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Lc 19,29-48: Alla vista della città Gesù pianse

Gim Padova, marzo 2010

Gim 1 Padova, marzo 2010

ALLA VISTA DELLA CITTÀ
GESÙ PIANSE

    

PREGA PER NOI ... In ricordo di Mons. O. Romero

Noi t’invochiamo, vescovo dei poveri,
intrepido assertore della giustizia, martire della pace:
ottienici dal Signore il dono di mettere la sua Parola al primo posto
e aiutaci a intuirne la radicalità e a sostenere la potenza,
anche quando essa ci trascende.

Liberaci dalla tentazione di decurtarla per paura dei potenti,
di addomesticarla per riguardo di chi comanda,
di svilirla per timore che ci coinvolga.

Non permettere che sulle nostre labbra
la Parola di Dio si inquini con i detriti delle ideologie.
Ma dacci una mano perché possiamo coraggiosamente incarnarla
nella cronaca, nella piccola cronaca personale e comunitaria,
e produca così storia di salvezza.

Aiutaci a comprendere che i poveri
sono il luogo teologico dove Dio si manifesta
e il roveto ardente e inconsumabile da cui egli ci parla.
Prega, vescovo Romero, perché la Chiesa di Cristo,
per amore loro, non taccia.

Implora lo Spirito perché le rovesci addosso
tanta parresia (= franchezza) da farle deporre, finalmente,
le sottigliezze del linguaggio misurato
e farle dire a viso aperto che la corsa alle armi è immorale,
che la produzione e il commercio degli strumenti di morte
sono un crimine,
che gli scudi spaziali
sono oltraggio alla miseria dei popoli sterminati dalla fame,
che la crescente militarizzazione del territorio
è il distorcimento più barbaro della vocazione naturale dell’ambiente.

Prega, vescovo Romero, perché Pietro che ti ha voluto bene
e che due mesi prima della tua morte ti ha incoraggiato ad andare avanti,
passi per tutti i luoghi della terra pellegrino di pace e speranza,
nella carità e nella difesa dei diritti umani là dove essi vengono calpestati.

Prega, vescovo Romero, perché tutti i vescovi della terra
si facciano banditori della giustizia e operatori di pace,
e assumano la nonviolenza come criterio ermeneutico
del loro impegno pastorale,
ben sapendo che la sicurezza carnale e la prudenza dello spirito
non sono grandezze commensurabili tra loro.

Prega, vescovo Romero, per tutti i popoli del terzo e del quarto mondo
oppressi dal debito.
Facilita, con la tua implorazione presso Dio,
la remissione di questi disumani fardelli di schiavitù.
Intenerisci il cuore dei faraoni.
Accelera i tempi in cui un nuovo ordine economico internazionale
liberi il mondo da tutti gli aspiranti al ruolo di Dio.

E infine, vescovo Romero, prega per noi qui presenti,
perché il Signore ci dia il privilegio di farci prossimo,
come te, per tutti coloro che faticano a vivere.
E se la sofferenza per il Regno ci lacererà le carni,
fa che le stigmate, lasciate dai chiodi nelle nostre mani crocifisse,
siano feritoie attraverso le quali possiamo scorgere fin d’ora
cieli nuovi e terre nuove.

Don Tonino Bello

  

Luca 19,29-48

29 Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: 30 «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è mai salito; scioglietelo e portatelo qui. 31 E se qualcuno vi chiederà: Perché lo sciogliete?, direte così: «Il Signore ne ha bisogno». 32 Gli inviati andarono e trovarono tutto come aveva detto. 33 Mentre scioglievano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché sciogliete il puledro?». 34 Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno».
35 Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. 36 Via via che egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. 37 Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo:
38 «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore.
Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!».
39 Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». 40 Ma egli rispose: «Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».

      

Gesù entra a Gerusalemme su un asino. Sono i giorni della festa di Pasqua. Oltre centomila pellegrini avrebbero preso parte alle feste. Essendo ubicate all'interno dell'impero romano, le comunità ebraiche della diaspora non trovavano più problemi di frontiera per spostarsi verso Gerusalemme. D'altra parte, l'impressionante ricostruzione del tempio realizzata da Erode aveva dato un nuovo impulso ai pellegrinaggi. Erano ogni volta di più i pellegrini che arrivavano dall'Egitto, dalla Fenicia o dalla Siria, dalla Macedonia, dalla Tessaglia o da Corinto, dalla Panfilia, Cilicia, Bitinia, dalle coste del mar Nero e persino da Roma, la capitale dell'impero. Durante le festa di Pasqua, Gerusalemme si trasformava in una città mondiale, la “capitale religiosa” del mondo giudaico in seno all'impero romano.

