Â…per ricordare e continuareÂ…
Il segno di Cana (2,1-11) che abbiamo visto il mese scorso è
lÂ’episodio programmatico che apre il giorno del Messia, in cui
questi darà compimento alla creazione dell’uomo, e, con la venuta
dello sposo, annuncia la sostituzione dellÂ’Antica Alleanza. Il
cambiamento proposto da Gesù incontra una serie di ostacoli.
La sua persona è la presenza
immediata di Dio tra gli uomini, la sua azione è quella di Dio
nellÂ’uomo, che rende superflua ogni mediazione.
Per questo gli ostacoli alla sua opera sono le istituzioni
mediatrici considerate salvatrici. Gesù deve confrontarsi con il
tempio e con i suoi amministratori che lo avevano corrotto
(2,13Â…). Incontra lÂ’impedimento della legge, eretta dai maestri a
rivelazione piena di Dio, manifestatrice del suo disegno e
mediatrice dei suoi doni (3,1Â…). A lui vengono opposte le figure
dell’Antico Testamento (Mosè e i profeti) assolutizzate come
intermediari permanenti, (la promessa sostituisce il promesso)
mentre la funzione di questi personaggi era stata di annunciare e
preparare la venuta del Figlio, il vero signore e sposo; venendo
elevati a modelli definiti, impediscono di accettare la sua
testimonianza (3,22…). Dinanzi a questo ostacoli, il bilancio è
negativo: sono pochi coloro che accettano Gesù. Questo avviene in
Giudea, che rappresentava il nucleo di quel popolo nella cui
storia Dio era intervenuto in forma privilegiata. Gesù si vede
obbligato a ripiegare sul punto di partenza, la Galilea. Tuttavia
passa per la Samaria (4,4…). La situazione della Giudea è quella
di nozze senza amore; la situazione di Samaria quella di una
prostituta. AnchÂ’essa ha come punto di riferimento il pozzo di
Giacobbe, la legge e la tradizione etnica, in cui pretende di
estinguere la sua sete e da cui trae la sua identità . In Giudea
Gesù si era presentato come alternativa alle istituzioni, in
Samaria offre la sua acqua, che sostituisce la legge e la
tradizione. La Samaria accetta, riconoscendo le proprie deviazioni
e rompendo con il passato. La fine dell’episodio è un canto di
trionfo e di speranza; lÂ’orizzonte si allarga con la visione delle
messi che biondeggiano. Mentre la permanenza in Giudea si
concludeva con una ritirata, il contatto con la Samaria si
conclude con la sua permanenza su preghiera degli abitanti. Gesù
ritorna in Galilea, la regione meno ostile, dove si può muovere
con libertà . L’accoglienza dei Galilei è ispirata dal suo operato
a Gerusalemme, che aveva avuto risonanza nazionale. Si mostrano
favorevoli a Gesù; continua l’adesione che egli non aveva ricevuto
nella capitale (2,23-25) perché fondata sull’idea messianica
riformista. Il ritorno di Gesù a Cana, luogo del suo primo segno,
pone fine alla prima tappa e costituirà un nuovo principio.
(Giovanni 4,46-54)
46 - “Giunse così
nuovamente a Cana di Galilea, dove aveva trasformato lÂ’acqua in
vino. CÂ’era un funzionario regio, il cui figlio era infermo a
Cafarnao”
Per questo
episodio programmatico di tutta l’attività di Gesù verso l’uomo,
Giovanni sceglie come protagonista qualcuno mantenuto rigorosamente
anonimo: un individuo che esercita autorità e
prestigio nella società , e che pertanto può essere figura di
qualunque genere di potere (risiede a Cafarnao, la città più
importante della Galilea). Viene identificato col proprio ruolo: il
termine greco “ basilikos”
indica più un
appartenente alla famiglia reale o un dignitario che un semplice
impiegato. La sua dignità deriva dall’ essere associato a un altro,
un capo di questo mondo. Questo significa che come dignitario reale
è uno di coloro che sono nati “da volere dell’ uomo” . Il ragazzo è
infermo: per la prima volta il
conflitto vita - morte si presenta a Gesù.
