UNA TERRA
PROMESSA?!?
Fuga dalla
schiavitù, dalla sofferenza, dalla morte.
Canto
Mosè, guidato dalla mano del Signore, fa usciere il
popolo dÂ’Israele dallÂ’Egitto. Arrivati sulla riva del Mar Rosso, sentono
arrivare dietro di loro i carri del faraone, hanno paura e cominciano a
lamentarsi; allora interviene la mano del Signore che apre a loro la strada e
attraversano il mare. Ancora oggi tante persone: uomini, donne, bambini,
costretti da guerre interminabili, da situazioni di vita impossibili,
attraversano mari e deserti, alla ricerca di una vita migliore, tanti alla
ricerca di una vita. E sbarcano sulle nostre spiagge, nei nostri aeroporti,
sperando di essere arrivati nella “terra promessa”, dove non saranno più
schiavi, dove sperano di costruirsi una nuova vita. Ma
sarà veramente la “terra promessa”?
Canzone: Una terra promessa
Siamo ragazzi di oggi
pensiamo
sempre allÂ’America
guardiamo
lontano troppo lontano
viaggiare
è la nostra passione
incontrare
nuova gente
provare
nuove emozioni e stare amaci di tutti.
Na
na na na na na na na na
na
na na na na na na
Siamo
i ragazzi di oggi anime nella cittÃ
dentro
i cinema vuoti seduti in qualche bar
e
camminiamo da soli nella notte più scura
anche
se il domani ci fa un poÂ’ paura
finche
qualcosa cambierÃ
finche
nessuno ci darà .
Una
terra promessa un mondo diverso
dove
crescere i nostri pensieri
noi
non ci fermeremo
non
ci stancheremo di cercare
il
nostro cammino
Siamo
ragazzi di oggi zingari di professione
con
i giorni davanti e in mente unÂ’illusione.
Noi
siamo fatti così guardiamo sempre al futuro
e
così immaginiamo un mondo meno duro
finché
qualcosa cambierà finché nessuno ci darà .
Una
terra promessa ...
...
il nostro cammino.
Noi
non ci fermeremo non ci stancheremo
ed
insieme noi troveremo
Una
terra promessa... il nostro cammino.
I RIFUGIATI DI IERI
Dal
Vangelo secondo Matteo (2,13-15)
I Magi erano appena partiti, quando un angelo del
Signore apparve i sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il
bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò,
perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”. Giuseppe, destatosi,
prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase
fino alla morte di Erode.
I VIAGGI DELLA SOFFERENZA
E
DELLA SPERANZA, OGGI
Leyla ha solo tre anni:
grandi occhi scuri, stanchi, capelli neri ricci e arruffati. Indossa un paio di
braghette rosse e una giacca a vento, pure rossa. In bocca tiene stretto il
ciuccio. La notte scorsa ha dormito tra le braccia dello zio Esber, mentre gli
altri hanno continuato imperterriti il cammino. Hanno marciato dalle sei di sera
a dopo mezzanotte: prima su sentieri di collina e poi lungo la strada asfaltata.
La mamma era davanti con i fratelli per mano e una pesante borsa a tracolla,
dentro c’è tutto quello che hanno e il ricordo della loro casa, ormai
lontana. Sagome in fila indiana, scure, accecate dai fari delle auto.
Improvvisamente si sono trovati faccia a faccia con i poliziotti francesi, che
li hanno fermati nei pressi di Ventimiglia, identificati e ricondotti in Italia.
Leyla era sbarcata a Santa Maria di Leuca (Lecce), il 2 novembre 1997. Era
arrivata con una “carretta del mare” dalla Turchia, la motonave Husam che
trasportava 796 disperati come lei, in prevalenza curdi. Sono gente senza patria
e scappavano da paesi dove sono perseguitati, uccisi.
Ritornello
È
passata da poco la mezzanotte; il cielo è stellato e la luna lascia intravedere
i volti dei compagni di viaggio. Farmira
stringe il suo bambino tra le braccia, cammina un poÂ’ nellÂ’acqua e sale sul
motoscafo; paga il caro prezzo della traversata. Si parte. Chissà come farà a
trovare il marito partito in Italia un anno prima. Dopo alcune ora si
intravedono le coste italiane; quando allÂ’improvviso la luce di un faro: la
polizia italiana. Lo scafista accelera, ma non riesce a seminarli; allora
minaccia i passeggeri che sono costretti a gettarsi in mare. L’acqua è
fredda; Fatmira si tiene stretto il suo bambino e cerca di nuotare, ma la riva
è ancora lontana e l’acqua gelida certo non la sta aiutando. Per fortuna è
recuperata dalla motovedetta. E finalmente tocca terra, infreddolita; si guarda
intorno, anche gli altri sono là , ma non tutti, qualcuno non ce l’ha fatta.
