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Missione è seguire Gesù

GIM 1 Padova - 20-21 Aprile 2013

 

Missione è seguire Gesù

 

  

 

 

e restare accanto al popolo …

[anche] fino a dare la vita 

 

 

VEGLIA GIM

aprile 2013

 

 

 

 

Introduzione

Gesù è la VITA: va dietro di Lui chi cerca VITA vera.

Gesù è la VIA: va dietro di Lui chi vuole CAMMINARE verso la vera felicità, quella duratura.

Gesù è la VERITÀ: va dietro di Lui chi vuole ESSERE VERO, chi aspira a sviluppare al massimo la propria umanità. 

 

La missione parte da Dio che si auto rivela a noi in Gesù. Il Figlio a sua volta ci invia nel nome della Trinità ad annunciare la Buona Notizia: “Andate e fate discepoli tutti i popoli, Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”(Mt 28).

“Fare i discepoli” significa molto di più di “fare i proseliti”: significa offrire, indicare la VIA attraverso la quale si può concretamente VIVERE IN VERITÀ [via-vita-verità = Gesù]. 

 

Canto: Vivere la Vita

 

Vivere la vita accettando le gioie e i dolori di ogni giorno

il nostro destino comune è inabissarci nell'amore

Fare insieme agli altri la nostra strada verso Dio

correre con i nostri fratelli e sorelle

Scoprire il cielo dentro di noi 

lasciare nel mondo una scia di luce.

Vivere la vita è l'avventura più stupenda dell'amore

Vivere generando ogni momento il paradiso

impegnarci per ripristinare l'unità originaria

 

Il discepolo di Gesù: un vivente? O un sopravvivente?

Oggi molte persone stentano a VIVERE, tanti semplicemente sopravvivono. La vita sembra non avere un senso in se stessa spesso perché ci si adatta alle “misure” che impone il sistema, quasi fossero parametri assoluti.

Pensiamo semplicemente ai fatti di questi ultimi tempi: un imprenditore, che vede la sua azienda fallire per la crisi economica, rimane pieno di debiti e non vede più nulla davanti a sé, forse vede un muro invalicabile, forse il buco della sua sepoltura o forse una strada senza uscita; non regge all’ immaginarsi in carcere, o vivere in povertà, o senza casa, o senza lavoro. Qualsiasi di queste cose POTREBBE succedere, ma ANCHE NO!

Come mai non riesce ad immaginarsi vivere una VITA DIVERSA?  che può lo stesso essere VITA VERA visto che c’è ancora VITA?

 

Il nostro imprenditore decide di suicidarsi, ma visto che vuole bene alla famiglia, pensa bene di “sistemarli” prima di compiere l’atto. Non sopporta il pensiero di vedere sua moglie e suo figlio soffrire per causa sua. Decide di uccidere tutti e due per poi togliersi la vita lui stesso.

 

È un fatto estremamente drammatico, terribile, tragico, ma alle nostre orecchie ormai sembra “un” caso tra tanti, è diventato il “normale” menù del tg. Il suicidio sta diventando “la” alternativa, neanche “una” alternativa; basta che non ci quadrino più i conti e la VITA va a farsi benedire, vuota di senso.

Il sistema del quale siamo prigionieri impone di attaccarci al contingente in modo assoluto. Ciò che abbiamo qui e ora è spesso percepito come identico al proprio essere, all’esistenza stessa.

 

Il SENSO, il VALORE della VITA, dell’ESISTENZA s’identifica allora con il successo di una azienda, con il valore d’acquisto, con il tenore di vita socio-economica, sembra che se tutto questo scema, allora non vale più la pena rimanere VIVI in questo mondo. 

 

In America Latina davanti ad una tragedia (inondazione, terremoto, incidente o altro), a la domanda come stai? gli impoveriti spesso rispondono “mientras hay vida, hay esperanza” cioè “mentre c’è vita, c’è speranza”. La vita sembra avere un valore, un senso, distinto dai beni persi o distrutti. 

 

Il sistema ci impone il suo stile di vita: sii solo, cavatela da solo sempre e comunque, non chiedere mai aiuto a nessuno, è preferibile rubare o fare manovre nascoste che farsi aiutare. Non dire mai agli altri che sei nel bisogno, non mostrare la tua debolezza, la tua povertà, è umiliante! Gli altri non esistono, e se ci sono stai attenti, ti possono fregare, nessuno si occuperà mai di te e a nessuno interessano i tuoi problemi. 

