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2 GIM Padova: Rinascere dall'alto

 

GIM2 Padova, febbraio 2007

  

“Aiutateci, o martiri,
a distinguere chiaramente
le cose essenziali
per cui vale la pena morire”



Veglia di ricostruzione


Con questa veglia, in cammino con Gesù di Nazareth e i martiri d’Algeria, accettiamo la sfida di “Rinascere dall’alto”.

Cerchiamo pian piano di fissare i fondamenti delle nostre scelte, i riferimenti-chiave per la nostra vita.
Cominciamo la preghiera con il primo dei Salmi, interpretazione per tutti gli altri, ispirazione per la vita del giusto in cerca di Dio.

 Saggio quell’uomo
che non insegue i miti del successo,
non è attratto dalla facile ricchezza
e non cerca onori e piaceri.

Veramente saggio quell’uomo
che crede nella giustizia e nel bene,
che si lascia guidare dalla Parola
e la rende il suo pane quotidiano.

Sarà come albero rigoglioso
che affonda le sue radici
nel terreno dei veri valori
e nell’acqua viva della fede.

La sua coscienza sarà tranquilla,
la sua parola saggia e credibile,
le sue scelte stabili e costruttive,
la sua vita piena di soddisfazioni insperate.

Sciocco quell’uomo
che ha fiducia solo in se stesso,
che vende l’anima al successo, ai soldi, al potere
e fa del piacere il suo dio.

Veramente sciocco quell’uomo
che non ama Dio e il prossimo,
che non coltiva i valori morali
e la speranza in un futuro migliore.


Sarà come una foglia secca
fatta turbinare dal vento degli interessi,
come una banderuola
senza stabile direzione di vita.

Non saprà resistere nei tempi di prova,
si scoprirà vuoto di valori e coraggio;
abbandonato dagli amici di comodo,
tremante come un bimbo impaurito.

È il Signore la forza dell’uomo saggio
e insieme la sua meta e il suo premio.

La rovina dell’uomo sciocco
è il credere solo in se stesso. 


In ascolto della Parola


Dal vangelo secondo Matteo (7, 24-27)

«Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà paragonato a un uomo avveduto che ha costruito la sua casa sopra la roccia.
La pioggia è caduta, sono venuti i torrenti, i venti hanno soffiato e hanno investito quella casa; ma essa non è caduta, perché era fondata sulla roccia.
E chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica sarà paragonato a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia.
La pioggia è caduta, sono venuti i torrenti, i venti hanno soffiato e hanno fatto impeto contro quella casa, ed essa è caduta e la sua rovina è stata grande».

 

Algeria, anni ’90. I popoli algerini conoscono massacri a cadenze quasi settimanali, compiuti da gruppi di fondamentalisti d’ispirazione islamica. Sette monaci vivono a Tibhirine, nel cuore del conflitto. Usano questa formula sorprendente: “Di notte, quando altri prendono le armi, prendere il Libro” Venono da storie diverse: un figlio di un generale, un irriducibile sessantottino, un idraulico, un fresatore, un direttore di scuola superiore, un ‘prete della strada’ e un medico. Non tutti, nella famiglia trappista, condividono la loro presenza là: “L’ordine non può permettersi il lusso di un monastero nel mondo musulmano” – dice un abate. Ma loro rimangono, anche quando nel ’93 i gruppi armati fanno la prima incursione nel monastero.
Restano per tre motivi:

- la coscienza di una chiamata interiore

- la solidarietà con un popolo

- la comunione con la chiesa algerina

“Presenza della morte. Per tradizione, è assidua compagna del monaco. Questa compagnia ha assunto un’intensità più concreta con le minacce dirette, gli omicidi avvenuti vicinissimi a noi, alcune visite… Si offre a noi come un prezioso test di verità, non certo comodo.

Dopo il Natale 1993, noi tutti abbiamo scelto nuovamente di vivere qui insieme. Questa scelta (rinnovata) era stata preparata dalle precedenti rinunce di ciascuno (alla famiglia, alla comunità di origine, al paese…). E la morte brutale – di uno di noi o di tutti insieme- sarebbe solo una conseguenza di questa scelta di vita alla sequela di Cristo”.