Ritornello
Questa
è la lettera di due ragazzi africani di 14 e 15 anni provenienti dalla Guinea
Conakry; sono stati trovati accartocciati su se stessi e avvinghiati al carrello
di atterraggio dellÂ’aereo arrivato a Bruxelles, in Belgio. I due cercavano una
vita migliore in Europa. Sono stati stroncati dal freddo, nonostante si fossero
preparati alla fuga indossando un gran numero di maglioni e pantaloni. Uno di
loro stringeva sul petto una lettera, indirizzata ai governanti europei:
Conakry, 29 luglio
Eccellenze,
Signori membri e responsabili d'Europa, abbiamo
l'onore, il piacere e la grande fiducia di scrivervi questa lettera per parlarvi
dell'obiettivo del nostro viaggio e della nostra sofferenza di bambini e giovani
dell'Africa.
Voi siete per
noi, in Africa, coloro a cui chiedere soccorso. Noi vi supplichiamo, per amore
del vostro continente, in nome dei sentimenti che nutrite per il vostro popolo e
soprattutto per l'amore che avete per i vostri figli che amate per la vita.
Inoltre, per l'amore del nostro creatore Dio onnipotente che vi ha dato tutte le
buone esperienze, ricchezze e potere per ben costruire e organizzare il vostro
continente e farne il più bello e ammirabile tra tutti.
Signori membri e
responsabili d'Europa, è per la vostra solidarietà e gentilezza che noi vi
chiediamo soccorso in Africa. Aiutateci, noi in Africa soffriamo enormemente,
abbiamo dei problemi e alcune mancanze a livello di diritti. Abbiamo la guerra,
le malattie, la penuria di cibo, ecc. Quanto ai diritti dei bambini, è in
Africa e soprattutto in Guinea che abbiamo troppe scuole ma una gran mancanza di
istruzione e insegnamento. Salvo nelle scuole private dove si può avere una
buona istruzione e buon insegnamento, ma ci vogliono forti somme di denaro. Ora,
i nostri genitori sono poveri e ci devono nutrire. Inoltre non abbiamo neanche
scuole sportive dove praticare il foot-ball, il basket o il tennis.
Per
questo noi, bambini e ragazzi dell'Africa, vi chiediamo di fare una grande,
efficace organizzazione per l'Africa per permetterci di progredire. Dunque se
vedete che ci sacrifichiamo e mettiamo a repentaglio la nostra vita è perché
in Africa si soffre troppo e c'è bisogno di lottare contro la povertà e
mettere fine alla guerra in Africa.
Infine, vi
preghiamo di scusare molto per aver osato scrivere questa lettera a Voi, i
grandi personaggi a cui dobbiamo molto rispetto. E non dimenticate che è con
voi che dobbiamo lamentarci per la debolezza della nostra forza in Africa.
Yaguine
Koïta e Fodé Tounkara
Ritornello
Mi chiamo Andrès,
ho 27 anni e sono Colombiano. Da 2 mesi mi trovo in carcere qui in Italia. Nel
mio paese facevo il meccanico e guadagnavo circa 300 mila lire al mese lavorando
anche fino a 10-12 ore al giorno. Questi soldi non bastavano mai per mantenere
mia moglie Jannet e le mie due bambine Susanna e Gisella. Un giorno in un bar,
mentre stavo bevendo con degli amici, mi si avvicinò un signore e mi disse se
volevo guadagnare 8.000.000 in un solo giorno. Sentivo che questo avrebbe
risolto i miei problemi e avrei potuto assicurare un futuro migliore alla mia
famiglia, che tanto amo.
Fu così che accettai la proposta.
Dissi a mia moglie che mi sarei assentato per un lavoro a Bogotà e che sarei
tornato presto. Mi diedero appuntamento in un vecchio scantinato e lì mi fecero
ingerire 100 ovuli con 100 gr. di droga. Io pensavo di morire, perché dopo
averne ingeriti 70 sentivo che il mio stomaco stava scoppiando, ma mi
obbligarono e ancora oggi non so come ho fatto a resistere.
Quando arrivai allÂ’aeroporto della
Malpensa, vedendo il passaporto colombiano, mi fermarono, mi fecero una lastra e
poi mi arrestarono.
Mi portarono allÂ’ospedale di Busto
Arsizio e mi tolsero gli ovuli con la droga; poi mi misero su un furgone e mi
portarono in carcere.
Adesso sono qui e dellÂ’Italia conosco
solo il cielo che vedo dalla finestra della mia cella, un campanile lontano eÂ…
lÂ’aria che respiro.
In cella sono finito con un albanese e
un marocchino con i quali non posso neanche parlare perché nessuno di loro
parla la mia lingua.
Le guardie del carcere ci trattano come
numeri. Meno male che ogni tanto viene un prete a visitarci e con lui posso
sfogarmi, parlare di mia moglie, delle mie bambine e della situazione di
ingiustizia, violenza e povertà che si vive in Colombia. Questo mi da sollievo
e speranza.
