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Educarsi alla povertà: essere nessuno per essere davvero

Gim Venegono

Cristo non lasciò alcun dubbio su quale debba essere la carta d'identità del cristiano. Disse: “Da questo la gente riconoscerà che siete miei discepoli: dall'amore che avrete gli uni per gli altri... Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi... Tutto ciò che vi comando è di amarvi gli uni gli altri”. L'unico atteggiamento degno del cristiano è quello di Cristo, il quale pensò unicamente agli altri e dette se stesso finché ebbe una goccia di sangue da dare. Egli disse: “Non c'è amore più grande dell'amore di chi dà la vita per i fratelli”.

Canto

Sono una religiosa nella sostanza, ma non ho mai appartenuto a nessuna congregazione. Non ho mai preso dei voti perché è una scelta di vita. Credo in questo tipo di vita. Ero bambina e volevo essere povera…volevo essere solo per Dio…è naturale che devo essere casta, questa è una conseguenza dell’essere solo per Dio…io non potrei essere diversamente…ma un religioso quando si ammala viene portato negli ospedali migliori, il suo Ordine si prende cura di lui nella maniera migliore possibile. Persino le suore di Madre Teresa sono meno povere di quanto lo sono io. Volevo essere veramente nessuno. Ce l’ho fatta. Vivo come nessuno, senza nessuno, senza nessuna potenza, senza nessuna protezione. Voglio continuare così, questo è senso della mia vita.                                                                (Annelena Tonelli, Io sono nessuno)

 Dal Vangelo di Gesù secondo Marco 12, 38-44.  

Diceva loro mentre insegnava: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze,avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grave». E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro.

E tanti ricchi ne gettavano molte.

Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: «In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Pausa di silenzio 

Ci sono davvero i poveri? La stesa impressione di quando mi chiedono se Dio c’è. Subito vogliono sapere: chi è? dov’è? cosa fa? I poveri sono “i figli di Dio”.Tra i poveri e Dio c’è una stretta somiglianza e un continuo incontro.

Essi vivono così particolarmente legati a lui che nella mente e nel cuore dell’uomo Dio e il povero seguono uguali alternative di luce e di oscurità, di riconoscimento e di negazione, di avversione e d’amore. E’ per questo che gli atti del povero quasi istintivamente si riferiscono a Dio. Non ha detto Gesù che saremo giudicati secondo che avremo o no sfamato, dissetato, consolato lui stesso sotto le vesti del povero?

Per conoscere i poveri non basta la statistica. Anche la politica, che sembra aver dato coscienza ai poveri della loro forza, dei loro diritti, della possibilità di riacquistare la libertà perduta, il più delle volte, in realtà, li tradisce.

Non basta neppure l’amore per conoscere i poveri: neppure l’amore di chi si mette generosamente e concretamente a loro disposizione, pagando di persona, e non con le parole e con i sacrifici degli altri, come troppo spesso fanno i politici.

Io credo che anche questa forma di conoscenza sia incompleta e molte volte illusoria. Perché è impossibile superare un diaframma che realmente esiste, di capire cioè che cosa sia dover essere povero senza possibilità di elezione e di uscita.

I poveri sono scomodi, ingombranti, suscitano ripulsione, intimidiscono.

E’ facile dire una parola gentile a un uomo della nostra condizione: si sa o si può prevedere fino a che punto essa viene compresa. Ma non si sa mai che cosa il povero capisce e che cosa non capisce. E’ difficile misurare la profondità del suo dolore e la superficialità del suo piacere. Per conoscere veramente i poveri, per parlarne con competenza, bisognerebbe conoscere il mistero di Dio, che li ha chiamati “beati” riservando loro il regno.

Erode ha paura di Gesù che ha per palazzo una stalla e per culla una greppia.

Bisogna che il povero non sia! E invece il povero vien fuori dalla nostra stessa miseria: come Gesù. Il povero è Gesù. Se non ci sono più poveri non c’è neanche Gesù.

Se vedo me stesso non posso non vedere il povero: se vedo Gesù non posso non vedere il povero.

Vogliamo anzitutto una visione umana del povero, perché il povero non ha nazione, né classe, né razza, né partito: è l’uomo che domanda a tutti pietà e amore.

E quando dico voglio vedere l’uomo, non intendo l’uomo dei filosofi, che non m’interessa, come non m’interessa il dio dei filosofi. Intendo l’uomo reale, l’uomo vero, in carne e ossa: uno cioè che posso toccare. E quest'uomo che posso toccare e che chiede pietà sono io stesso. Povero è l’uomo, ogni uomo. 

Non per quello che non ha, ma per quello che è, per quello che non gli basta, e che lo fa mendicante ovunque, sia che tenda la mano, sia che la chiuda.

