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Quando l'Escluso diventa l'Eletto (contiene una riflessione di don Luigi Ciotti)

 

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24 aprile 2001

“Quando l’escluso diventa l’eletto”

testimonianza di Don Luigi Ciotti

 

[questa veglia di preghiera fa parte di una serie di veglie tenutesi presso il Tempio della Pace di Padova e che avevano come filo conduttore i poveri e le situazioni di esclusione nella nostra società]

 

 

canto iniziale: In un mondo di maschere

 

lettura dÂ’introduzione

è la condizione dell’escluso e non il suo cuore a costituire il luogo privilegiato della Bontà Divina. Il suo cuore può essere criminale e menzognero come ogni altro cuore umano. Anche lui può cercare il potere e darsi da fare per mascherare la sua povertà e, fatte le dovute proporzioni, può essere animato dalla stessa cupidigia del capitalista.

Colui che mortifica il compagno, che fa a pugni per un posto all’uscita della chiesa o per una coperta, che si azzuffa perché si sente offeso, ruba…, si mette allo stesso livello degli oppressori.

È dunque a sua insaputa, che il povero, l’escluso è rivelatore della vera umanità. Il vero servizio che ci rende è che ci umanizza, che ci manifesta che cos’è l’uomo.

L’indigente ci manifesta che l’essere umano è piccolo, debole, fragile, peccatore e mortale.

La società moderna cerca di cancellare tutto ciò, vuole illudere, fare in modo che l’uomo appaia ricco, potente, bello, immortale.

L’escluso è invece la prova vivente che l’uomo non è Dio, anzi che ha bisogno di Dio, del Suo Amore, della Sua Misericordia.

[Da Clochard, Michel e Colette Collard – Gambiez. marito e moglie che hanno scelto di vivere la loro vita insieme ai “clochard”, affrontando le stesse difficoltà, dando loro amicizia e testimonianza d’amore]

Presentazione della veglia

Ascolto della Parola:

Dal libro del profeta Isaia (49, 8; 13 – 18)

Salmo 28

Dal Vangelo di Luca (6, 20 – 26)

 

Testimonianza di don Luigi Ciotti del Gruppo Abele

[nota: purtroppo la trascrizione scritta non può rendere la grinta e la partecipazione di don Luigi durante la sua riflessione. Sembrava un po’ stanco quando è arrivato, circondato dalla sua scorta (certe scelte si pagano!) e poiché tutte le sedie erano occupate, si è seduto sull’inginocchiatoio di un banco, in un lato della chiesa, prima di sedersi vicino a don Albino Bizzotto; quando poi è andato al microfono e ha incominciato a parlare, subito si è fatto trascinare e ha incominciato a gesticolare, ad allargare le braccia, chiudendo gli occhi… questo lo dico non tanto per sottolineare il suo personaggio, ma perché quei gesti mettono in evidenza quanto le parole che diceva provengano dal suo cuore di uomo che vive le situazioni di cui parla, con umiltà, con coerenza e da quelle vicende si lascia ancora emozionare ed indignare. Quindi, se magari passa vicino a casa vostra, andate a sentirlo, non tanto per il personaggio mediatico, ma perché credo sia un testimone, sincero e coerente, dell’indignazione per l’ingiustizia e della speranza nella Vita che vince sempre, nonostante tutto.]

 

“Vorrei riflettere a voce alta con voi questa sera dicendo subito, come voi sapete, che l’escluso è colui che è stato escluso; è colui che è stato discriminato, che l’escluso è colui che stato reso povero, che è stato escluso, discriminato, reso povero perché senza diritti, perché senza potere, perché senza garanzie, perché umiliato, perché privato della dignità; l’escluso è colui che è stato escluso. E voi mi insegnate che dire povero vuol dire, mai dimenticarcelo né io né voi, persona piegata, ripiegata su se stessa, costretta ad una dipendenza, a chiedere; che povero è una persona piegata in condizioni, in condizione di dipendenza.

