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1 GIM Bologna: Condivisione totale

novembre 2007

 

 

CONDIVISIONE TOTALE 


Veglia 1 GIM - 17 Novembre 2007

 

Un’alternativa possibile - Le comunità di famiglie



Canto iniziale

 
L'uomo nella prosperità non comprende - Salmo 48 ( 49 )

"Ascoltate, popoli tutti,
porgete orecchio abitanti del mondo,
voi nobili e gente del popolo,
ricchi e poveri insieme.

La mia bocca esprime sapienza,
il mio cuore medita saggezza;
porgerò l'orecchio ad un proverbio,
spiegherò il mio enigma sulla cetra.

Perché temere nei giorni tristi,
quando mi circonda la malizia dei perversi?
Essi confidano nella loro forza,
si vantano della loro grande ricchezza.

Nessuno può riscattare se stesso,
o dare a Dio il suo prezzo.
Per quanto si paghi il riscatto di una vita,
non potrà mai bastare
per vivere senza fine, e non vedere la tomba.

Vedrà morire i sapienti;
lo stolto e l'insensato periranno insieme
e lasceranno ad altri le loro ricchezze.

Il sepolcro sarà loro casa per sempre,
loro dimora per tutte le generazioni;
eppure hanno dato il loro nome alla terra.

Ma l'uomo nella prosperità non comprende,
è come gli animali che periscono.

Questa è la sorte di chi confida in se stesso,
l'avvenire di chi si compiace nelle sue parole.

Come pecore sono avviati agli inferi,
sarà loro pastore la morte;

scenderanno a precipizio nel sepolcro,
svanirà ogni loro parvenza:
gli inferi saranno la loro dimora.

Ma Dio potrà riscattarmi,
mi strapperà dalla mano della morte.

Se vedi un uomo arricchirsi, non temere,
se aumenta la gloria della sua casa.

Quando muore, con sè non porta nulla
né scende con lui la sua gloria.

Nella sua vita si diceva fortunato:
"ti loderanno, perché ti sei procurato del bene".

Andrà con la generazione dei suoi padri
che non vedranno mai più la luce.

L'uomo nella prosperità non comprende,
è come gli animali che periscono."

 

Le comunità di famiglie - Associazione Comunità e Famiglie (ACF)

La comunità di famiglie non è una comunità di accoglienza. Non è una comunità religiosa. Possiamo chiamarlo un "condominio solidale".
Alcune famiglie scelgono di vivere insieme la dimensione originale della " corte ", recuperando una vecchia cascina; mettendo i soldi in comune, inventando lavori praticabili da tutti, praticando l'accoglienza di chi ha bisogno.

Nasce così, nel 1978, la comunità di Villapizzone, a Milano; con Enrica e Bruno Volpi, Danila e Massimo Nicolai ed una comunità di Gesuiti.
Essi sono stati i primi "inquilini" di Villapizzone. Oggi questa  esperienza è divenuta un movimento consistente, con numerose comunità in tutta Italia e centinaia di persone coinvolte. Di fronte all'espandersi di questa nuova realtà, alle molte richieste di adesione e ai nuovi problemi e stimoli che nascono nelle comunità, nel 1988 appare necessario creare un'associazione che favorisca lo sviluppo di comunità residenziali e di "gruppi di condivisione" per le famiglie e le persone in ricerca; nasce così nel 1995 l'Associazione Comunità e Famiglia.

I pilastri
Per l’Associazione Comunità e Famiglia sono 3 i pilastri principali:
    • L’apertura (religiosa, ideologica, razziale, economica)
    • L’accoglienza (conseguenza inevitabile dell’apertura)
    • La condivisione (di vita, di beni, la cassa comune, ecc: condizione necessaria per restare aperti e accoglienti).

