E dopo un paio di giorni senza medicine, gli é salita troppo finché é spirato. Sono rimasto male perché conoscevo bene Teeth Loac, un bambinetto vivace il cui nome significa GIOIA. Durante la preghiera ho cercato di essere molto delicato per non aumentare la tristezza del momento. Ma, da subito, la mamma Angelina mi ha sorpreso per il suo sorriso e la sua serenitá. Per un momento ho pensato: sono cosí rassegnati a perdere qualche figlio che sono anche tremendamente forti quando accade. Ma in realtá credo proprio che questa gente trova davvero conforto nella fede: una fede semplice ma vera.
Alla fine della preghiera, Angelina mi ha rivelato che Teeth Loac é il secondo figlio che le muore: la figlia primogenita le é morta ancora neonata circa sei anni fa. Ora le rimangono Isaac Gatluaak di tre anni e Nyaleak di uno.

IL MIO CENACOLO
Arrivato a Kuerwuay ho trovato che il catechista John Nyuon é diventato un mercante e non puó piú fare molto come catechista. Doveva preparare per il mio arrivo ma era assente, nessuno era stato avvisato. Ho pregato la messa con dodici bambini sotto i sette anni e una ragazza quindicenne. Ho posto loro tre domande molto semplici ma che li hanno lasciati muti: Conoscete il mio nome? Perché sono arrivato da voi? Cosa sapete di Gesú?
Le mie parole sono state d’incoraggiamento, soprattutto per i bambini, ma, in realtà, io stesso, in fondo al cuore, ne avevo proprio bisogno. Nelle ultime cinque cappelle non ho trovato un catechista che sia in grado di condurre la comunitá cristiana e garantire la preghiera domenicale. A Thiangediar, la Domenica, i cattolici vanno a pregare nella chiesa presbiteriana. Li ho incoraggiati a continuare nella speranza che un giorno abbiano un buon catechista.{mospagebreak}

Agosto 2008   ...il viaggio continua

BACCHETTATE INUTILI
Il battesimo di adulti e ragazzi giá cresciuti va celebrato dopo un catecumenato quotidiano di circa sei mesi. Ma quasi tutti i catechisti sono scoraggiati e nemmeno tentano. Ora abbiamo solo due catecumenati di questo tipo: uno a Fangak e uno a Leerpiny. Per il battesimo dei neonati abbiamo raggiunto l’accordo con i catechisti: devono conoscere bene le famiglie dei battezzandi, le famiglie devono partecipare alla preghiera domenicale con costanza, i catechisti devono registrare i nomi dei battezzandi e organizzare qualche incontro di insegnamento per i genitori.
A Keew, nulla di fatto. Il giovane catechista John Gay non é riuscito neanche a scrivere i nomi dei battezzandi. Sapendo che posso raggiungere Keew solo una volta all’anno, Peter Lual ha pregato le mamme di venire in mattinata per registrare i nomi dei loro bambini e celebrare il battesimo. Alle 14:00 ancora nessuno. Abbiamo deciso di andare ad aspettare nel posto designato per la preghiera e iniziare con qualche canto. Chissá che qualcuno si faccia vivo. Cosí facendo le mamme hanno iniziato a venire e man mano che arrivavano Peter Lual faceva loro un esame semplicissimo (del genere: fà il segno di croce, recita il Padre nostro...) e registrava i nomi dei loro bambini.
In realtá, Peter Lual era un pochettino scaldato per la figura che stavano facendo in fronte  a me. L’ho capito perché era piú silenzioso del solito e piuttosto asciutto nel parlare. Al canto d’inizio, arriva un’altra mamma. Vuole che anche il suo bambino sia battezzato. Peter Lual la chiama in fronte e, arrabbiato, la bacchetta sulle mani. Le dice: “Proprio tu hai tardato cosí tanto, se volevi il battesimo per tuo figlio perché non sei venuta prima”. Lei é rimasta muta. Poi Peter Lual, per la sua grande bontá, ha accettato che anche questo ultimo bambino sia battezzato.
Alla fine della celebrazione siamo tornati nella mia capanna: abbiamo trovato il pranzo che la mamma ritardataria aveva preparato per noi.

RITROVAMENTO DI GESU’ AL TEMPIO
Al mattino presto prego sempre il rosario con la gente. E’ una preghiera semplice e piace. Al quinto mistero Peter Lual interviene innaspettatamente: “Voglio dirvi due parole a proposito di questo mistero. Maria e Giuseppe sono preoccupati perché credono che Gesú si sia perso. In realtá sta facendo la volontá del Padre. Preghiamo per i genitori di padre Christian perché non siano confusi come Maria e Giuseppe: non pensino che si sia perso. No, é qui con noi per compiere l’opera del Signore”. Sono rimasto sorpreso ed ammirato per il pensiero.

UNA FAMIGLIA AMICA
A Leerpiny sono stato ospite di Peter Juor e Roda Nyareak. É bello stare con loro perché a casa loro si respira un bel clima. Peter é il catechista di Leerpiny e ha trentaquattro anni. Roda é la figlia di Peter Lual, il “vecchio” catechista che pur tenendo le redini ha dato man libera a Peter Juor di condurre la comunità cristiana e insegnare il catechismo. Lei ha ventiquattro anni e hanno un bel bambino: Cherubino, di quasi tre anni. In tutta la parrocchia abbiamo solo una ventina di coppie sposate in chiesa. Peter e Roda sono gli unici ad aver ricevuto il sacramento fin da subito aver iniziato la loro vita di coppia. Le altre coppie hanno chiesto il matrimonio dopo vari anni di vita insieme. Peter é molto impegnato come catechista. Oltre ad insegnare a Leerpiny si é preso l’impegno di andare ad insegnare il catechismo anche in altre cappelle dove il catechista non é in grado di farlo. In questo mese di Agosto, come nei mesi precedenti, Peter si é dato un gran da fare nel lavoro del campo. Ha piantato una grande estensione di sorgo e richede un gran lavoro di zappatura. Se tutto andrà bene avranno sorgo a sufficenza per coprire tutto l’anno.