L’eletto significa, come voi sapete, scelto, chiamato. Ma attenzione, indica anche colui che chiama, perché interpella a fare una scelta e provoca con la sua sola presenza. La presenza dell’eletto provoca, chiama, interpella. Ma voi capite che dire questo vuol dire mettere un uguale, e questo uguale per me vuol dire dirci con chiarezza che nella realtà è l’esclusione che ci provoca e ci chiama a rompere i meccanismi dell’ingiustizia. L’escluso diventa la visibilità dell’ingiustizia. E allora qui viene il bello, perché senza il filtro della giustizia l’errore è sempre lo stesso: si considerano come minaccia del bene comune non le disuguaglianze, che creano povertà e miseria, ma gli effetti dell’ingiustizia. Allora l’immigrazione viene intesa come minaccia, dimenticando che è l’effetto di un’ingiustizia. Il popolo della strada, che si sbatte sulla strada, è visto come minaccia del bene comune e non la disuguaglianza che ha creato quella forma di fatica, di marginalità, di sofferenza, di umiliazione. è la prostituzione, a chi fa comodo, la minaccia, non il chiederci perché, chi sono, da dove vengono.

Allora ci vuole il filtro della giustizia, se no l’errore continuerà a ripetersi. Di questi errori, amici, li sentiamo e li leggiamo tutti i giorni dove ci si ferma agli effetti dell’ingiustizia, vista come minaccia. Noi non siamo qui per semplificare, ma per dire di fronte a Dio che non vogliamo fare sconti a nessuno, neanche a noi stessi, ma anche per dire di fronte a Dio che la legalità resta per tutti un punto fermo. Anche per tanti colletti bianchi, per tante persone così sorridenti, così cordiali che poi di fatto con le loro scelte calpestano la dignità e la speranza di tante persone.

Il 26% dei processi di tangentopoli sono andati in prescrizione, il prossimo anno saranno il 40%, fra tre anni sarà l’80%. Ma Carlo, padre di due bambini, sposato da tra anni, certo … certo… una storia di strada, di rapporto con le dipendenze, già una esperienza di carcere…certo…non si fa sconti a nessuno… ma Carlo non aveva il grande avvocato, con i cavilli, con il sistema per guadagnare tempo e rinviare…lo hanno preso ed oggi è in carcere, mentre altri…tutto va in prescrizione, c’è chi frena, chi trova i cavilli. E allora no, la legalità deve essere un punto fermo per tutti; c’è bisogno di una giustizia giusta.

Il cambiamento, voi capite allora, lo si costruisce rompendo l’esclusione e costruendo l’inclusione. Ma sia ben chiaro, che il nostro dovere non è solo spenderci verso chi è ai margini, chi è escluso, ma io credo che il nostro dovere, senza sconti per nessuno, vuol dire mettere anche testa verso gli inclusi. Perché se non si aiuta le persone a prendere coscienza, consapevolezza, ad essere informati, sempre nella chiarezza, nella trasparenza, nell’onestà, che il nostro dovere, che è di essere al fianco di chi è escluso, ma anche di non dimenticare che dobbiamo usare forza, energie, testa, passione verso gli inclusi nella chiarezza, senza sconti, con determinazione; perché dobbiamo far crescere il grado di consapevolezza, di conoscenza della nostra realtà.

Voi avete voluto chiamare l’incontro di questa sera “Quando l’escluso diventa l’eletto”, con un preciso riferimento. E allora io voglio proprio parlare, ce lo ricordava così bene don Albino (Bizzotto), che ringrazio e a cui voglio dire che gli voglio un sacco di bene per le cose che lui ci ha insegnato, per il suo coraggio di parola e per il suo impegno a cui tutti dobbiamo essergli grati…ebbene non è un caso che io appartenga ad un gruppo, nato 35 anni fa, che abbiamo scelto proprio di chiamare Abele, proprio di fronte a quell’interrogativo di Dio, che chiama Caino e gli dice: “Ma aho! Dov’è tuo fratello?” e Caino un po’ scocciato gli dice, a Dio, “Ma sono forse io il custode di mio fratello… perché lo chiedi a me?”. Dio lo ha chiesto ieri, a Caino, ma Dio continua a chiederlo oggi, a ciascuno di noi: “Dov’è tuo fratello?”. E noi non possiamo rispondere a Dio “…sono forse io il custode di mio fratello?”. Certo noi non siamo i custodi, ma questo custode vuol dire, tradotto concretamente, che dobbiamo esserci, che dobbiamo immergerci sempre di più nella nostra realtà, nei nostri territori, nelle nostre città. Noi siamo i custodi in questo senso dei nostri fratelli e nel 2001 noi non possiamo dire a Dio che non sappiamo dove sono i nostri fratelli. Purtroppo oggi c’è una malattia mortale…c’e una malattia mortale, e la malattia mortale di oggi, voi lo sapete molto bene, si chiama indifferenza…questa sì che è una malattia mortale.