 

Il sistema offre quell’acqua che disseta troppo in fretta ma troppo in fretta si ha di nuovo sete, niente è duraturo: le mode passano in fretta, le apparenze non reggono a lungo, bisogna continuamente competere per stare al passo del sistema … e nel frattempo la gente muore disperata. 

 

La CRISI è il punto d’incontro tra rischio e opportunità

 

Qualcuno davanti alla CRISI vede solo il RISCHIO e rimane nel pessimismo, sentendosi solo e con un peso insormontabile addosso; crede di non avere risorse in se stesso per fare fronte alla nuova situazione di disagio, e nemmeno si ricorda che forse la comunità o la famiglia allargata potrebbe aiutarlo. Questo significa essere prigioniero nelle sgrinfie del sistema.

 

La CRISI può però essere anche OPPORTUNITÀ, possibilità di inventare ciò che ancora non esiste, immaginare qualcosa di nuovo, di possibile, di bello. Ci sarebbero moltissimi esempi, ma prendiamo quello delle mense popolari di Lima, Perù.

 

“Los comedores populares” nascono a Lima alla fine degli anni 70. C’era una grande mobilizzazione sociale perché finiva il regime militare (1968-1980). Molte donne erano sole, i loro mariti erano altrove o semplicemente non c’erano. Le mamme sopravvivevano lavando a mano, servendo come domestiche o raccogliendo materiale da riciclo per poi rivenderlo. Questi lavori erano occasionali e non garantivano niente, mentre i loro figli andavano a scuola e avevano bisogno del necessario, nonché di nutrirsi bene. Molte donne soffrivano di solitudine e povertà fino a quando, durante uno sciopero, i maestri occuparono le scuole dei quartieri popolari. Le mamme allora, in solidarietà con loro, cominciarono a radunarsi e a preparare da mangiare per tutti, ognuno dava quello che aveva. In quell’occasione si accorsero che prima tutte si sentivano sole, e questo le rendeva più povere, poi, quando hanno cominciato a raccontarsi le loro angosce e preoccupazioni, hanno scoperto anche che ognuna aveva delle risorse che erano utili alle altre. Hanno condiviso povertà e ricchezza, così si sono sentite UNITE e quindi più forti, meno sole. Le “pentole comuni” si arricchivano con le due patate di Maria, con le fave di Rosa, il riso di Carolina, le lenticchie di  Carmen, i loro bambini ora si nutrivano meglio e perfino facevano i compiti insieme. Le mamme si davano il turno per cucinare e mentre cucinavano erano più felici, meno sole; sapevano che poi arrivava la truppa di bimbi a mangiare e la famiglia si allargava sempre più.

 

Gesù ci propone il suo stile di vita: andate a due a due, mai da soli, anche quando te la potresti cavare benissimo da solo “li chiamò per nome”

Scegli sempre di fare insieme, anch’io che sono Dio, avrei potuto far tutto da solo “andate a preparare per noi la pasqua, perché possiamo mangiare”

Non abbiate paura di aver bisogno degli altri e di chiedere aiuto “restate con me e pregate, la mia anima è triste”. 

Puoi sempre imparare anche dal più piccolo “se non diventerete come bambini”.

Se qualcosa ti manca e non puoi averla ora nemmeno dagli amici fidati del Padre, Lui non ti lascia mai solo “chiedete e vi sarà dato” “non preoccupatevi del domani. Perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena”

Non aver paura di mostrare la tua povertà “chi si umilia sarà esaltato”

Gli altri sono potenziali amici, sono fratelli e sorelle “ Padre nostro, Padre di tutti” “Amatevi”

Quando non riesci a camminare da solo “ti rialzerà, ti solleverà su ali d’aquila” attraverso gli altri che ti hanno a cuore. Lasciati amare!  

La vita non appartiene al più furbo, al più forte, al più crudele, al più individualista, al più violento “metti via la spada”Io sono la VITA”.

Non aver paura di farti servo “io che sono Signore e Maestro, vi ho lavato i piedi, fatelo anche voi gli uni gli altri”

 

La Missione rende DISCEPOLI – che camminano dietro.