SEGNO DI SPERANZA
Questo é il nome dell’organizzazione tedesca che anche quest’anno ci ha dato il suo supporto. Due anni fa ci ha mandato il materiale, legno e zinchi, per costruire quattro classi a Fangak e quattro a Dhoreak, con libri di testo, quaderni e penne. Quest’anno ha offerto lo stesso materiale per costruire delle classi anche a Leerpiny.
Siamo convinti della grande necessità che i bambini Nuer della nostra regione possano andare a scuola. Saranno loro a promuovere in futuro la crescita di questa società. Ma siamo anche coscienti che grosse strutture non funzionano perché non sostenibili dalla gente. La crescita deve venire progressivamente: fare il passo piú lungo della gamba é pericoloso e dannoso. Quindi promuoviamo piccole scuolette realizzate e sostenute dalla gente. Offriamo il materiale indispensabile. La gente del centro si organizza e offre il lavoro volontario. Costruisce le classi di fango e pali di legni e poi copre con gli zinchi. Il centro ha un comitato responsabile di seguire i maestri e le attività della scuoletta. Raccoglie i soldi dell’iscrizione, chiede altri contributi volontari (c’é sempre qualcuno disponibile ad offrire una capra) e offre un incentivo ai maestri. Una scuoletta autogestita insomma. Certo, l’insegnamento é un pó povero... diciamo che é proprio povero. I maestri avrebbero bisogno di andare a scuola loro stessi. Sono giovani che sono arrivati appena alla quarta o quinta elementare e ora offrono il loro tempo per condividere quello che hanno imparato. A Fangak stiamo pensando di offrire un corso per maestri (teacher training) perché possano migliorare il loro inglese e imparare un pó di metodo. Padre Alberto inizierà in ottobre un corso di due mesi con un gruppo di dodici maestri.

L’ELEFANTE, IL FUCILE E L’AMICO
Il 16 del mese tornando a Fangak da Leerpiny, dopo aver celebrato l’Assunta, festa di quel centro, abbiamo sentito che un elefante é arrivato a Fangak. Cosa piuttosto insolita perché gli elefanti sono lontani nei territori dove non ci sono villaggi. E mi é sembrato strano pensare che un elefante sia uscito dal gruppo. Abbiamo anche sentito che alcuni soldati sono stati mandati per abbattere l’animale e che uno di loro é rimasto ucciso.
Cammin facendo abbiamo incrociato altri viandanti che hanno aggiunto altri particolari della vicenda. Abbiamo, quindi, saputo che Isaac Bol, il responsabile del comitato finanziario del nostro centro di Fangak, é in prigione per aver ammazzato il soldato in questione. Arrivato a Fangak ho avuto il resoconto completo. L’elefante é arrivato a Fangak. Si é rifugiato fra le alte erbe vicino al fiume. Le autorità locali hanno mandato un gruppo di soldati per abbatterlo. Erano preoccupati che potesse entrare nei campi e rovinare le coltivazioni e che potesse costituire una minaccia per la popolazione. Ma erano anche interessati a venderne la carne e le preziose zanne. Mentre i soldati si avvicinavano alla preda, Bol é salito su un albero e alla distanza di almeno 150 metri ha cominciato a sparare. Alcune persone lo hanno intimidato a fermarsi: “Ci sono delle persone nelle erbe vicine all’elefante”, gli hanno gridato. Lui ha risposto che le vedeva e ha continuato a sparare. Ha sparato non piú di cinque colpi. É riuscito a colpire non solo l’elefante ma anche la gamba di uno dei soldati che é morto dissanguato poco dopo essere stato trasposrtato alla clinica. Aveva infatti preso proprio l’arteria. I parenti si sono dati subito alla caccia del responsabile. La polizia lo ha trovato al mercato con altri amici e lo ha messo al sicuro in prigione.
Una storia triste che fà rabbia per tanta incoscienza. Ma é stato straordinario vedere Peter Koot, catechista di Fangak, amico di Bol e parente della vittima, che ha mediato tra le parti per evitare il peggio. Mi ha detto: “Per ora la prigione é l’unico posto sicuro per Bol. Almeno fino a quando saranno date le vacche”. Intendeva le vacche per ripagare il misfatto. Si tratta di una cinquantina di vacche. Allora i cuori saranno placati.

ANDANDO ALL’ASSEMBLEA DIOCESANA
Il 17 sono ripartito subito per l’assemblea diocesana. Sono andato con quattro catechisti: Peter Lual, Moses Gatjang, John Jock, Peter Gatkuoth. É la prima volta che i catechisti della nostra parrocchia partecipano a un’assemblea diocesana. A causa della guerra, per molti anni, la nostra parrocchia e quella di Leer, dove ci sono altri quattro comboniani, non potevano essere raggiunte dalla diocesi. I cristiani si sono organizzati autonomamente fino all’arrivo dei missionari. Ora é il tempo in cui la diocesi cominci a conoscere e riconoscere la chiesa che é venuta a formarsi nella vasta area dei Nuer. É il tempo anche in cui i nostri catechisti e cristiani devono cominciare a lavorare in unione e sintonia con la chiesa locale: il vescovo e la diocesi. Nell’incontro sono emerse molte problematiche: cosa naturale per una diocesi cosí giovane, vasta e complessa. Una diocesi con cosí poco personale: una dozzina di preti diocesani compreso il vescovo che servono solo quattro parrocchie. Due parrocchie sono servite da noi comboniani e una dai missionari di Mill Hill, un istituto di fondazione inglese. Non ho percepito una seria valutazione delle cause e una riflessione sulle priorità: obiettivi della diocesi e scelte mirate. Sembra che ci si accontenti di fare un pó quel che si puó. E l’unica vera preoccupazione sembra proprio essere il problema finanziario: problema che dovrebbe essere considerato senza dimenticare le grosse sfide pastorali e la mancanza di un programma di lavoro unitario.
Con l’assemblea ho potuto anche riposare un pó e fare qualche spesa per la comunità approfittando del fatto che a Malakal si trova pasta, riso e molti altri prodotti che non sono ancora arrivati a Fangak. A Malakal ho potuto incontrare ancora Amhed, il custode della casetta della diocesi dove noi comboniani siamo ospitati. Quest’uomo mi ha sempre sorpreso per la sua semplicità e devozione. In quei giorni padre Alberto é arrivato dall’Italia dopo tre mesi di cure. Lui stesso mi ha rivelato che Ahmed appartiene a una confraternita di sufi. Si propongono di unire il loro animo a Dio attraverso una vita buona, onesta e discreta, una vita compassionevole verso gli altri ed esercizi costanti di preghiera per mettersi sempre alla presenza di Dio.{mospagebreak}

Settembre 2008

SCUOLA DI CATECHISTI
Ventitre catechisti sono venuti a Fangak per quattro settimane di corso. Abbiamo avuto sei materie: inglese, bibbia, metodologia e pratica dell’insegnamento del catechismo (abbiamo presentato loro la prima parte della serie di lezioni che stiamo compilando), Islam, forme di preghiera personale e comunitaria, educazione alla salute (igiene, alcoolismo e AIDS). É stato un momento importante di dialogo e crescita. L’insegnamento stesso é diventato molto piú serio ed esigente dei corsi precedenti. Alla fine di ogni settimana abbiamo avuto un test per valutare la comprensione di ognuno e alla fine del corso un esame in ogni materia. Ognuno ha cercato di dare il suo meglio ma, per molti, questi corsi sono la loro prima esperienza da studenti. Ho notato che fanno molta fatica a mettersi nella disposizione di imparare. Nonostante si ripetano le stesse semplici cose, non entrano. Mancano le basi e il metodo. Cosí, in realtà, solo metà di loro ha ottenuto risultati veramente soddisfacenti.
Credo proprio che il nostro sforzo deve concentrarsi ad aiutare queste persone che sono le guide delle nostre comunità. Se le guide sono cieche: dove andranno a finire le nostre comunità cristiane? Predicare il Vangelo non servirà a molto se le guide sono impostate su ben altre logiche.