Abele è il fratello di Caino e voi sapete che in ebraico Abele vuol dire “debole”… debole… Nella Bibbia è colui che per primo, Abele, subisce la rottura della fraternità e della solidarietà. Abele è l’esempio di colui che viene emarginato da suo fratello Caino. Ma attenti, Abele è il secondo figlio e il secondo figlio è colui che regala la fraternità al primogenito, a Caino…è chiaro, soltanto la nascita del secondo figlio rende il primo figlio fratello. Oggi la nascita di tanti altri nostri amici, persone che sono ai margini, persone che cercano la terra promessa nascono per noi. Sono i nostri fratelli. La loro presenza ci fa fratelli.

La storia di Abele che ci interpella…è il secondo figlio che regala la fraternità e noi abbiamo tanti amici che ci rendono fratelli, che ci ricordano tutto questo. La fraternità arriva come un regalo: c’è chi l’accoglie come un dono e si sente meno solo…il dono dell’incontro, del confronto, del faccia a faccia con la storia degli altri; ma c’è chi invece avverte la fraternità non come un dono, ma come una minaccia e si sente infastidito.

Allora già altre volte avete riflettuto questo, io mi permetto di risottolinearlo questa sera a me anzitutto e di condividerlo con voi…gli interrogativi: l’altro per me è dono che arricchisce, o sotto sotto è una minaccia? È una risorsa o è inciampo? Sono questi gli interrogativi, che tra le righe respiriamo, sentiamo.

C’è una parola che è cresciuta nell’arco degli ultimi anni, che è “sicurezza”, che sta riempiendo la bocca del paese. Nessuno di noi vuole mettere in discussione il diritto alla sicurezza che tutti i cittadini hanno. Nessuno di noi vuole mettere in discussione che molte paure, fatiche, disorientamenti della gente sono paure reali. Nessuno di noi vuole mettere in discussione che il grido, le grida di tante persone devono essere accolte e diventare parola, comunicazione, ascolto. Ma non possiamo dimenticarci, vi prego nessuno, che il diritto alla sicurezza è un diritto che tutti hanno, anche i più fragili, i più deboli, gli esclusi, quelli che si sbattono lungo le nostre strade, i poveri. La sicurezza non deve garantire solo alcuni, i più garantiti, i più forti, ma è un diritto che tutti hanno.

Ma voi mi insegnate che la città sicura è la città che sa accogliere il disagio e se ne fa carico. È la città che accoglie, che include, che si attrezza per fare in modo che nessuno sia escluso. Ma basta parlare di città sicure. Dopo che ho detto il mio rispetto per il diritto alla sicurezza, io credo di poter condividere con voi che dobbiamo lavorare tutti insieme per costruire città vivibili, dove il grado di vivibilità della città non si misura solo dall’aria pulita o dal traffico o dal verde, tutti elementi necessari, ma il grado di vivibilità della città lo si misura in base alla capacità delle relazioni umane e delle relazioni sociali. È la città vivibile che deve essere il nostro impegno e il nostro obiettivo, dove nessuno è ai margini. E basta con le città sicure, come enfasi, come retorica, come bandiere che vengono sventolate. No…città vivibile, perché se la città è vivibile per tutti è sicura.

