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Imparare la Libertà... accogliendo la liberazione da un Altro

Gim Firenze (marzo 2001)

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Es.12,1-28; 13,17-31; 14,10-14; 14,19-31;15,1-21 ;

Deut. 32; Rom. 6,3-4

La storia che i cc. 12-15 ci rapportano, sono riferimento fondamentale per il popolo di Israele. Nel sangue dell’agnello e nel passaggio del Mar Rosso, si attua la loro liberazione e salvezza. E’ la Pasqua, il passaggio potente di Dio, che fa passare il suo popolo da una situazione di morte e di schiavitù a una vita nella libertà, a un’identità di popolo di Dio. Facendone memoria, Israele rende presente oggi la grazia di quel momento particolare.

Tutto questo è insieme figura di un’altra Pasqua, la Pasqua di Gesù. Egli è il vero Agnello, nel cui sangue siamo salvati. Facendone memoria, cibandoci di Lui nell’Eucaristia, troviamo oggi l’energia per compiere il cammino verso una libertà sempre più grande di figli di Dio, immergendoci con lui senza paura anche in situazioni di morte, sicuri di emergere come Lui a una vita nuova di Risorti.

  Il passaggio di Dio

“Io passerò” (12,12), dice Dio al Faraone per bocca di Mosè. E quando Dio passa, agisce, fa sorgere un ordine nuovo, crea storia nuova, inizia a fare d’Israele un popolo, lo mette in cammino verso la terra promessa.Dalle tenebre dell’Egitto (di ‘notte’ muoiono i primogeniti) emerge in una fuga impetuosa tutto un popolo che va verso la libertà e la luce, guidato appunto dalla colonna di fuoco (13,21).

In questa notte in cui tutti i primogeniti periscono, quelli d’Israele sono salvi grazie al sangue dell’agnello. Israele fa l’esperienza della salvezza, di essere davvero il ‘figlio primogenito di Dio’ e di essere amato come tale da Lui. Israele acquista il sentimento della propria appartenenza a Dio, e di essere distinto da tutti gli altri popoli (11,7). Tutto questo racconto dell’Esodo è percorso dalla meraviglia di chi si scopre salvato, prescelto, privilegiato. E’ lo stesso sentimento che pervade con commozione ogni uomo quando percepisce che Dio lo ama e che è figlio prediletto del Padre, beniamino del Signore, frutto di misericordia.

LÂ’Agnello pasquale

In questa notte di Pasqua, nasce il popolo di Dio, è vinta la dispersione. Non più accostamento d’individui che hanno qualcosa in comune, ma popolo nuovo che riconoscerà nell’unico Dio Salvatore il suo fondamento.

Nel rito da osservare per la manducazione dell’agnello, è esclusa una celebrazione individuale o un raggruppamento arbitrario d’amici: si deve fare in famiglia. Il popolo d’Israele partecipa alla cena nella notte del proprio riscatto come comunità di famiglie riunite che insieme lasciano l’Egitto. E’ la prima partecipazione che Dio chiede al popolo per il grande evento della liberazione.

La notte di Pasqua: un ricordo da tramandare (12,14)

L’esperienza della salvezza è un ricordo da tramandare di padre in figlio. La celebrazione della Pasqua è celebrazione di un riscatto come memoria e insieme di un riscatto come speranza. Israele resta il popolo che è stato redento ma che attende ancora la sua redenzione. Nella celebrazione dell’atto redentivo del passato, desidera intensamente la liberazione futura. E’ una fede che afferma la vittoria finale di Dio. E’ una memoria che conserva desta ed attuale la certezza di essere amati da Dio. Da quella notte, il popolo d’Israele, privo di qualunque consistenza esteriore, vivrà appoggiato al fragilissimo appoggio di un semplice ricordo, la memoria della misericordia di Dio.

  Pasqua, festa della libertà

Mettendo il sangue dell’agnello sugli stipiti delle porte, gli Ebrei si fanno riconoscere, esponendosi alle rappresaglie della polizia egiziana. E’ già un prendere consapevolezza della propria identità, un levar la testa, un dichiararsi con coraggio per quel che sono. E’ già un’esperienza di libertà, un affermare che è gente che non si aspetta di ricevere in regalo la propria libertà da nessun potente di questo mondo, ma che se la prende da sé, perché non accetta altra sovranità che quella del Signore.