DOTTOR JILL E LA SUA IMPRESA
Il 26 del mese Jill é arrivata puntuale come sempre ai suoi sei mesi di servizio medico in Sudan, e piú precisamente a Fangak. Sembra proprio che ormai Fangak sia casa sua piú che la sua Alaska. I prossimi sei mesi saranno per lei molto impegnativi. Vista la grande necessità di un servizio sanitario piú decente, ha preso l’iniziativa di realizzare alcune nuove costruzioni che ospiteranno una clinica diretta da lei. Ci dovrebbe essere anche il contributo del governo, ma per ora sembra del tutto assente, preoccupato da molti altri problemi. Noi missionari abbiamo deciso di sostenerla anche in modo concreto. Al cospicuo fondo che ha raccolto in USA abbiamo partecipato con una somma di denaro che le permetterà di realizzare alcune costruzioni in materiale prefabbricato. La preoccupazione piú grossa di Jill non é la costruzione ma la conduzione del progetto. Fino ad ora non ha un grosso supporto logistico se non una dottoressa dell’Olanda che le tiene i conti e le fa lcune commissioni, tutto via internet o telefono. Per lei la sola vera preoccupazione é stare tutto il giorno, e talvolta anche la notte, a disposizione della gente. Quello che la spinge é un grande senso umano della dignità della persona, il desiderio di combattere tutto ció che la degrada, alleviare le sue sofferenze e rendere la sua esistenza un pó migliore: piú felice e serena. Per far questo non solo non é pagata ma usa anche i suoi stessi soldi guadagnati nei sei mesi di lavoro in Alaska.
Contrapposto alla bellezza del dono di Jill, l’atteggiamento della COSV, l’organizzazione che doveva prendersi cura dell’aspetto sanitario di questa regione fino alla sua espulsione avvenuta nel maggio scorso. Si sono appellati al governo per la dura decisione del questore: erano infatti minacciati di perdere i fondi anche per altri due progetti in Sud Sudan: Nyal e Ayod. Il governo ha mandato una commissione per verificare l’operato della COSV a Fangak. La commissione ha confermato che la COSV non ha portato a termine progetti di cui ha ricevuto i fondi. E, aggravante, ha dato anche falsi resoconti. Hanno riportato di aver realizzato gabinetti, di aver fornito la clinica di acqua potabile, di aver provveduto la clinica di un reparto maternità, di aver realizzato un adeguato riparo per la cucina dei degenti: niente di tutto questo. Un vero buco nell’acqua. Jill ci ha detto anche di programmi mai implementati come le vaccinazioni dei bambini, o non portati avanti con la dovuta serietà come il programma di prevenzione e cura della tubercolosi.
Ci siamo proprio fatti l’idea che dietro a queste organizzazioni, come tuttavia molte altre, ci sono alcune persone (e in questo caso italiani) che con lo slogan dell’aiuto umanitario e la cooperazione allo sviluppo ci mangiano da signori. E pensare che il governo italiano affida la sua piccola percentuale destinata alla cooperazione internaziole proprio a queste organizzazioni! Chiamatela mafia, se volete. Mangia te che mangio anch’io.{mospagebreak}

Ottobre 2008

DUEL GORA BUME
Per il 10 Ottobre, giorno di san Daniele Comboni, abbiamo organizzato una competizione di canto e ballo fra i cori dei centri della parrocchia. Abbiamo dodici centri: solo cinque sono stati in grado di venire a competere. Primi e secondi, ovviamente Fangak e Leerpiny: i due centri di gran lunga piú attivi. Terzi e quarti: Paguir e Dhoreak. Quindi, Wanglel.
Alcuni giovani hanno presentato una scenetta molto divertente dal titolo: “Duel gora bume”, letteralmente ‘la scuola é difficile’. Difficile? É difficile andarci. Ancora oggi, nonostante la pace, non c’é una scuola, nel vero senso del termine, in tutta la regione. Solo qualche tentativo sotto la pianta con insegnanti non qualificati e non pagati, seguendo il programma di prima, seconda, terza e qualche volta quarta elementare. Nella scenetta, i giovani hanno presentato la difficoltà della famiglia per mandare un figlio a scuola. Hanno dovuto lavorare sodo e rinunciare a molte cose e a qualche vacca per mettere i soldi da parte e pagare gli studi del figlio. Hanno anche evidenziato la difficile mentalità della gente: dopo due o tre anni di scuola si aspettano che il figlio sia già “un laureato” e che porti a casa ricchezze. Cosí, dopo un paio di anni di scuola, quel figlio ha dovuto spenedere tutti i suoi risparmi per tornare a casa con un automobile per mostrare a tutti che ora é “un educato”. E la famiglia non ha fatto altro che accogliere la nuova automobile come ricompensa per i loro sacrifici. In realtà non c’é stato nessun progresso, tutti sono rimasti poveri come prima.

MARTE E MARIE
Il 22 del mese sono partito con Gordon Dak per Dhoreak. Il cammino é stato buono. Ci sono state tre paludi da attraversare con l’acqua alle coscie. Per lunghi tratti l’erba era piú alta di noi e il sentiero molto stretto. A mezzogiorno il sole si é fatto forte. Alle due e mezzo eccoci a Dhoreak: abbastanza cotti.
Un gruppo di gente mi ha dato il benvenuto, mi hanno offerto una sedia sotto l’ombra di un bell’albero. Poi, gli uomini si sono seduti per terra tutti intorno a me. Mi hanno chiesto di Fangak, di uno e dell’altro, poi si sono distratti nel raccontrarsi degli ultimi avvenimenti. Fra tutti quello che ha tenuto banco é stato a proposito di un gruppo di iene che hanno fatto razzia di capre qualche giorno prima.
Le donne, a differenza degli uomini, si sono subito date da fare. Sono andate a prendere l’acqua: un pó per bere e un pó per lavarmi i piedi. Dopo un pó é arrivato anche il té e poi il cibo: una buona polenta con il latte.
Capisco Gesú: ha trovato una bella soddisfazione nel sedersi e discorrere con il suo gruppetto di discepoli dopo il viaggio. E Maria era pienemanete integrata nel gruppo dei suoi discepoli. Ma, sinceramente, io ho apprezzato di piú le Marta che si son date da fare per farmi trovare ristoro dopo la fatica del viaggio.