Nei Paesi Bassi, rispetto al tema della sicurezza, a molte etichette buttate in fretta nel giudizio, nel pregiudizio su molte persone escluse, ai margini, hanno avuto l’umiltà di sperimentare quattro metodi per due anni e poi di decidere una strada, un percorso. Hanno preso una città e hanno detto “qui non facciamo nulla”, politica immutata… sperimentazione…; un’altra città “facciamo degli interventi specifici sulla droga e sulla prostituzione”; un’altra cittadina “rispondiamo al grido della gente…più gendarmi”, qui sarebbe più polizia, più carabinieri, più presenza nel territorio; e una quarta cittadina “facciamo un lavoro, tutti insieme, l’amministrazione, le forze dell’ordine, la magistratura, le chiese, le associazioni, la scuola, i gruppi. Dopo due anni la verifica ed è emerso che dal punto di vista della convenienza, anche economica tra l’altro, dell’efficacia, dell’efficienza, dei quattro metodi, quello veramente grande, che ha messo insieme tutti, che ha coinvolto tutti, che ha reso cittadini tutti è stato quello di quella rete, dove non si delega a qualcuno, ma dove si creano le condizioni di una comunicazione, di una relazione sociale, di recuperare una dimensione umana. Allora voi mi insegnate che non ci possiamo dimenticare mai, né io né voi, che prima di essere poveri, si è persone. E siamo chiamati sempre tutti ad incontrare le persone e poi ad affrontare i problemi, e non viceversa. Sono troppi quelli che oggi affrontano le persone…no, le persone si incontrano, i problemi si affrontano. E per affrontare i problemi bisogna conoscerli. Terzo: che siamo chiamati ad accompagnare le persone, non a portarle alla mia idea, al mio obiettivo, al mio progetto. Certo la legalità la rispettiamo tutti, le regole valgono per tutti…per tutti... ma poi si accompagnano le persone. Perché l’accoglienza non può essere un’accoglienza monca: “venite perché c’è bisogno di manodopera”, “a me interessa il vostro lavoro punto e basta… che cosa volete di più?”. No, l’accoglienza non può essere un’ accoglienza monca, ma siamo chiamati ad accogliere tutta la persona: la sua cultura, le sue tradizioni, la sua lingua, la sua religione, la sua storia, i suoi sogni, i suoi sentimenti.

Quante accoglienze monche! Preoccupate di dare solo qualche cosa, ma non di accogliere tutta la persona. Siamo chiamati oggi ad accogliere le parole nuove, che fino a qualche anno fa non erano pensabili nei nostri vocabolari e a farle nostre queste parole nuove e a tradurle, a tradurle; chi avrebbe parlato anni fa di interculturalità, di multireligiosità… chi avrebbe parlato di questo? Ma vi prego, siamo chiamati, lo dico con esitazione dentro di me e lo vorrei gridare in questo Tempio della Pace, noi siamo chiamati a giudicare le azioni, non il cuore della gente. Le azioni sì, ma il cuore della gente solo Dio legge. Ma siamo chiamati,amici, anche ad avere il coraggio, un nuovo coraggio. E qual è questo nuovo coraggio? Rispetto a che cosa? Lasciatemelo dire, sono cose che voi mi insegnate, ma io sento il bisogno di dirle dentro di me…di dire basta a questo orizzonte culturale che ci sta fregando tutti. Un orizzonte culturale che passa nei messaggi, nella pubblicità, negli spot…una televisione, non voglio demonizzare, non voglio generalizzare, ma attenti, c’è un orizzonte culturale che ci sta schiacciando tutti, in quello che conta oggi è l’apparire, l’immagine, la prestazione, il possesso, la ricchezza…schei, schei, tanti schei (in dialetto veneto gli “schei” sono i soldi). E di fronte a questo orizzonte culturale, in cui l’apparire, l’immagine, la ricchezza, il potere ci sono quotidianamente presentati, io vi prego, ve lo dico da amico, con esitazione dentro la mia coscienza per i miei limiti, le mie fatiche, ma ve lo dico da amico, dobbiamo avere il coraggio di essere persone inadeguate. Sono qui per condividere con voi questo coraggio, il coraggio di essere oggi delle persone inadeguate a questo orizzonte culturale. Non possiamo accettare questo orizzonte culturale, non possiamo essere spettatori di tutto questo. Non può essere il potere, il possesso, la bellezza ricercata ad oltranza…schei, schei, l’apparire, l’immagine, il nostro orizzonte culturale. Allora vi prego, di fronte a questo, il coraggio di essere persone inadeguate.