 Il congregarsi di una moltitudine così numerosa all'interno della città santa, carica di tanti ricordi, rappresenta un potenziale pericolo. L'incontro di tanti fratelli venuti dal mondo intero fa crescere il senso di appartenenza: essi costituiscono un popolo privilegiato, eletto dallo stesso Dio. La celebrazione della Pasqua eccita ancor più i loro cuori. Le feste ruotano intorno a quella notte memorabile in cui si celebra la liberazione dalla schiavitù del faraone. La si celebra con nostalgia e anche con speranza. L'Egitto è stato rimpiazzato da Roma. La terra ereditata da Jahvè non è più un paese di libertà: ora sono schiavi della loro stessa terra. In quei giorni la preghiera dei pellegrini si trasforma in clamore: Dio ascolterà le grida del suo popolo oppresso e verrà di nuovo a liberarli dalla schiavitù. Roma conosce bene il pericolo. Per questo in quei giorni Pilato si sposta fino a Gerusalemme, per rafforzare la guarnigione della torre Antonia: bisogna stroncare alla radice qualsiasi azione sovversiva, prima che possa contagiare la massa dei pellegrini.

Molti di loro si avvicinano alla città cantando la loro gioia di essere giunti a Gerusalemme dopo un lungo viaggio. Lo stesso fa il gruppo di Gesù. Ormai si avvicinano alle porte della città. È l'ultimo tratto e Gesù vuole percorrerlo in sella a un asino, come un umile pellegrino che entra a Gerusalemme augurando a tutti la pace. Contagiati dal clima festoso della Pasqua e inorgogliti dall'aspettativa del pronto intervento del regno di Dio, su cui Gesù tanto insisteva, in quel momento si comincia ad acclamarlo. Alcuni tagliano qualche ramo o del fogliame verde che cresce vicino alla strada, altri stendono le tuniche al suo passaggio. Esprimono la loro fede nel regno di Dio e la loro riconoscenza a Gesù. Non è un'accoglienza solenne organizzata per ricevere un personaggio illustre e potente; è l'omaggio spontaneo dei discepoli e dei seguaci che vengono con lui. A quanto ci viene detto, coloro che lo acclamano sono pellegrini che “andavano davanti a lui” o che “lo seguivano”. Il lor grido dovette probabilmente essere: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore”.

Il gesto di Gesù era sicuramente intenzionale. Il suo ingresso in Gerusalemme in sella a un asino diceva più di molte parole; Gesù cercava un regno di pace e di giustizia per tutti, non un impero costruito con violenza e oppressione. In sella a un piccolo asino appare a quei pellegrini come profeta, portatore di un ordine nuovo e diverso, opposto a quello che imponevano i generali romani, in sella ai loro cavalli da guerra. Il suo umile ingresso a Gerusalemme diviene satira e beffa degli ingressi trionfali che i romani organizzavano per prendere possesso delle città conquistate. Nel gesto di Gesù più d'uno avrebbe visto un'arguta critica al prefetto romano che, in quegli stessi giorni, aveva fatto ingresso a Gerusalemme in groppa al suo possente cavallo, adorno di tutti i simboli del suo potere imperiale. Ai romani, non poteva piacere in alcun modo. Ignoriamo la portata che il gesto simbolico di Gesù aveva potuto avere in mezzo a quella folla immensa. In ogni caso, quell'ingresso “anti-trionfale”, animato dai e dalle sue seguaci, è una beffa che può accendere gli animi della gente. Questo pubblico atto di Gesù, che annuncia un antiregno non violento, sarebbe bastato per decretare la sua esecuzione.