47 - “Questi,
udendo che Gesù era giunto dalla Giudea in Galilea, andò da lui, e
gli chiese che gli guarisse il figlio, che era sul punto di morire”
Il suo (unico) figlio è ammalato,
ha bisogno di aiuto. Il funzionario non manda chiamare Gesù, lui
stesso va a trovarlo (da Cafarnao a Cana sono 26 Km in salita!)
spinto dalla necessità , senza mostrare evidente preoccupazione per
il suo “onore” o la sua carica ufficiale. Non gli esprime adesione
personale, ma ha bisogno del suo aiuto: come
soluzione al pericolo di morte, domanda un intervento diretto di
Gesù: che scenda di persona e lo guarisca. Si considera impotente
dinanzi alla malattia e alla morte che si avvicina.
Attende tutto dall’intervento di Gesù. Sa che questi è stato
in Giudea e va a trovarlo attratto dalla sua fama (udendo), che, in
Galilea è basata esclusivamente su quanto è accaduto a Gerusalemme
durante le feste di pasqua (4,45). Egli, che rappresenta il potere
politico, vede pertanto in Gesù, che è stato capace di confrontarsi
con il centro dellÂ’istituzione giudaica (2,13Â…), un Messia politico
riformista e potente, secondo lÂ’interpretazione data a Gerusalemme.
Deducendo da ciò che Gesù possa guarire suo figlio, amplia il
significato dell’infermità e della guarigione, includendo
l’interpretazione socio – politica accanto all’infermità fisica e
trasformando il figlio – infermo in una figura rappresentativa. Il
funzionario è preoccupato della situazione disperata dell’uomo che
dipende da lui, e viene a cercare soluzione in Gesù, il Messia
potente, capaci di porvi rimedio, pur senza proporvi di modificare
il sistema di relazioni già esistente.
48 - “Gli
rispose Gesù: Se non vedete segni portentosi non credete”
Con la sua risposta, Gesù scopre la mentalità del funzionario regio,
che questi ha in comune con quelli della sua classe (non credete).
Gesù, nel funzionario, si dirige ai potenti, e, più
in generale, a coloro che attendono la salvezza nella dimostrazione
di potere. Per loro, la fede può avere come fondamento solo
un dispiego di forza, lo spettacolo taumaturgico. Il funzionario
sarà disposto ad aderire a lui quando vedrà gli effetti prodigiosi
della sua azione. Come individuo potente comprende solo il
linguaggio del potere. Cerca in Gesù l’intervento del Dio
onnipotente che agisce senza assegnare un ruolo allÂ’uomo e che, come
un atto spettacolare, rimedia alla situazione dal di fuori. Il
potere riconosce il potere superiore. L’espressione di Gesù allo
stesso tempo mostra come lui stesso rifiuti un determinato modo di
rimediare alla debolezza dellÂ’uomo e, per contrasto, il modo in cui
egli le porrà rimedio. Di fatto l’espressione “segni portentosi” fu
tipica dellÂ’azione di Dio nellÂ’Antico Testamento, per esempio per
mezzo di Mosè per salvare il popolo dalla schiavitù d’Egitto (Esodo
7,3.9; 11,9.10; 15,11). Il rifiuto di Gesù a esercitare unÂ’attivitÃ
simile a quella di Mosè mostra il significato dell’episodio. Nel
funzionario appare la figura del potere , nel ragazzo infermo quella
dellÂ’uomo nella situazione estrema e prossimo alla morte
(corrispondente allÂ’antico Israele in Egitto). La
figura del Messia non sarà quella dei segni prodigiosi, ma quello
dellÂ’Amore fedele (1,14): per salvare non farÃ
alcun sfoggio di potere.
49 - “Insistette: Signore, scendi
prima che il mio ragazzino muoia”.
Il funzionario insiste, trattando Gesù rispettosamente, riconoscendo
la sua superiorità . Con la sua rinnovata richiesta confessa
lÂ’impotenza del potere davanti alla debolezza e alla morte. Attende
la soluzione da questo potere superiore e di qualità diversa. La
morte del ragazzo è imminente, da qui l’urgenza della richiesta del
padre: per lui la salvezza dipende dalla presenza fisica di Gesù e
da un prodigio. Il funzionario non chiama l’infermo “mio figlio”, ma
“il mio ragazzino”, indicando da un lato
affetto (diminutivo) e dallÂ’altro la dipendenza propria del minore.
Per quanto unito allÂ’infermo dallÂ’affetto, lÂ’uomo del
potere non ha stabilito con lui una vera relazione paterno –
filiale, lo tratta da una posizione di potente. Dato lÂ’ampio
significato della malattia, che, oltre al fisico, comprende lÂ’area
dell’oppressione, il termine “ragazzino” indica disuguaglianza e
dipendenza.