Per Caino, Abele è diventato un inciampo, per cui lo ha portato oltre i confini, fuori dal contesto di vita. E voi sapete che oltre i confini significa averlo emarginato, averlo escluso, avere rotto i rapporti di reciprocità, di corresponsabilità. Prende le distanze, caccia via suo fratello Abele.

Io mi sento, non so voi, me lo chiedevo oggi viaggiando da Brindisi, da Manduria per venire qui, in questo viaggio mi sono chiesto tante volte, che forse anchÂ’io sono come Caino.

Oltre i confini. Ricordate quel grido di Martin Luter King, quando rispetto alla segregazione razziale, all’umiliazione, alla marginalità, all’esclusione della sua gente, lui si era rivolto al mondo e aveva detto: “Io vi scongiuro di essere indignati”. E voi sapete che l’indignazione ha bisogno anche della memoria. Domani è il 25 aprile. Io questa mattina ero a Manduria a fianco di una signora di nome Elena Springher, nata a Vienna, sopravvissuta all’olocausto: undici milioni di persone sterminate così. L’indignazione ha bisogno della memoria, che non ci dimentichiamo che in questo momento 37 paesi sono in guerra: 10 conflitti internazionali, 27 conflitti interni; che non ci dimentichiamo mai che questo secolo che è finito ci ha dato un bilancio approssimativo, complessivo di 110 milioni di morti. No, noi non possiamo dimenticare questo.

Oltre i confini, con troppa facilità i nostri confini diventano frontiere, che respingono. Ma l’olocausto continua sapete e penso a Maria. Maria è il nome con cui l’hanno chiamata questa donna della Moldavia e dicendo Maria penso a tante altre Marie.Ogni settimana dalla Moldavia, dall’Ucraina eccetera partono dei pullman sgangherati, carichi di uomini e di donne che vanno verso la Turchia, ad Istambul. Non vanno per turismo. E questa gente arriva lì, come Maria, e vanno a fare una visita medica in alcune cliniche super-specializzate, con dentro degli avvoltoi. Degli avvoltoi che sono dei chirurghi, colletti bianchi. E Maria è una delle tante donne e tanti uomini che ogni settimana vanno ad Istambul. Intercettata e ascoltata, Maria ha dichiarato di essere andata a vendere il suo rene per quattro soldi. Cinque figli, un marito malato. E Maria che dice con semplicità che ha venduto un pezzo a questo mercato di pezzi di ricambio umani, un pezzo di sé stessa, per comprare il cappotto e i libri e qualche medicina per suo marito. Il cappotto e i libri per i figli. L’olocausto continua amici. Io vi scongiuro di essere indignati.

Penso ai diciannove processi terminati in Italia, impensabili fino a qualche anno fa, con sentenza per il reato di schiavitù. Persone rese schiave nel nostro paese. E penso ad una ragazzina di sedici anni che l’altra mattina i carabinieri ci hanno accompagnato, già venduta cinque volte in quel mercato della prostituzione. E penso a quell’avvocato di Torino che è stato pizzicato da un’inchiesta e dall’ottimo lavoro delle forze dell’ordine, che ha comprato con lo sconto per superare la sua solitudine, si è fatto fare lo sconto da cento milioni a settanta milioni, una ragazzina di un paese dell’est, trattata come merce. Non è possibile. L’olocausto continua.