Viene il Signore della pace, l'erede al trono di Davide, che regnerà senza fine (1,32s). viene in umiltà e mitezza. Per questo subirà il rifiuto.
I farisei e i discepoli chiesero “quando” e “dove” viene il regno (17,20.27). Gesù mostra come viene il re. Perché il regno viene sempre e ovunque è accolto e riconosciuto lui, che viene qui e ora come figlio dell'uomo sofferente. Questa sua venuta è il mistero stesso di Dio e del suo regno, oscuro anche ai discepoli, perché si rivela nella piccolezza del Pellegrino che va a Gerusalemme per essere preso, gettato e nascosto. È una gloria ben diversa da quella che tutti aspettavano.

La “salvezza” (= vita piena), che tutti in fondo desiderano, consiste nell'accogliere questo messia povero, sempre in viaggio e sempre alla porta che bussa. Chi lo accoglie entra nel regno, accolto da colui che accoglie. Egli viene e verrà sempre nello stesso modo in cui l'abbiamo già visto venire. La sua venuta passata ci serve a riconoscere quella presente e a camminare verso quella futura.

  •  “inviò due dei suoi discepoli”:  Gesù invia i discepoli in coppia per preparare la sua venuta: la loro missione è slegare l'asino. I due discepoli ignorano che ci sia un asinello. Soprattutto non sanno che attraverso di lui viene il re e il suo regno.
        
  •  “un asinello”: il messia non viene a cavallo, come chi ha il potere. Non viene neppure con un carro da guerra, come chi vuol conquistarlo. Il nostro re  è in mezzo a noi come colui che serve. Per questo viene cavalcando l'umile animale da servizio quotidiano. L'asinello è figura di Gesù, il Samaritano che prende su di sé il nostro peso morto. Il suo messianismo è in povertà, umiliazione e umiltà, i potenti mezzi di chi ama  e libera dalla schiavitù dell'egoismo; rifugge dalle ricchezze, dal potere e dalla gloria, i deboli mezzi di chi ha paura e schiavizza. In questo senso l'asino ha poco a che fare con il cavallo. Dal loro incrocio si ottiene il mulo – animale sterile e senza intelletto, come la chiesa quando ha il potere. L'asinello, come è figura di Gesù, così rappresenta la nostra capacità di servire per amore, la nostra libertà di figli a immagine del Padre.
      
  •  “legato”: è la prima caratteristica di quest'asinello. Il Signore, con la sua parola e la sua azione, è venuto a slegarlo. Libera la nostra libertà, schiava dei suoi deliri di onnipotenza e delle sue paure di impotenza.
          
  •  “sul quale nessun uomo mai sedette”: e nessuno desidera salirci! Chi desidera cavalcare questo messianismo povero e umile? Tutti preferiamo il cavallo e il carro da guerra. Forse c'è qualcuno che, per amore del suo Signore, ama la povertà più della ricchezza che impoverisce sé e gli altri, l'umiliazione più del potere che offende sé e gli altri, l'umiltà più della gloria che umilia sé e gli altri?. Tanti tra i discepoli amano il Regno e la sua causa. Anche Giuda era uno di loro. Ma chi ama il re e la sua persona?
       
  •  “slegatelo”: il verbo è ripetuto 4 volte. È l'imperativo del figlio dell'uomo, venuto a slegare la nostra libertà di figli perduti. Questa infatti non consiste nel fare i propri interessi, ma nella carità, che ci mette gli uni al servizio degli altri, portando i pesi gli uni degli altri. La vera libertà è quella di servire: ci restituisce il nostro vero volto.
      
  •  “Se qualcuno vi chiede: perché slegate”: siamo così abituati a vedere legato l'asinello, che neanche sappiamo cosa significhi il fatto che sia slegato.

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41 Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: 42 «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. 43 Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; 44 abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».

                

Commentiamo il pianto di Gesù, con una preghiera scritta da David M. Turoldo per il martirio di Oscar Romero. Anche lui, come Gesù allora, getta uno sguardo lucido sulla realtà, indica la via della pace, della giustizia, come unica soluzione per non cedere alla logica della violenza distruttrice.
Non viene ascoltato, viene assassinato, ed inizia una guerra fratricida che farà 75.000 morti in 12 anni. Come il Salvador, possiamo ricordare il Ruanda, il Congo, la Colombia, l'Afganistan, il Sudan ….
Il pianto di Gesù è accompagnato dalla domanda incessante: aprite gli occhi!! perché non capite? E' una domanda oggi rivolta a noi.