50 – “Gesù gli disse: mettiti in
cammino, che tuo figlio vive. L’uomo si fidò della parola datagli da
Gesù e si mise in cammino”.
Gesù non ha bisogno di scendere a Cafarnao. Egli
comunica vita con la sua parola, che essendo parola
creatrice (1,3), non è circoscritta a un luogo, ma può giungere a
ogni luogo. DÃ vita allÂ’infermo direttamente, senza esigere alcuna
condizione. La vita dell’uomo interessa a Gesù tanto quanto al
padre. Gesù non parla di guarigione, ma di vita. Si insinua
che la vita che egli ha comunicato allÂ’infermo non sia una mera
restituzione della salute, una prosecuzione della vita ricevuta dal
padre, bensì una vita di nuova qualità , che lo rende indipendente da
lui, la vita definitiva, come apparirà negli episodi che seguono.
La liberazione - che Gesù compie - da ogni fattore di morte si
effettua in modo positivo con la comunicazione di vita allÂ’uomo
stesso; è la vita nuova a permettere all’uomo di restare libero da
ciò che gli impediva di vivere. Accettando la qualifica di
“ragazzino” come “minore”, la frase di Gesù ricorda al funzionario
la sua vera relazione con l’infermo: non è un “ragazzino”, ma un
“figlio”, un uguale. Gesù dice al funzionario di mettersi in cammino
e di constatare la realtà di quanto è accaduto. Lo mette così alla
prova per vedere se rinuncia al suo desiderio di segni spettacolari:
se l’uomo accetta l’invito di Gesù, vedrà suo figlio uscito dalla
situazione di morte. Colui che avanzava richieste a Gesù come a un
potente, crede ora come “uomo”. Prima veniva definito in base alla
sua funzione, ora in base alla sua condizione umana, presupposto per
ogni relazione personale.
51: “Quando già stava scendendo,
lo incontrarono i suoi servi, e gli dissero che il suo ragazzo
viveva”.
E’ lui e non Gesù che scende verso il figlio, con la
fede nella parola di vita.
Cana era sulla montagna, Cafarnao sulla sponda del lago:
lÂ’uomo scende dal pendio, si pone a livello dellÂ’infermo. EÂ’ allora
che incontra i suoi servi (segno della classe sociale a cui
apparteneva) che venivano a dargli la notizia. Per loro quello che
vive è il suo “ragazzo”, per Gesù è suo “figlio”.
52: “Chiese loro a che ora avesse
cominciato a migliorare, ed essi gli risposero: Ieri allÂ’ora settima
la febbre lo ha lasciato”
L’uomo, che aveva ascoltato le parole di Gesù, ricevendo ora la
notizia con una frase quasi identica a quella impiegata da lui,
desidera confermare la coincidenza fra quelle parole e il fatto. Al
principio, tuttavia, domanda del miglioramento, secondo la richiesta
che egli stesso aveva fatto: evitare la morte del ragazzino (4,49).LÂ’ora
della guarigione coincide con quella delle parole di Gesù,
dimostrando la loro efficacia. In quel tempo, lÂ’una del pomeriggio
veniva contata come lÂ’ora settima del giorno. Nel primo episodio
programmatico, quello delle nozze (2,1-11), si fa menzione per la
prima volta dell’ “ora” di Gesù (2,4) non ancora giunta. In essa
egli darà il suo vino (l’amore). Tale ora coincide con la presente,
in cui egli comunica vita: lo Spirito – Amore che egli comunicherÃ
all’uomo, traendolo dalla sua situazione di morte. L’ora di Gesù è
pertanto “la sesta” in quanto ne segnala la morte; “la settima” in
quanto, conclusa la sua opera, genera la vita con la donazione dello
Spirito.
53 - “Il padre si rese conto che
era stata l’ora in cui Gesù gli aveva detto: Tuo figlio vive. E
credette lui e tutta la sua famiglia.”
L’uomo constata l’efficacia delle parole di Gesù. Questi non ha
acconsentito al suo desiderio, ma non si è disinteressato
dellÂ’infermo. Quando constata che non si trattava di miglioramento,
ma di guarigione (la febbre lo ha lasciato), comprende tutta la
portata delle parole di Gesù e che quello che vive è “suo figlio”. A
tale comprensione può corrispondere la denominazione “il padre”,
esplicata nel prologo come quella di colui che comunica al figlio
tutta la sua ricchezza, rendendolo uguale a sé.