CHI DORME NON PIGLIA PESCI
Lo scorso anno la mietitura é stata molto scarsa per tutti. In questo periodo molte famiglie stavano già vendendo la prima vacca per comperare il sorgo.
A Dhoreak la mietitura é finita in questi giorni, in alcuni altri posti finirà fra qualche settimana. Ho chiesto ad un paio di persone come la mietitura sia andata quest’anno. Il primo mi ha risposto: “Molto buona”. Il secondo: “Ah, poca roba”. Ho chiesto ancora: “Quindi, abbondante o scarsa?” il primo mi ha detto l’ultima parola: “Padre, chi ha seminato molto ha raccolto abbondantemente, chi ha seminato poco ha raccolto scarsamente”.
Quest’anno é stato proprio cosí. E mi stupisco nel vedere che, ancora oggi, ci sono poche famiglie che coltivano in modo da avere sorgo per tutto l’anno. Molte famiglie coltivano un piccolo fazzoletto di terra attorno alla loro capanna; poi fanno conto di vendere qualche vacca per comperare il sorgo al mercato.
I Nuer sono persone piuttosto creative: si danno da fare in mille modi per superare i momenti di prova. Le difficoltà non li colgono di sorpresa, ma fanno poco per prevenirle. Coltivare non va loro proprio a genio. Dopo aver lavorato due o tre ore preferiscono sedersi sotto l’ombra di una pianta.
Ora, in molti hanno scoperto che produrre carbone é abbastanza redditizio. Anche quest’anno molte famiglie contano di produrre e vendere il carbone per far fronte al bisogno di sorgo. Questo ha provocato un disboscamento poco attento del nostro territorio. Molti boschi di acacie si stanno trasformando in radure piuttosto aride.

L’ATTESA
Venerdí 24 sono partito di buon mattino con Moses Gatjang per Koatjiath. Alle 10 siamo arrivati sulle sponde di un lago. Ci siamo seduti all’ombra di un tamarindo. Ho capito ben presto che non c’era nessuna canoa per attraversare il lago. Dovevamo aspettare che qualcuno dall’altra sponda venisse da questa parte con l’unica canoa a disposizione. Incredibile ma vero. L’ombra era piacevole ma il pensiero del percorso che ci si prospettava mi lasciava alquanto indispettito.
Nel frattempo Moses si é intrattenuto con altre persone che, passando, si son sedute per tenerci compagnia. Parlavano di politica, delle furbizie di uno e dell’altro comandante che ora sono al governo, o comunque nell’amministrazione. Le cose non funzionano. E c’é l’idea fissa che prima o poi la guerra riscoppierà di nuovo: “I giallaba non ci lascieranno in pace”, dicevano.
Alle 15 una canoa é apparsa, nostra salvezza anche da questi discorsi cupi. Quindi, come se tutta questa attesa fosse stata normale, abbiamo continuato il viaggio. A volte la disorganizzazione di questo popolo mi sconcerta. Si aspetta passivamente: “Se arriva la canoa proseguo, se non arriva pazienza... non é stata colpa mia”.

DOMENICA A KOATJIATH
Sabato sera siamo arrivati a Koatjiath. Giusto in tempo per la celebrazione domenicale. La gente si é data subito da fare per accoglierci.
La domenica un bel gruppettino di persone sono venute a pregare: circa un centinaio. Eravamo tutti raccolti sotto l’ombra di un tamarindo. Gesú ha insegnato la regola d’oro, l’unico comandamento che conta: amare Dio e il prossimo. Ci sono tanti bei esempi di generosità, ovunque. Ma qualche volta il sangue degli uomini si fa cattivo. Cosí amare, l’azione piú umana e divina allo stesso tempo, si fa anche la piú difficile. Proprio alla fine della messa un gruppo di giovanotti della cappella sono tornati dall’ultima festa del sabato notte, il famoso ‘bul’ in cui si celebra il matrimonio tradizionale. É una festa delicata perché tutti ci vanno con l’intenzione di “addocchiare” il futuro partner, ma tutto deve essere fatto secondo le regole... prezzo: le furie della parte offesa. I giovanotti sono apparsi alquanto malmenati. Uno di loro era ferito: colpito da un colpo di lancia. Ci hanno detto che durante la notte si son dovuti difendere da quelli di Mareang perché uno di loro era stato trovato con una sorella di questi ultimi.
Alla fine della messa ho invitato i ragazzi a tornare nel pomeriggio per un pó di catechismo e gioco. Ho mostrato loro alcuni posters sulla vita di Gesú: erano tutti meravigliati della novità e facevano fatica a riconoscere i personaggi e gli avvenimenti. Poi abbiamo cantato e giocato insieme: si sono divertiti molto. Erano soprattutto molto stupiti di vedere un prete giocare con loro. La mentalità é che ognuno deve stare al proprio posto, e il prete quindi sedere sulla sedia del Kuaar (Signore).
Nel pomeriggio un gruppo di giovani di Leet é arrivato a Koatjiath per invitarmi ad andare a visitare il loro villaggio. L’anno scorso non sono potuto arrivare da loro a causa delle abbondanti pioggie ma anche perché nessuno di Leet si era fatto vivo per organizzare la visita.

CAMMINO A LEET
Il villaggio di Koatjiath é delimitato da una piccola diga di terra alta circa mezzo metro. Serve per contenere l’acqua del fiume quando tracima e allaga una vastissima area di terra. Vi sono salito e ho guardato verso la direzione di Leet: un grande prato a perdita d’occhio senza un albero. Sono sceso oltrepassando la diga e mi sono trovato fra le erbe con l’acqua fino ai polpacci. Cosí abbiamo camminato per quattro ore con l’acqua che ci arrivava a momento fino ai polpacci, a momenti fino alle cosce. In due punti la palude era piú profonda: ci arrivava al torace. Un bel venticello da nord non ci ha fatto sentire la fatica e la vista di alcune piante che sono presto apparse all’orizzonte ha incoraggiato i nostri passi a volte traballanti tra acqua e fango.
Leet é una grande isola attorniata dall’acqua della palude. Il posto é bellissimo: ci sono molte piante e fra tutte primeggiano le palme. Abbiamo pregato all’ombra di un grande albero. L’assemblea era composta da piú di duecento persone: tutti ragazzi e giovani. Nessuno era stato preparato per ricevere il battesimo. Il catechista non c’é. Di tanto in tanto si radunano e cantano insieme i loro canti religiosi e ballano. Ma non c’é alcun insegnamento. Hanno voglia di fare e desiderano avere l’insegnamento, non solo quello religioso, ma anche quello elementare. Purtroppo non c’é neanche un maestro. Dovranno cercare di  far qualcosa fra di loro: condividere quello che sanno e hanno potuto imparare.
Fra tutti c’era un uomo vicino alla sessantina. Ha detto di non essere battezzato ma di credere e rispettare Dio creatore di tutto e di tutti. Ha incoraggiato i giovani ma li ha anche richiamati all’ordine: sembra che una serata di canto si sia trasformata in una festa un pó troppo “rumorosa” e abbiano ammazzato senza permesso e mangiato una delle sue capre.
 