I mattoni di questi pilastri sono la tolleranza nonostante la diversità, la sovranità familiare (autosufficienza economica e decisionale) e l’autogestione (assegno in bianco ecc.). L’autosufficienza economica delle comunità con il lavoro e il contributo di tutti i membri, unitamente alle economie di scala, consente di coprire tutte le spese di funzionamento, anche se nessuno degli ospiti è portatore di rette.

Le comunità che aderiscono all’Associazione...
Le specificità delle comunità aderenti all’Associazione sono costituite da alcuni elementi fondamentali:
    • le famiglie sono accolte nelle comunità aderenti e abitano nello stesso immobile, usufruiscono dell’appoggio organizzativo, economico e relazionale della comunità, pur mantenendo la propria specifica fisionomia e i propri spazi. Godono contemporaneamente dei vantaggi della famiglia e della comunità;
    • l'accoglienza è attuata dalle famiglie con una completa autonomia decisionale e responsabilità diretta circa le persone accolte; ogni gruppo famigliare ha propri spazi e forme di accoglienza, avendo nel contempo l'aiuto e l'appoggio morale e materiale della comunità, che consente di non essere soli ad affrontare la situazione. La famiglia quindi é sovrana ma non sola;
    • l 'accoglienza si esplica attraverso la convivenza sia di emarginati portatori di problematiche diverse che di volontari e di obiettori animati da un comune desiderio di una migliore qualità della vita; tutto questo risulta non solo possibile ma fonte di ricchezza per tutti.

Canto

Riunioni non per decidere ma per condividere
Una famiglia solleva un problema e cerca di spiegare il tema agli altri: tutti poi sono invitati a dire la loro su quell’argomento. L’idea è di non affrontare il problema ma, anzitutto, cercare di capirlo.
Questo spegne la voglia di conflitto e fa risaltare il contributo di ciascuno. Ci si ascolta e si impara a riflettere. Una riunione cosi finisce con una bella merenda, che aiuta a ragionare ancora. Anche in questo modo riusciamo a difendere il nostro stile: andare adagio, aspettarci, ascoltarci e, pian piano, scoprire meglio noi stessi e gli altri.
È una pratica non violenta nell’affrontare i problemi… ma anche nell’affrontare gli altri! Non aggredire, ma aspettarci che il problema si chiarisca e spesso, si risolva un po’ per conto suo.

Cassa comune
In questo campo, per venticinque anni, non c’è mai stato un problema. Non ci sono mai stati problemi economici importanti. Così, ora so che è più difficile, per esempio, accettare l’altro per quello che è: i soldi sono proprio l’ultima cosa che ti viene in mente, passano in secondo piano.
I soldi sono importanti quando tu devi arrivare alla fine del mese. Ma se togli questa ansia i soldi diventano meno importanti.
Certo, sui soldi si può discutere, anche perché è più facile dire ad un altro: “per me consumi troppo”, che dirgli semplicemente: “Tu mi stai antipatico”.
Ecco cosa si nasconde sotto la punta dell’iceberg: la fatica di accettare l’altro nella sua diversità.
La cassa comune coinvolge aspetti profondi, ma non sono i soldi ad essere un problema. Lo diventano solo nel pensiero di chi in comunità non ci vive, di chi la vive da fuori.
Ci sono comunità che pregano più di noi, ci sono comunità che fanno accoglienza meglio di noi, ci sono comunità impegnate nel sociale… e allora, qual è il nostro specifico?
Credo sia quello della cassa comune, ma non come strumento soltanto, come “filosofia” che ci sta dietro. Qualcuno ha proposto: “Anziché mettere i soldi nella cassa comune e poi ritirarli tramite l’assegno in bianco, non sarebbe più semplice che ognuno gestisca il proprio stipendio e poi versi nella cassa il rimanente?”. Non sarebbe più la stessa cosa, anche se funzionerebbe sul piano economico, perché così viene meno l’aspetto più importante: viene meno la fiducia.
È questo il nostro specifico: al di là di tutto, noi vogliamo fidarci. In un mondo in cui “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”, è chiaro che è alternativa la nostra proposta basata sulla fiducia. Parafrasando il Vangelo, se ci fidiamo tra di noi, cosa c’è di strano? Lo fanno anche i pagani… il problema è quando ti fidi di uno che non la pensa come te! Questa è la sfida: ed è sui soldi che si verifica questa fiducia. Per questo la cassa comune diventa uno strumento che implica fiducia. Se una famiglia vuole a tutti i costi tutelarsi, crolla tutto. Noi vogliamo provare a ridurre i tempi di lavoro, avere una casa grande che permetta di accogliere, vogliamo molto… però possiamo chiederlo perché siamo credibili.
Il Vangelo dice: “Non preoccupatevi… pensate al Regno e tutto vi verrà dato in sovrappiù”.
Ecco, questa fiducia tra di noi è “pensare al Regno”. E infatti “il sovrappiù” abbonda!
Se invece una comunità, una famiglia tentano di tutelarsi, viene meno quel “pensare al Regno”, e viene meno anche il sovrappiù. Ma questo è logico anche sul piano civile: se noi facciamo vedere che siamo capaci di autogestirci, di autofinanziarci, allora è chiaro che qualcuno “investe” su di noi.