 

Gesù ci offre la vita così: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà....» (Mc 8, 34-35).

 

Difficile è vivere VITA VERA mantenendo contenitori “falsi”: la frenesia, la superficialità, il tutto facile, il “self”( fai da te), la privacy a tutti i costi (spesso intesa come individualismo-si salvi chi può- della serie arrangiati come puoi), indipendenza assoluta dagli altri (gli altri rompono, meglio se sto da solo).

Questa “forma mentis” sta portando, oltre che alla disumanizzazione,  all’impossibilità di vivere vite soddisfate, vite piene, felici. Diventiamo dei continui brontoloni, degli angosciati cronici.

Nessuna vita è piena se non la si condivide con gli altri, nessuna vita è piena se non diventa generativa, cioè capace di prendersi cura di altri, nessuna vita è piena se non esercita il servizio, se non dona qualcosa di se. Recita il vecchio proverbio: “Chi non vive per servire non serve per vivere” .

 

Questo scriveva Madre Teresa ad una donna anziana: “Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe, i capelli diventano bianchi, i giorni si trasformano in anni. Però ciò che è importante non cambia; la tua forza e la tua convinzione non hanno età. Il tuo spirito è la colla di qualsiasi tela di ragno. Dietro ogni linea di arrivo c`è una linea di partenza. Dietro ogni successo c`è un`altra delusione. Fino a quando sei viva, sentiti viva. Se ti manca ciò che facevi, torna a farlo. Non vivere di foto ingiallite …insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni. Non lasciare che si arrugginisca il ferro che c`è in te. Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto. Quando a causa degli anni non potrai correre, cammina veloce. Quando non potrai camminare veloce, cammina. Quando non potrai camminare, usa il bastone. Però non trattenerti mai!

 

Madre Teresa ha potuto dire questo perché lei stessa aveva scoperto che la VITA è un valore prezioso, anche nei limiti della vecchiaia. Lei era una donna felice, soddisfatta della vita e della scelta fatta, nessuna fatica poteva renderla infelice, nemmeno il dipendere dagli altri. Lei aveva ormai “perso” la vita per causa di Gesù e del Vangelo, ma l’aveva riguadagnata con la tenacia interiore e la gioia che l’abitavano.

 

La Missione rende Discepoli - “pecore in mezzo ai lupi”

 

Matteo 10 [16]Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. [17]Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; [18]e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. [19]E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: [20]non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.

 

Shahbatz Bhatti era ministro per le minoranze religiose, in Pakistan, difensore tenace della libertà religiosa. Lui sapeva bene che fare il ministro in un Paese a stragrande maggioranza musulmana, professando pubblicamente la propria adesione a Gesù, non poteva essere un lavoro agevole e privo di conseguenze, anche per l’incolumità personale.

Infatti da tempo era minacciato e perseguitato dagli estremisti  che il 2 marzo 2011 ne hanno fatto un martire. Con coraggio aveva affermato “Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato di uccidermi, imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Io dico che, finché avrò vita, fino al mio ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri”.

 

Il testamento spirituale di Shahbaz Bhatti è un inno alla vita e all’amore evangelico, nella lucida consapevolezza che la scelta di seguire l’insegnamento di Gesù Cristo potrebbe richiedere il sacrificio della propria vita: “mi considererei privilegiato qualora Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita.”

 

M. L. King affermava “vale la pena vivere solo ciò per cui vale la pena anche morire”. Per Bhatti aveva senso servire Gesù nella difesa delle minoranze, sapeva che per questo motivo poteva morire, ma allora la morte stessa aveva un senso.

 

La Missione rende Discepoli –oranti e spogli di se stessi

 

Diceva Daniele Comboni che, quando una persona decide in modo definitivo di cambiare rotta, cioè rompere con tutto ciò che era abituato a  fare mentre era dentro un sistema che lo omologava, quella persona deve vivere “una vita di spirito e di fede”, senza questo non si esce dal sistema. Bisogna continuamente essere collegati a Dio per capire il Suo Sogno, per agire di conseguenza, secondo il Suo progetto.  

 

Il Missionario e la missionaria che non avessero un forte sentimento di Dio ed interesse vivo alla sua gloria e al bene delle anime, mancherebbe di attitudine ai suoi ministeri”, senza un forte spirito di preghiera e senza interesse per la vita degli altri, il missionario/a “finirebbe per trovarsi in una specie di vuoto e d'intollerabile isolamento”.