NEL PAESE DELL’ORO NERO
Ad Aprile la compagnia petrolifera sudanese (araba) chiamata ZPEB ha ricevuto il permesso per iniziare le operazioni anche nella nostra regione di Fangak. Il sito dove hanno iniziato a tracciare le linee per le successive perforazioni é nella zona di Nyadin, all’interno della palude verso il ‘bahr-el-jebel’. Una compagnia cinese offre il suo contributo per la prima fase del lavoro che prepara all’estrazione vera e propria. Un gruppo russo é incaricato dei movimenti, soprattutto via elicottero.
Secondo gli accordi con il governo locale, hanno assunto una ventina di Nuer del posto e si prospettano altri posti di lavoro per il futuro. Un altro punto dell’accordo contemplava la realizzazione di due vie di comunicazione: la prima fluviale e la seconda terrestre. C’era la grande aspettativa di poter vedere iniziare i lavori del primo progetto: si trattava di aprire una via nella palude rendendo navigabile un lungo tratto da Nord a Sud, Waskedj-Nyadin. Il secondo progetto consisteva in una strada che collegasse i principali centri della nostra regione con l’esterno. Non hanno ritenuto questi progetti prioritari. Non é nei loro interessi far qualcosa che possa essere utile alla gente. Credevo che in Sudan l’oro nero fosse la gente, ma capisco che per molti é ancora e sempre il petrolio.
Mentre attraversavo la palude per arrivare a Leet abbiamo visto un elicottero atterrare piú volte nelle vicinanza di Nyadin. “É il questore che visita il sito della compagnia”, mi dicono. Capisco che ci deve essere qualche problema. Il giorno successivo vengo a sapere che il questore ha fermato i lavori ed espulso la compagnia. Qualche giorno dopo ho incontrato alcuni dei lavoratori, miei conoscenti. Parlano in termini severi: “Volevano portarci via il petrolio senza lasciarci niente”. Sperano che il questore sia in trattativa con un’altra compagnia perché venga a continuare i lavori.
Da quello che ho sentito: nella zona di Bentiu le compagnie petrolifere hanno contribuito a realizzare strade, illuminazione pubblica nella città, antenne per i cellulari, terrapieni e dige per contenere la palude... un sacco di sviluppo, insomma. Ma hanno lasciato anche tanto inquinamento. Un test fatto da una organizzazione tedesca ha rivelato che le acque superficiali di tutta quella regione sono contaminate. In un ambiente come il nostro come si fa a convincere la popolazione a non bere e a non lavarsi con quell’acqua?{mospagebreak}

Novembre 2008

RIFLESSIONI DI VIAGGIO
Sono passato per le cappelle di Kuerkier, Kuerdeng e Dhornour dove ho celebrato anche la messa. Sono arrivato a Wicdier per celebrare Domenica 2 Novembre. Durante il cammino, Angelina Nyakaka, una ragazza dodicenne, si é fatta avanti per portare il mio zaino. Le ho detto: “Portare il mio zaino é una bella faticaccia”. Il mio zaino é sempre un pó piú pesante di quello di Moses Gatjang che porta con sé solo un cambio di vestiti per la messa e la zanzariera. Lei mi ha risposto candidamente: “Faticare per il Signore é una fatica bella”. Chissà chi glielo avrà insegnato! Trovo sempre piú una grande pace nelle mie visite. Tutto ció che all’inizio costava sacrificio, ora sono normali piccole cose della quotidianità che la gente vive. E tutto questo mi fa apprezzare il silenzio come uno spazio di dialogo profondo. Allo stesso tempo amo il rumore discreto della vita quotidiana delle persone dove mi trovo ospite. Mi trovo immerso nella vita di questa gente dalle prime luci dell’alba fino a quando scende la notte. E ringrazio il Signore perché davvero ha nascosto il mistero del suo amore nel cuore dei semplici e umili di cuore. Molta di questa gente vive una vita veramente umile, di semplice dedicazione alla famiglia nelle cose piú quotidiane. A volte penso proprio che questa gente viva una vita innocente, senza peccato, o se di peccato si puó parlare, sono certo che il Signore, nel suo amore misericordioso, non li conterà loro con troppa severità. Se c’é una cosa che manca loro, é proprio la coscienza dell’amore di Dio Padre, il perdono e la guida che ci sono stati manifestati in Gesú. La fede in una vita in comunione con Dio per sempre.
Piú rimango con loro piú mi rendo conto che non hanno bisogno di troppa teologia o spiritualità. Hanno bisogno di semplice testimonianza di vita che parli loro concretamente dell’amore misericordioso di Dio Padre. Hanno bisogno di avere con loro un semplice cristiano, per confrontarsi con lui. Nelle mie prediche, anche pur condividendo delle nuove belle idee che possono stimolare me e loro, non devo stancarmi di ripetere sempre le stesse semplici cose: siate forti nella fede che il Signore ci ama, siate sereni e pieni di fiducia nella prova, scegliete la via stretta (quella facile e larga non soddisfa il cuore), siate generosi e buoni con gli altri, dite una parola buona a chi ne ha bisogno, insegnate ai vostri bambini, pregate sempre.

Un pó di poesia:

RISVEGLIO
Risveglio d’eccezione
alle cinque di mattino
al canto del gallo
con cui ho condiviso la capanna
e alcune galline
che chiamano in raccolta i loro piccini
per prepararli al nuovo giorno.

Questo é il momento migliore
immerso nel silenzio
per sgranare il rosario
passeggiando speditamente
per scappare dalle ultime zanzare
ancora in giro
prima che si faccia giorno.

SECONDO MATTINO
Il gallo inizia a cantare alle quattro.
Oggi niente poesie.
L’ho preso e buttato fuori dalla capanna:
“Và tu a sgranare il rosario con le zanzare”.