Ogni anno, la festa di Pasqua sarà per gli Ebrei di tutti i tempi una celebrazione della libertà ed un invito a non dichiararsi mai sconfitti di fronte all’oppressione e all’ingiustizia, anche nella più tenebrosa Shoah. “Oggi Dio viene a liberarci”: nella fede in Lui ogni anelito di libertà troverà finalmente uno sbocco.

Dalla paura al giubilo

L’uscita d’Israele dall’Egitto inizia in modo trionfale. Purché se ne vadano, gli Egiziani li colmano di doni, Dio li precede come una ‘colonna di nube’ di giorno e come ‘colonna di fuoco’ di notte, sono ‘ben armati’, si sentono forti, protetti da Dio. Ma Dio non guida Israele alla terra promessa per la strada più corta, bensì verso il deserto, dove vagheranno per quarant’anni, dove saranno ‘educati’ da Dio e ‘forgiati’ prima di affrontare i popoli forti e pagani della Palestina. Ora non sarebbero pronti e si sarebbero pentiti e di fronte alle difficoltà avrebbero voluto tornare in Egitto, pensando che sarebbe stato meglio la schiavitù che il rischio della morte nella libertà! In effetti questa sarà la reazione degli Ebrei quando si rendono conto di aver dietro i soldati egiziani e dinnanzi la barriera del mare. Sono invasi dal terrore, da ‘una grande paura’ e si dicono pronti a ‘tornare a servire gli Egiziani’: a che serve una libertà che porta alla morte?

Proprio qui, nella loro paura che li paralizza, s’inserisce la più esplicita chiamata alla fede. Mosé dice loro: “non abbiate paura…il Signore combatterà per voi e voi non dovete fare nulla”, “siate forti e vedrete la salvezza che il Signore oggi opera per voi”.

Quando Israele avrà veduto, capirà che solo Dio sarebbe stato per sempre il suo riparo, il suo appoggio solido e sicuro. Sulle sponde del Mar Rosso si opera il passaggio dall’evidenza della propria debolezza alla fede in Dio. La fede è il rischio che c’impone di giocarci tutto e diventa così la più pura esperienza di libertà. Una libertà che accetta il rischio di sperare in Dio, quando tutte le nostre paure vorrebbero rinchiuderci nella constatazione della nostra disperazione. L’unica condizione alla salvezza è la speranza contro ogni speranza, è la fede che rimane salda nel momento stesso in cui crolla ogni appoggio umano.

Grazie alla fede di Mosè il mare si apre, il popolo passa, le acque si richiudono sui nemici annientandoli. Finalmente il popolo capisce che è stato Dio che ha ottenuto la vittoria e scopre la sua presenza meravigliosa e forte nella sua storia. Israele scopre che il Signore è un Dio che salva e mai abbandona il suo popolo e chiunque confida in Lui. Il popolo ha visto, e finalmente “credette nel Signore e nel suo servo Mosè”.

Gli Israeliti hanno attraversato il mare “nel silenzio” (14,13), ora possono esplodere in un canto di giubilo. Dio ribalta le cose del mondo (Lc. 1,51-53): Egli fa di una massa di schiavi un popolo di gente libera, Egli dà ascolto al lamento dei poveri, vede le loro lacrime, li strappa al loro passato di miseria e li converte a sé.

Fragilità della fede umana

La fede è un cammino lungo. Facendo passare Israele attraverso il Mar Rosso, Dio taglia i ponti. Ormai gli Ebrei non possono più tornare indietro, verso l’Egitto.Volentieri o di malavoglia, si è costretti a proseguire il cammino. Questo sarà lungo, difficile, ma proprio le difficoltà del cammino ci legheranno sempre più a Lui, perché nell’aridità del deserto non resta che Lui, il Signore che salva. Dio è fedele e ci fornirà sempre una via d’uscita.

 

RIFLETTI E CONDIVIDI

Ø      Ho fatto esperienza di ‘liberazioneÂ’, abbandonandomi aÂ… un Altro che mi ama?

Ø      Ci sono situazioni della mia vita in cui preferisco restare schiavo piuttosto che osare di giocarmi tutto sulla Parola e sulla Promessa del Signore?

Ø      Individui, gruppi umani, popoli interi si trovano oggi schiacciati da schiavitù anche peggiori di quelle di Israele in Egitto. Con umiltà, ma forte della mia esperienza di quanto Dio ha già fatto per me, so pormi accanto a chi cerca ancora liberazione, come Mosè, per sostenere la loro speranza e la loro lotta?

 

 

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