Si può lasciar tutto: gli esseri cari, il proprio paese, le proprie abitudini di prima, girare il mondo da un continente all’altro, ma se non si è discepoli = se non si cammina dietro Gesù, nulla di questo ha senso, anzi.

 

Il missionario/discepolo di Gesù è spoglio di se stesso perché sa che semina speranza, amore e servizio con la propria vita, ma non sa cosa raccoglierà. Per questo motivo chi soffrisse troppo la “sindrome di protagonismo, di grandezza umana o di primo della classe” è meglio che si renda conto quanto prima che cammina dietro un Dio Servo, umiliato.

Comboni dice: “il missionario deve spesso riflettere e meditare che egli lavora sì in un'opera di altissimo merito, ma sommamente ardua e laboriosa, per essere una pietra nascosta sotterra, che forse non verrà mai alla luce....e quindi, spoglio assolutamente di se stesso e privo di ogni umano conforto, lavora unicamente per il suo Dio, per le anime più abbandonate della terra, per l'eternità”.

 

Questo radicale messaggio non è altro che l’esplicitazione del mistero del Dio in Croce che salva pagando di persona. 

 

 

 

 

 

 

La Missione rende Discepoli –vigilando anche quando è buio

 

In marzo del 1882, nel Sudan sorse il “Mahdi”, figura che l’Islam considera inviata da Dio. Il “profeta” dà inizio a ciò che gli storici chiameranno la “Mahdia”, un movimento rivoluzionario che durerà 17 anni. Alcuni missionari e missionarie comboniane sono stati prigionieri del Mahdi per 10 anni.

 

Racconta suor Teresa Grigolini:  “Allora il Mahdi stesso venne verso i missionari dicendo che se avessero rifiutato di farsi musulmani li avrebbero ammazzati. Infine, cedete o volete la morte? Tutti insieme risposero: vogliamo morire. Ebbene, disse loro, domani all'albeggiare sarete accontentati. Intanto questa notte pensateci bene, e così partì.

Persuasi che al mattino sarebbero stati ammazzati incominciarono subito a prepararsi al gran passo. Si confessarono tutti ...tutti insieme passarono la notte in orazione. Ecco che all'albeggiare incominciarono a rullare i tamburi... il Mahdi comandò di far largo davanti a lui e si fece condurre i sette missionari credendo di vincerli. Domandò loro se volevano farsi musulmani o morire. Tutti risposero: vogliamo morire. I suoi uomini di fiducia  erano lì pronti con le spade sguainate pronti a farli in pezzi al minimo cenno. Questo, invece, con un sorriso ironico disse loro: Vi lascio con la speranza che Iddio e Maometto vi illumineranno ad abbracciare la nostra religione...”

 

“La grande debolezza ci aveva fatto perdere un po' il bene dell'intelletto. Al principio della nostra prigionia pregavamo con fervore e la nostra mente era sempre fissa in Dio. Eravamo felici di soffrire per la causa del Regno di Cristo. Sentivamo che il Signore era con noi e il nostro cuore era inondato di pace e di gioia sincera. Poi scese la notte, una notte senza stelle: era l'agonia dello spirito, senza ombra di conforto. Prima una pedata poi un sacco di bastonate, erano dolcezze da sopportare: il pensiero di poter testimoniare col sangue il nostro amore a Cristo, desiderio tanto vagheggiato nel periodo della nostra formazione, ci sosteneva e infondeva forza e vigore. L'educazione alla croce ricevuta dal fondatore e il desiderio del martirio, che ci sembrava tanto vicino, ci animava a sopportare tutto. Ma la morte tanto attesa non venne e noi eravamo tra gli artigli del Mahdi...Poi, quasi insensibilmente, la preghiera rifiorì sulle nostre labbra: unite incominciammo un triduo al Cuore di Gesù chiedendogli che ci salvasse dalle zanne delle belve e ci aiutasse a rimanergli fedeli”.

 

La Missione rende Discepoli –restando semplicemente come segno di speranza

 

È il 7 novembre 2012 e sui Monti Nuba, Sudan i bombardamenti ancora non cessano.  