L’OSPITALITA’ DI MARY
Siamo arrivati a casa di Mary Nyawit: io e Moses. Mary é una ragazza ventenne, ex animatrice dei ragazzi della cappella. L’abbiamo trovata con ospiti. Due ragazze in cammino verso Fangak con i loro tre figli. Si sono fermate perché una delle due ha una forte febbre. Oltre agli ospiti c’erano Yiomlaat e Ciany, i due fratelli minori ancora sotto i dieci anni. Le due figlie della sorella affidate alle sue cure. E le sue due figliolette: Nyakueka e Nyadiew. Noi ci siamo aggiunti.
Mi ha impresso vedere quanto si é data da fare per servirci e rispondere a tutti i bisogni dei bambini. Ho chiesto a Moses: ma come fate a fare i conti del cibo in famiglia quando ogni settimana dovete prendervi cura anche di ospiti spesso imprevisti? Ha risposto: “Da noi é cosí. Se qualcuno capita a casa tua devi pensare al cibo, anche se ci rimane per un mese”. L’ospitalitá é un grosso dono; per loro non é un problema perché, nel condividere quello che hanno, sperano di poter garantire sopravvivenza a tutti, a tutta la comunitá.

LUNGHI INCONTRI MAI CONCLUSI
L’amore dei Nuer per gli incontri a volte mi sconcerta. Non sopportano l’autoritá imposta. Un sovrano lo farebbero fuori in fretta. Amano la partecipazione nelle scelte. Una guida deve saper mediare con molta diplomazia. In un incontro ogni partecipante deve poter dire la sua e trovare un comune accordo a volte diventa proprio un’impresa. Un incontro su alcuni semplici punti che a me possono sembrare ovvi, puó durare un’infinità.
L’incontro con i catechisti, comitato finanziario e donne del centro di Toch é un esempio lampante. In agenda c’era da riferire a proposito di alcune decisioni prese ad ottobre con catechisti e agenti pastorali e da discutere a proposito della situazione di due giovani catechisti entrambi vicini ormai alla trentina: Elija Hon ed Abraham Rok.
Elija Hon mi ha preso proprio di sorpresa: nello stesso mese di Luglio ha “rubato” due ragazze ventenni già sposate e con figli. Entrambe due buone cristiane. Ora sta racimolando le vacche per metter su la sua famiglia a tre.
Abraham Rok era stato sospeso nel corso di quest’anno per avere due mogli e mezzo, come dicono alcuni catechisti, e aver provocato dei pestaggi e combattimenti che hanno provocato molti feriti e l’uccisione di una persona. Lui ha continuato il suo servizio convinto di essere nel giusto: ha fatto tutto per dovere e questione di onore.
L’incontro é durato tre giorni. Il primo giorno per raggiungere un’accordo su Elija: ha accettato serenamente di finire il suo servizio di catechista. Il secondo giorno non é stato sufficiente per raggiungere un accettabile accordo su Abraham. Il terzo giorno ho dovuto insistere su alcuni fondamenti irrinunciabili per dire ad Abraham che era piú onesto da parte sua ritirarsi.
La sospensione di questi due catechisti ha fatto sorgere il problema non risolvibile su due piedi della mancanza di catechisti che possano condurre il lavoro nel centro. Quindi, l’incontro é terminato fissando altri due incontri per discutere sul da farsi.

LETTERA DA DHOREAK
Carissimi,
i nostri catechisti hanno una profonda coscienza dell’importanza del loro lavoro nella comunità cristiana. Alcuni stanno lavorando con molto impegno e mantengono le comunità cristiane vive nonostante tutti i limiti e difficoltà.
É vero purtroppo, una parte di loro sta lavorando mossa da sentimenti di rivalità, gelosia e malizia, ma molti altri lo fanno mossi da buone intenzioni.
Qualcuno predica il Vangelo per puro amore del Signore. Altri lo stanno facendo per orgoglio, per interesse personale, non con cuore sincero. Ma, in fondo, cosa importa?
Ció che conta é che, in entrambe le maniere sia attraverso buone intenzioni o cattive, la Parola di Gesú sia annunciata e le comunità cristiane siano vivificate da essa.
Vostro...

É una lettera alla quale potrei mettere subito la firma. In realtà é una riflessione scritta da Paolo ai Filippesi quasi duemila anni fa. Vedere per credere: Fil 1:14-18. Sconcertante ma vero.
Mi sono reso conto che, anche se lo posso desiderare, non posso dare alle comunità cristiane catechisti diversi da quelli che hanno. Non pretendo santi. Desiderei persone semplici che abbiamo capito cosa il cristianesimo sia. Il tempo non é ancora maturo...
A proposito, camminando fra le capanne di Dhoreak, Moses Gatjang mi ha detto: “Abuona, pensaci su. Hai accettato il catechista che hanno scelto. Non é un gran che di persona. Avresti potuto imporre una persona diversa”. Gli ho risposto: “Moses, pazienza. Ogni comunità cristiana ha il catechista che si merita. Avevano un catechista che tu stimavi e l’hanno rifiutato. Hanno voluto questo. Quando la comunità di Dhoreak maturerà ne sceglierà uno migliore”.

Per dirla tutta: anche noi preti, siamo quello che siamo. Nella debolezza di noi tutti si manifesta pienamente la potenza e grandezza di Dio.

PATATRAC
Incontro di sei ore a Dhoreak con una decina di uomini “impegnati” nel centro. Tutti contro Moses Gatjang con una serie di vecchie accuse senza fondamento. Frutto di gelosia e clanismo. Non c’é verso. Non solo vogliono che sia dimesso dal compito di catechista ma parlano in termini di espellerlo da Dhoreak, come del resto hanno fatto lo scorso Aprile con l’altro catechista Peter Gatjang. I due Gatjang erano i catechisti di fiducia di padre Antonio, insieme a Peter Lual. La litania rivolta a me suona piú o meno cosí: “O accetti quello che vogliamo o facciamo di testa nostra”. Non ho risposto. Li ho solo posti davanti all’evidenza: “Il catechista che avete scelto é spesso assente. Ama muoversi molto. Voi, altri uomini, siete tutti ammogliati con piú di una donna... chi condurrà la preghiera domenicale? Forse nessuno. Attenti. Con questo odio e rivalità vi state uccidendo”.
Mi chiedo se la conclusione di Paolo di ieri fosse troppo affrettata. Mi sforzo nella fede di crederla vera. Trovo consolazione nel pregare il rosario con i misteri dolorosi. Gesú ha sofferto per noi ed é morto. Forse anche qui si deve soffrire fino in fondo. Forse morire, per poi risorgere. Chissà che risorgano comunità veramente cristiane.

L’ESEMPIO DI LEERPINY
Domenica 16 ho celebrato a Leerpiny. Peter Juor ha formato un gruppo di giovani molto numeroso e attivo. Ha insegnato loro il catechismo con molto impegno. Oggi trentadue giovani hanno ricevuto la cresima. Sono veramente contento di vedere questo gruppo di giovani crescere così unito e determinato a vivere la proposta di Gesú. Sanno che non é facile seguire la via stretta di Gesú. Saranno tentati di prendere scorciatoie e forse anche perseguitati. Ma sono certo della loro serietà: Gesú sarà sempre nel loro cuore.
E qui si conclude il mio cammino nei centri della parrocchia. Domani ritorno a Fangak.