Un sogno?
Vivere insieme: un sogno irrealizzabile? Chi sogna da solo è un pazzo che la realtà smentisce. Chi sogna insieme ad altri, presto o tardi, vede che la vita supera ciò che si era immaginato. E tutto questo è possibile nella quotidianità della vita normale. Qui sta il bello! Questa è la sfida. Perché sulla comunità ci sono tante visioni diverse: c'è chi le immagina come centri di accoglienza, chi vorrebbe crearle “artificialmente”. Per noi è una dimensione di vita che uno sceglie, e solo dopo assume una naturale funzione sociale: non si può invertire questo rapporto. Chi si mette in comunità accetta un rischio che non può essere eluso. Lo fa, infatti, perché non sta bene e cerca una vita migliore, anche a costo di sbagliare e ricominciare da capo. A volte chiacchiero con i gesuiti di Villapizzone e mi ricordano che "già la famiglia, ogni famiglia, è una comunità". L'associazione di mutuo soccorso tra famiglie, lo ripeto ancora, è il modo che abbiamo escogitato perché la famiglia sia meglio se stessa, e infatti uno dei punti per noi irrinunciabili concerne la "sovranità familiare", cioè l'autonomia di ogni famiglia della comunità, e quindi la sua responsabilità propria. Una responsabilità che altri la aiutano ad assumersi.

L’ Africa prima…
Prima di andare in Africa soffrivo di una pesante sensazione di schizofrenia che, per me, era l'esatto contrario di una vita serena. Nei giorni feriali, l'ho già ricordato, ero il Bruno che doveva lavorare per uno stipendio, studiare e pensare alle cose concrete cui pensiamo tutti. Nei fine settimana, invece, ero il Bruno che sognava, che progettava, che aveva interessi migliori e più alti. La vita mia e di Enrica è nettamente migliorata dal giorno in cui ci siamo sposati e ci siamo buttati in questa avventura.
Senza saperlo l'Africa ci ha cambiati. Non è che in Rwanda noi non avessimo problemi, anzi! Eppure quando siamo tornati ci siamo accorti di quale qualità di vita avevamo sperimentato: una vita piena, senza distinzione tra i nostri interessi  e quello che facevamo con e per gli altri. Erano anni "regalati", anni in cui, persi per persi, potevamo dare, o cercare di dare, senza altre preoccupazioni. Quando poi siamo tornati, ci siamo resi conto che la qualità della vita è possibile solo a una condizione, che in Africa era normale: niente schizofrenia. Così è possibile una vita pacificata. Non pacifica, pacificata. Altrimenti, non vedo cosa sarebbe la qualità della vita. Noi qui non abbiamo grosse possibilità, ma non ne sentiamo nemmeno il bisogno. Per noi le cose semplici sono buone, fanno bene. Mi sento bene nella mia pelle,ecco. Questo non significa che io non tenti di aprire tutte le porte possibili, o che non inventi continuamente delle novità. La notte, queste porte, mi vengono in mente, e il giorno dopo cerco di aprirle; quelle che si aprono vuol dire che la Provvidenza voleva che si aprissero. Questa fiducia e tranquillità di fronte ai miei limiti mi libera dalla responsabilità di certe decisioni. Per la nostra cultura è un non valore, per me è qualità di vita. Così abbiamo fatto molta strada adeguandoci a quello che succedeva. Io ho realizzato dei sogni, ma non nel modo da me previsto, e spesso in maniera sorprendente. Ci siamo adeguati a ciò che man mano succedeva. Questo dà spazio alla Provvidenza e dà qualità alla vita, toglie quell'ansia che ci rovina spesso l'esistenza.