Loro non sanno ancora dove sono e mi stanno
aspettando. Un compagno di cella mi ha regalato un francobollo e alcuni giorni
fa gli ho scritto una lettera dicendogli dove sono e chiedendogli perdono.
Adesso aspetto il processo, la pena e poiÂ…Â… che il tempo passi in fretta per
poter tornare e stare con loro. Ogni giorno prego per la mia famiglia e chiedo
al Signore che la protegga. Ho tanta fede nel Signore e sento che mi vuol bene,
anche se in me c’è rabbia, paura e tanta confusione. La legge e la societÃ
mi hanno già condannato, ma sento che il Signore mi ha perdonato e continua a
volermi bene.
Ritornello
Preghiera dell'emigrante (Sal 60)
Preghiera
di una persona che ha trovato rifugio spirituale e asilo politico nel santuario
di Gerusalemme. Questo esule esprime il suo bisogno di protezione e la sua lealtÃ
al re. Questo il salmo è stato attualizzato come preghiera di un musulmano.
Mi
prostro fino a terra riverente,
ti
adoro e ti prego, grande Allah,
creatore
e luce dellÂ’umanitÃ
che
sorridi i tuoi raggi sul mondo
e
lo guidi come faro nella notte.
Ti
invoco, Signore, nel tumulto
delle
opulente città dell'Europa
nascondendomi
in qualche giardino,
nei
parchi iniettati di siringhe
o
nelle buie e vuote chiese dei cristiani.
Sono
un giovane emigrante africano
e
il mio cuore è nero d’angoscia
come
la mia pelle e i miei capelli,
come
il lavoro che mi offrono
e
i loro sguardi venati di razzismo.
Sto
perdendo, o Allah, la fiducia
di
arrivare un giorno a raccogliere
le
briciole o i tozzi di pane
che
cadono in abbondanza dalle mense
degli
epuloni del ventesimo secolo.
Ancor
oggi, Signore, essi curano
più
i cani, i gatti, i guardaroba
che
gli affamati lazzari neri
sbarcati
clandestinamente nei porti
con
i carghi di merci espropriate.
Solo
in te è la mia fiducia, o Allah!
Per
me tu sei più grande e potente
di
tutte le potenze occidentali e
del
loro Dio che non amano e non pregano.
Nelle
tue mani affido il mio futuro!
Anche
se molte porte mi si chiudono,
anche
se la paura e il disprezzo
mi
accompagnano come ombre maledette,
certamente
incontrerò delle persone
che
hanno abbattuto nel cuore le frontiere.
Io
credo che tu sei forza e speranza,
rifugio
e protezione potente
per
chi si affida alla tua volontÃ
e
cammina nella via della fede
ben
oltre le speranze deluse.
In
questo momento di forte tentazione
faccio
voto di mantenermi fedele
alla
fede e alle tradizioni del mio popolo
anche
in mezzo alle nazioni dÂ’Occidente
che
praticano una religione ateista.
La
fede e la solidarietà tra fratelli,
il
valore incommensurabile della vita
nel
dono dell'amore e dei figli,
nel
rispetto della terra che è madre
sono
ricchezze che non voglio smarrire.
Questi
doni mi vengono da te
attraverso
l'eredità dei miei padri
ma
forte è la tentazione di svenderli
per
un pezzo di pane ed un letto,
per
una integrazione di pura facciata.
Da
questa terra dÂ’esilio e sofferenza,
da
questa terra dÂ’illusioni e speranze,
da
questa terra ricca e indifferente
ti
prego per la mia famiglia e il mio popolo
e
per la grande Africa martoriata.
Proteggi,
o Allah, i suoi governanti,
le
sue guide spirituali e i suoi profeti,
i
villaggi e le tribù delle savane,
le
carovane e i nomadi del deserto,
gli
abitanti delle bidonville cittadine.
E
soprattutto proteggi i suoi figli
dispersi
tra i popoli della terra
a
mendicare un diritto negato.
Apri
loro il cuore e le case
dei
credenti che vivono in ogni popolo.
Così
tornerà il sorriso sulle labbra
con
i canti e le danze d'ogni ritmo
in
una nuova pentecoste delle razze.
Anche
lÂ’Occidente quel giorno imparerÃ
a
pregare e a rispettare la vita.
Dal
Libro dellÂ’Esodo:
(14,15-16.21-22.15,1b-2a)
Il Signore disse a Mosè: “Perché
gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Tu intanto
alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti
entrino nel mare all’asciutto… Allora Mosè stese la mano sul mare. E il
Signore durante tutta la notte, risospinse il mare con un forte veno
dÂ’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono
nel mare sullÂ’asciutto, mentre le acque erano per loro una muraglia a destra e
a sinistra… Voglio cantare in onore del Signore: perché ha mirabilmente
trionfato, ha gettato in mare cavallo e cavaliere. Mia forza e mio canto è il
Signore, egli mi ha salvato”
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Padre
nostro
Canto
finale
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