Nella notte del 26 marzo 1996 Frère Christian de Chergè con gli altri sei trappisti dell'abbazia vengono rapiti. Per due mesi nessuna notizia. Il 21 maggio i fondamentalisti islamici annunziano:"Ai monaci abbiamo tagliato la gola". Il 30 vengono trovati i cadaveri. Si trattava di una morte annunziata, che questi monaci "attendevano" nella fede.

Solo chi ha una ragione per morire può anche avere una ragione per vivere.


 

Testamento spirituale del Padre Christian de Chergé
 

 

Quando si profila un ad-Dio

 

Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese.
Che essi accettassero che l’unico Padrone di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come potrei essere trovato degno di tale offerta? Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato. La mia vita non ha più valore di un’altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso, non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca.
Venuto il momento, vorrei avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.
Non potrei auspicare una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che un popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio. Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che, forse, chiameranno la "grazia del martirio", il doverla a un algerino chiunque egli sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’islam.
So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell’islam che un certo islamismo incoraggia. È troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti.
L’Algeria e l’islam, per me, sono un’altra cosa; sono un corpo e un’anima. L’ho proclamato abbastanza, credo, in base a quanto ne ho concretamente ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore del Vangelo imparato sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa, proprio in Algeria e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.
Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo o da idealista: "Dica adesso quel che ne pensa!". Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità.
Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze.
Di questa vita perduta, totalmente mia, e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto.
In questo grazie, in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre e a mio padre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e ai loro, centuplo accordato come promesso!
E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio profilatosi con te. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen!
Insc’Allah

Algeri, 1º dicembre 1993

Tibhirine, 1º gennaio 1994

Christian

Ascolto di un canto di martiri…
Spunti per la riflessione:

  1. Qual è la solidità del mio rapporto con Gesù? A questo punto del cammino, molto dipende da questa domanda…
    Non tanto i normali alti e bassi della nostra preghiera, quanto un’intuizione profonda che con lui posso fare scelte grandi...


  2. Tra tutti gli eventi e gli incontri vissuti finora, posso riconoscere ciò che resiste, alcuni fondamenti della mia vita. Queste sono le pietre di cui fidarmi, su cui rischiare e per cui giocarmi.

  3. Provo a guardarmi dal punto di vista della morte: alla fine della mia vita, che tipo di ‘testamento’ lascerei? Cosa mi piacerebbe poter dire di me?

    (si suggerisce un simbolo che richiami la sabbia e la roccia, in modo che chi prega riesca a riconoscere quali sono i veri fondamenti della sua vita e quali, invece, sono punti di riferimento instabili, di cui liberarsi)

Preghiera finale:

Lettera a mons. Teissier e alla comunità cristiana di Algeria di una donna musulmana

Orano, 1 giugno 1996

  (S) Dopo la tragedia e il ‘sacrificio’ vissuto da voi e da noi, dopo le lacrime e il messaggio di vita, di onore e di tolleranza trasmesso a voi e a noi dai nostri fratelli monaci, ho deciso di leggere il testamento di Christian, ad alta voce e con profonda commozione, ai miei figli, perché ho sentito che era destinato a tutti e a tutte.Volevo dire loro il messaggio di amore per Dio e per gli uomini. La solidarietà umana e l’amore dell’altro è un itinerario che va fino al sacrificio, fino al riposo eterno, fino in fondo.Io e i miei figli siamo molto toccati da una così grande umiltà, un così grande cuore, dalla pace dell’anima e dal perdono.   (D) Nostro compito è quello di continuare il cammino di pace, di amore di Dio e dell’uomo nelle sue differenze. Nostro compito è innaffiare i ‘semi’ affidatici dai nostri fratelli monaci affinché i fiori crescano un po’ ovunque, belli nella loro varietà di colori e profumi.(U) La chiesa cristiana con la sua presenza tra noi continui a costruire con noi l’Algeria della libertà delle fedi e delle differenze, l’universale e l’umanità. Sarà un bel mazzo di fiori per noi e una grande opportunità per tutti e tutte.   (T) Grazie alla chiesa di essere presente in mezzo a noi oggi. Grazie a voi monaci per il vostro grande cuore: continui a battere per noi, sempre presente, sempre tra noi… E ora riposino tutti in pace, a casa loro, in Algeria.



di: Gigi Lazzaretto

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