Voi sapete che trent’anni fa l’organizzazione mondiale della sanità ci aveva detto che tre malattie sarebbero state debellate entro la fine del millennio: la tubercolosi, la malattia del sonno, la dissenteria. L’anno scorso l’organizzazione mondiale della sanità ci ha detto che ci sono stati circa 17 milioni di morti per la dissenteria, per la tubercolosi, per la malattia del sonno. L’olocausto continua. Questo è un genocidio, perché muoiono prima per il mercato che per la malattia, perché chi è povero non può permettersi l’accesso a quel diritto fondamentale della vita, della salute, ai farmaci. Voi lo sapete molto bene, ma lo voglio ridire a me e a voi questa sera in questo Tempio della Pace, che il 90% dei malati di A.I.D.S. nel mondo sono nei paesi in via di sviluppo, i paesi più poveri e che il 95% di chi muore, muore in questi paesi. Voi sapete che nonostante le medicine e la generosità, l’impegno, il coraggio di molti che si spendono, ogni giorno sono duemila i nuovi infettati di lebbra. Non ho parole per dire questo. Esclusi, messi ai margini, ma tutto questo viene perché si creano le ingiustizie, vengono resi poveri. E penso a quella nave, a quella carretta, l’ennesima, con quei seicento curdi sbarcati disperati a Gallipoli, domenica. A quella nave con tanti bimbi resi schiavi.

Dall’annuario sociale del gruppo Abele, a giorni sarà in libreria, che raccoglie tutti i dati, in modo puntuale, li analizza, a volte li precede rispetto a quelli ufficiali, vi porto solo un dato sul pregiudizio etnico rispetto ad un pezzo di mondo giovanile, un campione molto vasto, dove è emerso che il 75,4% di questi giovani ha affermato che l’immigrazione in Italia ha raggiunto livelli troppo elevati; e una buona fetta di loro ha dichiarato, il 21%, molto e il 33% abbastanza, di essere convinta che gli immigrati, la stragrande maggioranza, sono dediti ad attività criminali od illecite. Ora è un problema di informazione, di percorsi educativi, di creare le condizioni perché le persone non debbano semplificare. È denunciare l’indifferenza come malattia mortale. Di sentire tutti il difficile compito dell’impegno della memoria rispetto alle cose passate, ma anche la memoria come impegno.

Allora non possiamo dimenticarci che l’Italia è il terzo esportatore di armi leggere al mondo e che l’Italia è il sesto paese al mondo per l’esportazione di armi ed armamenti. E vi do un dato che non è mio, non mi permetterei mai, è del governo, aprile del 2000: le commesse autorizzate in Italia, dati ufficiali, sono cresciute del 41% in più rispetto all’anno precedente e circa il 65% delle armi pesanti esportate dall’Italia finisce nei paesi del sud del mondo. Allora no, io sento inquietudine. Io faccio fatica, penso amici anche voi. Armi, che nella maggior parte dei casi giungono in quei paesi che sono nei conflitti e le forniscono gli stessi paesi che poi decidono di intervenire per porre fine ai conflitti, che fanno le forze di pace. Oltre i confini, quindi.

Vi do l’ultimissimo dato dell’altro giorno che troverete in questo annuario del gruppo, il dato dell’aprile 2001: quasi mezzo milione di richieste di aiuto, ci cui ottomila problematiche gravi, giunte proprio a Telefono Azzurro. Il prendere coscienza delle violenze sessuali denunciate sui minori. L’anno scorso, circa settecento episodi denunciati di violenza sessuale contro minori di quattordici anni. Faccio fatica a dire questo, ma amici, i siti monitorati di pornografia minorile, quelli monitorati sono stati l’anno scorso 3684. Certo è uscito un nuovo ordinamento in Italia, c’è un codice nuovo di condotta contro il turismo sessuale, è nato un codice di condotta dell’industria turistica Italiana finalizzato a contrastare lo sfruttamento sessuale dei minori nell’ambito del turismo. L’Italia attualmente è il terzo paese al mondo per sfruttamento del turismo sessuale dei minori, dopo il Giappone e la Germania. Per non dire della prostituzione infantile nel mondo…ma fermiamoci nella nostra Italia, dove c’è una stima seria, e ho visto delle amiche e degli amici che si spendono in questa direzione, che sono qui questa sera e che prima ho salutato, che di quelle venticinquemila ragazze che si prostituiscono sulle strade del nostro paese, un 10 - 15% sono minorenni. Per non parlare del lavoro minorile: sfruttamenti nel mondo e anche la nostra quota sapete…;