UNA STRANA MALATTIA
Non é una malattia nuova, anzi “la ze vecia com’ el cuco”. Si manifesta con sintomi molto diversi secondo i luoghi geografici e i periodi storici. Qui a Fangak ti fa vedere tutto a pallini. Ti fa perdere delle ore, se non delle giornate intere, seduto sotto la pianta per cercare di venirne fuori. Normalmente é contagiosa a gruppi di quattro, ma sempre molti altri si accodano incuriositi per vedere chi se la cava in fretta e, a loro turno, esserne infettati. É come un rompicapo: cercare di mettere a fuoco questi pallini neri e accoppiare i pezzi che ne portano lo stesso numero. É la malattia del Domino. Sembra che a molti uomini piaccia essere ammalati di domino, forse per straniarsi da altri pensieri piú seri o per evitare altre responsabilità piú esigenti. Fatto sta che a Fangak abbiamo ormai molti alberi che ospitano folti gruppi di uomini che dalla mattina alla sera sono contagiati da questa malattia. Se sapete di qualche iniezione che possa essere utile, fatemelo sapere!

LA CURA
C’é una cura naturale fatta di spirito di buona volontà. Costa sacrificio e costanza, ma é la piú efficace. Ed é grazie a questa cura che una decina di uomini, capitanati da Peter Koot, hanno lasciato l’ombra della pianta per lavorare sotto il sole. Hanno iniziato ad ottobre e hanno lavorato tutto novembre. Hanno offerto sei ore di lavoro volontario tutti i giorni: dalle nove del mattino alle tre. Hanno lavorato al recinto del terreno della chiesa: quasi seicento metri di perimetro. Un recinto con angolari di ferro come pali e rete metallica. In questi giorni sono riusciti a finire il lavoro. Mancano solo i cancelli che forse faremo fra qualche anno.
Sono stati molto fedeli e costanti pur lavorando gratuitamente. Hanno saputo mettere da parte altri impegni che li avrebbero potuto distogliere dal lavoro. Come segno di partecipazione e apprezzamento, la comunità cristiana ha raccolto l’equivalente di circa trecento Euro per garantire loro il pasto durante i giorni lavorativi. Ammirevole la pazienza e la dedicazione di fratel Raniero nel dirigere i lavori; specialmente insegnare loro a fare le linee dritte e mettere i pali in piombo.
Questa é una testimonianza grandiosa di generosità e partecipazione alla crescita della comunità cristiana di Fangak. Molti missionari oggi, come un tempo, almeno in Sudan ma anche in molti altri paesi, non credono che la gente sia in grado di dare qualcosa, o sia in grado di autosostenersi e crescere autonomamente a partire dalle proprie risorse. Si ostinano a rimpinzare le casse con soldi e fondi dall’Occidente e fare i buon Samaritani oltre misura. Non c’é niente di piú dannoso. La pancia di chi riceve diventa ben presto senza fondo. Continuano a chiamare la gente con il termine “i poveri”, ma poveri non sono. Hanno molto da offrire. Il missionario deve incoraggiare, preparare la via e poi sapersi tirare indietro quando la gente deve diventare la vera protagonista della propria crescita.{mospagebreak}

