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Lc 6,27-38: La scelta non violenta di Gesù

Gim1 Padova, gennaio 2010

Gim1, gennaio 2010

La scelta non violenta di Gesù

L'indifferenza è la più grande malattia del nostro tempo. Questo cinismo con cui siamo abituati a crescere. Ma non è tutta colpa nostra. Ti devi alzare alle 7, prendi il caffè di corsa, alle 8 prendi l'autobus, timbri il cartellino alle 9, poi c'è il lavoro, il figlio da riprendere a scuola, la cena da preparare. Poi ti guardi i tg che parlano di massacri in Ruanda, dei morti a Baghdad. E si diventa indifferenti. Non abbiamo più il coraggio di uscire per strada e urlare: "Senza di me!"

Tiziano Terzani

    

Leggiamo il testo di Luca 6, 27-38

Il capitolo 6 del vangelo di Luca è il “discorso della pianura”, in parallelo al “discorso della montagna” di Mt 5. Luca colloca questo discorso in un luogo pianeggiante, perché tutti potessero capire che Gesù lo si incontra faccia a faccia, e seguirlo non è impossibile. Gesù lo posso vedere, ascoltare toccare “eyes to eyes”, come si è condiviso nei laboratori di Poznan.

Ma a voi che ascoltate, dico”: per ascoltare ci vuole, oltre alla volontà di farlo e la adeguata attenzione, anche il silenzio. È importante chiedermi se mi sta a cuore ascoltare le parole che oggi Dio mi rivolge: comincia allora questo tempo personale con uno spazio di silenzio, di raccoglimento, e cerca lo sguardo di Gesù che oggi vuole parlare con te.

Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano”: dobbiamo fare attenzione ad una realtà di partenza fondamentale che non possiamo dar per scontata, che cioè si parla di nemici, odio, maledizione, maltrattamento, sopruso quale realtà concreta della comunità … Luca non dice che nell'eventualità di avere un nemico, è conveniente “comportarsi bene”, ma dice che questa realtà pesante c'è, è presente OGGI, ed oggi impone una scelta, uno schierarsi. É la realtà più reale, quella che oggi vive la maggior parte dell'umanità.

Scrive Jon Sobrino:

Che ci piaccia o meno, dobbiamo scegliere tra vivere nella realtà o nella irrealtà. Secondo Gesù, bisogna stare nella realtà più reale, che in linguaggio teologico è la sarx, la “carne” povera e debole che divenne parola di Dio; e, in linguaggio storico, sono le maggioranze povere di questo mondo. E non soltanto bisogna stare nella realtà, ma bisogna abbassarsi ad essa.
A ciò si contrappone il vivere nelle isole di abbondanza del Primo Mondo, eccezione e aneddoto sul pianeta, cioè il docetismo, il vivere nell'apparenza, nell'irrealtà, l'eresia più antica del cristianesimo. Significa ugualmente vivere nell'arroganza che Paolo denunciava, che è ciò che avviene quando il Primo Mondo proclama, a parole o, peggio, dandolo per scontato: "II reale siamo noi".
Seguire Gesù è un'altra cosa. Comincia con l'"essere reale" in questo mondo e con l'"abbassarsi" al mondo reale, quello degli affamati e delle vittime. Di questo mondo reale, il Primo Mondo non sa molto e lo considera semplicemente in quanto costituito da vari paesi con grandi risorse naturali e potenziale turistico. Seguire Gesù comincia con il riconoscimento dell'esistenza e l'apprezzamento dei popoli di quel mondo, nostri fratelli e sorelle, che non sono specie sfortunate, nè "gente in via di diventare esseri umani", per usare lo stesso linguaggio eufemistico, e macabro, di "paesi in via di sviluppo".
Dobbiamo scegliere tra la compassione e l'indifferenza, la giustizia e l’oppressione. Secondo Gesù, il compito fondamentale di ogni essere umano è quello di umanizzare la realtà a partire dalla verità e dalla misericordia primordiale di fronte alla sofferenza della vittime. E questo lo si fa anche a partire dall’obbedienza – parola scioccante, non molto gradita in Occidente – all’ “autorità di coloro che soffrono”. Umanizzare è guarire, dare da mangiare, cacciare demoni, accogliere e consolare deboli, denunciare e dire la verità, generare comunità e celebrare intorno a una mensa, annunciare cieli nuovi e terra nuova. Confluisce con l’ “altro mondo possibile”, ma ben spiegato. Si tratta anche, ovviamente, di cambiare, abbastanza radicalmente, strutture economiche, politiche, favorevoli agli armamenti, culturali
”.