E per non parlare delle persone senza fissa dimora. Però lasciatemi portarvi un dato che esce un po’ dalla solita lettura, perché io credo che parlare delle persone senza fissa dimora non vuol dire solo quelle prive di qualsiasi riparo. Voi avete la fortuna di avere in casa una meravigliosa fondazione, la fondazione Zancan, così attenta, così puntuale, così punto di riferimento proprio su molti di questi ambiti per tutti noi e quindi parto certo di quel dato di chi è privo di qualsiasi riparo, ma non voglio dimenticare anche gli altri, quegli oltre 120mila persone che in Italia vivono in alloggi impropri, in baracche, ripari di fortuna, grotte, container; quegli oltre 60-70mila immigrati che vivono in forme di coabitazione forzata; e non voglio dimenticare quelle oltre 100mila persone ospitate in dormitori. Allora allarghiamo la lettura dei senza fissa dimora, non schiacciandola solo a quelli che sono privi in senso stretto del riparo, ma allarghiamo questa fatica.

21 gennaio 2001: 55.798 detenuti in Italia; è una vergogna sapete, è una vergogna! Certo chi sbaglia deve rispondere, ma tanti signori con i colletti bianchi…

Vi voglio dire una cosa che forse già conoscete, ma lasciatemela dire: dopo l’appello del Papa, nel Giubileo, di un atto di clemenza, rivolto con grande rispetto alla laicità di un paese, in commissione le varie forze politiche avevano trovato un accordo. Bello questo, un segno di speranza! Nessuno vuole semplificare: chi sbaglia deve rispondere, ma chiediamoci in che modo, in quali condizioni. Certi sono gravi reati: il 15% ha commesso gravi reati; molti hanno dei reati che potrebbero avere delle pene alternative, dei percorsi alternativi, altre opportunità. Pensate, che non era mai successo nella storia del nostro paese, che dai piccoli imprenditori alla lega delle cooperative, a moltissime comunità, associazioni di aria, di radici, di storie diverse, ci siamo messi insieme tutti per dire che non basta un atto di clemenza: quando uno esce e non sa dove andare, rischia di ritornarci dentro. Dobbiamo prevenire la recidiva: entrare uscire, uscire entrare. Abbiamo creato un cartello, molti di voi ne hanno fatto parte, molte realtà di questa regione ne hanno fatto parte, per offrire dentro un progetto un percorso che accompagna le persone, anche di lavoro. Abbiamo chiesto allo stato di prendere una piccola quota di quella spesa che costa un detenuto maggiorenne in carcere, cioè 400mila lire al giorno, per un progetto per accompagnare le persone. Se ne è fatto nulla! Ma vi devo dire che in commissione, l’accordo c’era quasi, perché una forza politica ha detto: “a noi va bene qualunque forma di amnistia, indulto..va bene, rispondiamo all’invito del Papa ad una condizione: l’amnistia di 5 anni.” Avete capito perché: così si coprivano tutta una serie di reati che avrebbero ulteriormente garantito alcuni e giustamente l’altra parte ha detto di no, pur con altra responsabilità. Ecco, queste politiche tiepide, prudenti, questo perdere di vista l’attenzione alla persona, questo per i propri giochi, i propri interessi, i propri fini…calpestare le opportunità per far rinascere la gente. Mai le carceri italiane hanno avuto una presenza così numerosa di persone.

Vogliamo scavare in profondità, cogliere questi anni di fatica.

Penso anche ai disturbi del comportamento alimentare, ad esempio: quanta sofferenza si respira. E vi porto lÂ’ultimo dato, dai referti medici. LÂ’anoressia lÂ’anno scorso, dai referti medici, ha avuto altre nuove 25.800 persone interessate a questa fatica e 103mila, dai referti medici, col problema della bulimia. Sono questi i disturbi del comportamento alimentareÂ…

Allora andremo avanti ora a leggere le fatiche, gli esclusi, le sofferenze vicine e lontane, questa crescita di forme di povertà, di marginalità, di esclusione….

Vi prego di non dimenticare anche le cose belle, importanti, positive che ci sono, di cui dobbiamo essere attenti ed orgogliosi.