Canto

Dal vangelo di Gesù secondo Luca (LC, 12, 13-32)
Uno della folla gli disse: «Maestro, dì a mio fratello che divida con me l'eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni». Disse poi una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio». Poi disse ai discepoli: «Per questo io vi dico: Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito. Guardate i corvi: non seminano e non mietono, non hanno ripostiglio né granaio, e Dio li nutre. Quanto più degli uccelli voi valete! Chi di voi, per quanto si affanni, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? Se dunque non avete potere neanche per la più piccola cosa, perché vi affannate del resto? Guardate i gigli, come crescono: non filano, non tessono: eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Se dunque Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, quanto più voi, gente di poca fede? Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con l'animo in ansia: di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta. Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno.

Spunti per la riflessione
Per “condividere tutto” ci affidiamo alla volontà di Dio, alla sua Provvidenza e dobbiamo aver fede nell’ altro…
    • cosa vuol dire per me condivisione totale? mi spaventa?
    • riesco a trovare le mie piste di fedeltà al Vangelo e cerco di percorrerle perseverando?
    • ho speranza nell'uomo o parto da un pessimismo rinunciatario?

Silenzio e condivisione
Amore vuol dire anche essere corresponsabili, verso noi prima di tutto e verso gli altri.
Firmiamo con il nostro nome la bandiera della pace in corrispondenza del colore che rappresenta il nostro impegno concreto nel quotidiano.

Credo veramente nella causa dell'uomo
Credo in un'umanità diversa, più fraterna.
Il mondo ha bisogno di respirare armoniosamente in maniera umana.
Gli uomini tutti devono arrivare a riconoscersi gli uni gli altri come uomini, come fratelli, nell'utopia della fede.
Credo nell'impossibile e necessario uomo nuovo!
Non credo nella segregazione razziale e classista
(perché una sola è l'immagine di Dio nell'uomo).
Non credo in nessuna schiavitù
(perché tutti abbiamo il diritto e il dovere di vivere nella libertà di figli con cui Cristo ci ha liberati).
Non credo in nessun capitalismo
(perché il vero capitale umano è l'uomo).
Non credo nello sviluppo delle minoranze
né nello sviluppo "riformista" della maggioranza
(perché questo sviluppo non è più l'uomo nuovo della pace).
Non credo nel progresso a qualsiasi prezzo
(perché l'uomo è stato comprato al prezzo del sangue di Cristo).
Non credo nella logorante società dei consumi
(perché soltanto sono beati quelli che hanno fame e sete di giustizia).
Non credo nel cosiddetto ordine dello status quo
(perché il regno di Dio e degli uomini è un cielo nuovo e una nuova terra).
Non credo nella città celeste a spese della città terrena
(perché la terra è l'unica strada che ci può portare al cielo).
Non credo nella città terrena a spese di quella celeste
(perché "non abbiamo qui una città permanente e andiamo verso quella che deve venire").
Non credo nell'uomo vecchio (perché credo nell'uomo nuovo).
Amen. Alleluia!
       Dom Pedro Casaldaliga           


Padre nostro

Canto finale

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