Una volta radicati nella REALTA': come ci muoviamo?

Tanti di voi, amici e amiche che si ostinano oggi a credere e sperare, hanno condiviso il loro sconforto di fronte ai fatti di Haiti: un paese tra i più poveri del mondo, ripetutamente violentato storicamente, culturalmente, religiosamente, politicamente, economicamente da quando approdarono lì le caravelle di Cristoforo Colombo, ora è stato praticamente distrutto da terremoto dalle dimensioni catastrofiche. Come ripetere le parole di Luca: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio?”.

Qual era la realtà di Gesù, quando pronunciava quelle parole?

Anche ai tempi di Gesù la situazione era molto grave. L'unica soluzione per il popolo era una salvezza che non poteva che venire dall'alto, da Dio. Una soluzione che però non arrivava … Gesù aveva capito benissimo che la sua gente era talmente arrabbiata con Roma (che utilizzava il Tempio e il re Erode per schiacciare la gente con la tasse) che l'unica soluzione che vedevano era la guerra contro l'invasore romano. Il suo mondo, la sua gente, la sua terra, stavano andando in rovina.

Gesù propone una terza via:

  •  non la fuga dalla realtà, facendo finta di non vedere il male o rifugiandosi in qualche caverna o proiettandosi in qualche paradiso lontano (spiritualità disincarnata)
      
  •  nemmeno la lotta armata contro il potere oppressore
      
  •  MA la non violenza attiva!!! Il testo del vangelo è chiaro, chiarissimo, spiazzante!
      

Ecco alcune sottolineature circa le radicali espressioni usate da Gesù:

  1. Offri anche l'altra guancia: qualcuno ha fatto notare che il padrone colpiva lo schiavo con il rovescio della mano, in segno di disprezzo; il porgergli l'altra guancia lo obbliga, se intende colpire una seconda volta, a usare il palmo della mano, riconoscendo così, almeno indirettamente, la persona dell'altro come suo pari.
     
  2. Non rifiutare la tunica a chi ti strappa il mantello: è una reazione che non può non creare imbarazzo, al punto da rendere visibile agli occhi di tutti l'ingiustizia che viene commessa: la persona senza tunica resta completamente nuda!!!
     
  3. Amate i vostri nemici: è un chiaro invito a non cadere nella trappola dell'odio ma a lasciare che il cuore sia libero di continuare ad amare; si tratta di non assumenre atteggiamenti di condanna ma di aprire spazi e possibilità perché il nemico trovi la strada della conversione e della riconciliazione.
      
  4. Come volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: è la cosiddetta”regola d'oro”, l'imperativo categorico che deve regolare la convivenza umana: solo la non violenza può fondare l'universalità della legge morale alla quale devono conformarsi gli essere ragionevoli.
      
  5. Pregate per coloro che vi trattano male: attraverso la preghiera si portano alla luce del sole tutte le ingiustizie che rischiano di rimanere segrete.
      
  6. Prestare senza sperarne nulla: i beni non ci sono dati per specularne; la vita va vissuta con una generosità illimitata. Ricordiamo i primi evangelici per una morale economica cristiana, così come li sintetizza E. Chiavacci:
    - “bada di non arricchirti”
    - “se hai, hai per dare”
       
  7. “Non giudicate … non condannate … perdonate …”: non è un invito a perdere il senso della critica e della denuncia, e nemmeno a non voler distinguere il bene dal male: prendere coscienza delle ingiustizie in atto e denunciarle non deve tradursi nella distruzione degli altri.

Cos'è la non violenza attiva?