Dicembre 2008

LA FIABA DEL PASTORE ERRANTE LUNGO IL NILO
É la storia di un uomo di questi tempi nonostante possa sembrare vecchia duemila anni. In verità é una storia senza tempo vissuta da piú o meno tutti i pastori che si sono succeduti a vagabondare con le loro pecore lungo il Nilo. Di questa categoria il nostro uomo faceva parte: uomini dal cuore schietto e tenace, con un gran senso del dovere e attenzione verso le pecore, uomini che comunicano piú con lo sguardo che con le parole, uomini di poca filosofia ma di pensiero profondo.
Come se fosse stato ieri ricordava quando era partito con le sue pecore per condurle nei pascoli. Da tre anni ormai camminava con loro e si accampava qua e là lungo le sponde del Nilo. Le sue pecore gli erano diventate così familiari non solo da riconoscere il belato di ognuna ma anche da comprendere quello che stavano dicendo. Qualche volta gli veniva il timore che, incontrando qualche suo simile, non sarebbe stato in grado di comunicare se non con la lingua delle sue pecore. Le erano entrate nel cuore, nonostante a volte si comportassero in maniera noiosa e del tutto incomprensibile, ma anche loro avevano le loro ragioni. Erano diventate parte della sua vita.
Erano tutte nere. “Guarda un pó se mi dovevano proprio capitare tutte pecore nere: saró di certo lo zimbello di tutti gli altri pastori”, diceva tra sé all’inizio della sua avventura. Ma ora, dopo tre anni, le vedeva tutte così belle. Di un nero magico che risplende quanto la luce.
Non si stancava mai di guardare le sue pecore. Questo infatti era il suo lavoro: guardarle. Ma non un guardare tanto per guardare, ma guardarle con occhi di pastore da ogni male. E così ogni giorno le guardava svegliarsi all’alba, guardava che non perdessero la via, che alcune non si dividessero dal gruppo, che le più piccole non si prendessero indietro, che le malate non si stancassero troppo e potessero recuperare. Guardava attento che al fiume non ci fossero coccodrilli che si potevano portare via qualcuna di esse mentre ignara andava a bere. Di notte accendeva fuochi per tenere le iene e altre bestie lontane, come anche le zanzare che erano sempre molto fastidiose.
Oltre a tutto ció doveva badare a sé stesso. Di giorno si dava da fare: doveva prepararsi un riparo dal sole del giorno e dal freddo della notte. Il periodo decisamente più difficile era la stagione delle piogge: bisognava essere scaltri per trovare dei ripari un pó asciutti.
Si dava da fare a pescare nel fiume con delle reti fatte intrecciando un semplice spago. La pesca era sempre generosa e poteva saziare lo stomaco. Aveva imparato a farsi piacere anche il pesce. Aveva imparato anche dove trovare ogni sorta di frutta ed erbe selvatiche. In tempo di fame la mandorla del thou era ottima; il gusto amaro diventava una delicatezza al pensiero che fosse antimalarico. Le foglie del baobab erano una vera squisitezza quando ben cotte; in caso contrario davano una diarrea da non credere. Ma la vera delizia era il miele selvatico, così dolce da non far sentire le punture delle api che l’avevano così gelosamente prodotto. Cercava sempre di barattare pesci con qualche sacchetto di sorgo che amava avere sempre con sé per farsi quella polenta che gli faceva ricordare così tanto la bisnonna. In verità la gente era molto buona con lui, spesso e volentieri davano dei bei sacchetti di sorgo, del migliore, perché lo vedevano come un uomo diverso dagli altri, uno che vive in questo mondo come se non appartenesse a questo mondo. Come tutti gli altri pastori di pecore d’altronde. Forse glielo avevano letto negli occhi, ma era proprio così.
Nelle sue meditazioni notturne teneva gli occhi alti verso il cielo e guardava ammirato la lune e le stelle. E si diceva tra sé: “Chissà perché gli occhi dell’uomo possono arrivare solo fino al cielo, chissà cosa impedisce loro ad andare un pó più in là”. Allora la sua mente si riempiva di pensieri ancestrali insieme alla certezza: “Io non sono solo. C’é qualcuno che mi guarda e accompagna i miei passi proprio come faccio io con le mie pecore”.
Una notte immerso nei suoi pensieri fu richiamato da un pizzicante frescolino. Era facile dedurre che la fine dell’anno era ormai vicina. Già iniziava a pregustare il vicino Natale che avrebbe celebrato con le sue pecore. Gli sembrava proprio di vivere dentro un presepio vivente grande come il mondo.
E in una di quelle sere, guidato dalle sue pecore, arrivó all’imbrunire in una radura dove c’erano pecore di un altro pastore. Un pó oltre verso il fiume scorse una capannuccia ben fatta, un fuocherello e la forma di un uomo: il pastore. Era un vecchio che si fumava placido la sua pipa. Era avvolto nel suo lenzuolo. La barba grigia scendeva dal suo viso consumato da molte stagioni. Ma gli occhi lucenti come quelli di un bambino. Quegli occhi lo fissarono con benevolenza. “Ragazzo mio” disse, “com’é consunto il tuo aspetto!”. “Ah sì?” rispose sopreso, “non più consunto di quello delle mie pecore, che in verità mi sembrano anche abbastanza pasciutelle”. “Da quando in qua la salute del pastore si vede dalle pecore?”. Rimasero silenziosi. Riprese: “Figlio mio, hai un dente che ti duole ed é tempo che tu vada a fissarlo”. Il nostro giovane pastore di sentì preso in castagna: questo era un uomo che poteva vedere tante cose. Il dente, sì, ogni tanto non lo faceva dormire; la stanchezza, sì, ogni tanto si faceva sentire. Ma che cos’é questo di fronte alla vita... e soprattutto alle pecore?
Poi uno sprazzo di genio: “Perché ti preoccupi del mio dente indolenzito quando i tuoi denti sono tutti rotti? Proprio tu, con la tua figura così consunta che sembra una candela che si sta consumando?”. Quel vecchio rispose con una flebile risata e un colpetto di tosse: “Oh, giovanotto! Non voler diventare vecchio in fretta, si umile abbastanza da accettare di diventare vecchio un pó alla volta. Di lasciare andare la tua vita pian piano anno dopo anno. C’é ancora molto che devi fare. Arriverà il giorno in cui giacerai consumato come lo sono io. Allora ringrazierai il cielo e comincierai a vedere un pó più in là”.
“Mio caro vecchio, tu mi leggi il cuore. Ma dimmi un pó di te. Perché te ne stai qui tutto solo a pascere le tue pecore e non ti dai per vinto anche quando la tua vita é quasi del tutto consumata? Vendi le tue pecore ad un altro pastore e va a riposare, va a godere il frutto del tuo lavoro”. Un’altra risata sgorgó dal cuore del vecchio: “Le pecore non sono mie, come non sono le tue. Ci sono state affidate. Le ho pasciute per tutta la mia vita. Non ci sono frutti per me. Ora aspetto che il padrone venga. É vicino. Ed egli mi troverà con le sue pecore. Ma ora và, non temere, lascia che le tue pecore stiano qui con me, le guarderó per te. Non sentiranno la mancanza perché in fondo io e te siamo fatti della stessa pasta. Le pecore lo sanno”.
E proprio in quel momento apparse una zatterona di pali trasportata dalla corrente del fiume. “Vai, questa é l’occasione buona”.  Così fu che il nostro giovane pastore in un attimo dovette prendere una decisione così difficile. Non poté neanche congedarsi dalle sue pecore che stavano tranquille a brucare l’erba a qualche centinaio di metri di distanza. Con il cenno di uno sguardo affidó tutto al vecchio pastore, poi gridó all’uomo sulla zattera per avere un passaggio.
Dopo qualche minuto se ne stava seduto sopra i pali ben accatastati diretto verso la città in compagnia del barcaiolo. Se ne stava in silenzio come la solito, pensando che forse avrebbe fatto meglio a rimanere con le sue pecore. Le ricordava una ad una. Ma ricordó anche le parole del vecchio. Erano state parole sagge e gli infondevano fiducia.
“Cosa ti porta ad andare in città?” il barcaiolo lo richiamó alla realtà. “Vado a mettere a posto alcune cose”. E continuó, “E tu, invece?”. “Beh, come puoi ben vedere sto andando a vendere i pali sui quali siamo seduti”. E per la prima volta si fermó a valutare quanti alberi erano stati abbattuti per mettere insieme quella zattera che sembrava proprio una catasta galleggiante. “Per quale ragione vai a venderli?”. “Beh, mi sembra scontato: per guadagnarmi da vivere. Ora il legno é molto richiesto in città”. “Oh, ma come puoi vendere qualcosa che non é tuo”. “Beh, non é mio, ma non é di nessun altro. É lì per chi lo prende”. Il nostro giovane pastore rimase in silenzio.
Il suo pensiero andó al suo caro vecchio. Chissà se lo potrà di nuovo incontrare al suo ritorno.

MORALE
1. Penserete a quanto tempo Christian ha da perdere. In verità avevo solo bisogno di amazzare il tempo nei quattro giorni di viaggio da Fangak a Juba per andare a mettere a posto un dente dolorante. E’ stato un viaggio innaspettato: pensavo di poter celebrare il Natale a Fangak... ma i denti sono stati piu’ testardi di me.
2. Non é un modo fantastico per mandarvi i miei più sinceri auguri di BUON NATALE? Prego sempre perché Gesù bambino ci doni un cuore buono e umile come il suo.

Un abbraccio nella gioia,
Vostro,  p. (pecoraio) Christian


Condividi questo articolo:

Registrati alla newsletter

giovaniemissione.it

BARI

Via Giulio Petroni, 101
70124 Bari
Tel. 080 501 0499

ROMA

Via Luigi Lilio, 80
Roma, 00142
Tel. 06 519451

VERONA

Vicolo Pozzo, 1
37129 Verona,
Tel. 045 8092100

PADOVA

Via S. G. di Verdara, 139
35137 Padova
Tel. 049/8751506

NAPOLI

Via A. Locatelli 8
80020 CASAVATORE (NA)
Tel. 081.7312873

VENEGONO

Via delle Missioni, 12
21040 Venegono Sup. (VA)
Tel. 0331/865010