Il povero sono io, chi ha fame sono io, che è senza scarpe sono io. Questa è la realtà: così è il vedere reale. Io sono il povero; ogni uomo è il povero!

A un certo momento ho bisogno di scegliere tra il povero che è in me e il povero che è in ognuno.

(don Primo Mazzolari, “La parola ai poveri”)

 Luigi Pintor, un cosiddetto ateo, scrisse un giorno che non c’è in un’intera vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi.

Così è per me. È nell’inginocchiarmi perché stringendomi il collo loro possano rialzarsi e riprendere il cammino o addirittura camminare dove mai avevano camminato che io trovo pace, carica fortissima, certezza che tutto è grazia.

Vorrei aggiungere che i piccoli, i senza voce, quelli che non contano nulla agli occhi del mondo, ma tanto agli occhi di Dio, i suoi prediletti, hanno bisogno di noi, e noi dobbiamo essere con loro e per loro e non importa nulla se la nostra azione è come una gocci a d’acqua nell’oceano.

Gesù Cristo non ha mai parlato di risultati. Lui ha parlato solo di amarci, di lavarci i piedi gli uni agli altri, di perdonarci sempre.

I poveri ci attendono. I modi del servizio sono infiniti e lasciati all’immaginazione di ciascuno di noi. Non aspettiamo di essere istruiti nel tempo del servizio.

Inventiamo e vivremo nuovi cieli e nuova terra ogni giorno della nostra vita.

(Annelena Tonelli, Io sono nessuno)

Pausa di silenzio

La povertà come denuncia

Di fronte alle ingiustizie del mondo alla iniqua distribuzione delle ricchezze, alla diabolica intronizzazione del profitto sul gradino più alto della scala dei valori, il cristiano non può tacere. Come non può tacere dinanzi ai moduli dello spreco, del consumismo, dell'accaparramento ingordo, della dilapidazione delle risorse ambientali. Come non può tacere di fronte a certe egemonie economiche che schiavizzano i popoli, che riducono al lastrico intere nazioni, che provocano la morte per fame di cinquanta milioni di persone all'anno, mentre per la corsa alle armi, con incredibile oscenità, si impiegano capitali da capogiro.

Ebbene, quale voce di protesta il cristiano può levare per denunciare queste piovre che il papa, nella Sollicitudo rei socialis, ha avuto il coraggio di chiamare strutture di peccato?

Quella della povertà!

Anzitutto, la povertà intesa come condivisione della propria ricchezza.

È un'educazione che bisogna compiere, tornando anche ai paradossi degli antichi padri della chiesa: "Se hai due tuniche nell'armadio, una appartiene ai poveri". Non ci si può permettere i paradigmi dell'opulenza, mentre i teleschermi ti rovinano la digestione, esibendoti sotto gli occhi i misteri dolorosi di tanti fratelli crocifissi. Le carte patinate delle riviste, che riproducono le icone viventi delle nuove tragedie del Calvario, si rivolgeranno un giorno contro di noi come documenti di accusa, se non avremo spartito con gli altri le nostre ricchezze. La condivisione dei propri beni assumerà, così, il tono della solidarietà corta.

Ma c'è anche una solidarietà lunga che bisogna esprimere.

Ed ecco la povertà intesa come condivisione della sofferenza altrui. È la vera profezia, che si fa protesta, stimolo, proposta, progetto. Mai strumento per la crescita del proprio prestigio, o turpe occasione per scalate rampanti. Povertà che si fa martirio: tanto più credibile, quanto più si è disposti a pagare di persona. Come ha fatto Gesù Cristo, che non ha stipendiato dei salvatori, ma si è fatto lui stesso salvezza e, per farci ricchi, sì è fatto povero fino al lastrico dell'annientamento. L'educazione alla povertà è un mestiere difficile: per chi lo insegna e per chi lo impara. Forse è proprio per questo che il Maestro ha voluto riservare ai poveri, ai veri poveri, la prima beatitudine.

(don Tonino Bello)

 Condivisone

 Gesto 

Andiamo fino a Betlemme

Andiamo fino a Betlemme, come i pastori.
L'importante è muoversi.
E se invece di un Dio glorioso,
ci imbattiamo nella fragilità di un bambino,
non ci venga il dubbio di aver sbagliato il percorso.
Il volto spaurito degli oppressi,
la solitudine degli infelici,
l'amarezza di tutti gli uomini della Terra,
sono il luogo dove Egli continua
a vivere in clandestinità.
A noi il compito di cercarlo.
Mettiamoci in cammino senza paura
 
 (don Tonino Bello)

Canto Finale

 

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