La nonviolenza è FIDUCIA NELL’UOMO E FEDE IN DIO, È LA FORZA DELL’AMORE E DELLA VERITÀ.
Non è semplicemente una dimostrazione d’amore, non è una carezza sulla testa. Forse più di tutto è una dimostrazione di forza: non si limita all’amore puro ma lo rende effettivo, è continua ricerca di tecniche di lotta compatibili con l’amore e con il rispetto della verità. “Insistere sulla verità” (satyagraha), essere ostinati, affermare la verità non con la sofferenza del nemico, ma con la propria. La nonviolenza è fiducia nell’uomo, è credere che la vita ha un senso. La violenza è segno che il destino umano è assurdo, ma la violenza non è fatale, non è la strada inevitabile: se conserviamo fiducia nell’uomo si riapre la speranza. La nonviolenza è non disumanizza l’oppositore, parte sempre dai suoi lati migliori e fa appello all’umanità e alla ragione dell’avversario, perchè è convinta che ciò che ci unisce è molto più di ciò che ci divide. E’ un’impresa difficile, frutto di un rapporto cuore a cuore con Dio.
Gandhi diceva che
la lotta del satyagraha è per i forti di spirito. (…) La radice del satyagraha è la preghiera. La preghiera non è il passatempo ozioso di una vecchia. Compresa nel suo valore e giustamente impiegata è il mezzo più potente”.
La nonviolenza è la vittoria dei deboli.

   

Come si realizza?

Con il SACRIFICIO!!!
Mamma mia che brutta parola, vero? Essere disposti al sacrificio… Con il martirio, ma anche con una logica di sacrificio quotidiana.
E tanti diranno “ecco, le solite menate da buoni cristiani bigotti, disposti a soffrire: loro sono quelli che per credere devono fare i tristi, non possono godersi la vita…” Eppure il sacrificio è una dimensione quotidiana che accettiamo quasi naturalmente; a volte umano e dignitoso, a volte illogico e squallido: il sacrificio del tifoso per seguire la sua squadra, i sacrifici per mostrare un’auto nuova, il sacrificio di certe mie libertà per il bene di un gruppo (anche solo con le regole condominiali, sapete?), i sacrifici per conquistare una donna… o per conservare il suo amore, i sacrifici dei genitori per i figli…Non è così strano cercare il senso della storia in un sacrificio, in un nostro sacrificio. Gesù, poi, ci fa fare un altro passo avanti, ancor più profondo, e intona davvero note di un canto nuovo: coniuga la logica del sacrificio con la nonviolenza, e la storia si rivoluziona!

  

      •  Credi nella forza della non violenza, o ti sembra un discorso utopico?
         
      •  Quali atteggiamenti di violenza senti in te e come reagisci contro di essi?
         
      •  Il mio essere discepolo di Gesù, mi mette a testa alta dentro i conflitti della realtà più reale, oppure mi isola in una spiritualità ovattata?
         

 Quali sacrifici ti costano di più, quali di meno? Ovvero, a cosa è più attaccato il tuo cuore?

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Se hai tempo, o anche a casa, leggi con calma queste parole di don Primo Mazzolari, che ci hanno accompagnato anche nel campo itinerante dell'estate scorsa:

La nonviolenza non va confusa con la non-resistenza. Nonviolenza è come dire: “no” alla violenza. E’ un rifiuto attivo del male, non un’accettazione passiva. La pigrizia, l’indifferenza, la neutralità non trovano posto nella nonviolenza, dato che alla violenza non dicono né si né no. La nonviolenza si manifesta nell’impegnarsi a fondo. 
Ogni violento presume di essere coraggioso, ma la maggior parte dei violenti sono dei vili. Il nonviolento, invece, nel suo rifiuto a difendersi è sempre un coraggioso. Lo scaltro, che adula il tiranno per trarne profitto e protezione, o per tendergli una trappola, non rifiuta la violenza bensì gioca con essa al più furbo. La scaltrezza è violenza, doppiata di vigliaccheria ed imbottita di tradimento. La nonviolenza è al polo opposto della scaltrezza: è un atto di fiducia dell’uomo e di fede in Dio, è una testimonianza resa alla verità fino alla conversione del nemico.
Gesù ha annunciato con insistenza e precisione la regola della nonviolenza: “A chi ti percuote la guancia destra porgi la sinistra; a chi ti muoverà lite per toglierti la tunica lascia anche il mantello; se alcuno ti obbligherà a correre per un miglio seguilo per due” (Mt 5,40-41). (…)
La nonviolenza assume un valore umano inestimabile solo quando diventa resistenza al male sul piano spirituale. Lo Spirito di pace e di giustizia, lo spirito di verità e di giustizia sono un unico e medesimo spirito. (…) E allora la sua resistenza assume immediatamente questi aspetti incomprensibili:

  •  dichiarazione di condanna del male;
  •  opposizione al male, non agli uomini che lo commettono;
  •  disposizione a pagare, e non a far pagare la nostra condanna e la nostra opposizione al male.