     

In memoria del vescovo Romero

In nome di Dio vi prego, vi scongiuro,
vi ordino: non uccidete!
Soldati, gettate le armi...
Chi ti ricorda ancora,
fratello Romero?
Ucciso infinite volte
dal loro piombo e dal nostro silenzio.
Ucciso per tutti gli uccisi;
neppure uomo,
sacerdozio che tutte le vittime
riassumi e consacri.
Ucciso perché fatto popolo:
ucciso perché facevi
cascare le braccia
ai poveri armati,
più poveri degli stessi uccisi:
per questo ancora e sempre ucciso.
Romero, tu sarai sempre ucciso,
e mai ci sarà un Etiope
che supplichi qualcuno
ad avere pietà.
Non ci sarà un potente, mai,
che abbia pietà
di queste turbe, Signore?
nessuno che non venga ucciso?
Sarà sempre così, Signore?

David Maria Turoldo

  

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45 Entrato poi nel tempio, cominciò a cacciare i venditori, 46 dicendo: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!».
47 Ogni giorno insegnava nel tempio. I sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire e così anche i notabili del popolo; 48 ma non sapevano come fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue parole.

                  

L'azione di Gesù fu un gesto simbolico. Il suo intervento in mezzo a quella grande spianata per un tempo probabilmente breve non ha di per se stesso molta importanza, ma cerca di attrarre l'attenzione su qualcosa che per Gesù invece ne ha molta. Sceglie bene la situazione: è circondato da pellegrini da tutto il mondo, la polizia del tempio è attenta a qualsiasi incidente e i soldati romani vigilano dalla torre Antonia. È lo scenario adatto perché il suo messaggio riscuota la debita eco. Quel che Gesù vuol fare non è “purificare” il culto, non si avvicina al luogo dei sacrifici per condannare pratiche abusive. Il suo gesto è più radicale e profondo. Gesù blocca e interrompe le normali attività, necessarie al funzionamento religioso del tempio, come il cambiamento della moneta o la vendita di colombe. La sua azione non punta a una riforma di quella liturgia, bensì alla scomparsa dell'istituzione stessa: senza denaro non si possono comprare animali puri; senza animali non vi sono sacrifici; senza sacrifici non vi è espiazione del peccato né certezza del perdono. Il gesto di Gesù è più radicale di una semplice purificazione. Annuncia il giudizio di Dio non contro quell'edificio, bensì contro un sistema economico, politico e religioso che non può piacere a Dio. Il tempio è divenuto il simbolo di tutto ciò che opprime il popolo. Nella “casa di Dio” si accumula la ricchezza, mentre nei villaggi dei suoi figli crescono la povertà e l'indebitamento. Il tempio non è al servizio dell'alleanza. Da lì, nessuno difende  i poveri né protegge i beni e l'onore dei più vulnerabili. Si sta nuovamente ripetendo ciò che Geremia condannava ai tempi suoi: il Tempio era diventato un “covo di ladri”. Il covo non è il luogo dove si commettono i crimini, bensì quello in cui si rifugiano i ladri e ammassano il loro bottino. Presto o tardi sarebbe stato inevitabile l'urto frontale fra il regno di Dio e quel sistema. Il gesto di Dio è una distruzione simbolica e profetica, non reale ed effettiva, ma annuncia la fine di quell'ordinamento di cose: il Dio dei poveri e degli esclusi non regna né regnerà da quel tempio: mai legittimerà tale sistema.

             

Per la riflessione:

  •  La Parola ci invita a riflettere non su DOVE o QUANDO seguire Gesù, ma COME incarnare la sua parola, proseguire la sua CAUSA oggi. Gesù va al centro del potere in sella ad un asino. Come seguirlo oggi? Cosa significa per me?
         
  •  Ho lasciato da parte la COMPASSIONE o il mio cuore sa ancora commuoversi? Se sì, gli do credito? O “aspetto che mi passi il magone”?
          
  •  Nel Tempio della mia vita, ammasso il bottino di molte esperienze, faccio incetta di cose, persone, perché la mia vita abbia senso, come se fosse un “covo di ladri”, o faccio entrare l'umanità sofferente, le lotte e le speranze dei popoli, il loro sogno di resurrezione? Accetto che Gesù entri nella mia vita e scardini la logica economica, per fare spazio ad un modo ALTRO di vita? Se sì, concretamente, che passi sto facendo?

   

    

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