Questa interpretazione rivela la causa che privava di vita
lÂ’infermo/popolo: il dominio del potente,
che creava la dipendenza e sopprimeva la libertà . La dipendenza
espressa al principio è sparita. Il rapporto
padre/figlio è segno del rapporto
Dio/uomo, rotto dalla diffidenza. La fede lo
ristabilisce, integro e sano. Lui è Padre nostro e noi figli suoi.
Non è più un rapporto di violenza e schiavitù, ma di amore e
libertà : non produce più morte ma vita.
Per la prima volta nel racconto appare la
“famiglia” che prima non esisteva, poiché non si poteva
chiamare tale la casa del dignitario reale dove tutti gli erano
subordinati. Il dignitario che era andato da Gesù per chiedere di
guarire il figlio, ha scoperto che doveva essere lui il malato che
doveva essere guarito. Percependo la vita che Gesù dà , la
manifestazione della sua gloria (2,11), egli giunge alla fede, gli
dà la sua vera adesione. Negli episodi precedenti si parlava della
Giudea (3,21) o della Samaria (4,4). Fra i pagani tuttavia, per
designare una comunità , non la si poteva menzionare come “razza ”o
“popolo”; bisognava ricorrere all’unità “casa/famiglia” comune a
tutti i popoli. Il termine evoca, per contrapposizione, “la casa di
Israele”, quella dei suoi che non lo ricevettero. La prospettiva si
allarga: qualunque “casa” può ricevere il messaggio
della vita. L’uomo credente di Cana, “rinasce come padre”:
così come la Samaritana era dubbiosa e ha portato poi i suoi
concittadini alla fede, così questo “basilikos", che all’
inizio dubitava, porta tutta la sua famiglia a credere. Nasce così
la prima comunità giovannea a base familiare.
54 – “Stavolta Gesù compì questo,
come secondo segno, giungendo dalla Giudea alla Galilea”
Il secondo segno
è un nuovo punto di partenza. Ricorda il principio dei segni (2,11),
che annunciava la sostituzione dellÂ’alleanza e il dono dellÂ’amore:
questo stabilirà la nuova relazione tra Dio e l’uomo e creerà la
nuova comunità umana. Il segno delle nozze rimane sempre valido:
quello che cambia è il modo con cui Gesù realizzerà la sua opera
dopo il rifiuto dei suoi. Dinanzi a unÂ’istituzione
che rifiuta il il piano di Dio, Gesù darà vita direttamente all’uomo,
al di fuori della istituzione giudaica, realizzando così il suo
esodo.
▪ Per riflettere:
1. La fede
non chiede di vedere segni e prodigi;il vero prodigio che qui si
narra è quello del funzionario che diventa uomo e poi padre. Il
ragazzo , da servo diventa libero e figlio. Sta fiorendo il mio
cammino di fede?
2. “ E
credette lui e tutta la sua famiglia”: la fede non ci fa diversi
dagli altri: ci fa semplicemente“casa”, luogo visibile e vivibile,
aperto a tutti gli uomini e donne. Come sta la mia casa?
3. A quanti
gli chiedono miracoli che sovvertano a proprio beneficio le leggi
che regolano il mondo, nei vangeli Gesù risponde con un invito
alla conversione, un cambiamento nelle leggi che regolano i
rapporti sociali a beneficio degli altri. Aspetto “miracoli” o la
mia fede mi porta ad agire per fare fiorire la vita in quella
casa che è il mondo?
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Tra le tante
proposte che ti arrivano, prova a conoscere più da
vicino quella del
GIM!
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I
testimoni di ieri e di oggi rappresentano quei fiori che
non hanno paura di sbocciare.
Tra
questi vi è
Lele Ramin, missionario comboniano tra gli
Indios Suruì in Brasile.
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La
Carovana
della pace invita ciascuno di noi ad essere
attento ed aperto al mondo e capace di mettersi in
dialogo con la Chiesa e la società civile.
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Per noi oggi è sempre più difficile essere "famiglia" e
"comunità ", lasciamoci così aiutare dall'esempio delle
comunità di base, come ci racconta
Valdênia Aparecida Paulino,
avvocato di strada in Brasile. |
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