Ci scrive una missionaria: “Eravamo alla seconda lezione del semestre quando Rashid urla: “Sister, arriva l’Antonov!” i ragazzi smettono di copiare dalla lavagna e tutti usciamo a cercare i nostri “bunker” dove rifugiarci. È questione di attimi, i bambini sono super allenati al suono dell’aereo di guerra, distinguono i suoni e capiscono se l’aereo sta sorvolando, sta per gettare le bombe o sta andando via.  

Si, poi s’impara a riconoscerlo, perché fa sempre nello stesso modo: il primo giro è a forma di cerchio, gira sorvolando per vedere il target, poi si abbassa un po’ e getta il suo carico sopra la popolazione. Poi subito si alza in volo, come per evitare di essere abbattuto da qualche missile, e si allontana … spesso per ritornare!

Abbiamo sentito la prima esplosione vicino a noi, ma la seconda è stata ancora più vicina.  

L’aereo se n’era andato, ma non passano nemmeno dieci minuti ed eccolo di nuovo: la terza bomba è stata quasi ad un km di distanza. Abbiamo sentito la terra tremare fortissimo, sembrava che le porte di metallo della scuola si staccassero. Un’ immensa nube di polvere si è alzata e l’erba di alcuni tetti delle capanne bruciavano, alcuni alberi sono caduti e tutti siamo rimasti in un profondo silenzio.

Quando tutto è passato ci siamo guardati attorno, ognuno usciva dai propri bunker a cercare gli altri, e grazie a Dio questa volta nessuno è stato ferito dai terribili pezzi di metallo che escono dalla bomba esplosa.

 

Tornati insieme, il piccolo Joseph esclama in modo spontaneo e semplice: “mentre eravamo in silenzio io pregavo Dio: fa che vada via e non torni mai più”.

Il giorno seguente la Radio Araba riportava che un Antonov era stato abbattuto da un missile anti-aereo nei pressi della zona di Jau, vicino al confine del Sud Sudan. L’Antonov aveva ancora un carico di bombe, che grazie a Dio non erano state gettate sulla popolazione.

Naturalmente i nostri studenti hanno attribuito questo fatto alla preghiera di Joseph.

È vero che quel particolare Antonov non tornerà mai più! Anche se possiamo prevedere che ne manderanno altri al suo posto, noi non smettiamo di credere e di sperare con Joseph. Nella fede di Joseph noi tutti siamo stati confermati.

Noi suore rimaniamo qui, con le nostre paure e con la nostra debolezza, che poi condivisa, sembra diventare forza. Quando parliamo di questo tra noi, con la gente, con gli studenti, con i maestri, scopriamo che ciascuno ha le proprie paure, ma quando siamo insieme ci sembra di essere più forti, più coraggiosi e capaci di immaginare un domani diverso. Sembra che la speranza non muoia, anzi, ci sono i compiti per casa e domani tutti speriamo di tornare a scuola”

 

Noi non ci salviamo solo per la nostra fede IN Gesù. Tutti siamo stati salvati nella fede DI Gesù.

Potremmo dire che nella speranza DI Joseph, si è rinforzata la speranza di tutti. La missione quindi è RESTARE come segno di una realtà Altra Possibile, e non c’è bisogno di impersonificare il segno. In questa storia, il segno non era per forza la sorella, ma il bambino che ha saputo riportare tutti ad una Speranza più grande. Noi restiamo con loro anche per fortificare la nostra fede, la nostra speranza e il nostro amore, sapendo di essere discepole/i che mostrano o che scoprono la VIA, VERITÀ, VITA laddove siamo.

 

 

 

Missione è

(Dom Hélder Câmara)

 

Missione è

partire, camminare, lasciare tutto,

uscire da se stessi, rompere la crosta

di egoismo che ci chiude

nel nostro Io.

 

È smettere di girare

intorno a noi stessi

come se fossimo

il centro del mondo e della vita.

 

È non lasciarsi bloccare

dai problemi del piccolo mondo

al quale apparteniamo:

l'umanità è più grande.

 

Missione è sempre partire,

ma non è divorare chilometri.

È, soprattutto, aprirsi agli altri

come a fratelli,

è scoprirli e incontrarli.

 

E, se per incontrarli e amarli

è necessario attraversare i mari

e volare lassù nel cielo,

allora missione è partire

fino ai confini del mondo.

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