Spesso, più che al male, ci si oppone agli uomini che fanno il male, i quali sono degli infelici ancor prima di essere dei colpevoli. Ma chi è puro e veramente caritatevole nelle intenzioni e nei movimenti delle proprie azioni?
Il nonviolento rifiuta di portarsi sul piano del violento, costringendo piuttosto questi a salire sul suo e a combattere con la forza l’idea. La rotta del realismo politico incomincia quando il violento è obbligato a scoprirsi qual è, ed è allora che si butta massicciamente e da persecutore contro lo spirito. Tale comportamento fa cadere la maschera idealistica dell’egoismo, che è il vero movente di ogni violenza. Una volta caduta la maschera, la vittoria dello spirito albeggia, sia pure lontana.
La nonviolenza è la cosa più nuova e la più antica; la più tradizionale e la più sovversiva; la più santa e la più umile; la più sottile e difficile e la più semplice, la più dolce e la più esigente; la più audace e al più savia, la più profonda e la più ingenua. Concilia i contrari nel principio; e perciò riconcilia gli uomini nella pratica”.

 

“ La pace cristiana non è regolata dal ‘do ut des’: se tu sarai pacifico con me, io lo sarò con te. Il cristiano procede per altra strada e dietro altra logica: “Udiste che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli, il quale fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi e manda la pioggia ai giusti e agli iniqui. Perché, se amate quelli che vi amano, qual merito ne avete? Non fanno lo stesso i pubblicani? E se salutate soltanto i vostri fratelli, che cosa fate da più degli altri? Non usano lo stesso i gentili? Siate dunque perfetti com’è perfetto il vostro Padre celeste” (Mt 5,43-48).
Un cristiano deve fare la pace anche quando venissero meno “le ragioni di pace”. Al pari della fede, della speranza e della carità, la pace è vera beatitudine quando non c’è tornaconto né convenienza né interesse di pace, vale a dire quando incomincia a parere una follia davanti al buon senso della gente “ragionevole”.
La contabilità cristiana conosce la sola partita del dare: se vi aggiungiamo l’avere, non ci dobbiamo sorprendere se rivedremo sul tappeto le ragioni del lupo, il quale, essendo a monte del fiume, trovava che l’agnello gli intorbidiva le acque. Se gli altri odiano, non è una ragione perché odiamo anche noi. Si vince il male con il bene; la malattia con la salute; si oppone all’ostilità la carità: questo è il comandamento di Dio. Gli altri sono comandamenti di uomini, e uomini senza Dio, anche se fanno salamelecchi al prete.
Quando ci si giustifica delle ingiurie nostre col fatto delle ingiurie altrui, decadiamo dal cristianesimo: rendiamo nulla l’incarnazione con la passione e la resurrezione di cristo. Ad amare i soli amici erano buoni anche i pagani.
La pace comincia in noi… in me e da me, da te, da ciascuno… come al guerra. Ma come si può arrivare alla pace se si seguita a coltivare, quasi orto per ortaggi, questa aspirazione manichea dell’umanità e della spiritualità; se si seguita ad alimentare una polemica fatta di apriorismi e ingiurie, deformazioni e repulse; se si aumenta ogni giorno più la disparità economica tra chi spedisce lingotti d’oro all’estero e chi vive nelle baracche e intristisce nella disoccupazione; se si insiste a vedere nel fratello insignito di un diverso distintivo politico un cane da abbattere, un rivale da sopprimere, un nemico da odiare?
Quanti cristiani, per assicurarsi un diritto all’odio, si tramutano in farisei che non vedono fratelli, ma pubblicani, ma samaritani, ma pagani. Come se Gesù non fosse mai venuto e non fosse morto e risorto!
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