Ma vorrei chiudere ancora una volta con Caino e Abele: è descritta non solo la storia dell’umanità in questa vicenda, ma è scritta anche la nostra storia. Ma anche, e ce lo ricordava don Albino, la vicenda di Gesù. Gesù diventa il nuovo Abele, che subisce la stessa vicenda: è reso debole, ingannato, escluso, ucciso. Cristo è entrato in questa tortuosità, come nuovo Abele per testimoniare con la vita che da questa logica si può uscire. Vi prego, non dimentichiamolo insieme che la storia di Abele testimonia l’ingiustizia, ma non dimentichiamo mai che la storia di Cristo propone giustizia, perché ci invita a costruire fraternità dove questa è incrinata o negata. Quando l’escluso diventa l’eletto, inteso in questo senso, diventa allora percorso di giustizia, vissuta con l’aiuto di Dio, perché nelle pieghe più nascoste di ogni emarginazione si possa ritrovare nascosta la storia di Dio, che ci chiede di cambiare vita e logica.

E allora certo noi siamo chiamati a cercare Dio per incontrare gli uomini. Ma il rapporto con la strada, con molti amici ai margini, con molte persone escluse, in questi anni mi hanno insegnato non solo a cercare Dio per incontrare gli uomini, ma che è anche possibile cercare l’uomo per incontrare Dio. E il rapporto con la strada, con chi arranca, con chi è ai margini, con chi è oltre i confini, mi hanno anche insegnato che se si è fedeli solo a Dio si diventa fanatici.

Ci ci ci ci ci ci …(alza le braccia verso l’alto e le agita)…quelli che fanno ci ci ci ci…s’è un po’ scocciato il Padre Eterno di tanti ci ci…

Dio non vuole chi è fedele solo a lui punto e basta.

Ma la strada mi ha insegnato che per chi è fedele solo all’altro c’è il rischio che si diventi gli “eroi della solidarietà”: ti butti nella mischia, fai, fai e poi ti impoverisci come chi è fedele solo a se stesso. Si diventa narcisisti.

La sua proposta è di essere capaci di fare sintesi: la fedeltà a Dio, all’altro e a se stessi. Dio ci vuole uomini e donne, ragazzi, giovani, bambini che vedono la gioia della normalità, nella quotidianità, il gusto per le cose belle; essere persone che godono le cose belle, rispettando l’ambiente, la natura, gli altri.

La sintesi: la fedeltà a Dio, all’uomo, a se stessi. Sì allora cercare Dio per incontrare gli uomini, ma anche cercare l’uomo per incontrare Dio. Cercare quelli che il Vangelo chiama Beati, con quei passaggi che possono sembrare contraddittori, ma che il Signore ci sbatte con forza davanti agli occhi e ci chiede che tutto questo entri dentro il nostro cuore. E lui ci invita a non dimenticare che l’altro, qualunque altro, non è mai una minaccia per i nostri principi, per il nostro credo, per la nostra cultura, ma l’altro, qualunque altro, è sempre una ricchezza. E l’incontro, l’ascolto degli altri, il costruire insieme, interrogarci su quello che sta dietro, il chiederci perché, lo scendere in profondità diventi un invito e un impegno per tutti.

Guai se il nostro obiettivo è la solidarietà. Gli esclusi non hanno bisogno di questo. Il nostro obiettivo ce lo ha indicato Cristo senza mezzi termini: è la giustizia, fame e sete di giustizia…la solidarietà, l’impegno sono gli strumenti per costruire la giustizia. Sia ben chiaro la solidarietà è l’anima: di fronte alla sofferenza non si discute, si accoglie, si fa di tutto, ci inventiamo di tutto… di fronte alla fatica la si accoglie, ma nella lucidità, nella chiarezza che la giustizia è il nostro obiettivo.

E questa sera noi abbiamo riflettuto di questo. Cercare Dio per incontrare gli uomini sì, ma anche cercare l’uomo per incontrare Dio.

 

Canto: S. Francesco

Preghiera spontanea dellÂ’assemblea

Preghiera corale del Padre Nostro

Canto finale: Unidos

 

 

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